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Autore: Uccellino Assurdo    10/05/2015    2 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VI

I

Quella fine di giugno era soleggiata e calda più che mai; i raggi si posavano delicatamente sulla piazza del mercato, brillava sulla merce esposta nei banchetti, accarezzava la pelle dorata e i capelli di Antonio e riscaldava l’aria di un calore avvolgente e confortante.

Eppure il clima al mercato, quel giorno, era più agitato del solito: uomini e donne si affaccendavano febbrilmente nelle loro mansioni, tutti parlavano animatamente, si muovevano a passo veloce da un banco all’altro, quasi per finire il più in fretta possibile le loro faccende e tornare a casa; persino le ragazze, che di solito si attardavano a scambiare due parole con Antonio, con il pretesto di essere state mandate dalle madri e fare la spesa, quella mattina sembravano preoccupate e inquiete. Non era la solita vivace e fervida animosità triestina: negli atteggiamenti, negli occhi, nel tono della voce di tutti c’erano preoccupazione, confusione, paura.

Soprattutto, si accorse Antonio, molti uomini e addirittura qualche donna, erano con il giornale aperto a discutere. Dai discorsi che qua e là tentò di cogliere, riuscì solo a decifrare alcune parole ricorrenti: serbo, attentato…guerra.

Fu solo quando arrivò Romano, pallido e assorto, che riuscì a capire perché quella luminosa giornata a Trieste fosse gravata da un’atmosfera così pesante. «Hanno ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando»

«Cosa…?». Antonio non registrò immediatamente la portata di quanto sentito, ma gli bastò guardare gli occhi di Romano che si alzarono su di lui, sgranati e sconvolti.

Quel giorno era iniziato con una morte.

II.

Il due luglio del 1914 Trieste era nera di morte; il luttuoso, cadenzato e funereo suono delle campane e i palazzi e le strade listati a lutto gettavano un’ombra che presto avrebbe coperto il cuore di tutto il mondo.

Una folla accaldata, incupita, si accalcava ai lati delle strade, seguiva il lungo e angoscioso corteo funebre. Il corso, Piazza grande, le vie principali erano gremiti di gente che, per curiosità, per dovere o per vero rispetto era andata a porgere l’ultimo saluto all’arciduca assassinato e alla moglie; li avrebbe seguiti fino alla stazione meridionale della città, dove un treno avrebbe portato le loro spoglie nella natìa Vienna.

«Un disastro. Questa cosa porterà ad una guerra, credimi; le tensioni in Europa sono fin troppo aspre». Antonio si volse verso l’amico, guardandolo in viso; Gilbert continuò: «Ho come la sensazione che presto mio padre mi farà richiamare a casa…».

In mezzo alla folla quel giorno si trovavano anche i fratelli Vargas.

Nello stato d’animo in cui Alice si trovava negli ultimi tempi un funerale di tale ampia portata non era proprio quello che desiderasse vedere in giro per la città, e poi, visto che non si era mai interessata a questioni politiche, non capì il peso di quell’avvenimento. Ma Romano, che si trovava accanto a lei, mentre guardava sfilare il macabro corteo, colse tutto il senso di pericolo che questo trascinava, come un veleno, per le strade di Trieste. L’Austria non sarebbe rimasta a guardare l’affronto subito senza reagire, e se avesse reagito le conseguenze delle sue azioni si sarebbero fatte sentire anche su Trieste. Sì, perché, per quanto cercasse di dimenticarlo, la sua città era austriaca.

No, noi non apparteniamo a tutto ciò…

Per qualche giorno dopo i funerali la città rimase a lutto, negozi e fabbriche furono momentaneamente chiusi e questo portò, con grande risentimento da parte di Alice, la difficoltà di vedere Ludwig. Si diedero appuntamento fuori una mattina, ma un’ombra incupiva quelli che sarebbero dovuti essere giorni di felicità perfetta.

«Non doveva accadere proprio adesso», disse amaro Ludwig, con una mano sul viso di Alice.

«Perché ti preoccupi, sono questioni che risolveranno fra di loro i governi, noi non c’entriamo! Dobbiamo pensare solo alla nostra felicità adesso!», rispose la ragazza, sorridendo. Non riusciva che a vedere e pensare altro che a Ludwig e al luminoso futuro che li avrebbe attesi.

«Non è così semplice», le sorrise lui, «le questioni austriache interessano anche Trieste e quello che è successo…potrebbe far scoppiare una guerra!»

Alice sgranò gli occhi; quella parola le rimbombò in testa. Non immaginava come sarebbe stata la vita durante una guerra e ora quella prospettiva la sconcertava. «Guerra…?»

«Non volevo spaventarti, amore», la abbracciò sprofondando il viso fra i suoi capelli, «voglio che ci sposiamo al più presto, così potrò portarti via con me! Non dovrai preoccuparti più di nulla!».

Alice si godette per alcuni minuti il calore di Ludwig. Non aveva ancora detto nulla a Romano, né del matrimonio né della decisione di Ludwig di ritornare in Germania nel caso la situazione a Trieste fosse precipitata; ma non poteva più aspettare. «Devo farmi coraggio e parlare con lui il più presto possibile».

III

Romano e Antonio erano seduti su un muricciolo della Piazza grande e il primo, tanto per cambiare, era di umore più cattivo del solito.

«Che razza di giornate di merda!», sputò, «fermano l’intera città per tenere il lutto a un principe austriaco, lo colmano di onori più da morto che da vivo, gli fanno solenni funerali…e di chi ha combattuto per liberare Trieste non è rimasto neanche un pallido ricordo».

Antonio lo guardava in silenzio. «Non sono in lutto proprio per nessuno! Sono italiano io, italiano!», continuò il giovane, «sono italiano!»

«Sì, Romanito, sei italiano», rispondeva l’altro paziente.

«Tu poi! Maledetto ipocrita!», gli inveì contro ad un tratto Romano, «ho un conto in sospeso con te! Tutto questo trambusto me lo aveva fatto scordare!»

Antonio lo guardò ancora senza capire, poi fece: «Ah, è per la scorsa notte!». Francis gli aveva raccontato la mattina dopo quanto successo, anche se non proprio tutto, e lui si battendosi una mano in fronte e sospirando aveva subito pensato a come gliela avrebbe fatta pagare Romano.

«Romanito, scusami!», pregò a mani giunte, «È che io non reggo l’alcool, non è che abbia bevuto tanto quanto poteva sembrare, ma…»

«Non parlo di quello», fu interrotto.

Romano lo guardava con quei suoi occhi scuri e luminosi. «È vero che tuo padre è un ricco latifondista?»

Antonio rimase sbalordito. «Sì, è vero». Rispose dignitosamente.

«E perché allora mi hai raccontato che i tuoi sono contadini?»

«Io ho detto che hanno terre, poi Alice ha capito questo e io semplicemente non l’ho contraddetta.»

«Se sei ricco perché vendi verdura al mercato?! E vivi in quella catapecchia? E ti vesti così? E non fai quello che fanno i ricchi?», gli inveì contro il più giovane, «ti stai prendendo gioco di me?! Perché non mi piace essere preso per il culo! Tanto meno da uno spagnolo bastardo come te, che avrà vissuto tutta la vita nella bambagia e se ne viene qui a fare lo sporco ipocrita traditore!».

Non sapeva dirsi neanche lui il motivo della sua rabbia. Se fosse stato in Antonio si sarebbe mandato a quel paese e invitato a farsi i fatti suoi già da molo tempo e in maniera poco delicata. Ma era come se si fosse sentito tradito.

«Mi tratti da amico e poi… mi nascondi ciò che davvero sei. Mi nascondi le cose importanti dietro quel tuo eterno fottutissimo sorriso! E io non ti capisco». Si voltò, portando le dita sulle tempie. «E non mi capisco neanch’io…cazzo, non so neanche che sto dicendo».

«Romano, ascolta, non ti voglio mentire», disse Antonio, facendolo voltare nuovamente per guardarlo. «Quando sono dovuto partire dalla Spagna per iscrivermi in un’università europea ho deciso di vivere in una città moderna, dinamica e fervida: Trieste, con la sua multiforme natura, con la sua cultura, con la sua bellezza, era la meta perfetta, così mi sono trasferito qui. Per qualche anno mio padre mi ha aiutato, ma poi ho avvertito la necessità di tagliare definitivamente i ponti; non volevo essere più il figlio di Juan Fernandez Carriedo, ma semplicemente ciò che sono e se il prezzo da pagare per questa libertà era quello di rinunciare a qualche sciocca comodità…bhe, non mi è pesato per nulla. La libertà di essere semplicemente Antonio mi è molto più cara. Non ho più richiesto né accettato l’aiuto economico della mia famiglia e mi è andato bene così, volevo vivere la città nella sua vera anima, nel popolo, nelle piazze, nei mercati, nei caffè in cui si parlava di rivoluzioni culturali, per le strade…».

Sospirò e riprese poco dopo. «Non ti ho mai voluto mentire, Romano. Solo che…non voglio che tu sappia cose che ti farebbero allontanare da me.»

«Se me lo avessi detto lo avrei capito, perché mai avrei dovuto allontanarmi?», fece Romano. «E poi, perché hai voluto tagliare i ponti con la tua famiglia? Mi hai detto tu di essere affezionato ai tuoi fratelli, mi hai parlato di loro, di tua madre, della Spagna, non provavi odio per loro…perché li hai abbandonati?»

A questo Antonio non rispose, abbassò lo sguardo, e Romano, come ridestandosi, capì di essere andato troppo oltre. «Non sono affari miei…».

«Scusami…», mormorò, e voltandosi andò via.

Antonio, guardandolo mentre si allontanava, sentì morire in gola le parole che in quel momento avrebbe voluto dirgli. Tutta la mia vita è affar tuo…

IV

Il 28 luglio di quell’anno l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Trieste era ufficialmente in guerra. Non ci volle molto tempo perché anche la Germania entrasse, in quanto alleata all’Austria, dentro la scacchiera bellica.

La città non aveva più lasciato il triste alone di morte che il corteo dell’arciduca aveva trascinato; gli abitanti sapevano di trovarsi nella posizione di città contesa fra l’Italia e l’Austria, ma nella situazione attuale era chiaro che anche i triestini avrebbero dovuto scendere in campo.

Francis arrivò una mattina, con un sacco da viaggio in spalla, a salutare Antonio; era una giornata d’estate grigia e senza sole, in cielo le nubi minacciavano oscuri presagi.

Sul volto di Francis un triste sorriso. «Au revoir, mon chèr ami», disse abbracciandolo e tenendolo stretto un minuto in più, «avrei voluto passare la vita a fare l’amore anzichè la guerra, ma oggi anche Venere si deve piegare a Marte!»

Antonio cercò di salutarlo come quando si saluta un amico che parte per un breve viaggio e si è sicuri di rivederlo al ritorno dalle vacanze, rilassato e abbronzato…invece ad aspettarlo c’era il fronte. Nessuno dei due parlò di Gilbert, ma entrambi sapevano che anche lui era andato via qualche giorno prima per tornare nel suo paese; era venuto anche lui a salutare Antonio per l’ultima volta. «Dicono che la guerra durerà solo un paio di mesi; prima di Natale faremo tutti ritorno a casa. Ci ritroveremo anche troppo presto a ubriacarci per locali, ne sai qualcosa, vero?», disse sghignazzando, girandosi la sigaretta in bocca, nel suo abituale atteggiamento da gradasso. Ma si sentiva nella sua voce una nota come di pianto. «Non ti preoccupare per me, lo sai che ho la guerra che mi brucia nelle vene!»

«Sì, ma cerca di non bruciare troppo, soldato!», rimandò Antonio.

Francis non voleva ricordare che se avesse incontrato ancora l’amico l’avrebbe dovuto considerare ora nemico.

«Arrivederci anche a te, petit Romano!», fece a Romano, che osservava la scena addossato a un muro poco lontano. Rispose con un cenno alla testa e per un attimo pensò che forse avrebbe dovuto avvicinarsi e dargli almeno la mano, per augurargli di fare ritorno sano e salvo.

«Antonio», disse Francis con voce seria, «a parte gli scherzi, cosa hai intenzione di fare tu adesso?»

«Cosa intendi dire?»

«Non penserai di rimanere a Trieste, vero? Il governo austriaco ha già iniziato la mobilitazione generale dell’ esercito… e fra le file saranno costretti ad arruolarsi anche i triestini. Antonio, questa città fra poco sarà messa in ginocchio!»

Lo spagnolo volse lo sguardo per un attimo verso il ragazzo poco lontano; «Cosa dovrei fare, allora?»

«Torna subito in Spagna! Non ci sono pericoli che la Spagna possa partecipare al conflitto, non ha alleanze o interessi, in questo momento è un posto sicuro. Vai via da questo paese!», rispose Francis, questa volta animandosi.

Si guardarono per un istante infinito dritto negli occhi e in quell’istante muto si dissero tutto. Francis sospirò con un mezzo sorriso. «Lo dovevo immaginare. Mi sono sbagliato, Toni, questa volta Venere piega Marte…».

Il giovane in partenza salutò ancora l’ amico con un ultimo abbraccio e fece un gesto di saluto a Romano; anche lui si sarebbe dovuto unire all’esercito austriaco ormai e magari la prossima volta che si sarebbero incontrati sarebbe stato dall’altra parte della trincea.

Romano, intanto, aveva l’animo sconvolto da mille sentimenti e domande. Una guerra imminente, lui costretto a combattere per un’ideale inesistente e senza patria, scaraventato lontano dall’unica patria che sentiva davvero sua. «Non lo farò mai, si diceva, non combatterò mai per l’Austria, mai! Preferirei… preferirei morire!».

E Alice? Cosa ne sarebbe stato di Alice, sola e indifesa in una città devastata dalla guerra? Più cercava di darsi risposta, più il groppo che aveva in gola si ingrandiva e non lo faceva respirare.

La minaccia del cielo plumbeo si avverò e iniziò a cadere una leggera ma fitta pioggia estiva. «Siamo ad Agosto e piove…non sembra portare fortuna».

«Torna a casa, Romano. A quest’ora non verrà più nessuno», disse Antonio, «dai, ti accompagno con l’ombrello». Poteva immaginare cosa avesse dentro in quel momento il suo Romano ma entrambi non dissero niente e camminarono insieme sotto la pioggia in silenzio.

V

Davanti al cancello di casa Vargas, anche Alice e Ludwig erano insieme sotto la pioggia, ma non in silenzio. Alice piangeva senza sosta né consolazione, come una bimba strappata a forza della mamma; il suo amore la stava lasciando, il suo Ludwig stava andando a combattere. «No, no! Non ti lascio andare!», piangeva aggrappandosi a lui, «cosa c’entriamo noi con la guerra, perché devono distruggere la nostra felicità! Non voglio che tu vada via…col pericolo che non torni più da me!». Sapeva che non l’avrebbero trattenuto le sue lacrime, ma nessuna ragionevolezza o compostezza le importavano più.

Ludwig aveva posticipato la partenza per rimanere qualche giorno in più con Alice, ma non c’era più tempo e la sua famiglia, di antiche tradizione militare, non avrebbe più giustificato un suo ulteriore ritardo; fra l’esercito sia lui che Gilbert avrebbero avuto cariche da ufficiali, il suo dovere era servire meglio che poteva il paese. E Alice l’avrebbe aspettato, fra qualche mese sarebbero stati di nuovo insieme, stavolta per sempre. Ma il momento della separazione era insopportabile.

«Non esiste guerra, arma, bomba, esercito che mi faccia rimanere lontano da te», le disse asciugandole le lacrime. «Questa guerra sarà breve; hanno detto ai nostri soldati: tornerete a casa prima del cadere delle prime foglie. E anche io, prima del cadere delle foglie, tornerò da te».

La baciò. Era un bacio così denso di amore, promesse, dolore e indugiosa passione che Alice lo marchiò a fuoco nel suo cuore e nelle sue labbra per sempre. Era un bacio così pieno di tenerezza, speranza e disperazione che a Romano, quando li vide insieme in piedi, abbracciati, si gelò il sangue nelle vene.

Era appena arrivato con Antonio e sua sorella era lì, stretta a uno sconosciuto, anche se dentro di sé sapeva bene che quell’uomo non poteva essere che Ludwig. Si lanciò verso di loro frantumando il loro abbraccio e gettando per terra il tedesco. «Cosa stai facendo a mia sorella?!»

«Romano, non è come pensi!», gridò Alice trattenendo il fratello. «Lui è Ludwig Beilschmidt, te ne avevo parlato…noi…noi ci amiamo, Romano, abbiamo deciso di sposarci!», aggiunse.

«Lo sapevo, lo sapevo che mi tenevi nascosta una cosa del genere!»

«Non te lo tenevo nascosto, solo che… stavo aspettando il momento giusto per dirtelo!», rispose Alice imbarazzata.

«Mi hai mentito!! Per…per vederti con questo bastardo!»

Ludwig si alzò, ricomponendosi e con tranquillità ma decisione si presentò a Romano. «Ti prego, non prendertela con lei, la colpa è mia. Avrei dovuto rivolgermi a te per chiederle la mano ma è successo tutto di fretta. Mi scuso, non avremmo voluto che lo scoprissi in questo modo».

Romano lo guardava con uno sguardo da cavar fiamma, ma Ludwig continuò. «Voglio che tu sappia che amo davvero tua sorella, farei di tutto per lei, le darei la mia vita…e ho intenzioni serie: spero tu ci dia la tua benedizione per il matrimonio».

Alice si era avvicinata e aveva messo una mano fra le sue. «Fratello, è vero. Perdonami se non te l’ho detto prima…», disse. «Fra qualche mese, quando la guerra sarà finita e Ludwig tornerà ci sposeremo, io…credo che sarò molto felice con lui». I suoi occhi, nonostante il senso di colpa per il fratello e il dolore per la partenza dell’amato, erano pieni di amore, e questo amore ferì Romano ancora di più. Alice era del tutto decisa, il suo sguardo parlava chiaro. Mentre il suo mondo di Romano si stava sgretolando lentamente intorno a lui.

«Questa è la tua decisione?», chiese Romano, ancora tremante per la rabbia.

«Sì», fece risoluta Alice.

Romano si morse le labbra e sentì le lacrime che stavano affiorando. «Bene…allora non credo tu abbia più bisogno di me!», gridò.

«Romano, cosa dici?», rispose lei, « sei mio fratello, avrò sempre bisogno di te!».

Ma già lui non ascoltava più, e riuscì solo a fuggire prima di scoppiare in lacrime, dopo aver gettato un ultimo sguardo furioso ai due. Corse con tutto il fiato che aveva per sfuggire e lasciarsi dietro ogni cosa, come se tutto potesse tornare come prima, come se correndo potesse fuggire dalla guerra, dal dolore, dalla solitudine, dalla delusione.

«Romano, dove vai?», gli gridò Alice. E Antonio, che aveva assistito alla scena, gli corse dietro.

Rimasero solo Alice e Ludwig, ancora stretti in un abbraccio, mentre la pioggia continuava a battere incessantemente e a lavare gli ultimi residui di serenità nella loro Trieste.

   
 
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