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Autore: manhattansheaven    20/05/2015    4 recensioni
Al quasi sorgere del sole Bill cadde in un sonno profondo nell’attesa di vivere un altro giorno d’inferno.
[Questa storia è volutamente ispirata al video "Feel It All" dei Tokio Hotel]
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For the love that I make, I'm going to hell.
Per l'amore che farò, andrò all'inferno.
 


Un’insegna al neon, quasi completamente spenta, indicava l’entrata per l’underground. Gruppi di ragazzi già strafatti si dondolavano in fila o restavano addossati al muro, con gli occhi socchiusi.
Il tempo sembrava scorrere lentamente e fuori dal Pandemonium la gente continuava ad aumentare, affinchè le porte si aprissero e potessero entrare a cominciare la propria serata.  Scrutò i volti dei nuovi arrivati.  Conosceva bene quel posto e la gente che lo frequentava e quei ragazzi sembravano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Si sfilò il giubbotto di pelle che indossava e tolse dalla tasca di esso un pacchetto di sigarette, che ripose invece nei pantaloni. Portò una di esse alle labbra e mentre si rigirava l’accendino tra le dita lo fece scattare più volte.
“Merda, si è scaricato!” imprecò a bassa voce buttandolo a sui piedi per poi spingerlo via.
“Permetti?” Una ragazza dai capelli ramati e un’ abbondante quantità di make-up sul viso si rivolse a lui, mostrandogli la fiamma di un’appariscente accendino rosso fluo.
Un’improvviso boato di voci lo distolse dal prestare attenzione alla giovane ragazza e noncurante si lasciò trascinare dallo stormo di persone che si fiondavano all’interno del locale sotterraneo.
 
Si precipitò al bancone del bar e ordinò il primo drink che gli fosse passato in mente. Le vibrazioni acustiche della musica rimbalzavano da una parete all'altra e tutti erano intenti a ballare, benchè la maggioranza non ne fosse proprio capace e si limitasse a qualche movimento base, giusto per non rimanere fermo. Con la vista già appannata dall’alcol, che aveva già provveduto ad assaggiare prima, cercò i suoi “amici” tra la folla.
Nonostante non fosse in programma di incontrarsi, era certo che tutti loro fossero lì.
“Amico, eccoti! Sapevo che saresti venuto” Shaun, il ragazzo dai lineamenti asiatici e lo sguardo vacuo lo introdusse nel gruppo. Un paio di loro era già collassato e mentre gli altri, forse ancora nel pieno delle loro facoltà mentali, erano intenti a fumare dell’erba, probabilmente, e una polvere bianca che giaceva sul piano di plexiglass che fungeva da tavolo.
“Aspettavamo te per il pezzo forte della serata” disse Shaun, facendogli posto.
Grazie ad una piccola cannulla, tirò su con il naso inspirando tutto il contenuto  - cocaina pura – e ripetè l’azione per varie volte. Gli effetti non tardarono ad arrivare e si sentì subito euforico e di buon umore cosa che gli permise di trascorrere la notte felice e senza pensieri.
 
Intorno alle 2.00 il locale si era svuotato definitivamente e  nell'aria primaverile ma piacevolmente calda, come era d'abitudine lì in California, si respirava una calma assoluta,interrotta solo da loro che si trascinavano stanchi verso casa.
“Bill, sicuro di star bene?” gli chiese il suo compagno, sostenendolo per le braccia notando che non riusciva neanche a reggersi in piedi.
“Benissimo. Lasciami stare” e così fece, conoscendo il carattere testardo dell'amico che odiava essere compatito e non era abituato a qualcuno che si preoccupasse per lui.
Shaun lo osservò passarsi una mano tra i capelli biondi platino, quasi bianchi, e calarsi il cappuccio della giacca sul capo. Aveva conosciuto Bill quando avevano entrambi 18 anni ed erano scappati di casa. Entrambi avevano preferito sorvolare sul loro passato ed erano andati in cerca di un alloggio.  All’epoca, ingenui e distrutti da mesi di stenti, si erano stabiliti in una vecchia casa abbandonata piena di rifiuti mobiliari in compagnia di altri 10 ragazzi e ragazze all’incirca della loro età. Nel giro di cinque anni erano finiti a considerare quella come loro casa e aveva adottato le abitudini dei loro coinquilini, tra cui la droga.
Bill era alto ma la sua figura esile ed aggraziata non lo rendevano minaccioso. Il suo viso pallido e dagli zigomi spigolosi lo rendeva quasi etereo. I suoi occhi erano quasi color caramello e la sua bocca, come il sopracciglio destro e il naso, era adornata da percings; altra abitudine adottata dai compagni. 
La strada ricoperta di giaia e cosparsa di rifiuti li conduceva direttamente all’ingresso. Senza proferire parola si ritirò in quella che considerava la sua camera. In realtà consisteva in un materasso buttato malamente in un angolo della stanza, una sedia sgangherata a funzione di comodino e un vecchio borsone in cui teneva i suoi abiti.

03:27
Mancavano esattamente 3 minuti all’appuntamento. Dopo essersi assicurato che tutti dormissero, chi per stanchezza chi per effetto anche di sonniferi, sgattaiolò fuori silenziosamente. Le sue emicranie diventavano sempre più frequenti e l’unico modo per liberare la testa era la droga. E di certo non aveva voglia di condividerla con gli altri.
Individuò l’uomo nel buio e il suo cuore galoppò in ogni angolo del corpo. Una lunga e consolidata esperienza in transazioni di quel tipo gli permisero di non far trasparire alcuna emozione o fretta di ricevere il tanto agoniato premio.
Come ogni pusher che si rispetti Mr Howe era un tipo furbo. Era in grado di vendere pochi grammi per cifre esorbitanti, giocando sulla dolorosa astinenza dei suoi clienti.
“Hai la roba?” Howe poteva essere un tipo pericoloso e bisognava essere certi di non fare passi falsi.
“Hai i soldi?” Il pusher non era alto quanto lui ma in compenso era corpulento e di grossa stazza, e ciò bastava per renderlo spaventoso, oltre all’enorme cicatrice che gli percorreva il volto deformando l’occhio sinistro.
Fatto lo scambio, ognuno prese la sua strada.
 
“Bill, sei tu?” Roxane sussurrò alzandosi e raggiungendolo. I suoi capelli, unti dalla sporcizia, era tenuti su in una crocchia disordinata e come al solito, indossava una lunga maglia che le faceva da vestito. I suoi occhi stanchi non smettevano di fissarlo, come se gli leggesse dentro  e questo a volte lo infastidiva. Malgrado tutto, lei era la più giovane del gruppo e sentiva il bisogno di proteggerla.
 “Vieni” la prese per mano e una volta giunti al materasso si abbandonarono alla passione che li rendeva partecipi da mesi. Entrambi erano consapevoli del fatto che non c’era sentimento in quel rapporto ma soltanto un bisogno di affetto.
Quando furono sfiniti, come fosse un rituale, cominciarono a parlare dei più svariati argomenti. Un modo per sfogarsi liberamenti consci che il giorno seguente non avrebbero ricordato nulla.
Al quasi sorgere del sole Bill cadde addormentato nell’attesa di vivere un altro giorno d’inferno.


 



'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.'

  
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