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Autore: Kerri    17/05/2015    8 recensioni
[CaptainSwan: AU] [Accenni Rumbelle, Snowing, OutlawQueen]
Emma Swan si è trasferita a New York a 17 anni, accettando una borsa di studio che le avrebbe cambiato la vita, lasciandosi alle spalle un'infanzia difficile, Storybrooke e il suo migliore amico. Ma ha dovuto vedere tutti i suoi sogni frantumarsi, schiacciati dalla consapevolezza di aspettare un figlio.
Adesso la sua vita si è stabilizzata, ha Henry, gestisce un negozio di antiquariato e non sa che la sua vita sta per cambiare drasticamente, riportando a galla i più nascosti fantasmi del suo passato.
Killian Jones ha un'unica regola nella sua nuova vita: basta impegnarsi. È uno degli architetti più promettenti di New York e un giorno, riceverà una proposta che potrebbe dare una svolta alla sua carriera. Ma per farlo, dovrà collaborare con una sua vecchia conoscenza, riaprendo ferite mai rimarginate.
Il destino, continuerà a prendersi gioco di loro e dei loro amici, tra incontri, scontri e colpi di scena. Ma riusciranno Emma e Killian a perdonarsi e a ricominciare? Riusciranno, insieme, a riscrivere il loro destino? E se questo non fosse stato ancora scritto?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. An Unexpected Circumstance

 
“In fondo ad ogni vita scorre una infinita saggezza
che permette di far arrivare le cose giuste
al momento giusto”
S.Tamaro
 
Quella mattina, Emma si era svegliata di pessimo umore. Era rientrata di nuovo tardi, quasi all’alba e non aveva dormito neanche un’ora. Il suo aspetto non era dei migliori, ormai le occhiaie non la abbandonavano più e le labbra erano tutte screpolate. Tuttavia non le dispiaceva più di tanto, ormai era diventata quasi un’abitudine.
Doveva ammettere che la sua vita non era mai stata facile ma adesso, stranamente, aveva trovato un equilibrio. Certo, qualche volta si dimenticava di mettere la sveglia e Henry faceva tardi a scuola per colpa sua, oppure si dimenticava di andare a comprare il latte, ma poteva dirsi quasi soddisfatta della sua vita.
Il problema, però, era proprio quel quasi.
Aveva dovuto lottare per raggiungere quell’equilibrio, sacrificando i suoi sogni e immolandoli per una giusta causa: suo figlio.
Per la sua felicità aveva fatto cose che non avrebbe mai pensato di poter fare, alcune delle quali non andava molto fiera. Ma non se ne pentiva perché il suo unico obiettivo era il bene di Henry e la sua felicità. Non poteva non ammettere che le mancavano le prove estenuanti prima di uno spettacolo, le mancava quell’adrenalina prima di salire sul palco e le mancava la stoffa leggere dei tutù.
Ma suo figlio, riusciva a ripagare ogni suo sacrificio ed era grata che, dodici anni prima, non avesse deciso di darlo in adozione. Ad abortire non ci aveva neanche pensato. Non ne aveva le forze, non avrebbe mai negato un futuro a quella minuscola creaturina che cresceva dentro di lei, anche se questo avrebbe compromesso il suo. Probabilmente perché non voleva negare anche a lui, un’infanzia felice. Si chiese cosa avesse fatto se non fosse partita, se all’epoca, non fosse a New York.  
Scosse la testa, cercando di scacciare via quelle immagini dalla mente. Non doveva avere rimpianti. Era così che Emma Swan andava avanti, cercando di non pensare al passato e focalizzandosi soltanto sul presente, altrimenti il peso dei ricordi l’avrebbe schiacciata.
«Swan, per l’amor del cielo, vuoi smetterla di pulire quel dannato bancone?! Finirà per consumarsi!»
La donna dai capelli biondi alzò gli occhi spaventata. Non si era neanche accorta che Regina aveva fatto il suo ingresso nel negozio.
«Ciao!» la salutò continuando a passare lo straccio sul bancone, ignorando ciò che la donna le aveva appena detto.  
«Emma!» tuonò la giovane dai capelli corvini, alquanto irritata. Odiava quando le persone non la ascoltavano e soprattutto odiava quando Swan si rinchiudeva nel suo piccolo mondo, non lasciando entrare nessuno. Perfino lei, che la conosceva da una vita ormai, non aveva ancora capito bene quale fosse la chiave giusta per entrare nella sua testa.
«Domani hai una cena! Una cena molto importante! E devi essere in forma!» le disse, strappandole di mano la pezza.
«Regina, non ho intenzione di indossare nessun vestito!» annunciò la bionda, capendo al volo ciò che la sua amica intendesse dietro quelle parole.
«Oh no, Swan e invece lo indosserai! Eccome se lo indosserai!» disse estraendo una busta dalla borsa e porgendola alla sua amica. Un sorriso beffardo le si dipinse sul volto.
Emma strabuzzò gli occhi e incrociò le braccia al petto.
L’aveva incastrata! Maledetta!
«Non è quello che penso, vero?» disse Emma, nonostante sapesse già la risposta. 
«È esattamente quello che pensi!» sorrise Regina, frantumando anche la più piccola briciola di speranza della giovane Swan.
«Ci vediamo domani, cara! Sarò da te alle cinque! Non hai scuse! E smettila di frignare, sembra che ti abbiano condannato al patibolo!»
La donna sbuffò.
«Ah, questo lo tengo io! Non si sa mai cosa può passare nella tua testolina! Mi è costato una fortuna!»
Detto questo, rimise la busta nella borsa e uscì dal locale, dirigendosi verso la sua auto rosso fuoco.
Emma sospirò.
Regina non aveva tempo per accompagnarla a quella maledetta cena, ma per andare a fare shopping e comprarle un vestito costoso, be’ allora ce l’aveva.
Si diresse verso il retro nel negozio. Doveva sistemare ancora gli ultimi oggetti.
Controllò l’orologio, mancavano otto ore. La sua vita stava per cambiare.
 
Storybrooke, 15 Giugno 2004
 
Killian Jones sapeva che il college non era un gioco e che se voleva diventare qualcuno, avrebbe dovuto impegnarsi sul serio.
Così decise di cominciare fin da subito. Con molta forza di volontà, dimostrò ai professori di poter passare l’anno anche senza aver frequentato tutte le lezioni. Loro vollero dare un po’ di fiducia a quel ragazzo dai capelli corvini e gli occhi color del cielo perché, forse, avevano capito che qualcosa in lui era cambiata.
Killian per parecchie settimane, non pensò ad altro se non alla scuola. Restava sveglio fino a tardi e studiò libri su libri perché potesse ritornare al passo con i suoi compagni. Ormai, la metà del suo sangue era un concentrato di caffeina e qualche volta, si era perfino concesso il lusso di qualche sigaretta.
Il giorno tanto atteso, arrivò prima che il ragazzo potesse accorgersene e si ritrovò seduto in una classe, con una matita e un foglio bianco, in attesa di ricevere i risultati della sua prova.
Credeva di aver fatto un buon lavoro, era indeciso soltanto su un paio di domande.
Le lancette dell’orologio continuava a scorrere e Killian le guardava scivolare lente e silenziose.
Si rigirava la matita tra le mani, scarabocchiando sul bordo del foglio.
Fissò la porta.
Ancora nessuno.
Ma quanto ci mettevano a correggere un misero compito in classe?
Sentiva goccioline di sudore scendergli lungo la schiena e il cuore martellargli nel petto. Che ansia.
Si alzò e vagò silenzioso per l’aula, puntando i suoi occhi limpidi sui cartelloni colorati appesi alle pareti e curiosando nel piccolo armadio accanto alla finestra.
Tutto pur di tenersi impegnato.
Tutto purché la sua mente fosse impegnata.
Perché sapeva che se le avesse dato libertà di correre e viaggiare, lo avrebbe portato da lei. Qualsiasi cosa lo riportava da lei e al momento, non era un bene per lui. Al momento, l’unica cosa di cui avrebbe dovuto preoccuparsi era l’esito del suo esame.
La porta dietro di lui si aprì e il professor Montgomery entrò con un sorriso sul volto. Il cuore di Killian prese a martellare incessantemente.
«Signor Jones, siamo davvero sorpresi! La sua prova è perfetta, nessun errore! Tant’è che il preside ha voluto accertarsi di persona se avesse usato metodi “alternativi” ma noi gli abbiamo assicurato che era tutto frutto della sua spiccata e nascosta intelligenza!»
Killian sorrise, abbassando lo sguardo e grattandosi la nuca come faceva sempre quand’era in imbarazzo. Di solito, i professori non lo lodavano. Di solito, lo sbattevano in punizione.
«Sono convinto che otterrà ciò che desidera, Jones! Mi dispiace soltanto che non abbia scoperto questa passione per lo studio qualche anno prima!»
Il professore si congedò, stringendogli vigorosamente la mano.
Era bello.
Era bello avere qualcuno che crede in te, nonostante il tuo passato, nonostante i suoi sbagli.
Sì, professore. Ce la farò.
Proprio così Em, ce la farò. E un giorno, ci rincontreremo.
 
Killian trascorse quella settimana elaborando un progetto dietro l’altro. Non aveva la minima idea di quanto grande fosse la pianta, delle misure, dei colori ma lavorare gli faceva bene.
Lo rendeva meno nervoso e più sicuro di sé. Decise che avrebbe portato i suoi schizzi la sera della cena, così per dare un’impressione positiva e non lasciarsi cogliere impreparato, nel caso la signora Gold chiedesse qualcosa. David decise di trasferirsi a casa sua, per evitare che facesse sciocchezze. Vani furono i tentativi di smuovere l’amico, il martedì mattina bussò alla sua porta con un piccolo borsone e una scorta di birre ghiacciate. Killian lo lasciò entrare solo perché aveva portato le birre.
Nonostante questo, doveva ammettere che non gli dispiaceva avere compagnia in casa. Certo, escludendo il russare di David, il suo disordine e il suo grande appetito…
A parte questi piccoli dettagli, David e Killian si divertirono insieme, condividendo per quattro giorni lo stesso tetto.
«Amico, se ritornerò nel mio appartamento, avrò bisogno del tuo aiuto per pulirlo…»
«Nolan, quando ritornerai nel tuo appartamento, ovvero presto, ti conviene chiamare la disinfestazione!» disse Killian, aprendo il frigo.
Era ormai sabato mattina, la cena era ormai imminente e l’ansia di Killian cresceva sempre più.
Stranamente, la maggior parte delle persone, non mangia quando si trova in una situazione difficile; Killian no. In quella settimana aveva fatto più visite al supermercato di quante ne avesse mai fatte in vita sua.
Certo, la presenza di David influì di molto, visto che ingurgitava panini a tutte le ore.
«Ti è arrivata una mail dalla tua simpatica assistente…» mormorò David, intento a trafficare con il laptop del suo amico.
L’uomo richiuse immediatamente il frigo e si incamminò verso il divano.
«La smetti di farti gli affari miei?!» chiese, prendendo il computer e poggiandolo sulle sue gambe. David sbuffò.
«Dice che l’assistente del signor Gold ha mandato gli orari e l’indirizzo esatto…»
«Fammi vedere!»
«Alle sette e mezza, devo essere da loro e fortunatamente la casa non è lontana!» constatò l’uomo, pensando già a quale strada avrebbe dovuto prendere per evitare traffico.
David prese di nuovo il computer per leggere meglio.
«Amico, se ti sei preso una cotta per la Blanchard puoi dirmelo!» esclamò Killian di punto in bianco.
David divenne paonazzo, andando a confermare i suoi sospetti. Da qualche giorno diventava sempre agitato quando Killian nominava la giovane dai capelli corti, domandava di lei e poi ritornava ad odiarla.
«Non ho una cotta per lei!»
«Sì, certo e io sono Johnny Depp!» rise l’uomo, cercando di smorzare la tensione.
Guardò l’orologio. Il conto alla rovescia era cominciato.
La sua vita stava per cambiare.
 
New York, 15 Marzo 2004

Le lezioni alla New York Academy of Arts erano estenuanti. Emma si allenava tutti i giorni per tre ore, a volte anche quattro o cinque. E tutte le mattine, doveva assistere a lezioni teoriche di musica, storia della danza e recitazione, cinema, disegno e tante altre materie di cui non ricordava neanche il nome dei professori. Ovviamente aveva chiesto di specializzarsi nella danza ma la scuola prevedeva che studiasse tutte e le materie e a lei questo non dispiaceva più di tanto.
All’inizio fu più difficile di quanto si fosse aspettata. Era sola al mondo, in una città in cui non conosceva niente e nessuno. Non fu facile farsi accettare, entrare nelle grazie dei professori e dimostrare a tutti ciò di cui era capace. Si era allenata duramente per tutta la sua breve vita, la danza era parte di lei da ché ne aveva memoria e non poteva permettere che questa occasione le scivolasse dalle mani.
Quel giorno, come tutti gli altri, si alzò di buon ora e prima di prepararsi per le lezioni, cercò di riordinare un po’ il piccolo monolocale che i soldi ricevuti dalla donna che, chissà per quale assurdo motivo, aveva deciso di prendersi cura di lei, le avevano permesso di affittare. La sua coinquilina, una tipa piuttosto disordinata, aveva lasciato una fila di piatti sporchi da lavare nel lavello. Guardandoli Emma storse il naso, immaginando la puzza e la fatica che avrebbe fatto nel cercare di scrostarli. Sospirando indossò un paio di guanti, lanciando un’occhiata di sfuggita al grande orologio appeso al muro, uno dei pochi oggetti di arredamento che spiccavano in casa, e notò con forte dispiacere che aveva più tempo di quanto credesse. Così si mise al lavoro, cercando di ricordare la coreografia che avrebbe dovuto provare nel pomeriggio.
«Buongiorno!» la salutò una voce piuttosto assonnata. Emma si voltò e sorrise di fronte allo spettacolo che le si prospettava davanti: la giovane Anna Harendel, nonché sua coinquilina, si massaggiava gli occhi con una mano mentre con l’altra cercava di districare quell’enorme massa di capelli rossi che le incorniciavano il volto e che di prima mattina, erano parecchio disordinati e crespi. La giovane dai capelli biondi non poté non trattenere un sorriso.
«Buongiorno a te Anna! Dormito bene?» chiese, ritornando a preoccuparsi delle ultime posate.
Emma sapeva che la sua era una domanda retorica. Era più che certa che la giovane dai capelli rossi avesse dormito come un ghiro, ricordando quanto russasse la notte precedente.
Doveva ammettere che era stata più che fortunata a trovare una coinquilina come Anna. Certo, era la persona più disordinata del pianeta e se avesse cominciato a parlare, difficilmente qualcuno l’avrebbe mai fermata, ma era una ragazza dal cuore d’oro, sempre pronta a dare una mano, sempre coraggiosa e piena di vita. Almeno dopo il solito caffè della mattina.
«Emma! Mi dispiace tanto, avrei dovuto lavarli io quei piatti! Oh sono così disordinata, puoi perdonarmi? Ti prometto che stasera lavo tutto io e anche domani! Che pessima coinquilina che sono! Non sarei dovuta andare a dormire così presto ieri sera, dovevo tenerti un po’ compagnia! Povera, chissà come ti sentirai, tutta sola…»
Anna, sebbene fosse poco più giovane di Emma, aveva questo innato senso materno verso ciò che la circondava. Si preoccupava di tutto e di tutti, a partire dalla minuscola piantina che Emma le aveva portato come regalo, per finire al cagnolino della loro vicina. Ormai la giovane l’aveva capito, ma non poté fare a meno di sentirsi infastidita da tutte quelle attenzioni. Non ne aveva mai avute, era da sempre riuscita a cavarsela senza l’aiuto di nessuno, escludendo Killian. Qualcosa nel suo cuore, le impediva di aprirsi totalmente con il resto del mondo, sebbene sapesse che Anna fosse una delle persone più dolci che aveva avuto la fortuna di incontrare.
Forse, la infastidì così tanto perché in fondo aveva ragione. Non era facile, per niente. Non era facile svegliarsi in una città sconosciuta, sola e distante da coloro colui che amava. Non era facile abituarsi al ritmo frenetico di quella grande città, imparare gli orari delle stazioni, delle fermate della metropolitana. Non era facile vivere con quel poco che la sua madre affidataria le inviava, comprarsi da mangiare e tutto ciò che le serviva per le lezioni. No, non era per niente facile. Ma la fortuna, un giorno, aveva deciso di sorriderle quando le aveva concesso quella borsa di studio e lei non aveva nessuna intenzione di sprecarla. Voleva portare avanti il suo sogno e realizzarlo. Era stata una sua scelta, una sua decisione. E non se n’era pentita. Eppure c’era qualcosa dentro di lei che le mancava, un piccolo pezzettino, all’apparenza insignificante, ma senza il quale non riusciva a sentirsi completa.
Non aveva nostalgia o forse si illudeva di non averne. Ogni giorno dava il meglio di lei in tutto ciò che faceva, si sforzava nel far capire ai professori che sì, quella borsa di studio se l’era meritata dopotutto e non era soltanto un’incapace e sciocca ragazzina di campagna. Alla sera, quando ritornava a casa era stanca, sfinita. Con un po’ di fortuna, Anna aveva cucinato una delle sue specialità, lasciandone un po’ per lei e lei mangiucchiava qualcosa mentre finiva qualche compito. Dopo di che, si infilava sotto le coperte e piombava in un sonno profondo.
«Sto bene Anna, davvero! Non preoccuparti!» disse, ridestandosi e tirando il volto in un sorriso, un po’ meno vero del precedente.
La ragazza annuì e si versò la solita tazza di caffè che l’aiutava ad affrontare il mondo. O almeno, così diceva lei.
Emma si sfilò i guanti gialli e corse in bagno a prepararsi per una nuova, intensa, giornata.
Ce la farò, Killian. E tu sarai orgoglioso di me. E un giorno ci rincontreremo.
  
Ok.
Era tutto pronto.
Emma si fissò un’altra volta allo specchio. Indossava il vestito regalatole da Regina. Era carino, corto e nero. O almeno queste furono le prime tre parole che le vennero in mente, quando la donna glielo mise addosso.
Davanti era piuttosto semplice, così la sua amica le aveva prestato una collana gioiello. Dietro, invece, si apriva in una scollatura che lasciava seminuda la sua schiena bianca. Doveva ammettere che Regina aveva fatto un buon lavoro rendendola presentabile, ma si sentiva comunque un po’ a disagio. Aveva acconsentito, seppur controvoglia, ad indossare di nuovo i tacchi ma, in cambio, era riuscita ad ottenere due piccole vittorie. Avrebbe potuto indossare un cardigan, per coprire la schiena e le braccia e, cosa più importante, i capelli sarebbero rimasti sciolti, liberi da qualsiasi intricata acconciatura ideata dalla donna dai capelli corvini.
Sospirò.
«Swan, se continui a guardarti stai pur certa che lo specchio si consumerà!»
«Ma è proprio necessario? Dopotutto è soltanto una cena!»
Se fosse stato per lei, si sarebbe presentata in jeans. E scarpe comode.
Tuttavia restava sempre una cena a casa di Robert Gold e per quanto volesse ignorarlo, non era un dettaglio così insignificante.
«Soltanto una cena?! È meglio per te che io faccia finta di non aver sentito! Adesso alza il tuo bel sederino e infilati quel dannato cappotto! Il taxi starà per arrivare!»
Emma fece come le ordinò l’amica. Si infilò il cappottino nero che aveva comprato qualche settimana prima a saldo e molto lentamente, si incamminò verso la stanza di Henry per salutarlo. Quella sera, lui e Regina sarebbero restati a casa, a mangiare sushi e a guardare un film. Oh, quanto li invidiava!
«Sembri un ippopotamo! Una donna deve saper soffrire senza darlo a vedere agli altri! Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro!» la apostrofò Regina, mentre la seguiva in camera del bambino, che bambino ormai non era più.
Emma sapeva che la donna si stava riferendo alla danza, alla grande quantità di sacrifici e dolori che aveva dovuto sopportare, sempre con il sorriso.
Dopotutto aveva ragione. Aveva sopportato caviglie doloranti, lividi alle ginocchia, distorsioni, strappi per settimane. Un paio di scarpe alte non sarebbero state la sua fine.
Salutò il figlio leggermente più sollevata, facendosi promettere che si sarebbe comportato bene e non avrebbe fatto arrabbiare Regina. Promessa inutile in quanto Regina ed Henry andava più che d’accordo, ma Emma si sentiva più sicura ricordandoglielo ogni volta.
Il campanello suonò, segno che il taxi era arrivato.
«Sei proprio sicura che non vuoi andarci tu?» chiese. Una piccola fiammella di speranza era ancora accesa in lei.
«Non ho sprecato il mio pomeriggio per giocare a farti a bella Swan! Adesso muoviti!» disse, spingendola fuori di casa e chiudendo la porta.
 
Le strade di New York si susseguivano, una dietro l’altra. Il tassista era stato gentile, aveva cercato di iniziare una conversazione ma Emma non era molto in vena di parlare del traffico o del cattivo tempo in arrivo. Così i miseri tentativi dell’uomo erano caduti, dopo aver superato il primo semaforo.
Regnava uno strano silenzio all’interno dell’abitacolo, segnato soltanto dal ticchettare del contakilometri e dai continui sospiri della giovane donna.
Emma era seduta sul sedile posteriore, le mani strette in grembo e lo sguardo perso.
Di cosa avrebbe parlato? Si sarebbe sentita a disagio? Che uomo era il signor Gold?
Di certo non era famoso per essere l’uomo più buono e altruista del mondo, anzi.
Si chiese cosa avesse portato una ragazza tanto dolce e gentile come le era parsa Belle, ad innamorarsi di quello che, agli occhi di tutti, era conosciuto come un mostro.
Arrivarono a destinazione prima di quanto Emma avesse voluto. Il taxi la lasciò proprio sul vialetto della grande villa. La donna pagò e si incamminò, cercando di tenere a mente le quattro regole di Regina.
Regola numero uno: dimostrarsi il più disinvolta e sicura possibile.
In questo non avrebbe avuto molti problemi, a patto che non fosse inciampata o caduta. Rabbrividì al solo pensiero.
Regola numero due: sorridere sempre.
Pensò a quella volta quando Henry scambiò il sale con lo zucchero e alla faccia disgustata di Regina quando assaggiò la sua tisana. Un sorriso le si dipinse sul volto.
Regola numero tre: essere sempre gentile e disponibile.
Questo le risultava abbastanza facile con i clienti.
La regola numero quattro però, non riusciva proprio a ricordarla. 
Notò un’auto nera, parcheggiata di fronte al garage. Sembrava piuttosto grande e lussuosa, decisamente l’auto che ti aspetteresti da un tipo come Gold.
Era ormai arrivata al portone principale. Prima di suonare il campanello, prese un profondo respiro.
Ormai era in gioco, tanto valeva giocare.
Bussò.
«Buonasera Emma! Sono felice di vederti!»
Belle era radiosa come al solito. Indossava una graziosa minigonna bordeaux e una camicetta nera semi trasparente. Le lunghe gambe fasciate in calze nere e pesanti che, a dispetto di quanto si potesse pensare, la rendevano ancora più elegante. Ai piedi, la donna indossava dei tacchi a spillo dello stesso colore della gonna.
«Buonasera Belle! Grazie, anche io sono felice di vederti!»
La donna dai capelli color del cioccolato la salutò con due baci sulla guancia, prima di farla accomodare in casa.
Emma non era abituata ad essere trattata in modo così amichevole.  Avendo come migliore amica Regina Mills, i baci e i lunghi abbracci erano se non vietati, piuttosto scarsi nella loro relazione. Ma a lei non importava più di tanto. Non le costava ammettere che neanche lei era il tipo da manifestazioni pubbliche d’affetto.
«Ecco, prima di raggiungere gli altri in salotto, vorrei dirti una cosa…»
«Gli altri? Non c’è solo il tuo, ehm, fidanzato?» rispose Emma, un po’ troppo agitata e già a disagio. Cosa l’aspettava dall’altro lato di quel muro?
«A questo proposito, volevo dirti che lui, Robert, ha ingaggiato un architetto che ti aiuterà nell’arredare la casa…Non è un problema per te, vero?» chiese, notando la preoccupazione negli occhi di Emma.
La ragazza scosse la testa.
«No, assolutamente!» si sforzò di dire, sorridendo.
Cosa? E quando avrebbe voluto dirglielo?
«Bene, se vuoi seguirmi!» disse, aprendo una grande porta a vetri.
 
La prima cosa che Emma notò in quella stanza non fu la presenza austera di Robert Gold e neanche l’arredamento raffinato della stanza o il crepitio del fuoco nel camino, nonostante fosse appena settembre.
La prima cosa che Emma notò fu una giacca di pelle, abbandonata sul bracciolo di una sedia.
Poi lo vide.
«Swan!»
Sentì il suo nome, la sua voce era calda, esattamente come la ricordava.
Trattenne il respiro.
Qualcosa le lampeggiava nella mente, imperterrita e fastidiosa.
Regola numero quattro: sii sempre pronta agli imprevisti.
E Killian Jones, insieme ai ricordi che riportò a galla, erano un bell’imprevisto.
 
 
 
 
 




Tadaan! :)
Finalmente, dopo sei lunghi capitoli, lettere, lacrime, parole non dette e difficoltà, eccoci qui, al loro primo vero (re)incontro! Ormai siamo entrati nel vivo della storia e d’ora in poi vedremo cosa succederà!
Riusciranno a superare il passato, per riuscire nella loro collaborazione?
Mi dispiace averlo concluso così, ma un po' di suspense non guasta mai! Non uccidetemi! ^.^”
Ho postato stasera perché nei prossimi giorni, non avrò il tempo neanche di respirare! T.T
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e sarei contenta di sapere cosa ne pensate! Contribuirete a risollevare un po' il mio umore #postseasonfinale 
Ringrazio come sempre tutti coloro che inseriscono la storia nelle varie categorie, chi legge soltanto e chi spende un po’ del suo tempo per recensire! GRAZIE A TUTTI! Non mi stancherò mai di ripetervelo! Siete fantastici! <3
Adesso vi lascio altrimenti mi addormento sulla tastiera,
un bacione
Kerri :*
 
 
 
 

SPOILER: Ma vi rendete conto?! #DarkSwan! Non ce la posso fare! :’(
   
 
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