Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: BabaYagaIsBack    21/05/2015    1 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Chapter 15
§ Just a Step§
Part One

 

"Gonna rise up
Find my direction magnetically
Gonna rise up
Throw down my ace in the hole"

Rise - Eddie Vedder 

Muovendomi distratta per i corridoi della Saint Jeremy, con gli auricolari ben agganciati nelle orecchie e i Pearl Jam a farmi compagnia, mando l'ennesimo messaggio a Charlie, sperando che non mi risponda come sta facendo da due giorni a questa parte.
Il lunedì è iniziato pigramente e con il piede sbagliato, così, mentre fuori dalle finestre della scuola cade qualche fiocco di neve, io mi domando il motivo di questa sua freddezza nei miei confronti.

Forse ha parlato con Jace.
Si saranno confrontati sulla questione, avranno concordato che il mio "aver visto" Seth sia stato una sorta di colpo basso alla nostra amicizia, considerando la situazione.


Riflettendoci bene, ora, credo che questa sia l'unica spiegazione che io sappia darmi.
Per quale ragione, poi? Ho sempre incontrato l'uno o l'altro, smettere tutto d'un colpo sarebbe ridicolo.
Sbuffo, lasciandomi cadere su una delle panche abbandonate nel corridoio - troppo affollato e impegnato ad ascoltare le futili chiacchiere di decine di studentesse occupate a raccontare del loro fantasmagorico weekend, passato probabilmente tra le braccia dell'ennesimo modello o aspirante manager, per interessarsi al mio malumore.
Alzo la testa verso il soffitto a volta, lasciando che gli occhi seguano il profilo dei giunti che si uniscono formando una timida x. Possibile che in meno di un paio di mesi la mia vita sociale si sia rivoluzionata fino a questo punto? Da un lato ho quel gran pezzo di figliolo di Seth che, stranamente - e non si sa ancora con che fini -, mi ha messo gli occhi addosso per grazia di una qualche divinità che ho pregato negli ultimi... beh, da sempre a dire il vero, dall'altro ho mio fratello e il mio migliore amico che non sembrano affatto favorevoli a vedermi tra le braccia di un tipo come lui. Come biasimarli, però?

Ed io mi trovo nel mezzo, combattuta come la peggior protagonista di una love story, al pari di Bella per le prime cento pagine di New Moon. L'unica differenza è che Catherine mi perseguiterebbe giorno e notte se osassi saltare anche solo mezza giornata di scuola o mi mettessi in sella a una moto - anche perchè senza patente non andrei poi molto lontano.

Un nuovo sbuffo mi si riversa fuori dalle labbra.

Non potevo nascere apatica? Mi sarei risparmiata buona parte di tutti questi sproloqui mentali, nonché una quantità incalcolabile di pensieri e parole. Mi sarei data a ben altri passatemi che sbavare dietro a Morgenstern o logorarmi su quanto sia pessima, come sorella.
Poi, mentre la mia ascesa verso l'autocommiserazione inizia a farsi concreta, qualcosa mi distrae, allontanandomi dalla questione. Con la coda dell'occhio scorgo un'ombra appollaiarsi accanto a me sulla panca e un ronzio prende a infastidire la voce di Eddy Vedder.
Ma chi mai vorrebbe mettersi accanto alla stralunata dell'ultimo anno? Chi mai sfiderebbe il veto di Misha di starmi quanto più lontano possibile?

Mi volto appena e, inaspettatamente, trovo un caschetto biondo e amaranto intento ad agitarsi mentre la bocca si muove - in alcuni momenti per masticare un sandwich, in altri per blaterare qualcosa.

Caroline?

Premendo il tasto stop sugli auricolari metto in pausa Off he Goes, cercando di capire se stia realmente parlando con me o se, semplicemente, sia pazza - cosa probabile, vista questa sua volontà di fare amicizia con me. Il discorso che sta facendo, che d'un tratto arriva nitido ai miei timpani, ha un senso logico ed è innegabile che si stia rivolgendo alla sottoscritta.

«...davvero, non capisco! Ma cosa mangiano a colazione? Latte e acido?» sbotta infine, trangugiando l'ultimo pezzo di pane.

No, in effetti nemmeno io riesco a comprendere, visto che quasi tutta la prima parte del suo monologo mi è oscuro.
Corrugo la fronte, sempre più confusa.
Caro si gira, ora sorridente - forse soffre di bipolarismo, un po' come Seth: «A te invece come va?» mi domanda prima di deglutire il boccone.
La sensazione di spaesamento si fa forte, diventa ogni secondo più fastidioso e, tutto, a causa del fatto che quando qualcuno ha l'urgenza di parlare non si accorge nemmeno della momentanea condizione di sordità dell'interlocutore - nel mio caso dovuta a due cuffiette che, nel loro bianco cangiante, risaltano con evidenza sull'uniforme blu.
Sbatto più e più volte le palpebre, deglutendo.

«Vuoi davvero far conversazione con me?» chiedo infine, lanciando qualche sguardo dubbioso nei dintorni. E se fosse uno scherzo? Se dietro alla sua voglia di parlarmi ci fosse qualche assurdo piano malefico ideato da Misha? La cosa non mi stupirebbe. Sono ormai anni che cerca vendetta e ogni scusa è buona, ogni pretesto valido.

La ragazza accanto a me annuisce, anche se è visibile la confusione che la sta assalendo: «Beh, se i muri sapessero parlare proverei a far due chiacchiere con loro, ma dubito ne siano in grado... nonostante questo, sono certa sarebbero più simpatici di certe tizie iscritte qui!» le sue sopracciglia si alzano, sparendo per qualche istante sotto alla frangetta. Gli occhi scuri ruotano nelle orbite, tornando infine su di me.
Come darle torto?
Così sospiro, concedendomi il lusso di sfogare qualche pensiero con quella che sembra essere la persona più umana in queste quattro mura.

«Uno schifo, vale come risposta?» tiro un angolo della bocca, provando ad abbozzare un sorriso.

Lei fa altrettanto, sfilando dalla tasca della gonna plissettata una merendina: «Se è per questo posto del cavolo, no».

Stavolta mi sfugge una mezza risata, più di circostanza che per reale divertimento: «Ho smesso di deprimermi per ciò che accade in questa scuola anni fa!» Tutto ciò che la Saint Jeremy mi ha portato, nel lasso di tempo in cui l'ho frequentata, è stato noia. Lezioni, attività, compagne: ogni cosa qui dentro mi ha privata della gioia di vivere questi ultimi mesi prima del diploma - l'unica cosa che mi tiene ancorata alla sedia del mio banco, oltre al volere di Catherine, è il corso d'arte, dove le fotografie che mi ritrovo a scattare assumono una qualche sorta di valore.

«C'entra qualcuno che ti sta a cuore?»

Bingo.

«Tre aitanti ragazzi che si comportano come bambini!» confesso socchiudendo gli occhi. Sono stanca, è questa la verità. Stanca di tutti questi pensieri e paranoie, di dover misurare ogni passo che compio in una o nell'altra direzione. Vorrei concedermi la facoltà di non dover dare spiegazioni né a uno, né all'altro, ma mi rendo conto sia impossibile.

Se Seth e Jace non avessero litigato, Charlie non si sarebbe messo in mezzo e, forse, ora non sarei qui ad arrovellarmi i pensieri a questo modo, ma piuttosto a programmare un primo appuntamento con il ragazzaccio dei miei sogni.

Caro sbatte le sue lunghe ciglia da bambola: «Oh cavolo, addirittura tre?» il suo tono fa bene intendere che sta pensando il peggio de me, dettaglio che al momento vorrei evitare, soprattutto in vista del fatto che potrebbe davvero diventare la cosa più simile a un'amica che io abbia mai avuto; così mi affretto a spiegare.
Armata di telefono tra le dita, le sventolo davanti agli occhi lo schermo scuro: «Il mio migliore amico mi risponde a monosillabi, anche se non ne conosco il motivo,» abbasso l'arnese elettronico: «mentre mio fratello e il suo migliore amico, nonché il ragazzo per cui ho una cotta, non si rivolgono la parola» ammetto infine con uno sbuffo. E' strano dire queste cose ad alta voce, confessare cosa mi affligge a qualcuno che non sia il mio riflesso nello specchio quando mi alzo la mattina, o nonna Josephine, o... a dire il vero non c'è nessun altro d'aggiungere a questa lista. 

D'altro canto però, è liberatorio, mi sento la testa meno compressa dai pensieri.

La ragazza accanto a me gongola, fa un sorrisetto malizioso che non ho idea di cosa stia a significare: «Questi ragazzacci, sanno sempre come rovinarci il buonumore! Ma sai come si combattono i problemi di cuore?» mi domanda, agitando la merendina al cioccolato come se fosse una bacchetta magica.
Io in risposta - come se già non fossi abbastanza stranita - corrugo le sopracciglia, dandole così modo di proseguire.

«Facendosi carine, uscendo con un'amica e soffocando i problemi tra musica e alcol» sentenzia, azzannando la barretta.

«E' il peggior consiglio che io abbia mai sentito» rido, immaginando che la sua filosofia sia nata dopo la visione di un qualsiasi episodio di Sex and the City: «Ma amo la musica live, mi piace bere e non ho nulla da fare giovedì sera» confesso infine, allungando una mano nella sua direzione.

Caroline l'afferra, mentre il sorriso sul suo viso si fa grande: «Che coincidenza, siamo in due!» stringe la presa: «Giovedì sera, è deciso. Tu pensa al posto, io al resto» e, nell'esatto momento in cui si alza dalla panca, il trillo della campanella ci ricorda di avere ancora troppe ore di supplizio a cui far fronte tra le aule della Saint Jeremy.
La guardo saltellare via, mentre il suo caschetto ondeggia qualche centimetro sopra alle spalle. Una strana sensazione mi riempie le viscere, a metà tra il calore e la soddisfazione.
Ho appena acconsentito a prendere parte a un'uscita tra... amiche, ed è la cosa più inusuale che abbia mai fatto.

***

Giovedì sera: un giorno così anonimo per darsi alle bevute e ai balli sfrenati, ai cori in sottofondo delle cover band e ai tacchi alti, eppure per la prima volta mi pare non essere poi tanto sbagliato anticipare di ventiquattrore quello che solitamente mi ritrovo a fare nei weekend.
Caroline si sistema la camicetta scollata, a mio avviso troppo leggera per il freddo di Gennaio, poi mi lancia un sorriso, entusiasta di essere finalmente arrivata a destinazione.
Ho scelto un pub che, da quando sono entrata a far parte della cricca di mio fratello - e lui ha raggiunto la maggiore età - è diventato punto di ritrovo per le serate di scouting e vita mondana. Benton l'ha eletto a miglior locale per godersi dell'indie-rock di qualità, in abbinato con birre provenienti dagli angoli più disparati d'Europa e, dopo qualche tempo, non ho potuto che dargli ragione.
The elder and the moon, un nome che pare tanto essere uscito da qualche novella di Tolkien, ma che in realtà è frutto della passione sfrenata del suo proprietario per i giochi di ruolo a tema fantasy, è un locale che profuma di legno e luppolo a sera, e caffè caldo la mattina - già, perchè le poche volte in cui ho deciso di non prendere parte alle attività scolastiche mi sono rifugiata qui, accoccolandomi al fianco di Charlie.

La ragazza accanto a me si fissa la punta delle scarpe, poi mi lancia un'occhiata dubbiosa: «Dici che ho esagerato?» domanda, forse rendendosi conto che uno stiletto non è poi la scarpa più indicata per la location designata.
Le sorrido mestamente, annuendo. E' inutile cercare di dirle una bugia, le ultime volte che ci ho provato non hanno portato a buoni risultati e se ho la possibilità di farmi un'amica gradirei non sprecarla.
Restiamo sospese qualche istante tra dentro e fuori, aspettando che il piccolo ingorgo formatosi all'ingresso sparisca, poi entriamo e, nel farlo, mi è inevitabile trattenere il respiro - se non cambia idea ora potrò decretare quest'uscita come ufficiale.

Così, nel preciso istante in cui le suole delle mie scarpe toccano il parquet smangiato del The Elder and the Moon, un'improvvisa soddisfazione mi assale, insieme all'aria pregna di luppolo, fritto e profumi vari - tra cui pure quello di sudore dei camerieri che volteggiano tra un tavolo e quello successivo.

Involontariamente mi ritrovo a stringere la mano di Caroline, occupata però a osservare con stupore l'ambiente intorno a lei; il suo sguardo studia ogni trave e ogni foto incorniciata appesa alle pareti, valuta la quantità di gente presente e la disposizione del locale, poi, dopo qualche minuto di totale isolamento, si volta nella mia direzione, sorridendo. 
Il suo viso, illuminato dai denti perfettamente bianchi, pare dire a lettere cubitali che il posto le piace, che per la nostra prima serata tra donne è il luogo perfetto - e la cosa mi rincuora. Avevo previsto il peggio durante il viaggio in metro che ci ha condotte fin qui, creando decadenti castelli di sabbia in cui far vivere le mie aspettative più rosee, sapendo che presto o tardi la marea avrebbe dato loro il colpo di grazia, ma a quanto pare non è andata così.
Tra un risolino e l'altro, un commento sciocco e la battuta successiva, ci avviciniamo a grandi falcate verso il bancone, dove un uomo dai lunghi ricci rossi e il pizzetto da fauno si destreggia tra un'ordinazione e una chiacchiera con i clienti. I tatuaggi tribali guizzano sulle sue braccia pallide, mostrando il continuo movimento dei suoi muscoli. Se l'alcol avesse già avuto la meglio su di me, potrei quasi dire che, alle volte, tutti gli animali sulla sua pelle prendano vita, trasformando il loro possessore in una creatura astratta.
D'un tratto l'uomo si volta verso l'entrata, forse per scrutare quanta gente si stia adunando nel suo locale per assistere allo show e, nell'esatto momento in cui lo fa, il suo sguardo cade su di me.
Ci impiega qualche istante a mettermi a fuoco, ma poi la sua espressione si apre in un sorriso gioioso: «E' la signorina Raven quella all'orizzonte?» asciugandosi in fretta le mani sul grembiule si allunga sul pianale in legno che ha di fronte. Mi prende per le mani, trascinandomi vicino e poi, con lo stesso calore di un vecchio amico, mi bacia una guancia.
Per quanto le sue passioni da nerd lo rendano un soggetto alquanto improbabile, Adrian è stato compagno di classe di Jace per molto tempo e, questo, li ha resi amici - poi il liceo si è messo nel mezzo e le loro strade hanno preso direzioni differenti.

«Mi sembra passato un secolo dall'ultima volta che sei passata!»
E come dargli torto? Con tutto il trambusto provocato dal battibecco dei due ragazzi più importanti del mio microcosmo, uscire è stato l'ultimo dei miei pensieri.
Gli sorrido mestamente, provando a evitare il motivo reale della mia assenza. So che se dovessi soffermarmi troppo sulla questione finirei con il deprimermi e rovinare la serata non solo a me, ma anche a Caro.
«Che vuoi che ti dica?» alzo le spalle in un gesto teatrale, fingendo di non dare importanza a nulla: «Quest'ultimo anno di scuola mi sta imprigionando tra casa e le classi!»

Lui sbuffa: «Guarda, non ti invidio per nulla! Però manca poco, stringi i denti ancora qualche mese» si guarda attorno con fare circospetto, poi si spinge ancora più vicino: «Io intanto tengo la bottiglia di champagne in fresco!» E il suo occhiolino complice strappa anche alla ragazza accanto a me una risata.
Adrian a questo punto torna con il busto oltre il bancone, lasciandoci sedere proprio di fronte alla sua postazione, poi, armeggiando con apribottiglie e boccali, ci serve senza alcuna comanda due bionde dall'aria fin troppo invitante.

«Il primo giro ve lo offro io» ci sussurra, in modo che nessuno dei clienti possa cogliere il suo favoritismo nei nostri confronti. E' evidente che vorrebbe fermarsi a scherzare, ma il lavoro lo chiama e, così come quando siamo entrate, si rimette a riempire calici, bicchieri e boccali, dando direttive di ogni tipo allo staff di sala.

Caroline alza la sua birra, mi fissa: «Brindiamo?» mi domanda facendo ondeggiare il caschetto bicolor ai lati del viso.

«A cosa?»
«A questa uscita direi» mi fa notare con un'espressione che fa capire quanto la risposta dovesse essere ovvia - e allora alzo a mia volta la bionda, facendo cozzare il vetro dei due boccali.

Sì, credo che il destino abbia proprio voluto farmi un regalo, visto il casino in cui mi ha cacciata!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: BabaYagaIsBack