L’angolo dell’autrice
Comincio quest’ultimo angolino
dell’autrice col ringraziare akane_val, blu rei, gobra1095, kaoru, medea78,
perlanera, rayne, rina, semplicementeme, valentina 78 per aver messo questa
storia tra le vostre preferite; anche se alcune di voi non hanno mai lasciato
commenti la cosa mi ha fatto comunque davvero piacere.
Ringrazio ancora kaoru per gli ultimo
commenti che mi hai lasciato, mi piace sempre molto l’entusiasmo che traspare
da ciò che scrivi ^_^
Con quest’ultimo epilogo dedicato a Susanna
si chiude questa storia lunghissima ed articolata che mi ha portato via molte
notti e molto sonno ma sono decisamente soddisfatta del lavoro svolto. ^_^
Un saluto a tutti e Buon Anno Nuovo.
Era ormai un’abitudine vedere quei fiori nel suo
camerino da due anni a questa parte.
Si alzò e ne accarezzò una mentre fissava la notte
fuori dalla finestra e gli spettatori che sciamavano allegri dal teatro.
Era l’antivigilia di Natale.
Non lo aveva ancora dimenticato, non si poteva
dimenticare così facilmente un uomo come lui. Sua madre per un po’ l’aveva
spinta ad uscire, a fare vita sociale ma era al di sopra delle proprie forze
mostrarsi allegra e socievole quando l’unica cosa che avrebbe voluto fare era
morire…
Senza la sua voce e i suoi occhi con cui vedere il
mondo e se stessa nulla aveva più avuto senso ma per quegli occhi e per quella
voce lei era andata avanti, aveva fatto quello che lui si sarebbe aspettato da
lei: aveva ripreso a recitare, teneva una rubrica di critica su un giornale
importante, aveva persino imparato a ballare di nuovo anche se era comunque
rimasta un po’ limitata nei movimenti.
Ancora pochi giorni e sarebbe partita per un
viaggio: aveva bisogno di stare sola, di allontanarsi da New York cercando
quiete per finire la sua sceneggiatura. Sua madre sarebbe rimasta a casa,
glielo aveva chiesto espressamente, aveva necessità di stare sola.
Lo sguardo inquieto vagò di nuovo dalle rose ai
giornali aperti sul tavolino, dove la famiglia Andrew occupava le pagine
insieme a Candy e Terence.
“Altri fiori, Susanna!”, disse una voce dietro un
enorme mazzo di rose rosse.
Lei sorrise debolmente, “Non so più dove metterle!”
“Mi offendo se non trovi un posto per le mie rose!,
disse Jason spuntando da dietro il mazzo.
“Credevo fossero quelle le tue.”
“Te ne ho mai regalate così poche?”
Susanna non rispose, non sapeva mai cosa rispondere
a quell’uomo che ora aveva deposto i fiori sul tavolo e la guardava con occhi
scintillanti.
“Sei stata magnifica anche stasera!”
“Grazie Jason”, desiderava che se ne andasse e allo
stesso tempo temeva di rimanere sola, con i fantasmi del passato che la
perseguitavano.
“Susanna, io…”
Lui non sapeva più come prenderla, aveva provato
tutti i modi per scuoterla da quel torpore in cui sembrava a proprio agio, non
riusciva a rassegnarsi all’idea che lei lo considerasse solo l’impresario.
All’inizio dell’autunno del 1917 Susanna Marlow si
era presentata nel suo ufficio chiedendo di entrare a far parte dell’organico
della compagnia.
Lui, per lo stupore, era quasi caduto dalla sedia.
La conosceva di fama, per il talento e la sfortuna, sapeva, da quel che si
diceva in giro, che di persona fosse molto più bella che nei manifesti o in
fotografia ma era rimasto abbagliato soprattutto dalla dolcezza e tristezza di
quel viso che gli ricordava una Madonna di Raffaello.
Sulle prime non aveva preso sul serio la proposta
ma lei era determinata, non le importava molto del salario, l’importante era
tornare a recitare. Gli aveva spiegato che alla compagnia Stratford non si
trovava più a suo agio, i problemi con Terence erano risolti ma la rivalità con
Karen Klies non si era mai assopita e il suo essere menomata pesava sulla sua
vita all’interno della compagnia.
Lei era alla ricerca di un posto dove ricominciare,
con ruoli secondari, un posto dove la sua invalidità non venisse continuamente
utilizzata per metterla da parte.
Walton era rimasto pensieroso a lungo: un’attrice
come lei poteva essere causa di attriti tra i membri della compagnia ma era
anche una meravigliosa opportunità per avere più visibilità e forse,
finalmente, soldi a sufficienza per una sede stabile.
Walton aveva chiesto il parere ai suoi attori e
l’inserimento di Susanna era avvenuto senza problemi: il carattere dolce e
remissivo di lei aveva facilitato tutto e la sua assoluta mancanza di
protagonismo le aveva attirato la simpatia dei suoi compagni; alla fine,
inevitabilmente per il suo talento, aveva avuto ruoli di primo piano.
Ora, a due anni da quell’incontro inatteso, la
compagnia era divenuta finalmente famosa: avevano un teatro proprio e le pagine
dei giornali erano dedicate più o meno equamente a loro, alla compagnia
Stratford e a Eleanor Baker, tornata a calcare le scene.
Di tutto questo Jason Walton era molto soddisfatto:
il suo sogno di bambino, di quando andava a vedere le prove del padre in
teatro, era sempre stato quello di far parte di quel mondo ma poiché non amava
calcare le scene aveva trovato più congeniale misurarsi con la difficoltà di
gestire una compagnia ed aveva iniziato con quel gruppo di giovani attori
usciti dalla scuola del teatro stabile.
Susanna era stata una presenza silenziosa e
discreta, tanto brillante in scena quanto poco appariscente nella vita
quotidiana della compagnia: osservava gli eventi, le persone, le piccole
gelosie e rivalità tra i colleghi senza mai intromettersi, senza mai mostrare
maggiore simpatia per questo o quello.
Jason Walton, dapprima colpito dalla sua bellezza,
fu infine soggiogato dal mistero di quel volto che solo raramente sorrideva e
senza mai quella luce negli occhi che hanno le persone felici ed appagate.
Aveva discretamente chiesto informazioni su di lei
ad amici fidati che avevano raccontato in dettaglio la sfortunata storia con
Terence Granchester ma poco sapevano, a parte i pettegolezzi scritti dai
giornali, di quello che poteva essere accaduto con William Andrew.
Quello che aveva notato era che Susanna era molto
più nervosa ed assente da quando la stampa aveva iniziato a a parlare del
miliardario di Chicago e della sua consorte di ritorno dall’Africa.
“Susanna, io…vieni a cena con me stasera? Mi
piacerebbe portarti in un ristorantino molto grazioso qui vicino, non ci
disturberà nessuno, tanto per festeggiare…”
A volte sfacciato, a volte consapevolmente galante,
era difficile che non si notasse la sua presenza ad un ballo, in strada o a un
cocktail.
Prima dell’arrivo di Susanna la sua fama di
conquistatore era mormorata alle sue spalle mentre ora veniva preso in giro
platealmente perché aveva abbandonato le vecchie abitudini e lasciato molte
signorine a bocca asciutta.
Susanna lo aveva colpito anche per la sua
indifferenza a tutti i trucchetti che era solito usare per affascinare le sue
prede: era come se lui nemmeno esistesse.
Sulle prime lui l’aveva presa come una sfida: più
alta era la posta, più difficile la preda, più divertente sarebbe stato farla
cadere ma si era infine reso conto della solitudine che quella tristezza ed
indifferenza nascondevano. E se ne era innamorato, perdutamente.
Non riusciva a capire come Terence Granchester e
William Andrew avessero potuto rinunciare a lei e spezzarle il cuore in quel
modo…era menomata, era vero, ma questo non era un valido motivo.
“Scusami Jason…non…non ho capito cosa hai detto…”
“Vieni a cena con me?”
“No, scusa, non mi va…”, sorrise debolmente, lo
sguardo sui giornali, “vado a casa, sono molto stanca.”
Jason era al limite della sopportazione.
“Smettila di pensare a William Andrew!”
Le parole la colpirono come uno schiaffo: come
aveva fatto a capire?
Lo fissò, vedendolo forse per la prima volta.
“Possibile che tu debba pensare ancora a lui? E’
sposato, ha un figlio!”
Susanna fece un passo indietro, Jason si era
proteso verso di lei, arrabbiato e minaccioso. Lo guardò senza riuscire a
pensare ad una risposta coerente.
“Non puoi andare a avanti così!”
Lei scosse la testa: “Non puoi capire…”
Lui era sempre più furente.
“Non posso capire, eh? Capisco che per lui hai
rinunciato a vivere! Capisco che sei tornata a recitare per non pensare a lui!
Capisco che sarebbe ora che tu la smettessi! Nessuno merita il sacrificio della
tua vita sull’altare del ricordo, qualunque cosa ci sia stato tra voi!”
“Smettila, non parlare così!”, mormorò flebilmente Susanna.
Jason le si era avvicinato, prendendola per le
spalle.
“Qualunque cosa ti abbia fatto quel vigliacco non
merita che tu smetta di esistere!”
“Non è un vigliacco, è un uomo meraviglioso, un
angelo”, gli rispose, lo sguardo perso nei ricordi.
“Sei ti ha ridotta così tanto angelo non può essere
stato!”, strinse ancora di più le mani sulle spalle di lei.
Susanna sollevò lo sguardo e gli rispose con un
tono che mai le aveva visto usare al di fuori del palcoscenico: “Non tutti ti
considerano un trofeo da conquistare!”, aveva stretto gli occhi fissandolo con
freddezza.
La stilettata lo colpì in pieno.
“E’ per questo che mi hai sempre trattato come se
non esistessi?”
“Perché tu non esisti!”, gli rispose durante.
Ah, è così che la pensi, allora?! “Avevano ragione quando mi dicevano che la
facevi apposta ad ignorarmi, era per esasperarmi!”
“Non mi interessa essere l’ennesimo trofeo di Jason
Walton!”
“Ma avresti voluto essere il trofeo di William
Andrew!”
“Non sei degno nemmeno di pulirgli le scarpe!”
“Ah, davvero!?!?”, strinse ancor di più la presa e
la tirò a sé per poi circondarle le spalle mentre la baciava in modo rude ed
impetuoso.
Susanna cercò inutilmente di opporre resistenza ma
si sottrasse al bacio solo quando lui le consentì di farlo.
Lei scosse la testa: “No! Non mi aveva mai baciata
e basta! Come hai potuto?!”
Con una mano le accarezzò il viso, la risposta che
gli aveva dato lo aveva fatto sentire un verme: “Scusami Susanna, ho perso il
controllo” ma lei continuava a piangere silenziosamente.
“Dammi una possibilità, ti prego…”
“Jason, io…”
“Fidati di me, non ho fretta, saprò aspettare ma
dammi una possibilità.”
“Io, io…non ci riesco…”
“Non ce la farai mai se continui a chiuderti in te
stessa…”
Le lacrime continuavano a scendere, inarrestabili.
Senza sciogliere l’abbraccio prese a baciarle il viso, asciugandole le lacrime
ora con le dita, ora con le labbra; la sentì rabbrividire.
Marian era stata difficile da convincere.
Presentarsi poi nella sala gremita cercando di
apparire tranquilla era stato l’ultimo sforzo che era riuscita a fare prima di
chiudersi in camera propria e guardare il soffitto incapace di piangere e
sfogarsi.
Era stata Candy a consolarla come meglio poteva e
ad accompagnarla alla stazione; non aveva voluto vedere William, troppa
vergogna, anche se lui aveva chiesto sue notizie.
Così, mentre il treno lasciava la piccola stazione
di Lakewood, Susanna aveva guardato a ritroso nella memoria alla ricerca del
punto in cui aveva iniziato ad equivocare il proprio rapporto con William e non
era riuscita a venirne a capo: sapeva solo rintracciare il momento in cui era
divenuta consapevole del sentimento che provava per lui.
Tutto ciò che era avvenuto dopo il suo rientro a
New York era stato uno stillicidio continuo di notizie dolorose: il
fidanzamento ufficiale, il matrimonio, la partenza per Londra e quella per
l’Africa e tutti i pettegolezzi su una coppia tanto ricca e conosciuta quanto
schiva e riservata ed ora, dopo due anni, la nascita di quel bambino che lei
aveva desiderato a lungo di poter portare in grembo. Invano.
Le notizie erano state, tutto sommato, poco
numerose , la riservatezza di William non aveva dato molte occasioni per
spettegolare ma, a maggior ragione, ogni notizia sugli Andrew aveva un peso reale
perché comunicata per via ufficiale.
Non aveva così potuto dubitare nemmeno per un
attimo che quell’unione non potesse andare meno che bene e che quel bambino che
Marian portava in braccio con orgoglio e tenerezza non fosse stato voluto con
tutte le forze da entrambi i genitori.
Un altro sogno che si infrangeva sugli scogli della
realtà.
Il senso di vuoto che provava nel cuore e nella
mente da mesi si era spostato più in basso, là dove avrebbe voluto sentire suo
figlio muoversi. Il desiderio di maternità che la attanagliava da tempo era
divenuto via via più acuto e, con esso, la consapevolezza che non si sarebbe
mai realizzato con William…e forse con nessun altro.
Era difficile riuscire a pensare il proprio mondo
senza di lui, era impossibile pensare qualcun altro accanto a sé al posto suo.
Impossibile, non quando ciò che si era perduto era
così prezioso, nemmeno per Terence aveva sofferto tanto e tanto a lungo, forse
su Terence si era illusa di meno.
Aveva parlato con Terence, poi con Robert Hataway,
le prospettive erano incoraggianti ma lei non se la sentiva di tornare in quel
teatro dove la sua vita era andata in pezzi insieme al riflettore. Terence
aveva capito e l’aveva aiutata a trovare una soluzione e proprio grazie ad un
amico di Terry era arrivata a Jason e alla sua compagnia.
Si era accorta dell’inclinazione che lui aveva per
lei ma non vi aveva dato peso, prendendola più per una posa assunta da Jason
per mantenere la sua fama di dongiovanni.
Forse, in un altro momento lei avrebbe anche potuto
considerarlo di più ma ora l’ultima cosa che voleva era sentirsi di nuovo presa
e rifiutata.
Ora doveva riconsiderare tutto quanto ma si sentiva
incapace di pensare: il calore del suo petto sotto le proprie mani la stordiva
come il suo profumo che sapeva di sandalo e muschio.
“Io vorrei solo morire”, mormorò Susanna, “mi sento
così sola” ma quella frase non era per lui, era solo un pensiero a voce alta.
Jason la strinse di più, cullandola come si fa con
i bambini impauriti e Susanna lentamente si lasciò andare, ricambiando
timidamente l’abbraccio.
“Brava, così”, le disse nascondendo il viso nei
capelli di lei e baciandole il collo, molto vicino all’orecchio.
Sentì una scossa percorrerle la schiena e provò una
fitta al basso ventre; si vergognò ma desiderò che lo facesse ancora. E lui lo
fece mentre lei non riusciva ad impedire alla propria testa di muoversi
percettibilmente ed appoggiarsi a quella di lui.
Jason sorrise: “Brava Susie, lasciati andare…”,
mormorò.
La guardò per un attimo e le appoggiò un bacio
sulla fronte: non poteva sapere cosa stava evocando.
Susanna ebbe una fitta al cuore e chiuse gli occhi:
William!
Scoppiò in un pianto dirotto che la portò ad avere
i conati per la violenza dell’emozione, due anni di lacrime trattenute: non
aveva più pianto da quando lo aveva fatto, per l’ultima volta, tra le braccia
di William.
Jason la lasciò piangere, cullandola: aveva
compreso che quel pianto era l’inizio del cambiamento.
Quando si fu calmata un poco Jason le prose un
bicchiere d’acqua mentre con un fazzoletto umido le lavava il viso.
Lei fece per replicare ma Jason continuò imperterrito
mentre le puliva ancora il viso e gli occhi.
“E voglio vederti sorridere perché oggi cominci una
nuova vita: con me se vorrai. Se non mi vuoi, pazienza, mi getterò da una rupe
per il dispiacere e tu avrai rimorso per tutta la vita…”
“Susanna accennò un sorriso: “Non lo faresti mai!”
“Vuoi vedere?”
“Ti tratterrebbe qualcuna delle tue amichette!”
“Non ho amichette, congedate tutte, non mi
interessano più!”
Susanna scosse la testa.
“Non ci credi, eh?”
“No”, sorrise di nuovo, “Il lupo perde il pelo ma
non il vizio!”
Lui le prese il viso tra le mani: “Voglio solo te,
non so cosa mi hai fatto, maledizione, ma voglio solo te e se mi dici di no mi
butto da un grattacielo!”
Susanna lo osservò, seria: non stava scherzando e
questo le fece piacere…era bello sentirsi desiderata…
“Ne saresti capace!?”
“Già!”
“Ti butti anche se ti dico di no per la cena?”
“Inizio con quella…”
“Ti butteresti per così poco?
“In realtà no ma devo fartelo credere così mi dici
di sì e posso continuare a farti una corte spietata fino a domani…”
“Perché fino a domani?”
“Perché domani ti chiederò di nuovo di uscire con
me altrimenti mi butto dal ponte di Brooklin!”
Susanna rise mentre lui sorrideva: “E’ così che voglio vederti!”
“Pensi di continuare a lungo con i ricatti?”, gli
chiese divertita.
“No, tanto prima o poi mi supplicherai di invitarti
a cena…”
“Ah! Sei convinto di questo?!”
“Sì”, e le sfiorò le labbra con un bacio.
Lei lo guardò perplessa: “Senti un po’, io…”
“Vedi? Siamo già a buon punto!”
“Perché?”
“Non mi hai ancora preso a schiaffi , non hai
iniziato a piangere e non sei scappata via inorridita!”
“Senti tu, presuntuoso che non sei altro!”, gli
disse assumendo una posa esageratamente minacciosa.
“Mi dica, mia signora!”
“Fai poco lo spiritoso!”
“Potrei riprovare…”
“A fare cosa?!”
“Mai fare di queste domande!”
Susanna si trovò di nuovo tra le braccia di Jason,
stavolta il bacio era dolce e sensuale e si lasciò andare molto più di quanto
avrebbe voluto.
“E’ questo che ti ci vuole, una cura di baci e
coccole!”
Susanna lo spinse via: “Nessuno ti ha dato il
permesso!”, ma la testa le girava e si sentiva strana.
“Non ne ho bisogno!”
“Come non ti serve?”
Lui la baciò di nuovo…
“Jason!”
“Va bene, la smetto, aspetterò paziente che tu cada
ai miei piedi implorandomi, però ora andiamo a cena, vuoi?”
“Va bene”, si sentiva confusa, “Dove hai detto che
andiamo?”
Prese i cappotti e la condusse fuori, spegnendo le
luci del camerino.
Due voci si sentivano nel teatro ormai vuoto
“Non l’ho
detto…”
“Hai detto ristorantino carino, quale sarebbe?”
“Due isolati verso sud”
“Quello italiano?”
“Sì”
“Non ho mai mangiato niente di italiano…”
“Ti piacerò!”
“Mi piacerà, vuoi dire..”
“No, intendevo dire proprio che ti piacerò e alla
fine mi amerai alla follia…”
“Sei troppo sicuro di te”
“L’unica cosa di cui sono sicuro è che ti amo…”
“Jason…”