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Autore: evelyn80    13/05/2015    0 recensioni
[Deadliest Catch]
[Deadliest Catch]Per dimenticare il suo matrimonio fallimentare, Michelle decide di intraprendere un viaggio intorno al mondo con la sua automobile, una vecchia utilitaria cui è molto affezionata. A causa di un contrattempo si ritroverà bloccata nelle Isole Aleutine, dove conoscerà l'equipaggio del motopeschereccio Northwestern. I pescatori l'aiuteranno a continuare il suo viaggio, e non mancheranno i colpi di scena.
Storia già pubblicata qualche anno fa con un altro nickname, poi cancellata perché non mi soddisfaceva.
A distanza di anni rivista e corretta. Ispirata al docu-reality di Discovery Channel ed ambientata circa quattro-cinque anni fa.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei protagonisti di Deadliest Catch, né offenderli in alcun modo.


 

Epilogo

 

 

Continuai a guidare per quasi due mesi, attraversando tutta la Russia fino a rientrare in Europa.

Pochi giorni dopo la ripresa del viaggio ebbi finalmente una buona notizia: la Sector aveva deciso di riprendere a sponsorizzarmi visto che, nonostante fossi rimasta senza il becco di un quattrino, mi ero ingegnata per continuare comunque il mio Giro del Mondo. La troupe di meccanici ricominciò a seguirmi ma, per ironia della sorte, la riparazione fatta da Sig resse per tutto il resto del viaggio, per cui non ebbi mai più bisogno del loro intervento.

Durante il tragitto conobbi tante altre persone, qualcuna simpatica e qualcuna un po’ meno; vidi posti nuovi e meravigliosi e cercai di dimenticare la parentesi "alaskiana" della mia vita. Sui primi tempi ogni tanto ricevevo un sms, da parte di Dana e da parte di Edgar poi, pian piano, anche quelli cominciarono a diradarsi lasciando il posto a una sana solitudine.

Quando finalmente rientrai in Italia, mi parve di non essermene mai andata, nonostante fosse già la fine di marzo. Percorsi gli ultimi chilometri di viaggio quasi a passo d’uomo, per riempirmi la vista dei luoghi a me così cari e familiari.

All’ingresso nel mio paese scoppiai in lacrime, nel vederlo così inondato dalla luce del sole primaverile: mancavano pochi minuti a mezzogiorno, il cielo era terso e di un azzurro sconvolgente, tanto intenso da far male agli occhi. Non avevo mai notato quanto fosse stata bella la mia vallata.

Avevo telefonato il giorno prima per avvertire del mio arrivo, e mio padre mi aveva assicurato che avrebbe girato la notizia a tutti gli amici e i conoscenti; e, infatti, quando arrivai a pochi metri vidi che fuori del cancello di casa mia, che era spalancato, c’era una massa di gente che cominciò ad esultare non appena vide spuntare Saetta Grigia da dietro l’ultima curva.

Qualcuno aveva appeso uno striscione alle finestre della cucina: "Bentornata a casa Michelle" c’era scritto a lettere cubitali. La folla gridò di giubilo e si divise in due ali per permettermi di entrare nel giardino: le facce si mescolavano una con l’altra e non riuscii a distinguere nessuno in particolare, con le lacrime che scendevano copiose dagli occhi.

Quando mi fermai, però, una faccia in particolare mi immobilizzò, lasciandomi seduta sul sedile, incapace di muovermi. Un uomo dalla criniera di capelli biondo cenere pettinati all’indietro per nascondere un’incipiente calvizie, una barba di due settimane ugualmente bionda, corporatura muscolosa, vestito con un paio di jeans attillati, stivali alla cowboy e giubbotto blu con un logo inconfondibile: "Northwestern".

Mi stropicciai gli occhi, convinta di avere un’allucinazione, ma la figura non scomparve; anzi, mi apparve ancora più nitida, dopo aver spazzato via le lacrime.

"Non ci posso credere… Oh, Saetta… Ma non mi sarò mica addormentata strada facendo, vero?!" esclamai, rivolta alla mia auto.

Ma non stavo dormendo. Qualcuno mi aprì lo sportello e qualcun altro mi prese per un braccio per farmi scendere. Come in trance, mi lasciai guidare senza mai distogliere lo sguardo da quel viso così familiare. Molte mani mi sospinsero verso di lui e in un attimo mi ritrovai tra le sue braccia, persa nei suoi occhi blu scuro come il mare in burrasca.

"Sig… Oh mio Dio, sei proprio tu?!"

"Sì, piccola mia. Sono proprio io."

"Ma… come… perché…" balbettai, incapace di continuare.

"Quando sono arrivato a casa e ho guardato Juna negli occhi, ho capito che non era lei che volevo, ma te" mi spiegò, stringendomi dolcemente. "Con Edgar, abbiamo cercato nella cronologia del suo computer, e abbiamo ritrovato il tuo indirizzo su Google Earth. Mi è bastato telefonare."

"Io… Non è possibile, non ci credo… Ora mi sveglierò e mi renderò conto che è tutto un sogno…" dissi, dandomi un grosso pizzicotto sulla guancia, trasalendo per il dolore.

"Non è un sogno, è tutto vero!"

"Ma… tu non puoi rimanere… Quando te ne andrai?"

"Non sono venuto per andarmene. Sono venuto per restare!" e, accostando le sue labbra alle mie, siglò le sue parole con un bacio. Tutto intorno a me si confuse: la gente, le voci… Tutto divenne un turbinio indistinto mentre mi scioglievo tra le sue braccia.

Siamo rimasti in Italia per un solo mese, prima di trasferirci definitivamente a Dutch Harbor, dove il nostro amore è nato e cresciuto.

Ed ora, mentre scrivo queste righe – con in sottofondo il rombo cupo del motore della Northwestern, lo sciabordio delle onde contro lo scafo e la voce di Sig che rimbomba nell’interfono – ho capito di essere finalmente a casa.

 

 

Fine

  
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