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Autore: Madama Pigna    17/05/2015    2 recensioni
Appartenente alla serie "Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)"
Gli abitanti di Jotunheim attribuivano al loro Principe le più diverse caratteristiche.
Per alcuni era solo un modesto compromesso tra la scaltrezza e la forza bruta; per altri eccelleva in entrambe.
Certi lo consideravano solo un ragazzo viziato e ribelle che faceva il bello e il cattivo tempo, senza alcun rispetto per virtù sociali quali l'assoluta fedeltà al proprio padre e al proprio Re.
In molti controbattevano: l'unico Laufeyson rimasto era anche l'unica speranza per risorgere dalle ceneri della Grande Guerra, che era stata presto seguita da un regno di terrore che durava da molti anni.
Cosa ne pensava Byleistr?
Non amava mettersi in mostra, pur riconoscendo che a volte era necessario, data la sua posizione.
A suo parere, bastava essere una guida accorta e avere degli uomini pronti a tutto. Erano i soldati motivati quelli che facevano la differenza, e lui, da solo, non avrebbe mai concluso alcunché. L'ammirazione che era seguita dalle sue azioni individuali era solo qualcosa in più, nulla a cui il guerriero dava realmente importanza.
Il resto veniva da sé.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frigga, Laufey, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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Note Autrice:
Vi chiedo infinitamente scusa per il ritardo, specialmente a frostgiant perché le avevo detto che ci sarebbe voluto poco... comunque l'anno scolastico sta finendo, e confido che dopo gli esami sarò più rilassata e scriverò meglio e più in fretta. Nel frattempo perdonatemi, ma per ora il mio ritmo è questo, anche se ho intenzione di finire tutte le fic che ho in mente per questo head canon. Ci vorrà molto tempo, ma le scriverò. Se avete ancora la pazienza per seguirmi: grazie, grazie di cuore.

Madama Pigna











La mezzosangue fissò il Principe di Jotunheim alzando un sopracciglio.

- Sul serio? -, chiese. – Vuoi davvero batterti con il braccio ferito? Tanto varrebbe darmi ascolto prima di… -, continuò, ma le sue parole furono interrotte dall’attacco di Byleistr.

Cominciarono così a lottare, senza risparmiare né forza né arguzia.


Il corvino però, pieno d’ira repressa, non riusciva a controllare i propri sentimenti.
Non gli capitava spesso di arrabbiarsi così, ma quella sfortunata serie di circostanze avevano stuzzicato la sua ira più che a sufficienza. Pessima notizia, poiché c’era un motivo se di solito si controllava con una severa autodisciplina: quando si è accecati dalla rabbia si smette di ragionare, e in questo modo si prendono decisioni affrettate, comportandosi in maniera spesso sbagliata.

Blodhugadda, o almeno era in tal modo che la nemica aveva detto di chiamarsi, non sembrava parare gli attacchi dello Jotun con troppa difficoltà. Certo, Byleistr aveva una grande forza fisica, ma a quell’età non era ancora così esperto nella tecnica e soprattutto nel tenere a freno le proprie emozioni.


La meticcia non sembrava più grande di lui, ma era perfettamente calma e controllata. Parava, faceva per disarmare, attaccava punti non mortali e poi parava ancora. Forse non era altrettanto forte, ma sapeva studiare la situazione per trarne un vantaggio.



A un certo punto Byleistr riuscì ad atterrarla, tenendola bloccata col suo peso sul terreno.

Lei sorrise maliziosa. – Una posizione un po’ troppo ambigua Principe, non trovi? -, disse.

E dal momento che Byleistr aveva abbassato la guardia, riuscì a invertire le posizioni dandogli per prima cosa un pugno. Poi mise la mano sulla sua cintura, estraendo un pugnale ricurvo, forse un po’ grezzo ma non per questo meno tagliente. D’altro canto il corvino, pur avendo una discreta forza fisica, aveva il braccio praticamente inutilizzabile nonostante i suoi sforzi. Sentiva l’arto ormai rigido sotto il blocco dell’avversaria, ed era uno svantaggio ben poco indifferente se combattevi in uno scontro senza alcuna riserva...


Tutti e due erano feriti in più punti con diversi tagli, escoriazioni e ustioni da gelo.

Non sembrava però che ai due importasse.



- Ora… -, disse Blodhugadda, con il fiatone. – Ti degnerai di… ascoltarmi, Principe Byleistr? -, continuò, fissando lo Jotun sotto di lui con occhi verdini alquanto irritati.






E’ probabile che Byleistr avrebbe cercato di ucciderla nuovamente, se ne avesse avuto la possibilità. Tuttavia ciò non accadde: i due udirono dei rumori in lontananza farsi sempre più distinti, come se un gruppo numeroso si stesse avvicinando.
Byleistr sentì dalla meticcia qualcosa di simile a un’imprecazione.
Inoltre un ringhio basso proveniva dalla sua sinistra. Ed era molto più vicino delle voci concitate.

- Merda -, inveì la donna dai bianchi capelli.




La sua spada era stata distrutta durante la colluttazione.
E un grosso Skepna molto arrabbiato pareva avercela proprio con lei.

(In seguito il figlio di Laufey lo avrebbe riconosciuto come Geri.)



Fulminea, prima che Byleistr potesse approfittare della sua momentanea distrazione, la donna si alzò, mettendo la mano sinistra dentro un sacchettino appeso alla cintura.



Geri si avvicinò, probabilmente desideroso di colpirla con le sue zanne.
Non riuscì a fare nulla però: la mezzosangue uscì dal contenitore di stoffa una polverina grigia, gettandola in mezzo ai suoi occhi. E probabilmente era anche molto irritante, perché subito l’animale ringhiò di dolore, alzandosi su due zampe più volte e scuotendo la terra sotto il suo peso, tanto da costringere Byleistr a spostarsi prima di esserne schiacciato spietatamente. Nel frattempo i compagni di Byleistr erano giunti, ma Blodhugadda era già fuggita scomparendo dalla vista di chiunque. Compresa quella del Principe, che appena resosi conto del suo fallimento ringhiò delle imprecazioni che sicuramente nessuno apprezzerebbe sentire uscire dalla bocca di un Principe.



Si avvicinò a Geri, cercando di calmarlo.



Dopo alcuni minuti (in cui lo Skepna sbuffò, ringhiò e quasi attaccò) riuscì a domarlo, più o meno. In fondo era la terza volta che lo incontrava, forse non era un caso. Forse avrebbe potuto effettivamente usarlo, se la bestia avesse smesso di mettergli perennemente i bastoni fra le ruote.

Ma erano pensieri secondari. Nemmeno il ricordo di Helblindi lo distraeva più di tanto.


Voltatosi verso i suoi guerrieri, si limitò a un semplice urlo.

- Ho bisogno di volontari per una caccia! -.


Dopo che il Principe ebbe spiegato sommariamente l’accaduto al gruppo, molti Giganti si offrirono spontaneamente per cercare la mezzosangue nemica. Tutti erano ben consci di quanto sarebbero stati in pericolo se la spia mezza Asir non fosse stata trovata: in quel caso, la loro base principale sarebbe stata sicuramente a rischio. Quanti soldati avrebbe mandato Laufey pur di distruggerla, sterminare i ribelli e arrestare il Principe? Sicuramente un gran numero, tanto per non sbagliare.

Anche metà del suo esercito, pensava Byleistr.








Alcune ore dopo, a diversi chilometri di distanza...







Blodhugadda gettò alcuni pezzi di carbone nel forno distrattamente, incurante delle fiamme improvvisamente più calde e vive di prima. Uscita dalla capanna che gli faceva da officina si sedette sul moncherino di un antico albero, tagliato diversi anni prima. In mano aveva un contenitore pieno a metà di una pomata maleodorante e delle bende, prese con sé presumibilmente per curarsi le ferite.

E non delle ferite qualsiasi, ma le bruciature inferitole dal Principe Byleistr.
Digrignò qualche insulto verso di lui tra i denti, iniziando a spalmare l’unguento per poi fasciarsi le ustioni. Non erano come quelle che aveva subito in passato da altri Giganti, infatti. I poteri dell’Erede di Laufey rendevano questa particolare capacità della sua specie ancora più intensa.

E la sua spada? Distrutta!
Andata in pezzi, dannazione. Come vetro.

Almeno aveva ancora il suo pugnale preferito con sé. E l’arco. L’arco era fondamentale. Era l’arma con cui dava il meglio di sé e lo sapeva bene. Con una lancia, un’ascia o una spada poteva anche non essere mortale, forse, ma con un arco sì.

Sospirò.
In ogni caso quelle ustioni da freddo non sarebbero guarite presto, lo sapeva bene.

Resistente al freddo? Mica tanto, per gli standard Jotun, anche se reggeva il clima.
Gli svantaggi di avere sangue di Asir nelle vene, supponeva.


Dopo essersi fasciata le ferite tornò al suo piccolo laboratorio, cercando di non pensare alle pulsazioni dolorose delle bolle blu-nerastre sul corpo.
(Che comunque non miglioravano al calore del fuoco).




Si cominciarono a udire rumori di martellate sul metallo. Un chiasso tale che la sua artefice sicuramente non si sarebbe potuta accorgere di altri rumori nemmeno volendo.

La mezzosangue passò quindi alcune ore a ricostruire le sue armi con il poco metallo che  le era rimasto. Avrebbe dovuto procurarsene dell’altro molto presto, e purtroppo non era una cosa molto semplice di quei tempi… Perché solo gli imbecilli o i pazzi non erano coscienti di quella situazione di merda, ecco. Blodhugadda sapeva molto bene di far parte di una generazione di Jotun davvero sciagurata, come avrebbe detto sua madre. Una generazione troppo giovane quando la tirannia di Laufey aveva avuto inizio, troppo inesperta per stroncarla sul nascere ma abbastanza vecchia per ricordare gli anni più rosei con struggente nostalgia. Una generazione sciagurata, nata dalle ceneri di un mondo un tempo glorioso e cresciuta storpia, come mancante della giusta linfa vitale, se non addirittura priva di radici… Quanto a lei, una mezza Asir, beh il discorso non cambiava poi tanto: suo padre era un guerriero Asir che l’aveva concepita con quello che chiamava madre (uno Jotun) quasi duecento anni prima della Grande Guerra. Non sapeva niente di lui, perché non l’aveva mai visto. Solo il suo nome.
Anzi in effetti qualche differenza c’era: gli esseri come lei in quegli anni erano odiati da tutti, su Jotunheim, non solo da qualche fanatico. Dunque Blodhugadda aveva imparato ad arrangiarsi da sola e a vivere secondo il modo che gli conveniva di più sul momento. Una cacciatrice solitaria perennemente nei boschi.

Poi era stata catturata ed era dovuta scendere a patti con il destino.



Se non fosse stato per la brillante idea di Laufey di usare le sue abilità per arrivare a scovare suo figlio, probabilmente sarebbe morta qualche giorno dopo la sua cattura in chissà quale modo orribile, che la meticcia preferiva non immaginare: la prigione di Utgarda era temuta per diversi motivi, primo fra tutti Skrymìr. Se, infatti, Laufey si scomodava a torturare solo prigionieri importanti, il suo luogotenente era incaricato, tra gli altri compiti, di ricavare più informazioni possibili dai ribelli e di punire i delinquenti meno abbienti (per la maggior parte poveri disperati che rubacchiavano pur di mangiare), e questo poteva significare solo una cosa: tortura.
Del genere più orribile e doloroso.
Qualcuno mormorava anche a proposito di violenze carnali. Stupri.


E Blodhugadda non aveva voglia di scoprire se quelle voci fossero fondate o meno.


Aveva accettato la proposta di Laufey per puro istinto di sopravvivenza. Lo odiava e lo temeva, come tutti, ma in realtà non simpatizzava per nessuna delle due parti: come mezza Asir, era più saggio e più sicuro per lei tenersi fuori da quella guerra civile – perché di fatto era una guerra – a prescindere.


Perciò, anche se aveva seguito Byleistr e il suo seguito, e aveva addirittura cercato di avvertirlo, non era per nulla intenzionata a seguire il resto dell’accordo, né di aiutare chicchessia in quel guaio. Era solo per sdebitarsi a causa del braccio ferito, tutto qui.
Inoltre sapeva cosa voleva fare Laufey con suo figlio: un destino che, sinceramente, non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico.

Tutto il resto, però, morale o immorale che fosse, non la riguardava. Non era una vera Jotun o comunque non era considerata tale, quindi perché immischiarsi? Preferiva passare il resto dei suoi giorni in relativa tranquillità e solitudine.


Ma il destino – o chi ne faceva le veci – doveva averle messo gli occhi addosso, perché la meticcia non avrebbe affatto avuto una vita tranquilla e solitaria da quel giorno in poi.





Troppi pensieri e troppe martellate indebolivano i suoi sensi quando i soldati di Laufey guidati da Skrymìr andarono a prenderla. Troppo tardi si rese conto della trappola, perché loro sapevano dov’era il suo rifugio malgrado le avesse cercato di nasconderlo.
  
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