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Autore: thecapitolFB    10/05/2015    1 recensioni
È risaputo che ogni paese abbia le sue leggende, racconti che vengono tramandati di generazione in generazione, che fanno parte della storia del luogo.
Quali sono quelle di Panem? Quali storia narrano gli adulti nelle sere d'inverno, davanti al fuoco, per far sognare i bambini?
In questa raccolta, alcune fan-writers si sono impegnate a inventarne alcune: dai racconti dei minatori di carbone a quelli degli abitanti di Capitol City; storie perdute e ritrovate, nascoste tra le pagine di un libro e nella memoria di un popolo".

O1. Distretto 12 • «La solitudine del Buio»;
O2. Distretto 1 • «La principessa di giada»;
O3. Distretto 11 • «Ed»;
O4. Distretto 4 • «La Sirenetta»;
O5. Distretto 9 • «L'Aviaurea»;
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Finnick Odair, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storie Perdute –
Le Leggende di Panem


 
Premessa: la storia è ambientata circa un mese e mezzo dopo i settantesimi Hunger Games. I protagonisti sono tutti OC. Serena Lysoon – la voce narrante – ha dodici anni e vive al Distretto 4 insieme ai genitori - Marcel e Jillian – e al fratello sedicenne, Lael. In questa storia compare anche il personaggio di Dinesh Hood, il migliore amico di quest’ultimo.     
La fiaba qui raccontata è ispirata a "La Sirenetta" di Hans Christian Andersen.



 
District 4|fishing




La Sirenetta
 
 
Un ennesimo tuono fece quasi tremare la casa, mentre il vento, all’esterno, sembrava urlare.
Gli unici sprazzi di luce che penetravano attraverso le persiane serrate provenivano dai lampi, che illuminavano a malapena le due figure rannicchiate in salotto, sul divano.
Serena scoccò un’occhiata nervosa alla porta, temendo che venisse scardinata da un momento all’altro. Accanto a lei, suo fratello maggiore Lael continuava a battere con il piede per terra, innervosendola ancora di più.
Aprì la bocca per dirgli di smetterla, ma quel semplice gesto fu interrotto dai passi affrettati di Jillian, sua madre, che stava entrando in salotto, reggendo un paio di candele in una mano e una scatola di fiammiferi nell’altra.
«Queste dovrebbero bastare» disse, appoggiandole sul tavolino da caffè ingombro di fogli e libri, posto proprio davanti al divano. «Anche se ho paura che i fiammiferi siano pochissimi».
Serena rimase a guardarla, mentre ne tirava fuori uno dalla scatola e lo grattava. Presto, due bagliori cominciarono ad illuminare la stanza, rendendola più confortevole – anche se il vento all’esterno non accennava a voler diminuire.
I capelli biondi scesero a coprire i capelli della donna come una tenda, mentre compiva quei semplici gesti. Jillian li spostò dal volto con una mano; alla fievole luce della candela, Serena poté vedere tutta la tensione espressa dai suoi occhi azzurri.
La dodicenne sospirò, portando le ginocchia al petto. Rivolse una seconda occhiata alla porta, sperando che, da un momento all’altro, si aprisse, rivelando la gocciolante figura di suo padre che entrava in casa.
Contro ogni sua speranza, essa restò serrata.
Serena si girò; doveva calmarsi – del resto, era già successo che suo padre restasse fuori casa con una tempesta; di solito, i pescatori tornavano a riva e lasciavano le barche al porto in fretta e furia, per poi recarsi nel luogo sicuro più vicino, di solito la locanda.
Eppure, il pensiero che lui fosse là fuori, magari disperso, era come una zanzara che continuava a ronzare accanto a lei, minacciando di morderla e non accennando a voler andarsene.
Jillian si sedette accanto alla figlia, portando un braccio dietro le sue spalle. Le sorrise debolmente; era un sorriso che conosceva bene, quello: sua madre, comunque andassero le cose, cercava di mostrarsi ottimista e fiduciosa. Era soprattutto in quei momenti che Serena si chiedeva se avessero qualcosa in comune, loro due.
Lael non era messo molto meglio di lei; non la smetteva di tamburellare con il piede a terra, le sue braccia erano incrociate al petto e gli occhi scuri fissavano il pavimento.
«Lael» lo chiamò la sorella, «puoi smetterla? Mi metti ansia».
Il sedicenne si fermò, sbuffando.
«Grazie mille» replicò la ragazzina, appoggiando il capo contro la spalla di sua madre.
Jillian prese ad accarezzarle il braccio. «Andrà tutto bene» sussurrò, posando un veloce bacio sui capelli spettinati della figlia. «Papà ormai è abituato a cose del genere. Vedrete che tra qualche ora sarà qua, tutto fradicio e mi toccherà pulire i pavimenti» aggiunse, con una risatina.
«Magari Brian¹ starà a dormire qui» Lael parlò per la prima volta da quando la tempesta era cominciata, facendo spallucce.
«Ho i miei dubbi» replicò Jillian. «Ha un figlio adesso, lo sai».
Lael scosse la testa. «Volevo solo cercare di sembrare un po’ ottimista» ribatté con tono atono.
Serena inarcò un sopracciglio. «Tu?»
«È lei che dice sempre che sono troppo pessimista». Con un cenno del capo, il sedicenne indicò la madre.
Jillian alzò gli occhi al cielo. «Parlare con te quando sei nervoso è come mettere la mano in un buco nella spiaggia. Non sai mai cosa potrebbe capitarti».
La loro chiacchierata venne interrotta da un veloce bussare alla porta, forte, come se qualcuno stesse cercando di scardinarla.
«Papà?» Serena saltò in piedi; si sentiva tanto dubbiosa quanto speranzosa – una parte di lei voleva che lì fuori ci fosse Marcel, ma l’altra era conscia che non poteva essere lui. Non sarebbe stato tanto pazzo da avventurarsi fuori con quel tempaccio.
«Non è papà». Lael si alzò a sua volta, passandosi una mano tra i capelli castano chiaro.
Da fuori, tra il rumore della pioggia e del vento, si udì distintamente una voce. «Lysoon! Apri questa maledetta porta, dannazione!»
«Dinesh» dissero all’unisono Serena, Lael e Jillian, tutti con tre toni diversi. Lael sembrava quasi rassegnato, Jillian sorpresa e Serena sentiva il cuore che aumentava il ritmo.
Il sangue le affluì alle guance, ma si sforzò di mantenere un certo contegno, mentre suo fratello apriva velocemente la porta, consentendo ad un ragazzo di introdursi nel loro salotto.
Tra il nero dei suoi vestiti e del cappuccio che gli ombreggiava il volto, Serena scorse un sorriso – il suo sorriso. Si sedette di nuovo accanto alla madre, per evitare di cadere; le sue ginocchia erano diventate burro fuso, e l’unica cosa che voleva era fare una figuraccia davanti a Dinesh.
Il nuovo arrivato si scostò il cappuccio fradicio, rivelando una zazzera di capelli castani umidi e il suo volto ancora da bambino, che faceva a pugni con la sua statura.
«Buongiorno a tutti» esordì il nuovo arrivato, sorridendo in direzione della più piccola di casa. Serena sentì il cuore esibirsi in un triplo carpiato con avvitamento e dovette schiarirsi la voce, prima di salutarlo a sua volta.
«C-ciao» disse, grattandosi la nuca. Il suo volto era in fiamme; si maledisse per quella reazione, e per il suo aspetto così casalingo: indossava una delle sue peggiori felpe e i capelli erano, come sempre, acconciati in una pratica coda di cavallo che non riusciva però a tenere a bada le dispettose ciocche che erano sfuggite al suo elastico. I pantaloni, poi, non erano nemmeno i suoi, ma quelli di Lael. Per fortuna – pensò, stringendosi le braccia attorno alla vita – quella felpa era abbastanza larga da coprire i suoi fianchi larghi.
«Scusate l’intromissione» continuò Dinesh. «Come avrete notato, temo che non sarei mai arrivato a casa tutto intero».
«Hai fatto bene a venire qui». Jillian si era alzata pochi secondi prima; ora era accanto al sedicenne. «Togliti pure questi vestiti bagnati. Lael te ne darà degli altri, tanto dovrebbero andarti bene».
«Grazie mille». Dinesh sorrise, di nuovo.
Non arrossire, Serena.
Non arrossire.
Fatica sprecata. Ormai la sua faccia doveva assomigliare ad un pomodoro maturo.
«Mi spieghi che ci facevi in giro con questo tempo, Hood?» Lael tirò un pugno sul braccio del suo migliore amico.
Dinesh fece un sorrisetto sghembo. «Ero un po’ lontano e non ho fatto in tempo a tornare».
«Laine² starà morendo di paura, immagino, tra te e Brian che non è ancora tornato…» constatò Jillian, posandosi una mano sulla guancia come se fosse lei, quella coinvolta nella situazione.
«Già. Probabilmente ci starà insultando, abbassando la voce per non farsi sentire dal  suo marmocchio, e Meri, Dennis e Aleesha³ dovranno sopportarla». Dinesh scosse la testa. «Mi presti i vestiti, allora?» chiese poi, rivolto a Lael.
Il maggiore dei fratelli Lysoon annuì. «D’accordo. Ma devi offrirmi un cocktail ad indumento».
«Lael!» lo riprese Jillian, mentre Dinesh ridacchiava.
«Quando tutto questo finirà, noi due e Serena andiamo a bere qualcosa, se proprio vuoi» propose, facendo l’occhiolino alla dodicenne.
Serena si limitò a sorridere, anche se lo stava facendo da quando lui era entrato. Ormai doveva avere una paresi facciale, si disse.
Solo quando Lael prese una candela e condusse l’amico in camera, la sua espressione sognante lasciò spazio ad un’altra sgomenta.
Dinesh e suo fratello erano amici da tanti anni, ma ogni volta che lei lo vedeva si comportava esattamente nello stesso modo: sorrideva come un’ebete, rispondeva balbettando e arrossiva. Era peggio di come appariva di solito: perlomeno, quando non stava con lui, era taciturna e sfuggente, ma non sembrava così tanto stupida.
Aspettò con pazienza che suo fratello e l’amico tornassero; di tanto in tanto li sentiva ridacchiare e si chiese di cosa stessero parlando. L’idea che Dinesh gli stesse raccontando di qualche ragazza con cui era stato era insopportabile, tanto che dovette ficcarsi le unghie nei palmi delle mani per non mettersi a prendere a pugni il cuscino accanto a lei.
Certo, lui era più grande, era ovvio che non si sarebbe mai interessato a lei, ma una parte di lei sperava, dalla tenera età di cinque anni, che prima o poi Dinesh avrebbe cambiato idea. Nell’ultimo periodo, poi, era lui stesso a peggiorare le cose, chiedendole sempre – con fare divertito – se lei e il suo amico rosso si fossero fidanzati. In quei momenti, Serena avrebbe voluto urlargli che no, lei e Dave non erano fidanzati: l’unico che voleva era lui.
I due amici ritornarono chiacchierando nel salotto – con sua grande gioia, Serena appurò che stavano solo prendendo in giro l’istruttrice di arrampicata dell’Accademia.
«Ehilà, piccola Lysoon». Passandole accanto, Dinesh le diede un buffetto sulla guancia – il rossore svanito poco prima tornò con prepotenza. Il ragazzo aveva un asciugamano intorno al collo, ma sembrava pulito e asciutto. «Come stai?» Si sedette accanto a lei e Serena sentì un fremito percorrerle la schiena dorsale.
«Bene». Ancora meglio se fossimo soli io e te, pensò con astio, guardando suo fratello che si stava sedendo vicino a lei, dall’altra parte, e sua madre che passeggiava per la stanza. E se mio padre non fosse perso nei meandri del Distretto 4. «E tu?» domandò, cercando di sembrare disinvolta.
«Non c’è male. Ah, mentre scappavo a casa ho visto un gruppo di pescatori che stava entrando da Rob. Mi pare di aver intravisto Marcel e Brian».
Serena si sentì meglio: suo padre e suo cugino erano al sicuro; non c’era quasi nulla di cui preoccuparsi. Anche sui volti di Jillian e Lael comparve una pennellata di felicità e speranza.
«Volevo tornare a casa ad avvertire Laine e Meri, ma non ci sono riuscito. Lei è convinta che tu sia in barca, temo» continuò Dinesh, rivolto a Lael.
«Probabilmente starà sperando che io muoia annegato» borbottò il sedicenne, incupendosi, come ogni volta che si nominava la sua ex ragazza.
I due ricominciarono a discutere; erano chiacchiere di cui ormai Serena non ne poteva più. Da quando Lael e Meri si erano lasciati e lei veniva nominata mentre lui parlava con il suo migliore amico, le dinamiche erano sempre le stesse: Dinesh cercava di convincerlo a rimettersi con lei e Lael si rifiutava, al che partiva una discussione su quanto fossero perfetti l’uno per l’altra – da parte del più giovane dei fratelli Hood, ovviamente, poiché Lael rispondeva a grugniti. Il tutto sotto gli occhi di Jillian, che si intrometteva per dare qualche consiglio tipico da mamma apprensiva – spesso anche su richiesta di Dinesh.
Serena, invece, stava in silenzio e aspettava che si calmassero le acque, godendosi la vicinanza con l’oggetto del suo interesse amoroso.
A discussione terminata, ci fu un attimo di tregua.
«Che facciamo adesso?» esordì Dinesh, appoggiandosi allo schienale. Il suo braccio corse dietro le spalle di Serena e lei dovette trattenersi dal posare il capo contro la sua spalla.
«Aspettiamo» replicò Lael.
«Intendevo per rendere l’attesa meno noiosa, infatti» puntualizzò l’amico. «Tu che proponi, Serena?»
La dodicenne sobbalzò; non si aspettava quella domanda. «No-Non ne ho idea» balbettò. Tentò di ricomporsi, velocemente. «Potremmo raccontarci qualche storia. Lo facciamo spesso con nonno Lael quando viene qui e ci annoiamo».
«Non male». Dinesh sfoderò uno dei suoi bellissimi sorrisi che facevano diventare il cervello della ragazzina gelatina. «Io però non conosco tantissime storie» aggiunse, adombrandosi. «Laine non è esattamente il genere di sorella che passa le serate a cantarmi dolci canzoncine e a raccontarmi storielle  della buonanotte».
«Noi un po’ ne sappiamo, però». Jillian si avvicinò al gruppetto. «Vero, ragazzi? Nonno conosce tante leggende».
«Ah, sì, anche il nostro Lael, ma temo si vergogni». Dinesh ridacchiò, guardando l’amico.
«Sì, va bene, che storia raccontiamo?» domandò il maggiore dei Lysoon – era arrossito anche lui, e Serena dovette reprimere una risata sguaiata. Erano poche le cose che facevano arrossire suo fratello, e una di queste era la sua passione per le leggende che circolavano al Distretto 4.
«La Sirenetta» rispose Serena, a colpo sicuro.
«Basta con questa Sirenetta, ti prego». Lael si passò le mani sul volto – Serena non lo biasimava: era la sua storia preferita, quella, e il suo soprannome ufficiale era proprio Sirenetta. Da piccola, poi, non smetteva mai di farsela raccontare dai famigliari.
«Come sei polemico» s’intromise Dinesh. «Io vorrei sentirla».
«Ma la saprai a memoria, di sicuro».
«E invece no». Ci fu un attimo di sbigottito silenzio. «Dico davvero. La so a grandi linee, non me l’hanno mai raccontata!»
«Tutti la conoscono qui» ribatté Lael, fissandolo come un alieno. In effetti, era una storia che si tramandava di generazione in generazione; quelli che non l’avevano mai sentita erano forse quelli morti troppo presto.
«Ripeto: Laine non è il tipo di sorella che ama raccontare storie. Mio padre non aveva tempo di raccontarmela, e, se mia madre me ne ha mai parlato, io ero troppo piccolo per ricordarmene».
«Credo che Serena sarà felicissima di cominciare il gioco, visto che è la sua preferita» disse Jillian, sorridendo alla figlia minore.
Dinesh si voltò verso di lei – era vicino, troppo vicino. Poteva quasi vedere ogni singolo neo sul suo viso.
Le sorrise. «Ti va di raccontarmela?»
Serena annuì. Si schiarì la voce – sentiva una strana sensazione di paura ed eccitazione insieme. Era contenta perché lui le aveva proposto di raccontargliela, ma al contempo agitata perché temeva di fare qualche figuraccia. E poi, era davvero troppo vicino. Erano già stati a distanza ravvicinata, certo – come scordarsi dei momenti in cui l’aveva abbracciata? – però mai per più di un certo tempo.
«Una volta, in fondo al mare, viveva il re Tritone insieme alle figlie» cominciò la ragazzina; si sforzò di mantenere il contatto visivo con il ragazzo. Verde contro marrone. Serena contro la sua vergogna e le sue insicurezze. «Una di queste, in particolare, era una ragazza molto curiosa. Purtroppo, l’oggetto della sua curiosità erano gli umani. Agli abitanti del regno di Tritone erano vietati contatti con gli loro; temevano ripercussioni. Del resto, non dev’essere molto normale, vedere delle persone per metà pesci». Dinesh fece un mezzo sorriso, e lei sentì un’ondata di sicurezza percorrerle il corpo. «Lei, però, adorava osservarli» continuò, con più sicurezza. «Si avvicinava alla costa, spesso e volentieri, stando attenta a non farsi vedere. Un giorno, una nave si fermò proprio vicino a casa sua, e lei, incuriosita, volle spiare un po’. Ciò che vide la lasciò senza fiato: c’era un ragazzo, un bellissimo ragazzo di cui lei si innamorò all’istante. Purtroppo, poco tempo dopo che ebbero gettato l’ancora, una tempesta li sorprese, distruggendo completamente la nave. La Sirenetta, spaventata, accorse in soccorso del suo amato e lo portò fino a riva, salvandogli la vita, ma scappò prima che lui riprendesse coscienza. Passò i giorni successivi a pensare a lui, fino a prendere una decisione drastica: andò dalla cattiva strega del mare. Voleva essere umana, avere le gambe, vivere per sempre con lui.
«La strega, però, voleva qualcosa in cambio. La sua voce e la sua vita, per essere precisi. La Sirenetta aveva una voce bellissima, invidiata da tutti, anche dalla strega, che le tagliò la lingua pur di averla. Inoltre, se il principe non si fosse innamorato di lei, la Sirenetta sarebbe morta, diventando spuma di mare. Come se non bastasse, camminare le avrebbe fatto molto male perché non era nella sua natura.
«Inizialmente, la giovane si spaventò, ma pur di averlo, corse il rischio. Ebbe un paio di gambe e camminare faceva male, come previsto. La sua voce non c’era più; comunicava a gesti, cosa che non le fu molto utile quando conobbe il principe. Lui, infatti, non poteva capirla e proprio a causa di questo non riuscì ad innamorarsi di lei.
«Questo fu quasi la fine. La Sirenetta sperò di convincerlo, ma poi arrivò il verdetto: sarebbe morta. Lui, infatti, riuscì a trovare un’altra moglie, la principessa di un paese vicino che lo aveva aiutato quando era naufragata la nave.
«Il giorno delle nozze arrivò e con esso arrivarono anche le sorelle della giovane, che le porsero un pugnale per ucciderlo. Se avesse fatto così, non sarebbe morta.
«La Sirenetta, però, non ci riuscì per paura di uccidere il suo amore e morì, divenendo spuma di mare».
Alla fine della storia, Dinesh appariva abbastanza basito. «Cavoli… questa è la tua storia preferita, no? Ma non è triste?»
«Un po’» ammise Serena. «Ma non è finita. Tritone – dopo essersi arrabbiato con lei per la sua scelta egoista – decise di rendere omaggio alla giovane. Dopo aver ucciso la strega malvagia e il principe per vendetta, lanciò un incantesimo contro la terra. Le anime buone, coloro che avrebbero condotto una vita giusta, sarebbero diventate spuma di mare. Quel luogo era il Distretto 4. Ecco perché si dice che tutti gli abitanti che sono morti diventano spuma di mare. Ecco perché i nostri riti funebri si svolgono soprattutto quando ci sono le onde, così come i battesimi. È per la benedizione degli antenati».
«È… bellissima». Dinesh scosse la testa. «Triste, ma bellissima. Capisco perché ti piace tanto, Sirenetta».
Serena abbozzò un sorriso. Era felice che lui avesse apprezzato la storia; era felice di aver avuto, anche se per poco, tutta la sua attenzione.
Inoltre, il vento fuori si era calmato. La pioggia non era più tanto forte come prima. Di lì a poco, suo padre sarebbe tornato a casa e avrebbe tirato fuori una battuta delle sue, per sdrammatizzare la situazione.
«Ora tocca a Lael raccontarci qualcosa». Serena infilò un dito tra le costole del fratello, ridacchiando.
Lael rispose con un grugnito, ricambiando il gesto.
Mentre sciorinava una lista di storie che conosceva, per raccontarla, Serena sentì Dinesh che avvicinava le labbra al suo orecchio. Fece per ritrarsi, ma non ci riuscì: sentiva ogni muscolo paralizzarsi; e poi, sotto sotto, bramava quella vicinanza così ravvicinata.
«Grazie» le sussurrò lui.
Serena sentì i polmoni riempirsi di aria pura e fresca, e stette bene, come dopo un lungo periodo in apnea.
Aveva sempre considerato la Sirenetta un po’ stupida, ma in quel momento la capiva benissimo: forse, si disse, per amore anche lei avrebbe compiuto qualche gesto estremo.
 
 
 
¹Brian Lewis (21 anni) è il cugino di Serena e Lael, che lavora sulla stessa barca dello zio.
²Laine Youko Hood (20 anni) è la sorellastra di Dinesh e fidanzata di Brian, con cui ha avuto un figlio da qualche mese.
³Meri (16 anni), Dennis (14 anni) e Aleesha Fields (12 anni): sono i vicini di casa di Dinesh. Meri è la ex-ragazza di Lael e migliore amica di Dinesh; Aleesha è una delle migliori amiche di Serena.    
   
 
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