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Autore: RubyChubb    03/01/2009    7 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
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12. Voices In My Head
 
 
Presero un gelato e, nonostante la sua temperatura ghiacciata, era molto più caldo del freddo intenso che era salito di nuovo tra loro. Lo mangiarono, camminando con tranquillità tra le vie affollate e fermandosi di tanto in tanto ad osservare qualche vetrina per il solo gusto di avere qualcosa da dire, riferendosi ai capi in esposizione. Passarono due ore o forse tremila. Tante erano sembrate, tutte passate a camminare passivamente. Solo una cosa era attiva e produttrice, la mente di Danny. Arianna glielo aveva detto, doveva smettere di pensare ma lui non ci riusciva, soprattutto dopo momenti del genere. E gli aveva anche detto un’altra cosa: doveva guardare dentro di lei, dentro Little, e capire quello che aveva tenuto nascosto dentro se stesso, ma ancora non c'era arrivato. Chissà, magari avrebbe avuto un’illuminazione improvvisa nel momento meno opportuno, o meno aspettato.
“Little, quando torni al lavoro?”, le domandò la prima cosa che gli era venuta in testa.
"Lunedì prossimo ormai.”, gli spiegò, “C'eravamo accordati così, imprevisti o meno. E tu quando parti?”
Bella domanda.
“Devo prenotare ancora un biglietto.”, le disse, “Non ho avuto tempo per farlo.”
“Se vuoi puoi farlo anche ora.”, rispose lei.
Attese qualche attimo, doveva ingoiare quella risposta nel modo giusto, interpretarla correttamente.
“Meglio stasera.”, disse poi.
Si sentì afferrare il braccio e si voltò. Aveva forse perso qualcosa per strada?
“Danny!”, esclamò una voce sconosciuta e squillante, femminile come la persona a cui apparteneva.
La guardò un attimo.
“Tu sei Danny dei McFly!”, si ripropose l’altra.
“Sì… Sono proprio io.”, le fece, sorridendole.
Una fan conterranea.
“Wow! Cosa ci fai qua!”, esclamò lei, “Posso fare una foto con te e con una mia amica?”
Lanciò un’occhiata a Little: si era allontanata di qualche passo, con indifferenza.
“Oh sì, va bene.”, disse, alzando le spalle.
“Non avrei mai pensato di incontrarti in Italia!”, parlò ancora lei, mentre si frugava in borsa, “Sei qua in vacanza?”
“Diciamo di… Sì…”
Complicazioni in vista.
C’era una probabilità su un miliardo che quelle fotografie non venissero pubblicate su internet nel giro di pochi giorni. Con la fortuna che aveva sempre avuto, Tamara le avrebbe viste ancora prima che lui fosse tornato a casa, ma ormai il dado era stato tratto e a lui non rimaneva altro che pregare per un buon tiro della sorte. La ragazza chiamò l’amica con cui voleva farsi fotografare e la sua fuga in Italia venne documentata.
“Un autografo?”, gli venne chiesto.
E fece anche quello. Salutò le due ragazze, dopo un breve scambio di parole ed un sorriso amichevole. Trovò Little con lo sguardo: stava davanti ad una vetrina ad osservare un bel vestito azzurro, estivo, che le sarebbe andato a pennello.
“Ti piace, vero?”, le fece, una volta avvicinatosi a lei.
“Sì.”, rispose, ermetica come sempre, “Erano tue fan?”
“Presuppongo di sì.”, disse Danny, alzando le spalle, “Spero che Tamara non si arrabbi troppo. Non sai che tipo di parole siano capaci di uscire dalla sua bocca quando è arrabbiata, anche se….”
“Sono quello che ogni donna è capace di dire al suo fidanzato”, disse lei, “quando questo parte per un paese straniero anche se gli è stato severamente proibito, e raccontando una bugia alquanto stupida per coprirsi le spalle.”
“Sei l’avvocato del diavolo, Little.”, le disse.
“Sono semplicemente il terzo incomodo.”, rispose lei, nervosamente, “E ho sempre odiato esserlo.”
“Non è vero, non lo sei affatto.”, le disse, seguendola, “E’ Tamara che non riesce a capire.”
“Sei tu quello che non ci arriva, Danny.”, lo contraddisse Little, “Lei è più importante di me, avresti dovuto rispettare la sua volontà e lasciarmi perdere, sarei stata bene comunque.”
Danny sospirò.
“Io sono fatto così, Little, ho la tendenza a non avere una lista di priorità simile a quella di ogni altro essere umano.”
“Non voglio essere di nuovo la causa di contrasti tra te e chi ti è caro.”, affermò lei, preferendo fermarsi piuttosto che discutere camminando, “E’ già successo una volta, tu e Dougie litigavate per colpa mia. Ora, al posto di Poynter c’è Tamara… Il che è anche peggio.”
“E’ con Tamara che mi arrabbio, non con te.”
“Sì, ma il centro della questione sono io!”, ribatté ancora Little, “E non voglio esserlo!”
“No! Piantala di dire assurdità!”
Aveva alzato un po’ troppo la voce, non tanto da far voltare turisti chi intorno a loro, ma Little si era spaventata.
“Scusami.”, le disse, allarmato, “Non volevo prendermela con te.”
“Lascia stare.”, rispose lei, voltandosi e tornando a camminare, “Torniamo a casa.”
“Little, per favore, non dire così…”
“E’ caldo, non abbiamo più niente da fare.”, borbottò lei, “Andiamo a casa.”


La fermata era sovraffollata ed ogni bus che arrivava non sembrava riuscire a sfoltire quella massa di gente in attesa. Qualcuno partiva, la maggioranza arriva e si fermava lì, in piedi. Chi con le cuffie nelle orecchie, chi con il giornale, chi parlava con dei conoscenti incontrati.
“E’ il nostro.”, disse Little, indicando con un cenno di testa la macchina arancione in arrivo.
Come se qualcuno avesse mosso la sua bacchetta magica per ammaestrare il mondo, la carovana in paziente aspettare salì sul mezzo insieme a loro. Si trovarono tamponati tra un gruppo di studenti, con i loro zaini pieni di libri, ed uno di turisti giapponesi, con le loro macchine fotografiche professionali al collo. Faticarono per timbrare i biglietti, facendoli passare tra gli altri occupanti del bus, e con un sussulto la macchina partì. Lo spostamento li fece accostare: più i movimenti del mezzo li avvicinavano, più Little cercava di distanziarsi, con discrezione. Erano premuti l’uno contro l’altro, come un bizzarro giorno di un anno prima, di ritorno da un supermercato.
Se non ricordava male, quel giorno aveva indossato un cappotto verde.
“Ce l’hai ancora quel cappotto verde?”, le domandò.
“Come scusa?”
“Quando ti accompagnai al supermercato, avevi un cappotto verde.”, le spiegò, la bocca vicino al suo orecchio, “Ce l’hai ancora?”
“Sì… Perché?”, chiese lei, perplessa.
“Ti stava bene.”, le disse, “Il verde ti dona molto.”
Lei annuì, poi tornò ai suoi tentativi di allontanamento. Danny non lo sopportava, non era proprio capace di digerirlo. Le passò un braccio intorno alle spalle e annullò ogni centimetro di lontananza tra loro. Little alzò lo sguardo e lo fronteggiò, arrabbiata, ma non si sarebbe dato per vinto così facilmente. Per qualche attimo sostenne il peso dei suoi occhi verdi, chiedendosi se quell’abbraccio li avrebbe addolciti, sebbene fosse stato poco gradito. Quando non riuscì più a sopportarli, chinò il viso sulla sua fronte e vi dette un bacio.
In quell’attimo sentì come un tonfo sordo, nelle sue orecchie.
E poi un altro ancora.
Ed uno di nuovo, nel bel mezzo del petto.
Si concentrò.
Avvicinò ancora la bocca al suo orecchio e le disse quello di cui lei si doveva convincere.
“Non osare mai più, ti dico, mai più pensare di non essere importante per me.”
Little avrebbe dovuto imparare quelle parole a memoria e tirarle fuori quando la certezza vacillava.
“Va bene.”, disse lei.

Danny aprì gli occhi e drizzò la schiena; le sorrise, prima di voltare lo sguardo altrove e togliere il braccio dalle sue spalle. No, non era imbarazzato, affatto. Si sentiva solo terribilmente, semplicemente ed indescrivibilmente a disagio. Da quando in qua toccava a lui, e non a lei?
Little se ne accorse.
“Che c’è?”, le fece.
“Niente.”, disse lei, ridendo sotto i baffi.
Se prima era arrossito, adesso era su una certa tonalità violacea. Era imbarazzato dell’essere imbarazzato, di fronte a lei che sembrava farsi beffa della sua carnagione paonazza.
“Prima che ti esploda la vena giugulare e ti venga un embolo”, lo prese in giro Little, “sappi che sono contenta di averti visto arrossire, almeno una volta in tutta la mia vita. Non ne conosco la ragione, magari qualcuno alle tue spalle ti ha palpeggiato come si deve, ma è stato un piacere vederti nel mio stesso stato.”
Si voltò, premendo il dito contro un bottone sporgente dal palo verticale a cui era aggrappata.
“Siamo arrivati.”, disse.
Il bus si fermò, entrarono in casa ridendo: Danny era inciampato sul marciapiede, facendo aumentare a dismisura il suo già alto tasso di disagio.
“Fate troppo casino!”, rimbombò la voce di Arianna, proveniente dal piano superiore.
“Già qua?”, domandò Little, salendo le scale.
“E presto di nuovo in partenza!”, fece la donna.
Danny non ascoltò il prolungamento della conversazione, il cellulare aveva preso a squillare nella sua tasca. Si allontanò da ogni possibile eco di voce femminile e preferì spostarsi in cucina.
“Pronto?”, fece, incrociando contemporaneamente le dita di mani e piedi.
Dan… Quando torni?”, domandò Tamara.
Conosceva benissimo quel tono di voce: Tamara voleva chiudere la questione. Si appoggiò al frigorifero e si toccò gli occhi in cerca di conforto.
“Torno presto, non ti preoccupare”, le disse, sospirando.
Domani?
“Penso di sì.”
Ok…”, disse Tamara, delusa ma rassegnata, “Se vuoi posso venire io da te.”
“No, lascia stare.”, le rispose, cercando di non essere troppo nervoso, né di insospettirla, “Ho diverse cose da fare qua e non so di preciso quando posso partire. Ma ti prometto che tornerò domani.”
Prima di cena?
“Forse… Non lo so.”, e chiuse gli occhi
Mi manchi.”
Certo che mancava anche a lui.
“Anche a me, Tam.”, le fece.
Ti amo.”
Esitò.
“Anche… Ti amo anche io.”, le fece, “Ciao.”
E chiuse la chiamata.
La amava, era sicuro di quel sentimento per lei, ma non era comunque quello il suo problema. Non volle prendersi la totalità della colpa, si sentiva sempre un po’ meglio quando le sue spalle non erano le uniche a sopportare il peso della responsabilità ed era vero quello che aveva detto a Little. Se Tamara fosse stata più comprensiva, Danny sarebbe partito per l’Italia con tranquillità e tutto sarebbe tornato alla normalità. Invece, lei glielo aveva proibito.
Appoggiò la testa al frigorifero.
“Hey.”
Aprì gli occhi.
“Vuoi qualcosa da bere?”, gli domandò Little, con un sorriso rassicurante.
“Oh sì, grazie.”, le fece, spostandosi dall’elettrodomestico.
Lei si avvicinò e prese una bottiglia di the freddo, ne riempì due bicchieri e gliene porse uno. La ringraziò.
“Tutto o posto?”, gli domandò Little.
“Sì.”, le disse, trovando il tono migliore per essere convincente.
“Non è vero.”, fece lei.
Non era l’unico che poteva vantare la dote di leggere negli occhi altrui, anche Little la possedeva e sapeva usarla nei momenti migliori, ma Danny non voleva vederla di nuovo arrabbiata con lui.
“Certo che è vero, Little, sono solo un po’ stanco.”, insistette.
Lei lo scrutò un po’, bevendo il suo the e studiandolo con un paio di occhi vispi e tranquilli. Non sembravano nemmeno appartenere alla persona complicata che era, né potevano far pensare alla brutta discussione avuta in pieno centro, o ai momenti passati in quel giardino.
“Ok. Mi fido.”, disse poi Little, senza insistere, e ripose il bicchiere dentro al lavandino.
Si incamminò verso l’uscita.
“Che facciamo ora, Little?”, le domandò.
“Sei stanco.”, rispose Little, “Dormi un paio d’ore, ci vediamo per cena.”
“Forse è meglio.”, le disse.
Little gli sorrise, poi si voltò ed uscì dalla stanza con tranquillità. Poco prima di scomparire dalla sua vista Little ripose le mani in tasca e camminò in quel tipico modo che gli ricordò… Dougie, disse Danny prima di sorridere. Un’ipotetica versione femminile di Poynter, o forse solo una forzatura della sua mente. Non terminò nemmeno il pensiero che il telefono tornò a vibrare.
“Sì?”, rispose.
Coglione, va tutto bene?”, borbottò Dougie, al di là della linea.
“Come siamo gentili…”, gli fece ridendo, “Sì, va tutto più o meno bene.”
Perfetto. Ci sentiamo allora.”
“Hey, la finisci qui?”, lo riprese un attimo prima che chiudesse.
Sì, mi bastava sapere che entrambi stavate bene. E' tutto.”, rispose Dougie.
Se lo immaginò scrollare le spalle e ciondolare. Se le posizioni reciproche fossero state invertite, Danny avrebbe posto al suo amico milioni di domande, dal semplice come stai al perché non gli aveva risposto subito, che cosa avrebbe fatto nel dopo cena... Tutto perché quando c’era di mezzo Little, gran parte della sua razionalità andava a puttane.
Ho visto Tamara, oggi.”, aggiunse poi Dougie.
Rimase sbalordito.
“E non me lo dici? Sei cretino per caso?”, esclamò Danny, in preda al panico, “E cosa le hai detto?”
“Niente.”, e sospirò rassegnato, “Danny, dille che sei da Jonny.”
“Lo verrà a sapere comunque, credimi.”, gli disse, “Mi hanno trovato un paio di fan ed hanno voluto fare delle fotografie.”
Cazzate.”, minimizzò Dougie, “Tamara non è un’idiota, lo sa che non sei a casa di tua madre.
“No, non lo sa.”, si allarmò Danny.
Certe cose le può capire anche da sola.
Danny si appoggiò alla cucina e si passò una mano sulla fronte. Con le dita afferrò la visiera del cappello, se lo tolse dalla testa, dette una scrollata ai riccioli e lo indossò di nuovo.
“Mi ha appena chiamato e le ho detto di nuovo che ero da mia madre, con che coraggio dovrei…”
Smetti di prenderle in giro entrambe.”
Rimase stupefatto per la seconda volta.
“Entrambe?  Non metterci di mezzo Little, lei non c’entra niente adesso.”, volle chiarificare il punto focale della loro conversazione.
Metti in chiaro quello che hai in testa, Danny, e poi ne riparliamo, ok?”, fece Dougie.
“Cosa... Dougie?”
E la linea cadde.
 
 
 
Prima di abbandonarsi sul letto e ripensare ad ogni istante, ad ogni attimo registratosi perfettamente nella sua testa già iperattiva ed analizzarlo nel profondo come era suo solito fare, prese il telefono. Ovvio, doveva chiamare qualcuno a cui raccontarlo, ma decise comunque di spendere un po’ di tempo distesa, pancia in giù, a guardare fissa nel vuoto, con il mento appoggiato sulle braccia conserte.
Non osare mai più, ti dico, mai più pensare di non essere importante per me.
Si alzò di scatto, prese il telefono e lo chiamò.
Parlavo del diavolo...”, esordì Dougie, mettendosi a ridere.
“Grazie.”, gli fece, “Chiudo la chiamata.”
E dai... Che vuoi?”, le fece.
“Voglio dirti che sono stata tutto il giorno con lui…”, gli fece, uscendo dalla propria stanza per andare in quella di Arianna, da dove poteva avere uno scorcio del giardino sul retro e della campagna a nord della città, mentre dalla sua godeva solo della strada.
Uhm... Interessante.”
“Ok, fottiti Dougster.”, sbuffò indignata, “Non posso mai parlare con te!”
Non è vero e lo sai.”, borbottò lui, “Ho appena chiamato Danny.”
“E quindi? Stavamo parlando di me, non di lui.”
Anche noi.”
“Ti odio.”
Io no.”
“Perché mi lascio illudere così, Dougs?”, gli domandò, sedendosi sul davanzale della finestra, largo tanto quanto quello della propria stanza.
Joanna appoggiò la testa al muro dietro di sé, raccolse le gambe al petto per accomodarsi e poter guardare fuori in cerca di pace interiore. Vide Danny, seduto con tranquillità vicino alla piccola siepe che costeggiava il giardinetto. Una mano all’orecchio, stava parlando al telefono. L’altra, invece, reggeva una sigaretta. E dire che non l’aveva mai visto fumare, sebbene sapesse che anche lui, come Dougie, fosse affetto da quel vizio a lei poco gradito.
Sembrava abbastanza nervoso.
Dov’è Jones?
“In giardino, al telefono, e io sono alla finestra della stanza di Arianna. Lo vedo benissimo.”, disse, sospirando.
Interessante.”
“Dougster, per favore…”, lo implorò, “Mi vuoi ascoltare?”
Ma Jonny, cosa devo stare a sentire? So già cosa aspettarmi. Siete stati tutto il giorno insieme, lui sicuramente si è inginocchiato per chiedere il tuo perdono, tu glielo hai dato senza troppi ripensamenti… E fine della questione.
“Perché sei sempre così dannatamente schietto e stronzo?”, mugolò Joanna, colta perfettamente in fallo, “Cosa devo fare per farmelo passare dalla testa…”
Non lo so. Con te ha funzionato stare insieme ad altre ragazze.
“Dougster…”, lo intimò Joanna, “Dacci un taglio.”
Ma è la pura verità.”
“Aspetta, vado a dipingere un cartello con scritto ‘mi vendo per dimenticare uno dei McFly’…”, disse lei, con sarcasmo.
Potrebbe essere una buona idea.”
Una nuova occhiata alla situazione là in basso le fece capire che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Danny si era alzato, camminava nervosamente lungo due metri di cortile, su e giù, e gesticolava animatamente con la mano libera, che teneva una sigaretta ormai giunta al limite delle sue possibilità.
Jonny, sei sempre lì?”, la chiamò Dougie.
Si decise ad aprire la finestra di uno spiraglio, ma fu troppo tardi. In quello stesso istante Danny chiuse la sua chiamata e gettò via la sua sigaretta con un cenno rabbioso della mano, che la fece volare via al di là della siepe.
Jonny?”, la contattò ancora Dougie.
“Uhm… Sì, ti chiamo dopo.”, e premette il pulsante rosso, mettendo fine alla telefonata.
 
 
Ripose il cellulare.
Se si guardava indietro capiva di aver commesso molti errori, ma non era il tipo di persona che rimpiangeva il passato. Era troppo facile farlo e non le erano mai piaciute le cose troppo facili. Quello era il suo modo di essere, così l’avevano educata i suoi genitori. Come si era già detta, non rimpiangeva il passato ma biasimava se stessa per aver preso scelte che sapeva sarebbero state errate. Era stata una stupida, si era illusa e ne stava pagando le conseguenze.
Aveva creduto in quello che la vita le aveva inaspettatamente messo davanti: Danny Jones.
Si erano conosciuti, frequentati per due settimane, poi si erano messi ‘ufficialmente’ insieme. Inebriata da quello che lui era e da come la faceva sentire, si era sentita innamorata di lui. Si era innamorata di lui, e lo era tuttora. Forse lo sarebbe stata per sempre, una piccola parte di lei le avrebbe ripetuto fino alla fine dei suoi giorni: te lo sei fatto scappare. Aveva sentito parlare di quella ragazza italiana, quella che avevano conosciuto prima di un loro concerto, ma non vi aveva mai porto troppo l’attenzione. Con il famoso senno di poi, ne comprendeva il motivo: le volte in cui era venuto fuori il suo nome era calato sul gruppo una sorta di silenzio omertoso, imbarazzato, che al tempo aveva ignorato perché troppo concentrata su di lui. Su Danny.
Quando le aveva detto che questa Joanna sarebbe arrivata –Little, l’ha sempre chiamata Little- era stata contenta: gli ospiti erano sempre graditi a casa sua. Anzi, a casa loro, dato che non aveva aspettato un secondo a dirgli di sì quando lui le aveva chiesto di trasferirsi, altro fondamentale errore che era stata cosciente di commettere, ma di cui se n’era fregata. L’aveva apprezzata, le era sembrata una ragazza simpatica e carina, ma l’aveva studiata bene. Le era sempre piaciuto osservare gli altri, studiarli, capirli: era parte del suo lavoro di arredatrice d'interni, doveva comprendere il cliente con un solo sguardo per poter realizzare da subito una buona opera.
Quella Little non era un’amica di Danny. Poteva essere entrata in casa sua con tutte le buone intenzioni di quel mondo, ma non era una sua amica. C’era stato qualcosa tra di loro, ne era stata certa fin da subito, e Little era ancora attaccata a quel qualcosa, mentre Danny non lo era più.
O almeno lo aveva sperato.
Sapeva di aver sbagliato anche nel dimostrarsi quasi apertamente ostile nei confronti di quella ragazza, molto probabilmente avrebbe ottenuto di più con un approccio calmo e tranquillo, ma si aveva sentito il suo territorio violato dalla sua presenza, e non era stata in grado di controllarsi. Quella Little doveva sapere che Danny ama Tamara, e non lei.
Quando si era tranquillizzata, appena Danny stesso le aveva confermato quella ‘legge’, lei glielo aveva portato via. Di sotto il naso, sfilato dalle sue mani come una caramella invidiata. Per carità, le dispiaceva per suo padre, ma Danny sarebbe dovuto rimanere a casa. Eppure non era servito a niente costringerlo all’interno dei confini inglesi, non era stato sufficiente spedire Dougie al suo posto. Danny era partito comunque, era andato da lei, glielo aveva appena detto.
In fondo Tamara lo aveva sempre saputo. Non era un’idiota: lo aveva chiamato più volte trovando il suo cellulare irraggiungibile, come le aveva detto una voce in una lingua straniera, mentre negli altri casi il classico suono dell'attesa sentito dalle sue orecchie non era quello a cui tutti gli inglesi erano abituati. Aveva atteso, aspettato che lui confessasse la verità, non avrebbe avuto senso andarsene senza che confessasse. Ora che lo aveva fatto poteva iniziare a raccogliere le sue cose ed andarsene.
Quei mesi insieme a lui erano stati i migliori tra quelli passati in compagnia di un uomo, o forse lo pensava solo perché sapeva di amarlo ancora… Le venne da chiedersi un’ultima cosa.
Danny l’aveva mai amata davvero?
 
 
Scese dal davanzale e, in punta di piedi, Joanna raggiunse il piano inferiore; sentire dai rumori nell’aria, Danny doveva trovarsi in salotto. Si affacciò nella stanza e lo trovò sul divano: le dava le spalle, non la stava vedendo né notando, ma lei poteva benissimo sentire sulla pelle quanto fosse agitato.
“Dan…”, gli fece, cercando di attirare la sua attenzione, “E’ tutto a posto?”
Lu si voltò, quasi di scatto, come se lo avesse colto in fallo.
“Oh… Sì, sì, tutto a posto.”, le mentì, con un sorriso stretto.
Si alzò e le andò incontro, cercando di nascondere il nervosismo.
“Che facciamo?”, le chiese, “Ci guardiamo un po’ di tv… Andiamo fuori, in giardino… Si sta bene, anche se fa caldo, e poi c’è un bel panorama.”
Joanna studiò il suo sguardo, cercò di capire che cosa fosse successo, chi avesse chiamato. Notò anche il lieve fremere delle sue mani ed aggrottò la fronte: lui, accortosi, si affrettò a nasconderle in tasca.
“Va tutto bene, Danny?”, gli chiese ancora.
“Sì, ho detto di sì, puoi stare tranquilla.”, cercò di convincerla.
“Ti ho visto al telefono, in giardino.”, gli rivelò, provando ad incastrarlo, “Ti hanno detto qualcosa di poco piacevole?”
“No, Little, lascia perdere.”, disse lui, passandole oltre per uscire dal salotto, “Andiamo fuori a prendere una boccata d’aria? Un caffè?”
Joanna incrociò le braccia e rimase in attesa di una spiegazione al suo stato d’animo.
“Per piacere, non insistere.”, disse Danny, “Non ci voglio pensare.”
“Pensare a cosa…”, gli fece.
Lo vide spazientirsi.
“Little, per un anno sono stato ad aspettare che tu mi parlassi.”, le disse, “Ora che mi trovo al tuo posto, posso avere del tempo per riflettere senza dovertene parlare?”
"Come vuoi.”, gli riferì.
Joanna ingoiò la risposta, lo superò e tornò nella sua stanza, senza voltarsi.
 
 
 
Danny tornò sul divano, appoggiò i gomiti sulle gambe e se ne stette in silenzio. Ancora doveva capire cosa era successo, era accaduto tanto di fretta che doveva essersi perso i passaggi fondamentali.
Era sicuro di aver chiuso la chiamata con Poynter, di averne avviata un’altra verso Tamara ed averle riferito che non era da sua madre, come le aveva detto mentendo, ma bensì in Italia, da Little. Il resto era abbastanza confuso e contorto. Con calma, però, le parole tornarono in superficie.
Bussò alla porta di Little, impaziente che lei gli aprisse, e si torturava il labbro inferiore.
“Potresti aprirmi?”, le chiese.
“No.”, fu la risposta secca.
“Per favore.”
“Ti ho detto di no.”
“Allora potresti almeno uscire?”, insistette, “Devo dirti una cosa.”
Lei non rispose.
“Little…”
“Ti ho detto di no, per piacere.”
Doveva parlarle da buon amico, e basta, perché ne aveva bisogno… Perché altrimenti sarebbe scoppiato. Abbassò la maniglia della porta.
“Danny!”, gli gridò contro lei.
Si voltò su se stesso e sparì dalla sua vita, ignorando il colorito rosaceo della pelle del suo seno, prontamente coperto con una maglietta trovatasi a portata di mano. Ancora incredulo, si appoggiò al muro accanto alla porta e fece scorrere la schiena sulla parete liscia per poi fermarsi a terra, seduto. Scosse via quell’immagine dalla testa, dimenticandosi presto della semi nudità di Little. Maledisse anche il ritorno delle sue pulsazioni aritmiche che avevano ripreso a torturargli di nuovo il petto e le orecchie.
Una volta calmato, uno strano particolare pizzicò la sua mente. Non fu in grado di inquadrarlo ma aveva visto qualcosa di strano su di lei. Per un attimo, lasciò perdere se stesso per concentrarsi su quel particolare. Dopo qualche istante sentì la maniglia scricchiolare ed abbassarsi, un paio di piedi uscire dalla stanza e Little si sedette davanti a lui, le gambe strette al petto come era suo solito stare.
“Cosa vuoi…”, gli fece, rossa in viso.
Prese un profondo respiro, e glielo disse.
“Ho detto tutto a Tamara.”
Little, prima fugace per la violazione dell’intimità a cui l’aveva involontariamente sottoposta, lasciò perdere ogni strascico del suo impaccio. Puntò gli occhi verdi dentro ai suoi, cercando di leggere.
 “Lo sapevo che sarebbe successo proprio così.”, disse poi, “Finisce sempre tutto così.”
Appoggiò la testa dietro di sé, contro al muro.
“Se mi innamoro di qualcuno, finisce sempre così.”, fece ancora.
“Così come…”
“Così.”, ripeté lui.
La guardò e vide che non capiva.
“Purtroppo negli anni ho imparato che certe cose per gli altri importanti, per me non sono al primo posto. E viceversa.”
“Sì, ma spiega solo parte della questione.”, disse Little, improvvisamente seria ed attenta.
Danny scosse la testa.
“Spiegami allora quali sono queste priorità.”, gli fece Little.
“Musica, amici e famiglia, il resto.”, disse, elencandole nelle quattro dita della sua mano sinistra.
“E dov’è che tu, esattamente, collochi Tamara?”, domandò lei.
Scrollò le spalle. Non sapeva cosa rispondere.
O forse non aveva mai cercato una risposta a quella domanda, che molto probabilmente non si era nemmeno mai posto.
“Tra la famiglia e il resto.”, disse, incerto.
 “Tamara non si merita questo.”. lo corresse lei.
“Non è colpa mia se il mondo in cui vivo mi ha fatto crescere in questo modo.”, si difese lui.
Era vero, totalmente vero. Le esperienze che aveva vissuto, i drammi e i divertimenti, gli avevano fatto capire che quella doveva essere la sua scala personale di importanza. Solo in quel modo era riuscito a tirare fuori la testa dalla merda in cui era stato spinto più volte, contro la sua stessa volontà.
“Stai continuando a colpevolizzare il prossimo senza prenderti le tue responsabilità.”, asserì Little, “Se Tamara non voleva che tu venissi qua in Italia… Non saresti dovuto venire e basta.”
“Stavi male, Little, e io volevo starti accanto!”, si giustificò ancora, per l’ennesima volta.
Non capiva dove aveva sbagliato, non c’era nessun errore in quello che aveva fatto.
“Lei ti voleva accanto a sé, non accanto a me. Non hai portato rispetto verso la persona che ami.”
“Non è vero.”
“Sì che lo è.”
“E perché?”
Little parve esitare.
“Perché se fossi stata al posto di Tamara, sarei stata gelosa esattamente come lei.”, spiegò lei, “Avrei avuto paura.”
“E’ lì che vi sbagliate, dovete fidarvi di me.” , le disse, scuotendo la testa, poco sorpreso.
“Sarei stata gelosa anche in quel caso, credimi.”, disse lei, con una mano sul cuore, “Perché posso fidarmi di te, ma non della persona con cui ti vai a trovare.”
“Mi parli come se fossi Tamara.”, le fece.
Joanna si rassegnò e preferì tornare in camera.
Le andò dietro, non stanco di quella conversazione.
“Spiegami”, la esortò, “perché Tamara dovrebbe essere gelosa di te.”
Si aspettava di sentire la stessa assurdità che la sua ragazza gli aveva urlato nelle orecchie a non finire, ma Little non gli rispose, ignorandolo per occuparsi dei vestiti sparsi sul suo letto.
“Parlami, per piacere.”, insistette.
“Non ne guadagnerei niente.”, sbuffò lei, irritata.
“Non siamo ad un concorso a premi, cazzo!”, esclamò, eccedendo nel tono di voce e nella rabbia, “Ed è l’ora che tutti mi trattiate per la persona che sono! Sono costretto ad interpretare ogni volta le vostre parole come se fossero degli stupidi enigmi su degli stupidi giornaletti da spiaggia e, francamente, non lo sopporto!”
E non aveva finito, no, voleva sfogarsi fino in fondo.
“Quando riguardano te, Little, tutti i discorsi diventano come delle sciarade. Nessuno dice mai le cose come stanno per paura di farti del male, per paura di farti piangere… E non è giusto, perché se ognuno avesse cercato di essere chiaro, di servire le cose su un piatto d’argento, tantissimi sbagli non sarebbero mai stati commessi! A partire da Dougie e da quello che è successo tra di voi… Per arrivare fino a me e te.”
“Non abbiamo niente da mettere in chiaro, Danny.”
Si trattenne.
“E invece sì.”, disse.
Si grattò la testa.
“Little, cosa siamo noi due?”, le domandò.
Era una provocazione, un incitamento bello e buono, eppure sembrava essere quello il punto focale della questione. Tutto ruotava intorno a quello, come se fosse stato il centro di un ipotetico sistema solare dove le sfere dei pianeti rappresentavano loro e tutte le altre persone a cui erano legati, o che vi si trovavano immischiate.
Little si voltò, lasciando perdere quel nervoso riassettare l’ordine della sua stanza.
“Conosco benissimo la risposta alla tua domanda.”, disse poi, “E tu la sai?”
Incrociò le braccia, certo che la sapeva.
Dovresti ribaltare la domanda che mi hai fatto, e chiedermi che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere.
Le parole di Arianna si fecero spazio nella sua testa con un’irruenza tipica di una battaglia greca. Aprì la bocca, fece per parlare, ma non uscì niente. Solo il boccheggiare delle sue labbra, vuote di parole. Non seppe rispondere.
Metti in chiaro quello che hai in testa, Danny, e poi ne riparliamo, ok?
Ci mancava solo lui, Dougie. Qquali altre persone dovevano comparire con le loro vocette petulanti, a mettere confusione in un posto dove mai c’ero stati ordine e quiete?
“Siamo amici, Danny.”, gli  ricordò Little, “Io e te siamo buoni amici.”
Ebbe un’aritmia cardiaca al contrario: per almeno un paio di secondi non sentì più alcun battito nel petto. Poi un tonfo sordo, e il cuore tornò a pulsare.
“Capito?”, disse lei sorridendogli, mentre un dito si era alzato per puntare sulla pelle della sua fronte, “E adesso dovresti fare pace con Tamara. Si vede che la ami, altrimenti non staresti così male.”
Si strinse in un sorriso forzato, alquanto doloroso.
“Vai a riposarti un po’, Jones, mi sembri abbastanza scosso.”, fece lei, tornando ai suoi vestiti, “Poi, se ti va, posso darti una mano a mettere a posto le cose con lei.”
Non seppe cosa dire, né cosa fare.
“Grazie…”, le fece, ma quel ringraziamento suonò più come una domanda.
“E di cosa?”, rispose lei, sorridendo ancora, “E’ il minimo che possa fare per restituirti il favore di essere venuto qua da me, nonostante tutto.”
“Ok.”
Uscì dalla sua stanza, lasciandola al suo lavoretto. Non seppe dirsi come mai, ma tutto quello che aveva sentito suonava terribilmente estraneo alle sue orecchie.
Soprattutto, faceva male.
 
 
Il primo passo per la guarigione era convincersi del proprio torto e prenderne atto. Lo aveva fatto egregiamente, parlandone a voce alta con il diretto interessato. Aveva stabilito a chiare lettere la natura della loro situazione reciproca, era stato Danny stesso a porgergli una domanda in quel senso, ed aveva risposto con una sicurezza che non era stata mai certa di avere.
Aveva preso la situazione di petto e l’aveva gestita nel migliore dei modi. Era fiera di se stessa, si sentiva sulla buona via, pronta per uscire dal vicolo cieco che aveva imboccato senza nemmeno accorgersene.
Però... Perché le veniva voglia di piangere?
Cercò di distrarsi e guardò l’ora, impressa sulla sveglia. Sarebbe stato una lunga fine di giornata e doveva impegnarla il più possibile.




Eccomi che arrivo con un giorno di anticipo!!!
Spero che tutte le feste siano andate bene e che non abbiate mangiato troppo, almeno non quanto me, altrimenti sarete messe piuttosto male... Io sono tornata piuttosto distrutta da sessioni di slittino montanaro, tanto che mi hanno soprannominata Silvia Slittino XDDDD Della serie: come dare spettacolo gratuitamente.

Non ho particolari specificazioni relative al capitolo di cui sopra... Mi sembra che la transizione sia finita, non credete? XD

Ringrazio vivamente tutte quelle che hanno letto l'ultimo capitolo e vi abbraccio forte forte :) Un salutino speciale a CowgirlSara: buon compleanno!!!!! Anche se caratterizzato dal medesimo mio innato ritardo!
Ah! Dimenticavo! Dedico questo capitolo ad una certa persona che mi legge di nascosto... Luvi, questo è tuo!
Scusate la brevità dei ringraziamenti, ma dolori vari e il Notredame su RaiUno sono un cocktail piuttosto devastante *sigh*

Alla prossima ragazze!!!! Auguri di Buon Anno a tutte voi!!!



   
 
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