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Autore: PollyFTSissi    13/05/2015    5 recensioni
[AU Stony]
"A molti una routine abitudinaria avrebbe potuto far spavento: alzarsi alle sette, andare a lavoro, tornare con gli avanzi della giornata e guardare della TV spazzatura sul divano fino a collassare –e ripetere, per ogni giorno dell’anno (escluse eventuali domeniche e festivi). Ma a Steve Rogers non pesava per nulla."
[Il rating cambierà con l'aggiunta dei capitoli]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Love Affair
 
 

“Hot American Boy”
 
A molti una routine abitudinaria avrebbe potuto far spavento: alzarsi alle sette, andare a lavoro, tornare con gli avanzi della giornata e guardare della TV spazzatura sul divano fino a collassare –e ripetere, per ogni giorno dell’anno (escluse eventuali domeniche e festivi). Ma a Steve Rogers non pesava per nulla. Il biondo trentenne aveva sempre voluto una vita normale, all’insegna della tranquillità; certo, qualche agio in più avrebbe fatto comodo –tipo una macchina con dei finestrini che si aprissero o con un impianto di climatizzazione funzionante- ma per il resto non poteva assolutamente lamentarsi. Il suo primo pensiero la mattina erano i miagolii delle gatte affamate, e la voce apparentemente soffusa di Jonathan (il proprietario) che anche quella mattina –come tutte le mattine- si lamentava dell’affitto non pagato. Il secondo pensiero era quello di una doccia calda, e calda si fa per dire: dopo l’ennesimo tentativo di sistemare la caldaia, Steve si era arreso alla sua mattiniera doccia gelida che come pro aveva dalla sua la capacità di svegliarlo meglio di qualsiasi altra cosa.
Come ogni mattina si diresse in cucina (nell’angolino del salotto con dei fornelli e un lavandino), e tirò fuori varie scatole e scatolette. Non riuscì a percepire al meglio i piccoli passetti che gli si avvicinarono, che già sentì qualcosa di caldo e morbido strusciarglisi contro. Ed eccole lì, anche le ruffiane affamate si erano destate dal loro sonno, e quasi stava per inciampare sul corpo robusto di Clancy mentre si destreggiava tra i cassetti per poter aprire le loro bustine. Quando iniziò a riempire le ciotole, anche le altre due gatte lo raggiunsero: Ophelia, nera e marroncina, dai grandi occhi verdi, ed Ivy, la nuova arrivata, piccola ed aggraziata avvolta nell’elegante pelo color avorio –da qui il soprannome.
-Dovreste iniziare a farvi da mangiare da sole, lo sapete?- la domanda più che retorica era scontata, si ritrovò a pensare mentre accarezzava la testolina di Clancy troppo impegnata a mangiare per sbeffeggiarlo altezzosamente: se fossero state in grado di provvedere a loro stesse, non ci sarebbe stato bisogno di portare via quest’ultima ed Ophelia da quel gattile fatiscente, o Ivy da quella riserva abusiva. Gli animali erano la sua vita, potevano essere definiti il suo “hobby”: erano qualcosa che lo affascinava e inteneriva al tempo stesso, ed era un estremo sostenitore dei loro diritti e della loro salvaguardia.
Diede un’occhiata all’orologio, essendosi perso a guardare i musini delle feline immersi nella loro colazione, e quasi cadde all’indietro alla vista dell’orario. Si affrettò a rimpinzarsi la bocca con una mela e fu fuori di casa in tempi record.
Nella sua corsa rassicurò il signor Jonathan che sì, -quello era il giorno di paga- e che sì, -avrebbe pagato l’affitto e i suoi arretrati-, si scusò e lo ringraziò per la pazienza fino a quando non riuscì più a sentire i borbottii scocciati dell’uomo rimbombare in tutto il palazzo.
 
***
 
-Anche oggi in ritardo, Rogers?-
-Tu che dici?- ignorò il commento del moro, buttando all’aria il borsone e iniziando a spogliarsi velocemente, ancora affannato dalla corsa.
-Siamo di buonumore, vedo- l’altro roteò gli occhi, poggiando la spalla contro gli armadietti metallici per la maggior parte occupati. –Fatto le ore piccole? Sono delle occhiaie quelle o vedo male?-
-Può darsi, ma in ogni caso non sono fatti che ti riguardano- il biondo ci tenne a puntualizzare, mentre anche i pantaloni della divisa dell’Abraxas Cafè andavano ad abbracciare le gambe allenate.
-Sei stato con qualcuno?-
-Se “Sons of Liberty” può essere definito qualcuno…- gli rivolse uno sguardo quasi innocente, ma che voleva essere comunque scocciato e disinteressato dalla sua paternale. –E le gatte non la smettevano di urlare-
-“Sons of Liberty”? Ti facevo più un tipo da “Via col Vento”- l’uomo ridacchiò sotto i baffi, squadrandolo da capo a piedi. Il suo sguardo pizzicava sulla spalla e portò Steve a fissarlo in cagnesco.
-Il tuo turno non è già cominciato?!- il biondo vestito nei classici colori del caffè –blu, rosso e bianco- lo sorpassò velocemente, lasciandolo da solo e posizionandosi dietro al bancone.
 
Lui e Bucky Barnes non erano sempre stati ottimi amici, non erano andati d’accordo sin da subito, entrambi con il loro carattere l’uno opposto a quello dell’altro, sin dal suo primo giorno sei lunghi anni prima; ma dopo una serie di vicende –e di screzi amorosi, di cui Steve avrebbe preferito non ricordare neppure i contorni- erano diventati buoni amici, consiglieri l’uno dell’altro e non mancavano di punzecchiarsi e di uscire qualche volta, per una birra o per una corsa mattutina.
Quel giorno Steve era di turno tra la cassa e il banco dei dolci e delle bevande, per cui si mise comodo contro la sedia alta, iniziando ad avviare la cassa e tutte quelle altre diavolerie elettroniche di cui era sicuro non avessero bisogno –un notepad (tablet? Computer senza tasti?) per prendere le ordinazioni? Inutile dire che ai propri turni ai tavoli si armava dei suoi amati carta e penna e con olio di gomito prendeva gli ordini alla vecchia maniera.
Non che fosse uno contrario alla tecnologia, ma semplicemente non ci andava d’accordo. Non si era mai curato di imparare ad usarla, e da quando il computerino portatile delle ordinazioni gli aveva fatto lo scherzo di far uscire tre metri di carta da scontrino senza motivo e Steve aveva pensato che quello, quello sarebbe stato il giorno temuto nel quale le macchine avrebbero preso il controllo del mondo, non ci si era neanche tanto impegnato.
 
***
 
Peggy Carter era stato il primo amore della sua vita.
Il primo amore della sua vita prima di scoprire di essere gay, a dirla tutta; ma a Peggy, intenta a pulire il tavolino sporco di briciole, doveva tutto ciò che Steve poteva dire di essere oggi.
Peggy l’aveva raccattato dal ciglio della strada nel momento più buio della sua vita, gli aveva offerto una casa, un lavoro al suo caffè e gli aveva fatto conoscere l’amore.
E poi Peggy l’aveva portato per la prima volta al St. Day Shelter permettendogli di conoscere Clancy ed Ophelia –quindi sì, le doveva decisamente tutto.
Perso nei suoi pensieri, non si accorse della mano della procace mora che sventolava con veemenza a pochi centimetri dal suo viso.
-Terra chiama Steve!- solo dopo l’ennesimo richiamo, il biondo sembrò destarsi dai propri pensieri con un battito di ciglia, e si trovò a fissare una Peggy irritata, che gli sventolava di fronte un mazzo di chiavi. –È così che servi i clienti? Fissando il muro con la bocca spalancata?-
Steve borbottò delle scuse tra le labbra, volgendo l’attenzione sulle chiavi ora poggiate di fronte a lui, ma non ebbe il tempo di fare domande che venne preceduto dalla voce suadente della donna.
-È arrivato il carico di fazzolettini Lewtan per rifornire i tavoli. Benners è in malattia, e di Barnes non mi fido- alzò un sopracciglio alla risatina di Steve, proseguendo impassibile –Te la sentiresti di prendere qualche quintale di scatole e portarle in magazzino?-
-Che c’è Peggy, è già quel periodo del mese e non riesci a sollevare neanche la boccetta di smalto?- esordì Bucky da chissà dove, incrociando il suo sguardo ora più infuocato che mai. Ma il tono restò calmo, anzi un sorriso si dipinse sul volto della donna –un sorriso perfido.
-Sembra che qualcuno abbia vomitato al tavolo sette. Parla con lui mente pulisci, magari gli interessa ciò che dici.-
Bucky la raggelò con lo sguardo senza però aggiungere altro, prendendo pezza e secchio dal ripostiglio e dirigendosi dove indicato senza mancare di borbottii vari.
-Tornando a noi… Il camion è già fuori. Te la senti, bell’imbusto?-
Peggy sogghignò, e Steve non poté fare a meno che ricambiare il sorriso.
Era contento che lui e Peggy fossero rimasti amici anche dopo il loro passato amoroso: la Carter sembrava aver capito i suoi perché, e anziché respingerlo o ripudiarlo o odiarlo, lo aveva tenuto stretto anche più di prima per poter dargli consigli preziosi.
Steve, infatti, non era esattamente un casanova, anche se all’apparenza poteva sembrare facile per lui fare conquiste; in realtà, tutta la propria vita era stata devolta al sogno che suo padre aveva per lui, ovvero la leva militare. Da veterano del Iran, avrebbe voluto non solo che Steve fosse un soldato, ma il migliore dei soldati. Inizialmente a Steve questa idea non piacque, difatti proseguì con i suoi studi letterari, fino a quando nel 2003 il padre non fu chiamato ad arruolarsi alla leva per la guerra in Iraq. Avrebbe dovuto sapere fin dall’inizio che se poteva essere sopravvissuto per chissà quale miracolo in Iran, sicuramente non sarebbe tornato vivo dall’Iraq.
Ma non lo fermò. Bucky scherzava sempre su questa storia per allietare la rabbia dell’amico (“Si vede che non hai mai visto Mulan, ‘bud!”), ma la verità è che dalla notizia della morte di suo padre, i sensi di colpa di Steve non sarebbero mai potuti andar via. Non ci pensò due volte e abbandonò l’università, il lavoro part-time, quel suo piccolo mondo di progetti e speranze per cui aveva lavorato fino a quel momento e si arruolò nell’esercito.
L’unico problema era la sua stazza –Steve di costituzione mingherlina come sua madre; ma Steve avrebbe fatto di tutto pur di non essere cacciato dalla leva, pur di vendicare il nome di suo padre.
A quel tempo tra i cadetti girava voce che dei generali volessero sperimentare dei sieri ultra-moderni su dei soldati semplici; il biondo si era sempre interessato a questo argomento, seppur gli altri non avessero mai preso sul serio la probabilità che questo progetto esistesse davvero.
Gli bastò chiedere in giro, alle persone giuste, e in poco tempo si ritrovò ad essere esaminato da capo a piedi ed essere ritenuto idoneo all’esperimento.
Steve acquistò un nuovo corpo, cui potevano ammirare tutti anche ora, ma la guerra finì di li a poco: non ne ricavò che sofferenza su sofferenza, nulla se non notti insonni e un disturbo post-traumatico da stress, oltre che quel corpo troppo grande per lui. Tutto ciò che era voluto diventare per commemorare il ricordo di suo padre e portare onore al suo paese si era sgretolato in pochissimi mesi sotto i suoi stessi piedi, facendolo cadere in un baratro da cui solo Peggy era riuscito a tirarlo fuori.
Con questi pensieri, anche l’ultimo scatolone fu posizionato in magazzino, e dopo aver pagato il fornitore, stava per rientrare nel bar quando ad un tratto delle urla lo scossero.
Corse senza pensarci verso la fonte di suddette urla, scoprendo che in realtà si trattava di grida di felicità; difatti, una folla che sembrava impazzita, sostava proprio nei pressi del suo caffè, riversata nelle strade conseguentemente bloccate. Le grida furono surclassate da una voce che sembrava provenire da uno amplificatore, ma a causa degli squittii e del disturbo nella stessa comunicazione, non riuscì a capire nulla se non “armi, comprate, Dio benedica l’America”.
Non sapendosi spiegare il perche di questo schiamazzo generale, decise di rientrare dalla porta sul retro, raggiungendo Peggy e Bucky che sembravano molto impegnati con l’ondata di clienti arrivata.
-Qualcuno mi spiega che sta succedendo lì fuori?-
-Stark- disse solo Peggy, evidentemente impegnata a preparare e servire più che a spiegargli la situazione. E a rendere Steve ancora più confuso: cosa c’entrava la Stark Industries –la multinazionale bellica multimiliardaria e bla, bla, bla- con un’orda di quelle che sembravano Groupies ad un concerto? Non che vendessero caramelle, poi!
-Che t’interessa? Più clienti per noi!- esordì Bucky, affannato tra un cappuccino e l’altro.
-Già Steve, più clienti!- e quella frase di Peggy gli fece capire che era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e fare un po’ di soldi.
 
***

Quando l’orda di persone sembrò essersi placata, e anche l’ultimo cliente del flusso fu accontentato, Steve si concesse la pausa caffè di metà mattina –che poi fosse mezzogiorno passato poco importasse, Steve necessitava di un caffè.
Non fece neanche in tempo a buttare il bicchierino di plastica nel cestino, che il tintinnio del campanello gli fece capire che qualcuno era entrato in negozio.
Si armò del proprio migliore sorriso –anche perché i suoi colleghi sembravano essere scomparsi nel nulla, tra bagno e magazzino- e si approcciò al nuovo cliente. Capelli neri, sulla trentina (se non qual cosina di più), barba curata, occhiali Ray-Ban RB con lenti gialle/dorate –sembrava decisamente ricco, si ritrovò a pensare Steve.
-Benvenuto all’Abraxas Cafè! Cosa posso servirle?-
L’uomo sembrò spostare l’attenzione dal noioso menù plastificato a Steve. E con quello sguardo coperto dagli occhiali, si formò sul suo volto un sorriso sornione.
-Prima di ordinare, vorrei chiederle una cosa: l’Hot American Boy si riferisce ad un cappuccino o al cameriere?-
Oh no.
-Come scusi?-
Non poteva averlo detto davvero. Non poteva.
-Dico: se ordino un Hot American Boy, mi arriva un triste cappuccino o un “hot”, “american” cameriere?- si piegò di più verso di lui, con quel sorriso malizioso tatuato sulla faccia, poggiando il gomito sul bancone.
-Oh mio Dio- Steve chiuse gli occhi, massaggiandosi le palpebre con il pollice e l’indice. Quando capì che non avrebbe risposto, aggiunse sempre più seccato. -Ha intenzione di ordinare qualcosa?-
-Dipende: lei ha intenzione di accettare un invito a pranzo?-
Per Steve questo fu decisamente il colmo: batté le mani sul bancone, portandosi pericolosamente vicino a lui, trovandoselo faccia a faccia.
-Cappuccino, brioche o spremuta. Altrimenti fuori di qui.-
L’uomo di tutta risposta non sembrò per nulla intimorito, anzi, si tolse gli occhiali giallastri con fare sensuale, arpionando i suoi occhi con i propri scuri e profondi –più profondi sicuramente della sua discorsiva.
-Sai, non se ne trovano in giro di occhi così.-
-Sì, e di cretini come te in giro ce ne sono fin troppi.- Steve resse lo sguardo di sfida dell’uomo, ignorando completamente il sorriso sinceramente divertito che adesso sfoggiava sfacciatamente.
Ma soprattutto, dov’erano Peggy e Bucky ora che aveva bisogno di loro? Ora che l’uomo più irritante del mondo gli si era presentato di fronte a fargli avances terribili e vecchie come il cattivo gusto! Eppure avrebbe giurato di averli sentiti tornare, ma sembravano paralizzati come il resto della clientela che, attonita, sembrava dipendere dalla loro conversazione –rendendo il tutto mille volte più imbarazzante ed insopportabile.
In tutto questo, l’uomo non aveva fatto una piega, iniziando a studiare il badge appuntato sul petto del biondo.
-Allora, Steve,- calcò sul suo nome come se fosse la parola più melodica e bella e sensuale di sempre, afferrando il cartellino con un gesto delicato e mettendoselo nel taschino. –Sei libero dopo il turno?-
Cercando di ignorare l’accaduto del cartellino, ma facendolo diventare automaticamente la scintilla per quella che si prospettava la seconda rivoluzione francese, lo fissò impassibile così come la sua voce.
-Buona giornata.-
-Stasera?-
-Buona. Giornata.-
-Stanotte?-
-HO DETTO BUONA GIORNATA!- e qui fu più che sicuro che anche i clienti del bar di fronte si fossero girati a guardarli. A guardare come Steve, rosso peperone, respirasse affannato come se fosse tornato direttamente dalla maratona di New York, e come l’uomo, ridacchiando, avesse lanciato sul bancone un biglietto bianco con qualcosa stampato sopra.
-È stato un piacere, Steve,- si rimise gli occhiali, uscendo velocemente dalla porta, lasciando il suddetto in silenzio per un buon due minuti.
Quando riprese la capacità di parlare, prese il bigliettino fra le mani, buttandolo nella pattumiera senza neanche guardarlo minimamente. Per calmarsi iniziò a pulire i filtri della macchinetta, parlando con Bucky e Peggy ancora silenziosi.
-Ricchi. Vengono qui e pensano di poter fare ciò che vogliono.- passò la spugna sulla gratina sottostante la macchinetta, asciugando il caffè colato lì –L’avete visto che sfacciato?! “Un Hot American Boy è un cappuccino o un cameriere?”, se non se ne fosse andato lo avrebbe scoperto sulla sua pelle, letteralm— batté d’arresto il proprio discorso per ritrovarsi a fissare Peggy e Bucky, che lo fissavano a loro volta, Bucky a bocca spalancata e Peggy con una mano spalmata in faccia. –Cosa?-
-Hai la minima idea di chi fosse quello che hai appena mandato via urlando?- disse la donna, con un filo di voce tremolante.
Steve deglutì, scuotendo la testa, e passando lo sguardo da lei a Bucky che adesso sembrava stesse per strozzarsi dalle risate.
-Amico, allora è vero che guardi la TV solo per Via col Vento!- Barnes non si seppe contenere più piegandosi in due per cercare di arginare la risata che fece ribollire il sangue nelle vene a Steve. Ma non poté obbiettare, perché le parole di Bucky furono più veloci. –Hai appena sfanculato Tony Stark!-
A quel nome la mano sul viso di Peggy affondò, se possibile, ancora di più, mentre accompagnava il tutto con dei lenti dissensi della testa.
Steve non poteva –non voleva- crederci.
Pensando che Bucky stesse facendo un altro dei suoi divertenti-come-il-raffreddore scherzi, andò a frugare d’istinto –e di panico- nella pattumiera dove aveva gettato il biglietto da visita poco prima.
Tolti i residui di caffè, ciò che c’era scritto gli fece gelare il sangue nelle vene:
 
 
 
Anthony Edward Stark
Geniale inventore milionario, playboy e filantropo proprietario delle Stark Industries.
+ 001 (212) 324-4152
 
 
E tra le risate incontrollate di Bucky e i borbottii rassegnati di Peggy, tutto ciò che si trovò a pensare era che quello poteva essere Tony Stark, il Presidente in persona o il Dalai Lama, ma finché si sarebbe approcciato a lui così, sarebbe finito fuori dalla porta –a calci, se necessario.
 
E stizzito, prima di andarsene, urlò contro un Bucky ormai collassato dalle risate.
 
-Allora Tony Stark è davvero uno stronzo!-
   
 
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