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Autore: DarkNeptune    20/05/2015    0 recensioni
La vita di Roza può essere descritta in poche parole : semplice, ripetitiva, monotona...
Niente di più e niente di meno. Come anche le cose che la interessano. Poche, pochissime. Ama la sua gattina, le passeggiate notturne e la sua copertina lillà.
Lo scopo della sua vita è di creare qualcosa di perfetto con le sue stesse manine. Sì, Roza è una ragazza che cerca la perfezione, ma non in se stessa.
Ma chi è quella sagoma nera che sta sempre accucciata sopra il suo appartamento? Qual'è la vera identità di Roza? Si tratta di una ragazza troppo intelligente o è solo malata?
Niente di vagamente fantasy in questa storia.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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I personaggi e i luoghi sono inventati, riferimenti a persone e luoghi esistenti sono puramente casuali.
 
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Quarta Iniezione



10 novembre
 

Una presa ferrea trattenne Roza per una spalla. Sobbalzò incosciamente e un moto di eccitazione la invase. Erano passati appena tre giorni da quella strana aggressione e lei si sentiva ancora agitata. Non per la paura ovviamente, quella era scemata poco a poco quella sera stessa.
In verità aspettava con una certa frenesia di poter incontrare di nuovo quello sconosciuto dalla voce idilliaca, ma in quelle settantadue ore non si fece né vedere né sentire. Era comunque abbastanza certa che sarebbe tornato a cercarla prima o poi. Tuttavia, più le ore passavano e più piccoli pezzettini di speranza si sgretolavano dentro il suo cuore.

Si girò con lo sguardo pieno di aspettative, ma incontrò con una certa delusione due occhi cerulei abbastanza famigliari.

“Ehi, Roza come... come stai?” chiese incerto e euforico allo stesso tempo André, il ragazzo che l’aveva invitata alla festa di Halloween “Non ti sei fatta vedere alla mia festa.” Dichiarò con voce chiaramente delusa.

“Melanie non te l’ha detto che non mi piace particolarmente questo tipo di... usanza?” chiese con voce incolore, senza smettere per un attimo di sondarlo con lo sguardo. André era un ragazzo decisamente di bell’aspetto. Alto, muscoloso al punto giusto, capelli sbarazzini e un sorriso talmente dolce che avrebbe potuto far sciogliere Lucifero in persona. Ma era timido, estremamente timido. Soprattutto davanti a quella strana e intensa ragazza che gli provocava una tachicardia ogni volta che la incrociava nell’università. Molti dei suoi amici lo prendevano in giro per la sua cotta insensata, ma a lui piaceva davvero.

“Sì, me... me l’ha accennato.” Balbettò preso contropiede. Più che accennato, gli aveva fatto una lunga ed estenuante morale. Per lei, quella ragazza non era all’altezza di un tipo dolce e sincero come lui.

Roza fece per andarsene, quando la mano del ragazzo la afferrò saldamente per un braccio. Lo stesso braccio stritolato dallo sconosciuto pochi giorni addietro. Si ricordava chiaramente la sensazione che le provocò quel gesto. Anche se la mano dello straniero era inguantata, riuscì comunque a percepire senza difficoltà il calore emanato dal suo corpo.

La ragazzina s’infastidì nel sentire un calore così diverso ancorarle quel braccio in particolare. Tornò a guardare André, aggrottando più che poté le sue sopracciglia. Il ragazzo, davanti al suo sguardo torvo, lasciò andare la presa come scottato.

“S-scusa... sono venuto a parlarti per un’altra questione a dire la verità.” Cominciò, abbassando il suo tono di un paio di ottave. La guardò oltre le sue lunghe ciglia, gustandosi più che poté il visino a cuore di quella ragazza. Era bella da star male, con i capelli corti e arruffati e le labbra così rosse e morbide da sembrare quasi innaturali. Il ragazzo rimase in silenzio a guardarla, per poi emettere un sospiro di frustrazione. Oltre ad essere bella come un angelo, era anche impenetrabile, sia nel corpo che nell’anima. Sapeva che mai sarebbe stata sua.

“Ti ascolto.” Lo incoraggiò con voce imperturbabile.

“Dato che domani è un giorno festivo, ho proposto al nostro gruppo di partire a Compiègne. Ho una villa abbastanza grande che ci potrà ospitare tutti quanti da quelle parti.”

“E per quale evento fate tutto questo?” 11 novembre, pensò. Tante, troppe informazioni si affacciarono nel suo cervello. O meglio dire, tante voci: Il Concilio di Costanza elesse Papa Martino V nel 11 novembre 1417; Gottfried Leibniz fu il primo matematico a trovare l’area di una funzione y=f(x), nel 11 novembre 1675;  La marcia verso il mare del generale William Sherman, durante la Guerra di secessione americana nel 11 novembre 1864; Washington diventa il 42° stato degli USA nel 11 novembre 1889... una sfilza di dati e informazioni inondarono automaticamente la mente della ragazzina.

“L’undici novembre ci fu l’armistizio della Prima Guerra Mondiale.” Le rispose con ovvietà, come se in quella data non successe nulla di più importante di quello. Roza ebbe una voglia irrefrenabile di contraddirlo, ma cercò di trattenersi.

“E dato che nel 1918 la firma dell’armistizio fu effettuata dentro ad un vagone ferroviario nelle vicinanze di Compiègne alle undici del mattino, avete deciso di farci un salto?” chiese con un certo interesse nella voce. Se fossero andati a far visita a quel vagone in particolare, forse si sarebbe lasciata convincere ad andare con loro.

“Oh... Wow, non ricordavo che l’armistizio fu firmato proprio in quella città.” iniziò a ridere sinceramente sorpreso della memoria decisamente spaventosa della mora. I suoi occhi iniziarono a luccicare di speranza non appena capì di aver catturato l’attenzione della ragazza. Questa, in meno di un secondo, tornò ad essere delusa e infastidita. No, non sarebbero sicuramente andati per una gita storica. “Comunque dato che non dista molto da qui, abbiamo deciso di partire domani mattina e di passare la notte lì.”

“Ma il giorno dopo c’è lezione.”

“Il pomeriggio, però. Riusciremo a tornare per allora.” Le fece un occhiolino come per tranquillizzarla. Non che fosse preoccupata, a lei non importava minimamente delle lezioni.

“Allora, ci stai?”

“Non credo che sia possib...” fu fermata ancor prima di rifiutare l’invito. Un braccio che quasi le stritolò il collo, si ancorò a lei. Dei capelli rossi come il sangue le si appiccicarono sulle labbra. Capì subito di chi si trattasse.

“Lei accetta avec un grand plaisir, André.” Sentenziò una voce allegra.

“Fantastico! Verrai anche tu, non è vero?” propose alla rossa, ringraziandola nel frattempo con lo sguardo. Roza non ebbe voce in capitolo, il che la fece infuriare interiormente. Guardò con occhi gelidi l’amica. Quest’ultima – ancora intenta a parlare con il biondo – trasalì di colpo. Senza bisogno di girarsi, capì subito che l’amica stesse cercando di ucciderla con lo sguardo.

“Partiamo da Montparnasse?”ignorò la minaccia che incombeva su di lei e chiese più informazioni al ragazzo.

“No, non c’è nessun treno che porti a Compiègne da Montparnasse. Ci ritroviamo à la Gare du Nord.”

“L’ora?”

“Ce n’è uno che parte verso le dieci e diciannove. Incontriamoci un’ora prima, per comprare i biglietti.”

“È un TGV?”

“No, è un TER.” Negò, suscitando nella rossa sospiri di frustrazione e proteste.

“Meglio, ci metterà un po’ di tempo per arrivare, ma almeno costerà di meno.” Prese la parola la ragazzina, facendo zittire di colpo i due. La guardarono entrambi sorpresi e speranzosi.

“Allora verrai.” Le sussurrò Lexy all’orecchio. La ragazzina si scostò infastidita. Scansò malamente il braccio dell’amica ancora stretto al suo collo e fece per andarsene.

“Forse. Se il biglietto costerà poco, allora sì.” E se ne andò, lasciando i due intenti a guardarla andare via.

“Come mai Roza da così importanza ai soldi? Mi sono accorto che pranza di rado qui all’università.” Chiese sinceramente curioso alla rossa.

“Non ha genitori. Dunque è lo Stato che si prende cura di lei, dandole i soldi necessari per vivere.” Lexy abbassò lo sguardo verso terra, riflettendo con una certa tristezza sulla reazione di poco fa dell’amica.

“Oh, capisco...” emise il biondo, sentendosi sinceramente dispiaciuto per la ragazzina. Essendo nato in una famiglia di ricchi, non aveva mai sentito il bisogno di soldi. Ne aveva anche senza chiederli.

Decise che le avrebbe fatto un regalo.
 
 

 
***

 
 
 Il ragazzo in nero stava eretto in piedi nella sala analisi ed era intento a fissare una scheda medica con sguardo apparentemente tranquillo. Si portò due dita alla base del naso e un forte moto di disperazione lo invase.

“I risultati parlano chiaro.” Sentenziò Marie.

“Maledizione.” Imprecò.

“Dovresti esserne felice. Non era la settima orfana?” chiese non prestandogli molta attenzione. Aveva in mano la cartella di un paziente importante e la stava studiando meticolosamente. Sorseggiò tranquillamente una tazza di caffé, per poi lanciare uno sguardo veloce al giovane ancora in piedi davanti a lei.

“Avrei preferito di gran lunga cercare l’ottava.”

“Basta piagnucolare e fa il tuo lavoro.” Lo scacciò con un gesto seccato della mano.

Il ragazzo, con una certa riluttanza, se ne andò.

“Non ucciderla.” Cantilenò la donna prima che la porta si chiudesse automaticamente. Ricevette come risposta un grugnito.
 

 
***

 
 
11 novembre
 

“Hai preso lo spazzolino?” chiese Lexy non appena le due amiche s’incontrarono davanti alla stazione. La ragazzina fece un cenno d’assenso.

“Il pigiama? L’intimo? Le scarpe? Qualche vestito?” la tartassò la rossa causando un impercettibile e preoccupante riflesso al sopracciglio destro dell’amica.

“Lexy, se per puro caso avessi dimenticato di portare la borsa...” indicò l’oggetto in questione con uno strattone “...cosa avrei potuto fare?” chiese palesemente ironica.

“Oh beh, torneres...”

“Non essere stupida.” Bloccò la sua uscita sul nascere per poi continuare “Ci vuole più di mezz’ora per tornare e il treno è fra un’ora esatta.”

“Oh... è vero...”

Entrarono dentro la stazione in completo silenzio, tant’è che - per la prima volta - Lexy si sentì a disagio in compagnia dell’amica. Non capiva che le fosse successo. Era da giorni che si comportava in modo strano. Come se fosse sempre in allerta e soprattutto, sempre delusa.

“Ehi, Roza...” iniziò, ma prima che potesse chiederle il motivo del suo strano comportamento, il saluto di André rimbombò dentro quello spazio chiuso.

“Ragazze su venite! Gli altri hanno già comprato il loro biglietto e si sono diretti verso il bar di sotto. Mancavate solo voi!” Sorrideva letteralmente a trentadue denti. Era elettrizzato perché finalmente avrebbe passato un po’ di tempo insieme alla ragazza che gli piaceva. S’immaginava già in sua compagnia quella sera, nella grande terrazza della sua villa a fare cose decisamente poco caste.

“Eccoci! Quanto costa il biglietto?” chiese Lexy, ritrovando subito il buon umore. Quella ragazza era fatta di gomma. Rimbalzava dappertutto e non si scheggiava mai. Era dunque quasi impossibile ferirla o farla star male.

“Oh...” André arrossì vistosamente “A dire la verità, ho comprato già i vostri biglietti, dato che più il tempo passa, più la fila si allunga.” Si giustificò frettolosamente, porgendo i due cartoncini.

“Sei molto gentile André, ma ti prego di dirmi quanto hai pagato. Così ti ridò i soldi.” Anche Lexy era arrossita davanti al gesto galante del compagno ed era troppo imbarazzata per accettare.

“No, no, va bene così. Mi fa piacere offrirvi questo viaggio!” scosse energicamente la testa e guardò di sottecchi la ragazzina mora. Quest’ultima guardava la scena con un leggero sorriso a dipingerle le labbra morbide.

“Sembrate due adolescenti innamorati.” Commentò. Prese il suo biglietto dalla mano tremolante del ragazzo e si allungò per lasciargli un leggero e casto bacio sulla guancia, a mo’ di ringraziamento.
Si diresse saltellando per i corridoi della stazione, per poi trovare le scale mobili e scendere.

André si portò una mano sulla guancia baciata e per un attimo si chiese se stesse sognando. Era esattamente sul punto di negare del possibile amore tra lui e Lexy, ma le parole gli morirono in bocca non appena le labbra calde della ragazzina si posarono sulla sua mandibola marcata.
Lexy d’altro canto, non si lasciò sfuggire nemmeno un secondo della scena davanti a sé. Si fece dura in viso e si avvicinò al ragazzo ancora imbambolato.

 “Dato che è maleducazione rifiutare, accetto il tuo piccolo regalo.” Gli strappò letteralmente il biglietto dalle mani per poi continuare “Anche se qualcosa mi dice che l’hai fatto solo per lei. Ma dato che sarebbe stato troppo evidente e imbarazzante, hai pensato di comprarlo anche per me.”

André si girò di colpo verso la rossa e sbarrò gli occhi.

“N-non glielo dirai, vero?” chiese incerto.

“Certo che no. Non sono così stupida.” Fece per andarsene, ma dopo neanche un passo si girò nuovamente verso di lui “Infondo tu ed io siamo rivali.”

“Ri-rivali? Che vuoi dire?” aggrottò la fronte non capendo il significato delle parole di Lexy. Quest’ultima non gli diede più adito e s’incamminò verso le scale mobili.
 

 
***
 

 
“Io non lo faccio.” Sentenziò perentorio un ragazzo alto e vestito elegantemente. Era in giacca e cravatta e portava in mano una ventiquattrore in pelle.

“Ora che ne siamo certi, non puoi tirarti indietro.” Lo ammonì la donna dietro l’auricolare “Devi starle alle costole.”

“Mi sento scomodo in questi vestiti.” Si slacciò leggermente la cravatta con uno sbuffo. Lo stava letteralmente soffocando.

“Non puoi entrare in un trasporto pubblico con i tuoi vestiti abituali. Desteresti non pochi sospetti.”

“Allora potrei anche evitare di andare.” Sussurrò acido a denti stretti.

“Ora che la sua identità è certa, conosci l’ordine impartito.” Esclamò dura Lucille.
Il ragazzo sospirò pesantemente. Quella stazione era troppo affollata, c’erano troppi sguardi attenti e pericolosi. Non doveva essere riconosciuto, altrimenti il vecchiaccio l’avrebbe fatto trasferire in chissà quale strano paese. Si guardò intorno e notò delle quindicenni sedute su una panchina intente a mangiarselo con gli occhi. S’infastidì.

“Lux non ha ancora terminato la sua missione?” chiese con una certa urgenza nella voce. Essere così esposto lo metteva in agitazione.

“No, gli hanno assegnato un’altra missione ed è alquanto... complicata.” Esclamò ironica.

“Adulterio?”

“Esatto.”

Cerco di trattenersi dal ridere, ma gli fu alquanto difficile. Quelle erano le mansioni più odiate nell’Organizzazione, ma anche le più pagate.
Il ragazzo si sentì leggermente più sollevato venendo a conoscenza della missione del suo collega. Almeno non era il solo a passarsela male.

“Ritieniti fortunato. Il tuo caso è molto più interessante del suo. Ora vai a stampare il tuo biglietto.”

“È nello stesso vagone della svitata?”

“Sì, ho hackerato il database della stazione. È nel terzo vagone, al posto numero due. Ti ho messo nel numero quattro. Ci sarà solo il corridoio a dividervi, così la terrai d’occhio direttamente e senza usare le telecamere. Tutto chiaro?”

“Affermativo. A quale nome hai comprato il biglietto?” chiese con voce seria e professionale, dirigendosi nel frattempo al livello inferiore.

“La tua quarta identità: Adam Makarov.”
Il ragazzo prese il suo portafoglio e iniziò a cercare la carta d’identità del nome in questione.

“Trovata. Il treno passerà fra venticinque minuti. Ti contatterò io non appena entrerò dentro.”

“Ricevuto.” Chiuse la chiamata dall’auricolare e fissò lo sguardo sul televisore elettronico. TER 49620, arrivée 10h00, départ 10h19, lesse attentamente. Cercò con lo sguardo la svitata e non gli fu difficile scovarla. Era seduta assieme ad una rossa in un tavolino di un bar e stava sorseggiando tranquillamente un frullato alla fragola.

Si sbrigò a stampare il proprio biglietto nell’apposita macchinetta, per poi sedersi a qualche metro di distanza dalla ragazzina. Per un millesimo di secondo, gli occhi della mora incrociarono quelli dello sconosciuto. Quest’ultimo spostò immediatamente lo sguardo. Lei fra tutti non doveva riconoscerlo.

Si guardò con occhi apparentemente annoiati attorno e ciò che vide nei paraggi lo fece irrigidire interiormente. Degli uomini vestiti in giacca e cravatta nera erano sparpagliati sul binario D, in direzione di Compiègne. Avrebbero sicuramente preso il loro stesso treno.

“Cazzo.” Imprecò a denti stretti.

 


Continua...




 
   
 
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