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Autore: Elissa_Bane    11/05/2015    2 recensioni
John ha trovato una compagna, Giulia. Se ne andrà dal 221 B solo quando sarà certo di aver lasciato Sherlock in buone mani. Ed è così che conosce Cecilia, troppo giovane per il dolore che ha già sopportato. Cecilia, che è in grado di competere con Sherlock. Cecilia, che ha cicatrici ricamate addosso.
Attenzione: Mary nella storia non è presente, non è mai nemmeno esistita. Tutti i fatti si svolgono dopo la 2x03
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Deduction Is Easy, Life Is Not.'
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Capitolo 34

Did You Miss Me?

Cecilia
Seduta in giardino guardo la neve scendere piano, silenziosamente assordante. Amavo la neve, ma ora è una sofferenza osservarla, osservare quel cielo di un azzurro argenteo. Quelli sono i colori di Sherlock e ogni cosa d’inverno mi parla di lui: il camino, le strade deserte, la poltrona di pelle che uso sempre, il mio letto freddo e troppo grande. La mancanza di musica.
A questo dolore si aggiunge il fatto che il caso non procede. Sono solo un gruppo di stupidi ragazzini viziati, quelli del cui gruppo facevano parte le tre coppie scomparse, tutti con una passione pericolosa, ma non letale per alcuno se non per loro stessi.
Kaelie, vent’anni passati a fare la figlia prediletta di un ricco industriale. Dipendente da anfetamine.
Enea, diciannove anni, studente di medicina. Esperto nel bondage.
Logan e Nathaniel, fratelli gioiellieri. Alcolisti.
Seraphine, studentessa di arte, nipote di un neurologo famoso in tutto il mondo. Abituata a farsi inserire ganci nella pelle e restare sospesa in aria trattenuta solo dai ganci (le parecchie cicatrici della pelle strappata dimostrano come non sempre questa operazione funzioni).
Nessuno di loro mente. Nessuno di loro appare colpevole. E io non so se essere esaltata dalla mente che ha progettato tutto questo o se esserne impaurita. Entro in casa, schivando Serena con un movimento veloce.
-Mycroft sta arrivando- mi avvisa.
-Vi attenderò in sala- rispondo entrando a passo deciso nella stanza. Rivolta alla vetrata chiudo gli occhi. Serena mi ha istruito bene sull’usare i miei sensi nella loro forma migliore. Ora escludo la vista, cancellandola, e il tatto, non lasciando che il mio corpo sfiori nulla.

L’udito e l’olfatto si acutizzano. La porta di casa si apre con un lieve rumore, poche parole borbottate a bassa voce, poi i tacchi di mia sorella risuonano sul pavimento, seguita da due uomini. Due, non uno. E l’altro non ha lo stesso passo di Micah.
Ha un passo veloce e leggero, di una persona molto alta e magra. Un passo che conoscevo bene, che conosco bene. Non può essere lui, dice la mia mente. E’ lui, dice ogni singola particella di me sentendo il suo profumo nella stanza.
Mescolato a quello di Serena (una bizzarra unione di rose e cuoio) e a quello di Mycroft (carta, metallo e costosa acqua di colonia) sento nell’aria quella combinazione unica che è lui. Sigarette, sapone, cenere e qualcosa di chimico. Come un’onda entra dal mio naso, passando non solo nei polmoni, ma (nonostante io sappia benissimo che non sia razionalmente possibile) anche nelle vene, nel cervello, fino a scaldarmi il cuore.
-Ciao Mycroft- mormoro, impedendomi di voltarmi e correre tra le braccia di lui.
-Penso che dopo un anno di silenzio potresti almeno degnarti di salutare anche me- dice quella voce che nei miei sogni s’infrange come una lastra di ghiaccio. La sua voce.
-Considerando che Mycroft è il maggiore e che è entrato nella stanza prima di te, l’etichetta impone che i miei saluti vadano rivolti prima a lui- ribatto voltandomi.
Due occhi brillanti come la mente che celano s’infiggono nei miei. Lascio scorrere lo sguardo velocemente sulla sua figura, come il primo giorno. Questa volta però noto le differenze.
Non dorme da tempo, è mortalmente pallido, probabilmente per l’essere stato troppo a lungo in casa, è dimagrito, cosa che lo fa apparire ancora più alto. Ma sulle sue braccia non ci sono segni di siringhe, solo un cerotto alla nicotina. È stanco, triste, amareggiato. Deluso. Da me, da quello che ho fatto. Ma è anche felice, sollevato che io sia viva.

Torno a posare i miei occhi sui suoi, lisciando la sciarpa celeste che porto al collo.
-Ciao Sherlock- dico infine avvicinandomi.
-Ciao Cecilia- china il capo per parlarmi a causa della differenza di altezza e vedo nei suoi occhi gioia e dolore che si mescolano.
Serena capisce la delicatezza del momento e trascina fuori dalla stanza con sé Mycroft, lasciandoci soli.

 

Sherlock
Il viaggio è lento, troppo lento e noioso. O almeno, la pensavo così fino a quando non mi sono trovato ad entrare in una sala dove una figura ci dava le spalle fissando la finestra.
In quel momento ho desiderato aver avuto più tempo, per pensare a cosa dirle, a come trattarla. Eppure lei saluta mio fratello e le parole escono dotate di volontà propria dalla mia bocca.
-Penso che dopo un anno di silenzio potresti almeno degnarti di salutare anche me.
-Considerando che Mycroft è il maggiore e che è entrato nella stanza prima di te, l’etichetta impone che i miei saluti vadano rivolti prima a lui- risponde voltandosi.

Quasi fatico a riconoscerla. I capelli, le ossa del volto sono ancora lì, sono ancora i suoi, ma tutto il resto è cambiato.
Gli occhi brillano non più solo d’intelligenza vagamente maliziosa, ma anche di una determinazione fredda e cinica.
Le labbra sembrano essere state morsicate a sangue, le guance sono più aderenti alle ossa.
Le occhiaie profonde sottolineano che i suoi incubi sono tornati, ma le mani non tremano.
È come se alla vecchia Cecilia ne avessero sovrapposta un’altra, gelida e sicura.
-Ciao Sherlock- dice poi avvicinandosi e in quel momento vedo sotto la patina che indossava, vedo la sofferenza dell’essersene andata, dell’aver dovuto mentire. Vedo lei, quel poco che è rimasto ancora intatto.
-Ciao Cecilia- le rispondo, sentendo a malapena la porta chiudersi dietro i nostri fratelli. Rimaniamo ancora ad osservarci, a guardarci oltre quei muri che entrambi abbiamo costruito per difenderci. Rimango ancora a vederla, davvero, a sentire il suo profumo che è cambiato, almeno un po', come lei. La guardo e le leggo addosso le notti insonni, i pianti, il rifiuto del cibo, la rabbia, la cieca determinazione nel portare a termine quell'ultimo caso, prima di smettere di esistere. Ora capisco cosa intendeva mio fratello: è cambiata. È cresciuta, ancora. Ha imparato troppo presto cose che altre persone non imparano in una vita intera. Non so quanto sia rimasto della ragazza di cui mi sono innamorato, in questa sconosciuta che ho davanti. Non so se valga la pena essere qui, a procurare altro dolore ad entrambi. E poi mi rendo conto che lei avrebbe fatto lo stesso per me. Vale la pena affrontare qualsiasi cosa, per Cecilia e i suoi sorrisi e le torte e persino le cicatrici e i pianti. Vale la pena affrontare il mondo, per salvarla da se stessa, per farle capire che non è questione di merito o meno. Io ci sono e ho intenzione di restare nella sua vita.
-Un anno intero- sussurro –Perché?
-Lo sai il perché, Sherlock- risponde con lo sguardo fisso a terra –Non volevo ferirti, affezionandomi a te.
-E così hai pensato di scappare facendo del male non solo a te stessa e a me, ma anche a Giulia, John, mrs. Hudson e Lestrade!- accusa il colpo a spalle basse.
-Scusami- dice poi alzando su di me quegli occhi color caramello.
Incurvo un angolo della bocca, aprendo le braccia, capendo ciò che ha fatto. Anche io avrei fatto la stessa cosa. Anche io ho fatto la stessa cosa.
Mi abbraccia e mi rendo conto di quanto il suo profumo mi sia mancato, quel misto di ciliegie, gelsomino, caffè e grafite, adesso appena sporcato dall'odore dell'argento delle armi che indossa.
-Mi sei mancato- mormora poi iniziando a piangere.
Non rispondo, ma mi siedo con lei davanti al fuoco, lasciando che una lacrima sola scenda lungo la mia guancia.
Restiamo così a lungo, fino a quando le fiamme non muoiono insieme al sole, mentre la neve continua inesorabile a cadere.

 

  
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