Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Nina Ninetta    09/05/2015    4 recensioni
Yumiko ed Eri, due donne, una trentenne e una quindicenne, una madre e una figlia, catapultate dall’altra parte del Mondo, costrette a ricominciare tutto d’accapo, a confrontarsi con una cultura completamente diversa, lontane anni luce dal loro Paese d’origine: il Giappone. Ma Yumiko quel nuovo Paese lo conosce già in un certo senso, ha imparato a conoscerlo attraverso i racconti del padre di Eri.
N.B. Il titolo è tratto dalla canzone di Malika Ayane “E se poi” così come i titoli di ogni capitolo saranno presi da frasi del medesimo testo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 10
Io non ho mai pensato se …
 
 
La porta di servizio si aprì e un cono di luce gialla vi penetrò attraverso, allungando un’ombra sulle mattonelle lucide del pavimento. Oscar si girò appena e notando una specie di triangolo alla sommità dell’ombra capì all’istante che era il suo fidato amico Ricardo Salas. In verità in quel momento non aveva voglia di vedere nessuno, ma se proprio doveva, beh quel qualcuno era la persona che gli si stava avvicinando, cauto.
Ricardo lo studiò in volto, quasi affacciandosi su di lui. Oscar era seduto su uno sgabello al bancone del bar del night club, diverse ore prima di entrare in servizio e, cosa assai più strana, giocherellava nervosamente con un bicchierino di vetro fra le mani. Uno dei pochi che si erano salvati dal terremoto solo perché era sporco e se ne stava bello protetto in lavastoviglie. Oscar sospirò, non sopportava il fatto che il suo amico e datore di lavoro se ne stesse lì, a fissarlo come si farebbe con un ebete, senza dire niente, tanto quando gli avesse chiesto cosa fosse successo e lui gliel’avrebbe raccontato, scaricandogli addosso una miriade di rimproveri, ricominciando con la storia che meritava di più, che quello non era l’uomo adatto a lui, ecc ecc.
«Non guardarmi così, ok?!» sbottò all’improvviso Oscar, stanco di quegli occhietti indagatori puntati addosso
«Ah no?! E come dovrei guardarti?»
Oscar lo seguì con lo sguardo fare il giro intorno al bancone per ritrovarselo di fronte, dall’altra parte del bar, mentre prendeva una bottiglia di rum dallo scaffale. La maggior parte delle bottiglie di liquore erano andate alla malora, si erano salvate quelle che stavano dietro, che erano anche le più piene. Nonostante l’impresa di pulizia avesse lavato l’intero locale, le suole delle scarpe si incollavano ancora a terra e in alcuni punti, come in quel punto ad esempio, si poteva sentire lo scricchiolio dei vetri infranti calpestandoli. Salas si versò un dito di rum e lo bevve in un solo sorso, sentendolo bruciare fin nello stomaco. Per un po’ si fissarono negli occhi, era davvero inusuale vedere Oscar bere prima del lavoro, di solito quello era un piacere che si concedeva a fine serata.
«Che cosa è successo, Oscar?»
E il suo amico, che di mestiere faceva la drag queen, glielo raccontò: aveva pranzato con il suo amato Johnny (il nome in codice che usava più per abitudine che per cautela oramai) nella casa di quest’ultimo, il quale per l’occasione aveva dato un giorno di riposo all’intera servitù, dopo essersi liberato in qualche modo della moglie spedendola in giro per la Spagna, facendo leva sul suo cuore sensibile alle cause riguardanti i maltrattamenti sulle donne. Ed era stata davvero una perfetta mattinata, con l’enorme casa a loro disposizione e il pranzo, preparato dall’anziano cuoco italiano, era stato squisito e nonostante non fosse vero, Oscar aveva creduto che il suo fidanzato Johnny avesse ordinato allo chef di metterci dentro una qualche spezia afrodisiaca, tanto era stato il desiderio di lui, come non lo provava da tempo. Non si era trattato solo del semplice stare insieme che oramai era divenuta una consuetudine – onestamente lo sapeva benissimo che i loro incontri avevano un solo scopo, la chiacchierata che ne scaturiva dopo era una conseguenza, non un effetto. Oscar lo sapeva e per ogni giorno che trascorreva senza ricevere una sua telefonata si prometteva di lasciarlo, però poi lui chiamava e ogni brutto pensiero svaniva. Figuriamoci la felicità che aveva provato nell’apprendere che Johnny aveva organizzato il tutto per restare da solo con il suo fidanzato: avrebbero potuto “coccolarsi” in una vera casa e non in una stanza di hotel, dove Oscar - per quanto potesse essere un albergo lussuoso -  si sentiva comunque una puttana, di lusso, ma pur sempre una troia.
Avevano pranzato, ma non erano arrivati neanche alla frutta, tanto si erano sentiti attratti l’uno dal corpo dell’altro come se non si conoscessero da quattro anni, allora baciandosi e toccandosi erano arrivati fino alla stanza adiacente alla camera da pranzo – lì non era il caso di spargere i loro umori, poiché poi probabilmente si sarebbero precipitati affamati o semplicemente per far rifornimento di afrodisiaci. Erano solo all’inizio quando la porta si era aperta e sull’uscio era comparso un ragazzo dalla pelle scura  e una treccina colorata – particolare che non era sfuggito alla drag queen - che era rimasto così di sasso da “sbiancare”. A quell’affermazione Salas rise:
«Un nero che sbianca … Oscar sei il massimo certe volte!»
«Era il figlio» Ricardo smise di ridere e lo guardò seriamente, facendogli notare che non aveva  mai accennato ad un figlio di Johnny «Infatti non ne ha, questo è il figlio adottivo»
«Oh … e quanti anni ha?»
«Abbastanza da capire quello che stavamo facendo» Oscar gli allungò il bicchiere e Ricardo glielo riempì fin quasi all’orlo. Il suo amico aveva bisogno di bere, ma anche lui, così se ne versò anche per sé. Nessuno parlò nei minuti successi, il rum iniziava ad offuscare la mente di entrambi, poi Salas glielo disse senza preamboli:
«Lo devi lasciare o un giorno ti ritroverò davvero con un coltello ficcato nella schiena. O la gola tagliata. O una pallottola in testa» Oscar sospirò, passandosi una mano fra i capelli scuri, abbozzando un sorriso di sbieco.
Certe volte Ricardo Salas vedeva perfettamente quello che vi scorgevano i tanti amanti che aveva avuto. Era dannatamente bello! Aveva quell’aria da cucciolo abbandonato e cresciuto in cattività, i capelli neri e la pelle pallida ricordavano un signore della notte.
«Non-ci-riesco!» disse Oscar piano, fissando la superficie di legno del banco «Non posso smettere di provare quello che provo per lui senza un mot-»
La porta di servizio da cui era entrato Ricardo pocanzi si aprì di nuovo, questa volta si affacciò un uomo basso e calvo. Oscar intuì che di mestiere faceva il meccanico grazie alla divisa. L’uomo alzò una mano e gridò a Salas che la macchina non aveva assolutamente niente, era in perfette condizioni. Ricardo lo ringraziò e gli disse che sarebbe passato da lui a saldare il debito quanto prima, ma il meccanico rispose che non aveva nulla da pagare. Salas lo ringraziò ancora, poi lo congedò con un buon proseguimento di giornata. Oscar lo guardò con un sopracciglio alzato a mo’ di spiegazione e il suo amico gli sorrise:
«Gli ho fatto controllare la macchina di Yumiko»
«L’avevo intenso …» Ricardo si allungò sul tavolo e gli parlò a bassa voce come se ci fosse qualcun altro lì con loro e potesse udirlo:
«Non ti sembra strano che proprio ieri sera la macchina non sia partita? Voglio dire, ci ha provato, avrà immaginato che l’avrei accompagnata a casa da gentiluomo quale sono ...»
«Aspetta, aspetta, aspetta! Cioè, pensi che Yumiko l’abbia fatto di proposito?!» il ragazzo annuì «Ricardo smettila, sei ridicolo e patetico quando fai così!» Proseguì Oscar, sembrava particolarmente infastidito dalle insinuazioni del compagno
«Perché no? Mi ha anche invitato a prendere un tè a casa sua stanotte» Salas tornò in posizione eretta, posando la bottiglia di rum dove l’aveva trovata, aveva l’aria da super eroe:
«E tu hai accettato?» gli chiese la drag queen, ma non attese la risposta, gli bastò vedere il sorriso che affiorava sulle labbra dell'amico «Sei incredibile! Ti avevo chiesto di restare fuori dalla vita di quella ragazza, almeno in quel senso, e invece?!»
«Non è successo niente, rilassati, per chi mi hai preso?!» Oscar lo fulminò con un’occhiata, ma Ricardo non si spaventò, continuando a tenere le labbra distese in un sorrisetto beffardo lo salutò con una pacca sulla spalla «Dove vai adesso?» continuò Oscar
«A restituire la macchina, no?!» Salas strizzò la palpebra destra e sparì dalla stessa porta da cui era entrato. Oscar scosse il capo, incredulo, ma quando pensava che la conversazione con Ricardo fosse finita, questi si riaffacciò oltre la soglia facendolo sobbalzare per l’improvvisata «Quasi dimenticavo: Yumiko non verrà a lavoro stasera»
«E chi lo ha deciso, scusa?»
«Ovviamente io! A che serve essere il capo se non posso decidere chi deve lavorare e chi no?!» di nuovo gli fece l’occhiolino, poi Oscar fu certo che se ne fosse andato sentendo il motore della Yaris allontanarsi, fino a sparire del tutto.
 
Eri sbuffò. Da un po’ di tempo a questa parte neanche le vicissitudini amorose che si alternavano nelle corsie del Seattle Grey’s Hospital la entusiasmavano. Anzi, in particolari occasioni la infastidivano proprio. E per “particolare occasione” si intendeva il messaggio che Kingsley le aveva appena inviato su Facebook. Senza scortesia le aveva scritto che quel pomeriggio non avrebbero potuto studiare insieme. Solo questo, nient’altro, né una spiegazione, né un saluto, né un “ci vediamo domani”. Eri gli aveva risposto con un semplice ok e uno smile, si sarebbe almeno aspettata un’emoticon di rimando, ma niente, non era stata neanche una vera conversazione. Era stato lo stesso Kingsley ad inviarle la richiesta di amicizia il giorno in cui si erano conosciuti, e lei era stata super felice, ma anche delusa: non avevano mai chattato e il suo profilo era alquanto scarno di notizie e foto. Non che quello di Eri fosse più folto, ma perlomeno condivideva con il mondo i suoi gusti musicali e le frasi preferite tratte da libri o telefilm.
Macchia le saltò sulle cosce e tentò di leccarle il viso, Eri la tenne lontana accarezzandole la testa e sorridendole con mestizia:
«Beata te» disse rivolta al cane «Almeno non hai nulla di cui preoccuparti.»
Cosa che invece stava facendo Yumiko, dando quasi di matto. Erano le quattro e fra un’ora si sarebbe dovuta recare a lavoro, per questo motivo si stava informando sul sito dei trasporti pubblici riguardo alle corse e alle fermate dei bus. Ma forse sua figlia aveva ragione: le conveniva chiamare un taxi e anche se avesse speso molto di più rispetto ad un biglietto, almeno era sicura che l’avrebbe accompagnata fin davanti al locale. Bella figura, pensò, farsi portare davanti ad un night club. Cosa avrebbe potuto pensare l’autista?! Che si facesse i fatti suoi, rispose un’altra vocina dentro di lei, il lavoro nobilita l’uomo, quindi …
Il campanello trillò una volta e Yumiko alzò il capo da dietro il portatile. Non aspettava nessuno, almeno che sua figlia non avesse invitato quell’amica a casa. Di nuovo bussarono alla porta, questa volta con le nocche chiuse a pugno. Eri guardò sua madre che le disse di aprire. Sbuffando la ragazza si trascinò alla porta d’ingresso e, sempre sbuffando, l’aprì, corrucciando la fronte quando si trovò sul pianerottolo di casa lo sconosciuto a cui sua madre aveva rotto il naso. Ricardo la salutò con un grande sorriso, chiedendo se sua sorella Yumiko fosse in casa.
Come un flash ad Eri tornò in mente tutto quanto: quello non era uno sconosciuto qualunque, era il capo della mamma convinto che loro due fossero nii-chan, ovvero sorelle, perché sua madre non gli aveva detto la verità temendo che lui non si potesse – eventualmente – interessare a lei in quel senso. Eri sorrise e spalancò la porta:
«Certo» rispose e mentre il ragazzo varcava la soglia si rivolse a Yumiko «Nii-chan è per te» disse. Sentendosi chiamare “sorella” Yumiko comprese immediatamente. Balzò dalla sedia e incontrò lo sguardo divertito di Ricardo, in piedi al centro del soggiorno, con le chiavi della sua macchina in mano:
«Sono venuto per consegnarti queste» si presentò
«Gra-gracias» Yumiko urtò con il ginocchio la sedia che sarebbe caduta sul pavimento se non l’avesse presa al volo. La rimise al suo posto e si avvicinò a lui, mentre Eri se la rideva sotto i baffi
«L’ho fatta controllare dal mio meccanico di fiducia. Non ha niente, forse per la fretta non riuscivi a metterla in moto …»
Udendo quelle parole Yumiko si sentì ancor più stupida: la sua macchina non aveva nulla di rotto, però non era partita ... Eri intanto si godeva la scena, con Macchia accoccolata fra le sue braccia, era anche meglio della storia fra Meredith Grey e il dottor Sheperd. Studiando Ricardo Salas si ricordò di quella stessa notte e d’improvviso non ebbe più dubbi: era lui la persona che aveva notato sull’uscio della porta. Yumiko raccolse le chiavi e gli chiese quanto dovesse pagargli per il disturbo, ma ovviamente lui rispose che non gli doveva niente, poi si rivolse ad Eri e le porse la mano:
«Tu devi essere Eri, la sorellina di Yumiko» la ragazzina si drizzò e con un gran sorriso si presentò, non sapeva perché, ma quello li le stava assai simpatico
«E tu sei lo sconosciuto al quale nii-chan ha rotto il naso» Ricardo ridacchiò, poi annunciò
«Vi va di conoscere Madrid?!»
Le due donne rimasero interdette. C’erano un milione di interpretazioni da poter dare a quella richiesta.
«Io dovrei andare a lavoro, señor …»
«Ho già avvertito Oscar che oggi sei di riposo»
«Ma il mio giorno di riposo è il mercoledì e oggi è venerdì» gli fece notare Yumiko
«Sono il capo oppure no?!» Ricardo le sorrise, di nuovo, mentre Eri fremeva dalla curiosità di sapere come si sarebbe evoluta quella giornata, allora pensò di accelerare i tempi, sua madre sarebbe potuta rimanere per ore a discutere sul fatto che non era il suo giorno libero
«Io voglio conoscere Madrid.» Ricardo la guardò e le strizzò l’occhio
«Questa notte ti addormenterai felice di farlo in questa città.»
Eri non ci credeva neanche un poco, ma tanto valeva provarci, inoltre era un’ottima occasione per sua madre di conoscere quel ragazzo e magari, chissà … La sedicenne scacciò quei pensieri, meglio fare una cosa per volta. Innanzitutto doveva rendersi presentabile per uscire di casa, cosa che avrebbe dovuto fare anche sua madre e non perché non potesse uscire con un pantalone di tessuto e una felpa – abbigliamento che Yumiko aveva indossato per andare a lavoro, dove poi avrebbe dovuto mettere il suo costume da coniglietta – ma perché adesso aveva una specie di appuntamento con il suo capo. Quindi la prese sottobraccio e si scusò con il loro ospite, avrebbero fatto il più velocemente possibile. Yumiko la guardò stralunata, Ricardo disse che avrebbe aspettato in compagnia del cane.
«Si chiama Macchia» gli fece notare Eri, detestava chi si rivolgeva alla sua cagnolina con l’appellativo di “cane”, come se fosse un cane qualunque. Salas si scusò mostrando i palmi e si sedette sul divano, mettendosi comodo, temeva che l’attesa sarebbe stata lunga, intanto che l’animale lo studiava con curiosità, annusandolo e di tanto in tanto abbaiando.
 
 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Nina Ninetta