Film > La Bella e la Bestia
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Autore: VeronicaDauntless    18/05/2015    2 recensioni
Nelle fiabe, a volte, i sogni si avverano. E se sognaste di cadere in un pozzo guardando il vostro riflesso? Fin da bambina la più grande paura di Belle è quella di addormentarsi, quella di sognare. Non immagina che di lì a breve, tentando di salvare suo fratello, si sarebbe ritrovata prigioniera di una bestia.
Dal prologo: "Avrebbe potuto dire di aver perso la sua umanità molti anni addietro, ma la verità era che non l’aveva mai avuta. [..]Questa non è la sua storia. Questa è la storia di come il suo cuore riprese a battere."
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adam, Belle, Gaston, Lumière, Quasi tutti | Coppie: Adam/Belle
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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       Salve a tutti...chiedo venia per il tremendo ritardo nel pubblicare
       (*sorride imbarazzata*)... ma spero di farmi perdonare con questo
        nuovo capitolo (*sfoggia due enormi occhioni da cane bastonato*).
       Grazie a tutti quelli che mi seguono e che sostengono Belle nella
         sua stramba avventura.

 
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Sbuffò. Il tempo sembrava non passare mai in quella stanza. Si alzò da sopra il davanzale,
camminò avanti e indietro, si guardò allo specchio, cercando di sistemare almeno un po’ il
groviglio dei suoi capelli, soppesò il risultato e sospirò ancora. Si era svegliata dopo un 
sogno che l’aveva turbata molto. Christian sarebbe tornato presto. Per lei. Ma la bestia non
l’avrebbe lasciata andare. Guardò la rosa sulla sua mano, seguendone i lineamenti con le
dita, il bocciolo era sempre più piccolo a mano a mano che passavano i giorni. Erano
rimasti pochi petali. Una volta che non ne fosse rimasto più nessuno, Adam l’avrebbe liberata,
no?
Eppure, quel sogno le aveva mostrato anche qualcos’altro. Finalmente era riuscita ad 
afferrare quel pensiero che più di una volta l’aveva sfiorata. La bestia non aveva fatto altro 
che cercare di ammaliarla per tutto quel tempo, di convincerla a restare, aveva cercato di
farle dimenticare cosa c’era dall’altra parte dello specchio. I libri, le serre, le letture davanti al
fuoco, era stato tutto un inganno per intrappolarla lì di sua volontà. Aveva fatto tutto perché lei
volesse rimanere, per non farla più andare via. Era stata una stupida. Si era fatta abbindolare
per tutto il tempo, aveva permesso che manovrasse la sua mente e quanto abilmente il
burattinaio aveva guidato i fili, manipolando i suoi sentimenti, quanto malleabile si era 
dimostrata lei, creta ignara. Aveva evitato la realtà dei fatti, lei non sarebbe mai stata altro che
una prigioniera.
E si era sentita ancor più sciocca nel momento in cui si era resa conto che, oltre la rabbia, c’era
la delusione, il dolore.
Così, si era imposta di non uscire da quella stanza per nulla al mondo. Se era una prigioniera, 
allora quella sarebbe stata una prigione a tutti gli effetti.  


Era sceso nel salone molto prima delle sette. Non era riuscito ad aspettare un attimo di più,
si era tormentato tutto il giorno, a stento aveva chiuso occhio durante la notte.

L’avete uccisa? Sì..
Cosa diavolo gli era venuto in mente? Doveva essere sconvolta, terrorizzata, disgustata..
Gli aveva detto che non lo riteneva un mostro, ma ora che sapeva..
Si allontanò dalla finestra e si affacciò nel corridoio. Perché non era ancora arrivata?
Non l’aveva sentita uscire quella mattina e Rebecca gli aveva detto che non era andata neanche
in biblioteca. Sicuramente era turbata dopo quello che le aveva detto.
Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per vederla scendere le scale. Sentì dei passi e trattenne
il fiato, scrutando la penombra.
Rebecca comparve a pochi passi da lui, illuminando l’ambiente.
-Signore-
-Cosa c’è ora?-
-Mi manda a riferire che..- arretrò impercettibilmente. -..non scenderà per la cena-
-Cosa?-
Avrebbe dovuto immaginarlo. Finalmente aveva visto cos’era realmente, una bestia. Logico che
lo evitasse, che ora lo temesse, che non volesse più vedere il mostro, le aveva rivelato di aver 
ucciso sua moglie, era stato lui a spaventarla. Era.. sensato, ragionevole, ovvio, lecito, eppure..
Non era solo la bestia che stava rifiutando, ma anche lui.
Al suo arrivo non le aveva forse detto che non avrebbe tollerato una sua assenza? Che, in tal caso,
avrebbe lasciato che il bosco la uccidesse?  Minacce inconsistenti ovviamente, tuttavia una sola 
cosa le aveva imposto, scendere ogni sera per la cena e non avrebbe concesso una disobbedienza.
-Allora dille che è un ordine-
-Mio signore.. io.. non credo scenderà comunque-
Ringhiò. Si precipitò per le scale con furia, raggiunse la porta della sua camera e picchiò con forza.
-Credevo di averti detto di scendere per la cena alle sette esatte- sbraitò contro il legno.
La sua voce lo raggiunse calma, fredda, impassibile.
-Non ho fame-
-Se non uscirai da qui, butterò giù la porta!-
Gli rispose solo il silenzio. Rebecca lo guardava dalla cima delle scale.
-Signore, forse.. con più gentilezza..-
-Sono stato fin troppo gentile e questo è il risultato- tuonò, indicando con enfasi la porta e
fulminandola con lo sguardo. Fece un profondo respiro, cercando di calmarsi. Dopotutto.. magari..
se avesse provato..
-Potresti scendere per la cena?- chiese, cercando di modulare la voce. Rebecca gli fece un cenno
con la mano, incitandolo a continuare.
-Per favore?- aggiunse, tra i denti, con un certo sforzo.
-No- rispose solo.
Il suo ringhio riecheggiò per tutto il castello, rimbombando attraverso le pareti. Colpì con forza la 
porta, spalancandola. Belle, seduta sul davanzale, balzò in piedi, gli occhi sbarrati, lo spavento 
dipinto sul volto.
Avanzò verso di lei, guardandola truce. Le afferrò il braccio e la trascinò fuori, giù per la scalinata e 
poi nel sotterraneo. La strattonava con forza, tirandola dietro di sé per farla stare al suo passo. 
Rebecca continuava a chiamarlo, implorandolo, ma la ignorò.
Lei non fiatò, arrancò dietro di lui, stringendo a sua volta la zampa chiusa in una morsa dolorosa.
Respirava affannosamente, invasa dalla paura.
Furente, aprì una delle celle e la spinse dentro senza garbo. Richiuse le sbarre, trafiggendola con 
uno sguardo di fuoco.
-Se vuoi rimanere rinchiusa, ti accontenterò-
Lo vide scomparire prima che potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo. Si mise seduta, 
sentendo le articolazioni brontolare per il modo barbaro in cui avevano picchiato terra. Si massaggiò
il braccio dolorante, guardandosi intorno.
Eccola lì, alla fine, nelle segrete. Dove sarebbe dovuta stare fin dall’inizio. Sbuffò, spostandosi i 
capelli da davanti agli occhi e sistemandosi la felpa. Aveva indossato di nuovo i suoi panni e si era
sentita proprio come il primo giorno, quando aveva visto suo fratello allontanarsi con la bestia.
Sola, persa, in trappola.
Allo stesso tempo, però, aveva percepito i suoi piedi tornare a toccare terra. Non era mai stata 
una principessa, un’eroina di quelle storie che adorava tanto, era di nuovo semplicemente la 
ragazzina spaventata che aveva fatto di tutto per salvare suo fratello, la ragazzina che si era sempre
sentita sola ma che avrebbe fatto il possibile per tornare a casa. Si era sentita di nuovo se stessa 
e non quella versione perfetta quanto evanescente di una regina.
Si alzò, appoggiandosi alle sbarre, si asciugò una lacrima solitaria sfuggita al suo controllo e sospirò.
Non riusciva ancora a considerarlo una bestia. Dopotutto, non aveva fatto nulla che non avesse 
avuto il diritto di fare.
Suo fratello aveva rubato in casa sua e lui lo aveva imprigionato. Avevano fatto uno scambio e ora era
lei quella rinchiusa in una cella.
Era suo diritto. Non era un mostro per questo. Era un uomo che era sempre stato solo e aveva 
dimenticato cosa volesse dire l’umanità. Questo vedeva. Guardò la mano. Rimanevano solo due 
petali. Due notti. Solo due notti e poi sarebbe stata libera.
Si stese a terra, accanto al muro, raggomitolandosi su se stessa e stringendosi le ginocchia al petto.
Chiuse con forza gli occhi, ignorando le lacrime che iniziarono a bagnarle il volto amare.
Inoltre, presto sarebbe arrivato Christian. Lei sarebbe stata libera, Christian sarebbe tornato a 
prenderla e sarebbero andati via insieme.
Con questo pensiero, si addormentò.

C’era una volta, in una terra prospera e lambita da un enorme lago, una donna, figlia del nobile
che possedeva quella terra. Ella, che era in realtà una ninfa marina, dotata di straordinaria
bellezza e immortalità, era priva dell’anima. Come le leggende avrebbero poi narrato negli anni
avvenire, le ninfe marine potevano ottenere l’anima solo sposando un uomo mortale, ma ciò 
avrebbe sancito anche la perdita dell’immortalità. Così la ninfa accolse lieta il matrimonio
impostole dal padre e, ottenuta l’anima e abbandonata l’immortalità, iniziò ad amare quell’uomo
che esaudiva ogni suo desiderio e che aveva giurato di amarla oltre qualsiasi cosa.
Ma il padre della ragazza tradì il patto stretto, così, nonostante il giuramento fatto alla giovane
sposa, l’uomo si recò da lui per ucciderlo.
Aveva giurato di amarla sopra ogni altra cosa, ma la vendetta era venuta prima del suo amore.
Aveva promesso di risparmiare il padre, e così non era stato.
La ninfa, sopraffatta dal dolore, si tolse la vita e maledì il suo sposo.
Lo trasformò in una bestia, così che tutti sapessero che mostro era stato nel venir meno alla
parola data. Lo marchiò con l’immagine di una rosa e di questi fiori ricoprì ogni superficie, così 
che ricordasse ogni momento ciò che aveva fatto. Trasformò il giorno in un perenne paradiso 
e la notte in un incubo infernale, per ricordargli la menzogna in cui era vissuta. Marchiò ogni 
abitante presente e futuro del castello, affinché sapesse che non era il solo a rispondere delle 
sue azioni.
Infine, poiché le aveva dato la possibilità di ottenere l’anima, gli concesse una sola occasione. 
Una sola occasione perché qualcuno potesse amarlo sopra ogni altra cosa, nonostante il suo 
aspetto mostruoso. Una sola occasione perché lui amasse qualcuno sopra ogni altra cosa. 
Una sola occasione per redimersi ed essere finalmente libero.. 


Era nel bosco, circondata dagli alberi e dalla luce tenue del mattino. La voce dolce e 
malinconica che l’aveva cullata fino a quel momento in una tenera litania, si era affievolita
poco a poco. Si guardò intorno in cerca di Rosaline, per chiederle perché aveva voluto 
raccontare tutto questo proprio a lei. Sicuramente non era di lei che parlava, qualcuno che 
potesse amarlo.. lei non lo amava. Ed era certa che neanche lui l’amasse, considerato che 
l’aveva appena rinchiusa in una squallida cella.
-Rosaline- chiamò.
Si incamminò, sperando di aver preso la direzione della fontana, anche se non riusciva a vedere
altro che alberi. Dei passi affrettati la fecero voltare di colpo. Trattenne il fiato.
Rosaline.
-Oh, sei tu- lasciò andare l’aria e continuò a guardarsi intorno. Leon le si avvicinò cauto.
-Ti aspettavi qualcun altro?-
Si voltò, puntando lo sguardo nel suo. Perché sembrava così teso? E il suo sguardo era carico 
di.. pentimento? Cosa aveva combinato?
-Stai bene?-
-Perché non dovrei stare bene?- sorrise per la sua preoccupazione. In effetti, non le dispiaceva che
le rivolgesse tutte quelle attenzioni. Forse temeva che la bestia le avesse fatto del male?
Il sorriso le morì sulle labbra, mentre continuava a guardare quegli occhi. Quello sguardo carico di 
speranza e dolore..
Uno sguardo che così tante volte le era parso familiare.
Guardò l’uomo che le stava di fronte, così diverso da come l’aveva visto la prima volta, con i 
capelli scuri, la corporatura possente e il volto statuario. Non temeva che la bestia le avesse 
fatto del male.
Sapeva che la bestia le aveva fatto del male.
-Sei tu- arretrò, spiazzata, la mente in subbuglio. –Sei sempre stato tu, Leon non è mai esistito-
Avanzò verso di lei, la mano protesa, lo sguardo colmo d’ansia.
-Belle, aspetta..-
Arretrò ancora, allontanando le braccia per non farsi toccare.
-Gliel’avevi promesso.. è colpa tua.. tutto questo solo perché non hai voluto mantenere la parola data..-
Aveva detto di averla uccisa lui perché si sentiva colpevole della sua morte. Ed era così.
Non aveva ucciso lei, ma aveva comunque assassinato un uomo.
Si prese la testa tra le mani, stringendo gli occhi e cercando di calmare il vortice di pensieri che 
continuava a frastornarla.
-Avresti infranto la parola data di nuovo, non è così?-
Ora capiva. I sogni, Rosaline che le diceva di scappare.. le stava dicendo che non l’avrebbe mai
fatta andare via. Aveva capito che cercava di convincerla a restare, ma sperava che, terminata
la sua prigionia, una volta che il debito fosse stato estinto, l’avrebbe liberata. Ecco perché le 
aveva mostrato la sua storia. L’aveva avvertita. Non avrebbe mantenuto l’accordo, ancora una
volta. Non l’avrebbe mai liberata.
-Volevi trattenermi qui! Hai cercato di rabbonirmi, di.. di.. convincermi che qui ero più felice, 
mi hai ingannata! Non mi lascerai mai tornare a casa..-
Adam era immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la guardava in silenzio.
Una luce sinistra illuminò i suoi occhi.
-Dove nessuno sa dei tuoi sogni? Dove ti aspetta un fratello che ti ha messo in questa situazione? 
Dove hai il perenne timore che ti credano pazza?-
-Almeno lì nessuno mi ha mai mentito. In tutta questa storia l’unico mostro sei tu-
Una lacrima le solcò il volto, mentre lo vedeva abbassare il capo e chiudere gli occhi, sconfitto.
Voleva andare a casa. Voleva solo andare a casa.

 
Aprì gli occhi di colpo, trattenendo il fiato. Balzò a sedere e sbatté più volte le palpebre.
Accanto a lei, Rebecca la chiamava insistentemente.
-Miss! Miss!- sussurrava concitata.  –Forza, prima che il padrone se ne accorga. Venite-
Si alzò, ancora frastornata, e la seguì.
-Come hai fatto a prendere le chiavi della cella?-
-Ho i miei assi nella manica, miss-
Si diresse verso il lato più in ombra dei sotterranei, allontanandosi dalle scale, si accostò al muro
dove faceva bella mostra un drappeggio raffigurante una scena di caccia.
Belle si passò una mano sul volto, senza farsi vedere, e notò di avere il volto umido di lacrime, 
l’asciugò in fretta, con un gesto rabbioso. Rebecca la guardava.
-Spostate il dipinto, troverete una porta e un sentiero che vi porterà fuori dal castello. Una volta 
fuori, dovete proseguire sempre dritto e arriverete alla rimessa-
-Come conosci questo passaggio?-
-Miss, lavoro qui da molto ormai, conosco ogni centimetro e ogni antro-
Sorrise, sentendo l’improvviso bisogno di abbracciarla.
-Perché mi stai aiutando?-
Un rumore di passi affrettati fece voltare entrambe.
-Andate- la incitò ancora.
Aprì la porta di legno con la chiave che Rebecca le aveva dato e, dopo averle sorriso per l’ultima
volta, se la richiuse alle spalle.
A quel punto fu completamente al buio, sola. Tastò le pareti attorno a lei. Era uno stretto corridoio
in pietra, alto pochi centimetri più di lei e non abbastanza largo da permetterle di tenere le braccia
distese. Si incamminò, seguendo le mura con le mani. Più di una ragnatela le si impigliò tra i 
capelli o tra le dita e ogni volta un brivido di ribrezzo le percorreva la schiena.
Probabilmente era stata una fortuna che non vedesse nulla, chissà quanti insetti le stavano 
camminando tranquillamente intorno ai piedi. Sospirò, chiuse gli occhi, soffocò il disgusto e proseguì.
Doveva andarsene il prima possibile.
Dopo un tempo che le parve un’eternità, scorse una luce fioca raggiungerla e farsi sempre più intensa
mano a mano che proseguiva. Velocizzò il passo, finché non si ritrovò davanti una grata di ferro 
chiusa a chiave. Oltre quella, la notte faceva capolino sopra una foresta particolarmente silenziosa. 
Usò ancora una volta la chiave che le aveva dato Rebecca e la grata si aprì. Uscì da quel cunicolo 
orribile e si levò di dosso le ragnatele. Scosse i piedi, lasciando cadere i piccoli insetti che 
cercavano di risalire lungo la gamba e dovette prendersi un momento per controllare il conato di vomito
che l’aveva assalita. Odiava gli insetti. Odiava i ragni. Odiava qualsiasi animale che le camminasse 
addosso.
Sospirò. Cos’era costretta a fare.
Riaprì gli occhi e girò su se stessa, respirando a pieni polmoni la brezza fredda della notte.
Rebecca le aveva detto di continuare dritto per tornare alla rimessa.

Fece un profondo respiro e si incamminò, senza voltarsi indietro.

  
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