“Noi
non prestammo alcuna attenzione alle
antiche profezie.
Come
dei folli ripiombavamo nelle vecchie
diatribe e combattemmo così come avevamo fatto per
generazioni, fino al giorno
in cui i mostri infernali si rivelarono dalle oscurità entro
cui s’erano
annidati e il nuovo nemico venne tra noi.
E
ora siamo qui sull’orlo della distruzione,
poiché il regno del caos, infine, è arrivato.
I
racconti degli anziani erano veri. Le
leggende erano reali. I demoni esistono e ora stanno venendo a
prendersi il
mondo che hanno sempre agognato: il mondo degli uomini.”
“La
battaglia di Deres fu una delle più
sanguinose che il mondo avesse mai ricordato sino a quel giorno.
Centinaia
di migliaia di persone erano state
osteggiate da pochi. Nell’aria riecheggiava rimbombante una
voce grottesca che
parlava con la lingua degli uomini.
Fu
terrificante quasi come quel giorno…Quando il cielo si
plasmò a immagine di
Zeus, e terribili lampi colpirono la terra, trasformando il nostro
mondo in una
valle di lacrime.
La
voce grottesca ricattò gli eserciti che si
davano battaglia: disse
che avremmo
potuto salvarci da quell’incubo se gli avessimo portato
cinque lingue,
strappate da altrettante bocche di esseri umani.
Dovevamo strapparle quando essi erano ancora
in vita, suppliziandoli, in caso contrario i mostri ci avrebbero
punito.”
La
morte dei
nemici aveva infine illuminato il popolo eletto. Coloro che si erano
distinti
erano ritti sulle proprie gambe, stringendo tra le mani i loro macabri
trofei…Tutti gli altri giacevano a terra morti e senza
lingua serviti come
banchetto per i corvi.
I
vivi erano
poco più di quindicimila. Era stato un genocidio. E ora,
Messeni e Lacedemoni,
che fino a poco prima combattevano tra loro, si mescolavano assieme
come
un’unica armata.
Adesso
diverse fiumane di gente erano in attesa davanti ad alcune tende
spartane,
dentro le quali altrettanti di quei mostri, come solerti burocrati,
controllavano una per una le lingue donate, che avrebbero svolto la
funzione di
chiave per entrare nel popolo prescelto.
Ci
si
sarebbe dovuti limitare a cinque lingue, ma, poiché gli
uomini sono depravati,
avidi e sanguinari e i loro bisogni illimitati, alcuni ne palesarono
più di
venti per mostrarsi da subito più degni degli altri. Ma
ciò che risultò strano
fu che gli spartani, i guerrieri più forti di tutti, nati
per la battaglia, si
limitarono tutti a presentare il minimo richiesto.
Furono gli iloti, i miserabili servi, a
macchiarsi più del dovuto del sangue dei loro stessi
fratelli, poiché non
sarebbero mai riusciti a rubare la lingua agli odiati nemici lacedemoni.
Leneo,
il
nuovo generale, si leccò le labbra
dall’eccitazione nel vedere così tanti premi.
“Guarda
Aristomene…” disse al comandante dei
messeni indicando
alcune mostruosità ricoperte di penne e piume, esseri che
avevano mutato le
proprie sembianze pur di sopravvivere e che ora camminavano affiancando
gli
umani nella stessa armata.
“…A
me piace la meritocrazia, e adesso possiamo
dire di aver portato alla luce il vero popolo eletto.”
Cisso,
il
pupillo di Leneo, entrò di gran lena dentro la tenda
superando tutti gli altri,
e fece rotolare due teste: erano i due Polemarchi e generali supremi
dell’esercito spartano Anassandro e Anassidamo. Quei mostri
avevano trucidato i
loro stessi superiori. Agivano
realmente
per compiacere Ares? Aristomene
non ne
era più sicuro. Erano diventati una scheggia impazzita preda
della propria
follia. Un nucleo dedito al solo terrorismo.
Dai
a degli
uomini un po’ di potere ed essi faranno di tutto per
ottenerne dell’altro e
annientare i più deboli.
L’uomo,
Aristomene, rabbrividì, ora veniva la parte più
difficile: andare a caccia del
Falcone Nero e annettere al proprio esercito tutti coloro che, secondo
la
logica perversa di Leneo, sarebbero stati degni.
Era
piano
del Falcone quello di fare in modo di far credere a tutti di essere
lui.
Aristomene lo aveva seguito alla lettera indossando il suo elmo. Ma
adesso?
Anche quell’inconveniente era previsto?
“Guarda Aristomene” lo
ridestò il
generale supremo Leneo.
“Adesso
possiamo anche setacciare il mondo dal
cielo.” Disse
indicando le umanità mutate che ora erano ricoperte di penne
e piume ed erano
dotate di possenti ali spiegate. La pelle sulla faccia era segnata da
una
mascherina rossa che li caratterizzava ulteriormente come specie.
Sembravano
cardellini.
“Seguimi” disse l’anziano. Era nudo, calvo, la pelle madida di una sostanza lucida e divelta da ogni peluria. Proseguì arrancante verso le oscurità di un corridoio.
Per terra c’erano tubolari ovunque e le pareti apparentemente di metallo sembravano l’allucinante confine di un incubo: piene di leve, manopole e specchi per altri mondi.
Una donna, ugualmente nuda, calva e nelle stesse condizioni dell’altro, lo seguiva a pochi passi.
“Vogliamo farlo veramente? Saremo puniti per questo. Già quello che abbiamo fatto potrebbe portarci alla morte, lo sai?”
Disse scansando con un piede il corpo esanime di un essere apparentemente umano, ma il cui buco in testa rivelava ingranaggi e parti che non avevano nulla di organico.
“Non ha importanza. Sarebbe molto peggio se non agissimo in fretta invece poiché il nostro sogno morirebbe assieme a questo pianeta. E poi…Noi non moriremo per questo.”
Dopo aver percorso una certa distanza, i due anziani giunsero verso un enorme finestra da cui poterono contemplare il mondo. Era meraviglioso, ricoperto dagli oceani e avvolto dal suo manto di pallidi effimeri nembi.
“Bellissima” commentò la donna, mente l’uomo agitava un marchingegno facendo balenare lambi purpurei contro gli esseri che erano seduti su delle sedie davanti ad alcuni pannelli.
L’uomo si avvicinò alla finestra, contemplando la meraviglia della vita che affiorava da fuori di essa, in contrasto con la non-vita che aveva spento poco prima e che dominava dentro ognuna di quelle stanze.
“Vogliamo farlo?”
“Facciamolo insieme!”
I due umani spinsero assieme una leva rossa e, illuminati dalla luce riflessa del corpo celeste, si abbandonarono in un bacio appassionato. La stanza in cui si trovavano fu illuminata da lampi rossi e fu scossa da un terremoto.
Il
re di
Sparta Aristodemo sedeva sul suo scranno di legno a capotavola, nella
sua
terrificante figura corazzata di piastre placcate d’oro e
d’argento. Il cielo
dell’Agrolide, sotto cui si trovava era placido e sereno. Il
sovrano teneva con
un unico sguardo tutti i sovrani dell’intera Grecia.
I
più
importanti gli stavano attorno: Acrisio
signore di Argo;
Creonte sovrano di Tebe; Re Pandione di Atene Ialiso
signore di Rodi e i suoi fratelli Lindo e Camiro.
C’erano
poi vari altri sovrani minori:
Meandro re di
Pessinunte; Ditti,
signore dell’isola di Serifo; Epito,
re di Arcadia; Liparo eponimo
re
dell’isola di Lipari;
Enopione signore di Chio, re
eete dalla Colchide, Mane di Frigia e Idamante da Creta.
Tutte queste autorità riunivano
insieme una grande armata di oltre centomila uomini.
“Sovrani
di tutta l’Ellade, siete stati qui riuniti per volere
dell’Olimpo! I
rivoltosi che da tempo immemore sporcano la
nostra bella terra, ora si sono fatti avanti.
Nel Peloponneso, su tre campi differenti, si sono mostrati
altrettanti
uomini che affermano di essere inviati dell’Olimpo, al solo
scopo di farsi
seguire dai piccoli. Ma io so che è un inganno. Costoro sono
in realtà i cani
del Falcone Nero, il cui scopo è destabilizzare il nostro
mondo.
I
messeni a centinaia di migliaia hanno minacciato seriamente la nostra
libertà.
Altrettanti dissidenti hanno preso Micene, e molti altri si trovano
nell’Arcadia…”
“…A
questo proposito, mio Primo-Inter-Pares, chiediamo immediati rinforzi”
Disse Epito, signore di quella terra.
Aristodemo bloccò
l’impertinente
interruzione con un gesto della mano.
“Interrompimi un’altra
volta e non
vivrai abbastanza da vedere la tua terra venire liberata da quei
ratti.”
Epito
si
ammutolì.
Aristodemo
continuò a parlare: “L’invasione dell’Arcadia, la
presa di
Micene, e sette giorni fa, l’insurrezione dei
messeni… Sono solo uno
specchietto per le allodole.
Vogliono
attirarci verso il Peloponneso, ma non
è lì che si trova il Vero Falcone. Voi sapete
dove si trova l’Imetto?”
Contemplò
i
volti degli altri re studiandone le espressioni di sorpresa.
“Attica!” Esclamò Pandione.
“Per quale motivo l’uomo più ricercato
dell’Olimpo
dovrebbe portarsi nella bocca delle Aquile?”
Aristodemo
strinse gli occhi.
“Evidentemente perché forse non tutte le Aquile
servono lo stesso nido…Avete
mai sentito parlare dell’Imetto? E’ lì
che il Falcone è diretto. È per di lì
che è stato visto andare.”
“Il
massiccio dell’Imetto…”
Sussurrò Creonte.
“Si narra che tra quelle montagne leggendarie si
aggirino mostri oltre
ogni immaginazione. Un labirinto di rocce affilate come lame, da cui
nessuno è
mai riuscito a uscire vivo. Chi ci condurrà? E con quale
forza riusciremo ad
averla vinta?”
Aristomene
sorrise.
“Ecco
la risposta alla prima domanda! Portate
qui il pezzente”
Due
spartani
entrarono nella tenda comando dove un uomo sporco di fango e letame
venne fatto
entrare. Un uomo quasi scheletrico, aveva gli occhi dilatati e un
terribile
sorriso sdentato. Stringeva tra le mani un teschio umano.
“Il
mio nome è Trofonio, progettista di
innumerevoli labirinti e allievo del leggendario Dedalo. Miei potenti
re, vi
condurrò io a destinazione verso l’alcova del
grande ribelle.”
Tutti
i re
nella sala restarono allibiti da quelle parole. Solo il re di Atene
ebbe
l’ardore di manifestare un’ovvia obiezione.
“Aristomene,
vuoi davvero affidarti a questo vecchio pazzo?
Questo straccione!”
Il
re di Sparta
strinse i denti dalla rabbia.
“Stai
attento, Pandione perché in questo ‘vecchio
pazzo’ brilla imperitura una fiamma. La fiamma dei prescelti
dell’Olimpo.
Costui è un Eletto”
“Eletto?!
Ma di cosa stai parlando?”
“Qui
rispondo alla seconda domanda: mi
chiedevi con quale forza avremmo potuto averla vinta? Trofonio, mostra
a questi
mortali che cosa vuol dire essere un PRESCELTO”
Il
vecchio
sorrise ancora più orribilmente e d’un tratto gli
occhi sbucarono fuori dalle
orbite, facendo inorridire tutti i presenti.
Emise uno squillo acuto e stridulo che parve essere lo
stridio di un
demone.
Da
fuori la
tenda comando si udirono innumerevoli urli sguaiati che divennero via
via
sempre più ferali.
“Ma
che
cosa…”
Tutti
i re
si affacciarono fuori dalla tenda e gridarono di orrore e sorpresa.
“Dei
dell’Olimpo…”
Aristodemo
sorrise.
In
mezzo
alle schiere di uomini, uno su cento, sopraffatto da gemiti e
convulsioni di
dolore, prendeva le sembianze di un mostro.
Uno
dopo
l’altro gli Eletti si facevano avanti: uomini di pietra,
uomini ricoperti di
corteccia, mostruosità alate e molto altro…
“Con
un’armata di questo genere, nessun uomo, neppure il Falcone,
riuscirà mai a
contrastarci”
Parentesi
anacronistiche 10:
Ciclopi:
(Vedi
il capitolo 1) Sono
i guardiani di Efesto. Il risultato
vincente della sinergica intesa tra ingegneria genetica e informatica.
Gli
esseri sono stati creati sulla base di feti di esseri umani resi
radioattivi
prima della nascita e trattati con ingenti modifiche agli alleli di
miostatina
e follistatina (vedi parentesi anacronistiche 6) atti a farli crescere
spropositatamente
nel giro di pochi giorni. Infine poiché le radiazioni
avevano provocato in loro
diversi effetti collaterali (incapacità di parlare,
l’unico occhio, mancanza di
organi genitali) tra cui un’instabilità mentale
che rendeva loro caotici e
intrattabili, prima
della crescita veniva
impiantato in una
zona del loro cervello
un chip che
programma il loro
comportamento in relazione a determinate situazioni.