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Autore: Bloody_Schutzengel    15/05/2015    1 recensioni
[Primo capitolo della serie: Sotto mille ciliegi]
Anno ****, mese di Agosto, quindicesimo giorno.
Lo stato di Kintou viene stravolto da un violento colpo di stato da parte di estremisti detti Rivoluzionari, che attuano un macabro e violento regime di ferro nella parte orientale del paese. La parte occidentale, invece, è popolata ancora da creature magiche, sacerdotesse e dalla natura. E' chiamata Terra Pura ed è sotto tiro dal generale salito al potere che vuole emulare violentemente i costumi delle popolazioni d'Oltremare, industrializzate e moderne all'esterno ma sanguinose e ingiuste all'interno.
Yoko è una semplice ragazza di Kintou Shuto, la capitale di Kintou Est, che a causa di vari eventi, si troverà ad entrare nell'esercito della morte della città, pur di sfuggire all'esecuzione pubblica. Tra le file, Yoko dovrà affrontare i suoi compagni, tutti uomini, le battaglie, le campagne militari ma soprattutto il vero e proprio generale, del quale è oggetto di desideri perversi e omicidi allo stesso tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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• Capitolo 18 •
Luci di mistero


 
 



“Non è possibile…” Il generale rimase impietrito davanti a quella situazione: sotto le sue mani non sentiva nemmeno più un singolo battito. Si scostò più che immediatamente dal corpo della ragazza, alzandosi e scendendo giù dal letto. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era preoccupato, e anche molto. Si avvicinò al volto della ragazza e le prese le guance tra le mani, sussurrandole parole che gli tremavano sulla punta della lingua. “Che ti prende? Che ti prende? Cristo santo…” Stette per farsi prendere dal panico, ma ricordando che non erano soli in quell’enorme palazzo gremito di soldati, si rialzò in piedi e cercò di mantenere la calma. Si guardò attorno imprecando nervosamente, colto alla sprovvista dalla situazione, quando vide sul comodino il piatto con le briciole di biscotti e il bicchiere vuoto della bevanda. Vide anche il bigliettino, cosa che lo insospettì: s’avvicinò assottigliando gli occhi e lo prese tra l’indice e il medio, come una sigaretta, poi lo lesse.
I suoi occhi si spalancarono: che stava succedendo?
“Chi cazzo ha scritto questa merda?” Imprecò, ringhiando e buttandosi sulla ragazza in fretta e furia. A denti stretti, la prese in braccio facendola scendere dal letto, poi la abbracciò da dietro posizionando un pugno su suo stomaco sotto la cassa toracica e spinse in su. Spinse forte, con tutta la forza di volontà che aveva in corpo, anche se chi l’avesse visto non l’avrebbe detto.
“Andiamo, cazzo… Sputa quei maledetti biscotti, maledizione!” Ringhiava tra sé e sé tentando invano di aumentare l’intensità dei suoi movimenti.
Dopo un po’, Yoko finalmente rigettò quello che aveva ingoiato, ma non accennava a respirare. Nella mente della ragazza, se fosse stata sveglia, si sarebbe delineato il terribile dejà vu di quando Tohma provò a salvarla la prima volta dalle pillole che aveva ingerito per suicidarsi. Già: un terribile dejà vu.
Il generale rimase ancora più pietrificato: Yoko non respirava ancora e il suo cuore non accennava a riprendere a battere.
“Merda… Merda!” La prese in braccio senza pensare e si avvicinò al suo volto. La distese per terra e la guardò per pochi secondi, ma non c’era un minuto da perdere. Uscì dalla stanza e silenzioso come la morte si diresse in infermeria. Imboccò il corridoio che conduceva alla stanza, aprì la porta, la attraversò e s’infilò nella propria camera d’ospedale privata, perché quello che gli serviva era solo lì. Aprì un armadietto, uno dei tanti, prese una boccetta di vetro e la guardò: non era quella. Ne prese un’altra: nemmeno. Dov’era, diamine?! Buttò via tante altre boccette per scoprire che ciò che gli serviva era in fondo all’armadietto: adrenalina. Prese una siringa, del disinfettante e dell’ovatta e scomparve dall’infermeria il più veloce possibile, come fumo nero. Correndo silenziosamente verso la stanza di Yoko, il generale pensava e si ricopriva di domande.
“Chi è stato questo bastardo? C’è qualcosa che non va qui dentro… Dannazione! Devo… No. Non posso annunciare pubblicamente tutto ciò, sarebbe troppo sospetto. Perché dovrei voler rendere giustizia a quella ragazzina? Se devo davvero scoprire chi è stato, devo saperlo solo io. Dannazione!” Rimuginava tra sé e sé quando aprì la stanza della ragazza, trovandola perfettamente uguale a come l’aveva lasciata: era a terra, bianca, dormiente e simile ad una bambola di porcellana. Sembrava il volto di una foto dell’Ottocento delle Terre d’Oltremare, dove su un’isola particolare1 s’usava fotografare i cari morti in modo da preservarne la bellezza. Questo accadeva soprattutto coi bambini, se non andava errato.
Si buttò sulla ragazza, abbassandosi, tentò di scoprirle il collo già nudo, non pensando a ciò che stava facendo e passò l’ovatta sulla morbida carne, Prese la siringa, controllò che non vi ci fosse aria all’interno e la infilzò nel collo di Yoko, sperando che fosse servita a qualcosa. Buttò via l’arnese, si asciugò il sudore con un braccio e il suo volto s’avvicinò a quello di lei pericolosamente. La sovrastò ancora con la sua figura, sporgendosi su di lei carponi e le poggiò le mani sul petto, una sull’altra. Spinse simulando il ritmo dei battiti cardiaci e la guardò respirando affannosamente.
“Andiamo, cazzo… soldato!” Sussurrava tra sé e sé stringendo sempre di più i denti.
Smise di fare quell’inutile massaggio cardiaco alla ragazza e senza pensarci due volte (o altrimenti non l’avrebbe più fatto), prese un respiro profondo e unì le proprie labbra a quelle di Yoko, rilasciando il suo respiro. Si staccò dopo qualche secondo, prese un secondo respiro profondo e lo donò nuovamente alla ragazza, continuando a spingere le proprie mani sul suo petto ad intervalli scanditi, sempre più forti. Quando le sue labbra stettero per toccare per la quinta volta quelle di Yoko, lei balzò mettendosi a sedere. Il generale si spaventò quasi, temendo avesse potuto vederlo così debole e poco temibile e sul procinto di “baciarla”. Ma non la stava baciando, le stava solamente donando il proprio respiro per evitare che morisse, o almeno così si sussurrò lui per incutersi coraggio.
Mentre pensava a tutto ciò, sentiva la ragazza respirare pesantemente, come se fosse stata in apnea per ora, aprendo la bocca il più possibile per rubare all’atmosfera tutto l’ossigeno di cui aveva bisogno. Guardava nel vuoto, con gli occhi nocciola sgranati e intrisi di paura: non aveva realizzato di chi fosse il volto del suo salvatore.
“Stai bene?” Domandò atono il generale, ma la reazione di Yoko fu inaspettata più che improvvisa: lo spinse via, con le labbra dischiusa ed un’espressione che sembrava voler urlare e vomitare l’anima, ma quell’urlo non arrivò. Indietreggiò in ginocchio indicando senza senso il volto del generale con un dito, mentre con l’altra mano si copriva la bocca. Gli occhi erano lucidi di pianto ma fino ad allora nessuna lacrima aveva ancora solcato le sue guance. Lui s’avvicinò con calma, senza sembrare mollemente preoccupato, cerando di mostrarsi forte e disinteressato, ma tranquillo, sebbene dentro avesse tante di quelle domande da farlo impazzire. Che stava succedendo? Credeva mica che fosse stato davvero lui? Dannazione.
“Sta’ calma non sono stato io ad avvelenarti.” Cercò di tranquillizzarla, ma quella cominciò a mugolare terrorizzata qualcosa ed ad indietreggiare sempre di più.
“No… No… No…” Mugolava tra sé e sé senza ragionare e lanciando piccoli gridolini. Il generale si avvicinò a lei di scatto tentando di farla stare zitta: se li avessero scoperti sarebbe stato troppo sospetto. Le mise una mano sulla bocca facendola solamente mugolare ancora di più.
“Sta’ zitta!” Ringhiò quasi disperatamente. “Non ti ho avvelenato io, quel biglietto non l’ho scritto io, non ho preparato quella merda che hai mangiato, quindi, sta’ zitta.” E a quel punto, Yoko si calmò un po’, comprendendo le parole del suo salvatore che la guardava negli occhi tanto penetrante da ipnotizzarla. “Bene… Ora calmati.” La ragazza si mise a sedere, una volta che lui le tolse la mano davanti la bocca con cautela nella speranza che non ricominciasse a sclerare. Si mise anche lui a sedere, di fronte a lei, dimenticando per un momento che la posizione di un generale era solo in piedi, al di sopra dei suoi subordinati.
“Cosa mi è successo…” Sussurrò la ragazza tra sé e sé nel buio, fissando il vuoto.
“Qualcuno vuole ucciderti.” Disse schiettamente l’altro, non preoccupandosi della sensibilità di Yoko.
“Cosa… Chi è stato?” Domandò lei guardandolo persa nei suoi occhi, in cerca di un qualcosa a cui aggrapparsi dopo essere scivolata in un baratro. Proprio come chi sopravvive ad una disgrazia e rimane senza parole davanti ad una notizia capace di distruggerlo dall’interno.
“Che cosa vuoi che ne sappia? Non ho la palla di vetro, io.” Sbraitò scocciato il generale e anche se lei percepì che ce l’avesse con la sua persona, quello pensava al bastardo che aveva osato ucciderla. Non si doveva sapere. Ma se davvero Yoko avesse potuto leggergli nella mente, perché condannare tanto duramente qualcuno che aveva solo tentato di spedirla all’altro mondo? Non era forse la morte il sollievo più grande, secondo il generale? Chi avrebbe ferito tale perdita? Mentre si formulavano così tante domande, passarono secondi di freddo e cupo silenzio in cui i due sguardi non si incontrarono.
“P…Perché?” Tentò di riprendere il discorso la ragazza.
“Perché sei una femmina. O almeno credo che sia questo il motivo. Avere una donna nell’esercito è un sacrilegio, anche se ti ho fatto venire qui per punirti con qualcosa di peggio che la morte.” Nel pronunciare quelle parole, la voce del generale servava un pizzico di malinconia, di nostalgia dolorosa, come se qualche mostro dentro di lui stesse per venire a gala dopo tanto, troppo tempo.
“Avete ancora intenzione di… punirmi?” Fece Yoko, innocuamente. Il generale non rispose. Passò un lungo minuto senza che si proferisse parola.
“Non deve interessarti quello che penso, stupida.” Si alzò e guardò in alto, nel vuoto. “Domani…” Pensò tra sé e sé… “Domani si vedrà.”
“Adesso alzati e va a dormire, domani all’alba non farò eccezioni: chi non si regge in piedi resta indie-“
“Ho visto un uomo…” interruppe Yoko, credendo di guadagnarsi un’occhiataccia, che non arrivò. Il generale si voltò interessato a ciò che aveva da dire, ma non lo diede troppo a vedere, facendole cenno di continuare. “In realtà, sembrava un essere volatile… Come se fosse fatto di fumo, come fosse… uno youkai.”
Il silenzio calò nella stanza un’altra volta, poi il generale s’alzò e se ne andò, sussurrandosi che avrebbe preso dei provvedimenti.
Intanto, Yoko si cambiò e si stese sul suo letto, rimandando la miriade di domande nella sua testa al giorno dopo.
 
 
Borse sbattute per terra, catene di soldati che caricavano provviste su carri e mezzi di trasporto. Braccia che si muovono, bocche che urlano comandi, permessi, divieti, mani che impugnano borsoni, bagagli, provviste. Soldati che stanno in piedi impugnando trombe in attesa della partenza per la campagna militare. In tutto questo trambusto, il generale si aggiustava il colletto dell’uniforme, l’alto colletto nero dal bordo dorato che copriva metà del suo collo in modo lineare. Si mise il cappello, guardandosi ancora allo specchio, non troppo vanitosamente perché non aveva nulla di cui vantarsi se non dell’enorme potere che deteneva. Rimase in silenzio davanti la sua immagine riflessa con le mani sul primo bottone della divisa, pensando tanto a tutto quanto a niente.
Uscendo dalla stanza, velocemente e composto, incontrò vari dei suoi subordinati che lo salutavano inchinandosi e chiamandolo con gli appellativi che lui preferiva. Egli non se ne curò più di tanto, intento a pensare ad un modo per trovare l’uomo che aveva tentato di uccidere Yoko. Non era mica stupido: i fantasmi non esistevano, tantomeno fu contento di sentire la parola “youkai” che gli ricordava quel noioso culto antico di Kintou Ovest. Capì subito da quell’affermazione della ragazza che doveva essere stata cresciuta da fantocci… In un certo senso era un bene che fossero stati uccisi, allora? Forse quel soldato delle pattuglie aveva solo smascherato l’inganno di sua madre e suo padre, ma restava ancora un punto interrogativo: come mai risolvere da soli tale faccenda se era obbligatoria l’esecuzione sulla ghigliottina pubblica? Bisognava risolvere questo mistero il più in fretta possibile.
Tornando indietro dal lungo il corridoio dov’era la stanza di Yoko, incrociò lo sguardo dell’indesiderato vice generale. Decise di affrontarlo come una violenta folata di vento.
“Che ci fai qui? Sparisci.” Lo avvertì da lontano, già guardandolo male.
“Stavo controllando solamente se tutti i soldati fossero presenti all’appello…” Fece lui con un’aura viola e misteriosa, senza far trasparire alcun sentimento.
“Non mi interessa, non è compito tuo. Vai a raccontare queste stronzate a qualcun altro. Come quel…” No, non poteva dirgli del bigliettino, lui non avrebbe dovuto intromettersi… “Sparisci e basta.”
“Io vedo tutto, mio generale, non c’è bisogno di preoccuparsi di nascondere i propri pensieri.” Sussurrò quello tra sé e sé abbastanza vicino al suo superiore da farsi sentire e da far salire l’inquietudine nel suo corpo. Peccato che fosse un elemento fin troppo importante e pericoloso per lasciarlo solo al comando del palazzo. A questo c’avrebbe pensato l’altro vice, che sembrava essere l’opposto di Heizo: originario della Terra Rossa, piegatosi al regime di sua spontanea volontà, era il più fidato tra i soldati del generale, tanto da superare Heizo.
Yoko era scesa per tempo dalla sua camera, all’alba, come da programma. Volò giù le scale e seguì gli altri soldati per capire dove fosse il punto d’incontro. Uscì dal portone d’ingresso del palazzo e si allineò in fila agli altri commilitoni, nell’attesa che il generale uscisse e diede il segnale di partenza.
Adesso era il momento di rispondere a tutte quelle fastidiose domande che le stavano spuntando in mente ogni secondo dalla sera prima. Prima di tutto, era solo una sua impressione o lo youkai che aveva visto era davvero uno youkai? Per lei non c’era da stupirsi che esistessero tali creature, ma perché avrebbero voluto ucciderla? Ma ancora… Quello youkai assomigliava spaventosamente a quell’uomo che la seconda notte aveva tentato di violentarla e ucciderla. No, non ci assomigliava: era perfettamente identico a quell’uomo, che tra l’altro era uguale a Tohma. Ma Tohma non l’aveva picchiata, non era stato lui e nell’esercito non c’era alcun soldato, ebbe modo di notare, che fosse simile a colui che le aveva fatto sputare tanto sangue. Che strano mistero… Quell’individuo era fatto di materia, la seconda notte, mentre era sicura che si trattasse di uno spirito nella scorsa. E se fosse stato davvero Tohma per tutto quel tempo? I fili di ricollegavano: prima che Tohma morisse l’uomo era fatto di materia, mentre dopo l’esecuzione del suo amico, era apparso prima a suo cugino Hatori e poi ancora a lei. Ma allora, se era dalla parte del generale che voleva tanto torturarla, perché era stato ucciso? O forse il generale era dalla sua parte? Non era possibile, non poteva volerla salvare, sarebbe stato incoerente. Le aveva sputato in faccia insulti, l’aveva torturata, le aveva quasi uccido colui a cui teneva di più al mondo. Sarebbe mai riuscita a risolvere questo enigma? Dall’altra parte del portone, il generale si domandava lo stesso.
Le trombe iniziarono a suonare appena il capo del regime uscì dal proprio palazzo, marciando in mezzo alle due file di militari schierati ordinatamente. Dietro di lui, il vice generale e man mano, gli altri subordinati che si univano in fila per sei o sette, al seguito del loro punto di riferimento. Si fermarono e il generale fece cenno ai carri che trasportavano le provviste di partire. La gente guardava estasiata quello spettacolo, mentre quel fiume di divise veniva abbagliato dalla luce che trapelò violenta dalle porte della città: la luce di un nuovo inizio, forse, anche per Yoko.
Lei era tra le prime file e poteva vedere, i capelli del generale ondeggiare ad ogni passo, ad ogni soffio di vento che sembrava trasportarne l’odore fino a lei. Yoko inspirava profondamente dalle narici, per assaporare quel dolce profumo di fiori, cercando di non rovinarsi quel momento pensando a chi appartenesse.
Dopo qualche miglia da Kintou Shuto, si iniziava a sentire la differenza del paesaggio, meno influenzato dal regime della città, che però aveva il suo peso anche sulle terre limitrofe: c’erano piccoli villaggi grigi con qualche piccolo santuario per gli antenati in casa, nascosto, dato che le pattuglie non c’erano sempre e passavano ogni tanto a controllare la situazione dando per scontato che fosse tutto regolare. La gente era povera, senza lavoro e senza soldi. Erano tutti ridotti alla fame, sì, ma passando nel piccolo villaggio, alcuni abitanti avevano la forza di sorridere alla piccola Yoko che ricambiava quando poteva. Loro percepivano la buona volontà della ragazzina che invece diventava sempre più triste man mano che le persone aumentavano.
Usciti dai primi villaggi limitrofi, si intravidero le prime pianure verdi, non troppo rigogliose ma che conservavano un bagliore di vita. Il cielo si era schiarito ed i primi raggi di sole penetravano tra i lunghi capelli del generale, per quello che Yoko riuscisse a vedere. L’erba era stopposa, secca in alcuni punti, ma ancora verde ed le era rimasto un po’ del suo profumo tipico di rugiada. In lontananza, quando i carri delle provviste non passavano davanti a Yoko che era la prima della sua fila, si riuscivano a vedere delle piccole figure nere: erano i lavoratori delle risaie, che sotto l’umido cielo tentavano di guadagnarsi la ciotola di riso giornaliera con tanta, forse troppa fatica. Yoko sorrise: nonostante tutto, era bello poter vedere qualche segno di quella che si poteva chiamare vita anche solo in parte. Non avrebbe mai pensato che quelle lunghe ore di marcia fossero state tanto rincuoranti.
Oltrepassate le pianure e le prima colline fangose ed aride, l’esercito si fermò per qualche minuto sulla cima di un altopiano per osservare l’orizzonte e verificare che la loro meta fosse lì dove se l’aspettavano. Yoko rimase senza fiato: da quel burrone verde, poteva vedere il netto confine tra Kintou Est e la Terra Pura: una fitta foresta di alberi giganti, sempreverdi che difendevano la loro terra. Un tappeto verde scuro sotto il cielo cosparso di dolci nuvole che lo facevano sembrare ancora più bello: finalmente, dopo tanto tempo, Yoko poté vedere la vera luce del giorno che le era stata negata da quando era nata, sotto quelle nubi grigie e sanguinose. Chissà se dietro quella foresta avrebbe trovato la libertà, anche solo per qualche secondo. Chissà se l’avrebbero accolta facendola sfuggire da quell’esercito… Chissà…
Continuarono ad avanzare, scendendo dal burrone per una ripa erbosa scoscesa, mentre le bandiere del regime bianche e rosse sventolavano impure a causa di quell’alito di vita. Sotto la luce del giorno, i riflessi verdastri e melmosi dei capelli del generale non erano più solo riflessi, ma il colore vero di tutta la chioma che ondeggiava nel vento. Che strano pigmento: come facevano ad essere così… verdastri? In effetti, adesso solamente a Yoko veniva da pensare a tutti i misteri che il generale celava. Per cominciare, quei lunghi capelli che non aveva mai tagliato, o almeno così credeva. Perché tenerli tanto lunghi e liberi e per di giunta perché non aver soffocato quei riflessi verdastri nella pece? Era l’eccezione che doveva confermare la regola? E poi, ancora: com’era possibile che al suo arrivo avessero pronti un kimono da donna ed una camicia da notte da donna? In effetti, il kimono forse apparteneva ad una di quelle ragazze della stanza proibita. Solo a pensarci, Yoko rabbrividì all’immagine di quella stoffa macchiata di perversione che aveva dovuto indossare. Ma rimaneva la camicia da notte: era della sua taglia, femminile e delicata. Come se l’erano procurata se non erano accettate le donne nell’esercito così fermamente tanto da far desiderare la morte di Yoko? Il vestito bianco! Come aveva potuto non pensarci? Il vestito da lei indossato per il ballo donatole dal generale. Quello da dove l’avevano preso? Perché avere anche dei gioielli? Di chi erano quei preziosi oggetti che quel mostro le aveva donato? Forse, aveva avuto una moglie segreta? Eppure era così giovane per avere una moglie: Yoko non gli avrebbe dato più di una ventina d’anni, all’apparenza. C’erano troppi misteri ancora da risolvere.
Arrivarono alle porte della foresta e si inoltrarono tra gli alti alberi scuri: erano sottili ma imponenti, dalle foglie che sembravano aghi ed erano alti fino a dieci metri o anche di più. Yoko si sentiva persa in quel paesaggio naturale e puro che l’abbracciò presto da ogni lato. A destra, a sinistra, davanti e dietro: i raggi di sole penetravano sottili e luminosi tra le foglie di quegli alti pini, illuminando i capelli del generale e i suoi cordoni dorati, creando uno spettacolo di colori meraviglioso che faceva apparire innocue tutte quelle divise nere. Il sottobosco scricchiolava sotto le ruote dei carri e sotto i piedi dei soldati in marcia, creando con il canto della natura un’orchestra meraviglioso.
Dopo essere penetrati più a fondo nella fitta foresta, in lontananza si intravide una specie di radura dl terreno macchiato d’erba solo qua e là e con qualche albero nel mezzo: un luogo perfetto per l’accampamento. Yoko si sentiva libera: chiuse gli occhi e si lasciò andare al suono del vento, finché un suono di un tonfo non la fece risvegliare: un soldato in prima fila era caduto a terra.
Tutti gli altri compagni di guerra della ragazza si erano fermati per ordine del generale che soccorse il suo subordinato rimanendo freddo e impassibile. Si accovacciò su di lui e notò che da sotto il colletto della divisa, spuntava del rosso. Gli aprì la giacca, scoprendogli il petto e si mostrò a lui una gigantesca bruciatura rossastra sulla pelle del soldato. Essa dipingeva sulla sua carne una specie di disegno che pareva quasi un drago. A giudicare dal gemito di dolore del malcapitato, doveva trattarsi di una specie di scossa elettrica.
“E’ qui…” Sussurrò il generale a sé stesso. “Portatemi il cordone!” Ordinò, ed una decina di soldati ubbidirono, correndo verso uno dei carri delle provviste, da cui tirarono fuori un’enorme cordone dallo spessore di almeno un decimetro, biancastro e resistente. Sotto segno del loro capo, si fermarono. Yoko, per il trambusto, era finita nella prima fila del seguito, proprio di fianco al generale. “Disponetevi in modo da afferrare saldamente un pezzo di corda, soldati, forza! Muoversi!” I suoi subordinati ubbidirono immediatamente, afferrando un pezzo di quel cordone pesante e sporco di polvere che la ragazza, invece, indugiò a toccare.
“Cosa… cosa succede?” Sussurrò a sé stessa, nella speranza che qualcuno le rispondesse.
“E’ la barriera della Terra Pura, solo i puri possono passare, altrimenti nel migliore dei casi si finisce come quel soldato.” Guardò il ragazzo per terra, ferito e paralizzato. “Una scossa elettrica, un’abrasione a forma di drago e la paralisi. Entro qualche ora, si muore. Quella stronza di Nami l’ha progettata davvero bene questa cosa, eh?” Continuò sibilando tra sé e sé. “Tu.” Si rivolse a Yoko. “Mettiti davanti a tutto e afferra un pezzo di corda. Al mio segnale, stendi un braccio davanti al corpo e apri bene la mano verso la barriera. Appena senti che si riscalda, comincia a camminare.” Le ordinò il generale, ma Yoko, confusa, ci mise un po’ ad elaborare le parole che glie erano appena uscite da bocca. “Muoversi!”
“Io… non…” Rimuginava nella propria testa la ragazza, ma lo sguardo del generale si faceva sempre meno intransigente.
“Ubbidisci, soldato!” Ordinò. “E speriamo che tu non ci lasci le penne…”

 

 
 
• Note dell’autrice 
 
 
 
Ebbene! Un capitolo senza parole in giapponese? Mi dispiace, già… Ma spero vi sia piaciuto lo stesso e che non vi abbia deluso! Ho fatto i salti mortali per aggiornare questo capitolo, perché fino a martedì non potrò aggiornare, poiché sarò a Roma per gli internazionali di Tennis e poi sarò sommersa da altri impegni. Quindi, spero che non abbandonerete la storia e che recensiate anche questo capitolo! Alla prossima, vi voglio bene <3
 
-Bloody Schutzengel
   
 
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