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Autore: frozenkingdom    21/05/2015    2 recensioni
Albus Severus Potter vive nel mondo Babbano ormai da molto tempo, in America, ha quarantanni e una fiorente carriera musicale come cantante; forse non la vita che ha sognato, ma qualcosa di cui tutto sommato può considerarsi soddisfatto.
Ma nemmeno il suo sostanzioso conto in banca è in grado di acquistare armadi abbastanza grandi da nascondere i suoi scheletri, specie quelli del cuore, che lo costringeranno ad affrontare tutto ciò che ha sempre negato a se stesso.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Autore: miharu92

Fandom: Harry Potter

Personaggi: Albus Severus Potter, personaggi originali vari

Raiting capitolo: Verde

Conteggio parole: 5648

Avvisi: //

Genere: Introspettivo, Malinconico,

Betareader: Snoopy <3

Disclaimers: I personaggi sono di proprietà intellettuale di chi ne detiene i diritti. Non ricevo alcun profitto dalla stesura e pubblicazione di questa storia, i fatti narrati non sono intesi a ledere l'immagine di nessuno e qualsiasi similitudine a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale.


Capitolo secondo; Drapetomania

"An overwhelming urge to run away"



La sensazione dell'erba fresca solletica dolcemente i piedi nudi di Albus, come un bambino dispettoso la cui risata sembra riverberare nell'aria attorno a lui. Alcune rondini si librano in aria, danzando fra le nuvole e lasciando al loro passaggio delle scie di colore, tenue tinte pastello che si mescolano come pittura a olio. Una leggera brezza primaverile si insinua al di sotto della sua t-shirt bianca, le maniche corte che si gonfiano appena, e smuove sbarazzina l'orlo dei suoi pantaloni in lino.

Il giardino nel quale si trova si mostra in fiore, rigoglioso; i salici piangenti contornano un piccolo laghetto artificiale e scorge delle anatre che vi nuotano spensierate.

Albus ha già visto quel luogo, ne è certo, ma non riesce in alcun modo a ricordare dove o quando e, mentre cammina fra i roseti, una dolce voce si arpiona alla sua attenzione, catturandola e strattonandola con poca grazia.

Si tratta di un melodioso canto dalle note leggere e a tratti malinconiche.

Albus lo segue come ammaliato, camminando a passo spedito fra l'erba che gli solletica i piedi e, quando svolta un angolo, si blocca sul posto, sorpreso e confuso. Al centro del prato, all'interno di quella che pare un'enorme gabbia per volatili, si erge una figura adornata da un lungo vestito bianco, il corpetto finemente ricamato e la gonna che accarezza morbida fin oltre le sue ginocchia; i lunghi capelli biondi ricadono in parte sulla sua schiena e in parte sulle sue spalle spigolose, così come i suoi fianchi magri, e fra le piccole mani dalle dita affusolate regge un'ampolla all'apparenza vuota.

Il cuore di Albus sembra fermarsi.

« Regina. » biascica, la voce che fatica non poco a scalare le sue corde vocali per raggiungere le labbra, ma quando ci riesce il paesaggio tutt'attorno sembra tremare visibilmente. Eppure la persona davanti a lui non si muove, nonostante Albus sia certo di non essersi sbagliato.

Lo riconoscerebbe ovunque; perché al di sotto di quella veste candida, a discapito dei capelli lunghi e delle unghie curate, degli occhi appena truccati e della labbra lucide, lui sa esserci un corpo maschile. Il corpo della persona per la quale sarebbe pronto a rinunciare alla vita stessa, se mai fosse necessario.

« R-Regina... Regina, splendore, sei tornata. » sorride, ebbro dell'euforia che la visione del ragazzo gli provoca. E si avvicina alla gabbia, incurante delle spine che incontra sul suo cammino e che gli feriscono i piedi. A lui non importa, perché sta guardando l'amore della sua vita; come potrebbe interessargli di altro?

Quando giunge davanti alla gabbia ha modo di osservarla più da vicino e nota come non sia composta da semplice ferro battuto come gli era sembrato, bensì da robusti rami e radici intrecciati fra di loro dai quali spuntano fiori dai meravigliosi colori; una visione semplicemente bellissima.

Il ragazzo continua a cantare, quel suono meraviglioso che solletica la memoria di Albus e lo riporta a un tempo in cui quello stesso ragazzo aveva appena quattordici anni e si esercitava nei Sotterranei, spartito alla mano, puntando a niente meno che la perfezione. Lo riporta a un tempo spensierato, nel quale l'unica cosa della quale preoccuparsi erano i compiti e il non farsi scoprire fuori dai letti da insegnanti o Prefetti.

« Regina, ti prego, parlami. » si ritrova a supplicarlo; un tumulto nel petto e la voce che gli scava le corde vocali è infantile, pulita da tutto il testosterone che negli anni l'ha abbassata e arrochita. Sa che questo dovrebbe preoccuparlo, dovrebbe dargli da pensare, ma non riesce a preoccuparsene. Non può farlo, non quando Regina è davanti a lui, non quando la creatura più bella che abbia mai camminato su quella Terra è , nuovamente nella sua vita.

E questa volta per restare.

Eppure il giovane non smette di cantare, gli occhi chiari vibranti di sentimenti impetuosi, che gli danzano sulla pelle causando lievi bruciature da sfregamento.

'Cosa ti hanno fatto, tesoro? La tua pelle è sempre stata così delicata...'

L'inquietudine brucia la carne di Albus con fiamme vive, le sue mani si arpionano alla meravigliosa gabbia nella quale il suo compagno è stato rinchiuso e l'effetto del suo gesto risulta immediato, catastrofico, smuovendo la terra e l'aria.

Regina spalanca gli occhi, bloccando il suo canto, e dalle sue labbra morbide scivolano ora grida disperate e singhiozzi mal trattenuti, i segni sulla sua pelle che si moltiplicano e si espandono. Albus lascia immediatamente la presa sulle radici, orripilato, ma è ormai troppo tardi; il bellissimo ragazzo sembra dilaniato da un profondo dolore che lo consuma dall'interno, facendolo contorcere e piegare sul busto, la voce prima melodiosa ora è accartocciata in suoni la cui disperazione spezza le ossa.

Gli tremano le mani; sembra che persino la terra tremi con lui.

« Regina! » lo chiama, disperato e colpevole, « Regina, calmati, sono qui! Sono qui per te, sono qui! »

Le gambe del giovane sembrano crollare sotto un peso che Albus non è in grado di vedere e, mentre le forme spigolose delle sue ginocchia magre si confondono fra l'erba alta, l'ampolla raggiunge il terreno e si spezza con un fragore che toglie il fiato, rilasciando l'invisibile liquido che ha contenuto sino a quel momento. Dai frammenti di quello che pare vetro si sprigiona una nube scura che vortica su se stessa, minacciosa. Regina si porta le mani alle braccia, stringendosi in se stesso come a proteggersi dal freddo, e Albus picchia con violenza i palmi contro la struttura in legno.

« Scappa! » lo supplica, « Fuggi, lo fermo io, combatto per te! »

Ma il ragazzo non si sposta. Rimane a terra, stretto in se stesso con le spalle ricurve, le scapole come carcasse di ali che non gli hanno mai permesso di volare. La nube vortica ancora; al suo interno si susseguono numerosi lampi che la squarciano e la illuminano, fino a quando il fumo non prende corpo e diviene un paio di mani, le dita affusolate e irrigidite in una chiara minaccia. Albus non può nulla, se non guardare lo spettacolo che si srotola davanti a lui come una vecchia pellicola ormai rovinata ed erosa dal tempo.

Le mani di solido fumo si arpionano alla delicata pelle di Regina, strattonandolo e ferendolo, moltiplicandosi e strappandogli le vesti; le braccia esili del ragazzo che tentano invano di fermare quell'umiliazione, di coprirsi e nascondere alla vista il suo petto scarno e il ventre incavato, le costole esposte come tasti di un vecchio pianoforte. Una gabbia dentro alla gabbia.

« Regina! »

La voce di Albus risuona con forza nella stanza, il fiato che cavalca il suo petto, scavandolo alla ricerca disperata di una calma che pare lontana decenni. Si porta una mano a stringersi il tessuto leggero della maglia mentre gli occhi cercano qualcosa di familiare nel buio che lo circonda.

La sveglia segna le 2:37 e Albus si passa una mano sulla fronte sudata, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente.

Un sogno, solo un sogno sulla persona che più di tutte è stata una continua scoperta e fonte di piacevoli tormenti. Non avevano mai parlato di quale potesse essere il motivo del suo aver creato un alter ego, per se stesso, di genere diverso dal proprio, ma Albus non aveva potuto far altro che accettare ogni cosa di lui, dalla sua sottomissione al suo desiderio di crossdressing.



"Albus, io--"

"Perché hai quei vestiti addosso?"

"... mi rendono libero."

"Libero? Da cosa?"

"Da me stesso. Dal mio dolore. Dal mio passato."

"Ti fanno sentire meglio?"

"Sì-- mi sento una persona diversa. Mi sento una Regina."

"Allora sarai la mia Regina."



Mentre si alza dal letto, conscio che ormai non si sarebbe più riaddormentato, ripensa a come avesse sempre accettato ciecamente qualsiasi suo comportamento, senza domandare mai nulla.

Con la sigaretta fra le labbra e gli occhi stanchi a scrutare le luci della città, Albus si domanda se davvero fosse lui il Master nella loro relazione. Osserva il fumo lasciargli le labbra, rimanere sospeso e dissolversi davanti ai suoi occhi, e si risponde che no, non era veramente lui l'elemento dominante fra loro.

Dal primo momento in cui l'ha visto ha sempre cercato di cambiare se stesso per andare incontro a tutti quelli che sono stati i suoi bisogni.

È stato proprio lui che gli ha insegnato a costruire attorno a sé un'intricata rete difensiva per schermarsi dagli attacchi che -a parer suo- chiunque sia superiore è destinato a ricevere; lo ha convinto di essere un dio fra i mortali, ha costruito parola per parola l'ego di Albus, affondando però le sue fondamenta nella fine e debole sabbia.

A essere totalmente sinceri, Albus non crede che sia davvero colpa sua se è diventato com'è, ma è indubbio che sia stato messo da lui, sulla buona strada. Gli sono stati donati da una bellissima Veela tutti gli strumenti per crearsi la maschera perfetta che ha indossato con orgoglio e dietro alla quale si è nascosto per molto tempo, dall'adolescenza fino al suo ingresso nell'età adulta; certo, negli anni è cambiata mutando la consistenza, il materiale e la colorazione, ma non è mai stata tolta. Mai, se non nei momenti in cui erano soli, sotto alle coperte, o quando si guardavano negli occhi e parlavano con gli sguardi.

Gli manca; e non per il sesso, nonostante con lui spogliarsi fosse l'atto più naturale che si potesse compiere, nonostante vederlo fremere sotto di sé fosse il modo più semplice per comprendere come si sentisse, per codificare tutti quei segnali che involontariamente inviava durante l'amplesso. Gli manca perché non ha mai trovato nessuno con il quale potesse essere completamente se stesso, con il quale quella bellissima e pesante maschera potesse essere tolta.

Certo, Marta è la sua migliore amica, una presenza indispensabile -per quanto gli dolga ammetterlo- nella sua vita, ma non può essere sincero con lei. Non può dirle di essere un mago, non può confidarsi, non saprebbe come farle capire i suoi tormenti. Lui, invece, già sapeva; li hanno vissuti insieme, hanno passato gli anni migliori e peggiori l'uno accanto all'altro, non avevano bisogno di spiegarsi a vicenda, comunicavano senza parole.

E si rende conto, mentre la sigaretta lentamente si consuma e la cenere cade sul davanzale della finestra, che il reale motivo per cui non ha mai trovato qualcuno che, come lui, potesse stargli accanto è perché si è abituato alla facilità con la quale comunicavano, con la quale si capivano, e questo gli ha reso difficile instaurare un qualsivoglia tipo di rapporto con altre persone.

« Mi hai rovinato, Regina. » si ritrova a mormorare al vento freddo, la voce carica di un'amara risata, carica del dolore di chi ha amato con la distruttiva potenza del sole, del mare, dell'aria; di chi ha amato con il fuoco negli occhi e il ghiaccio fra le dita.

Dopo aver gettato il mozzicone della sigaretta, Albus si dirige in bagno per farsi una doccia. Ha bisogno di lavar via il ricordo della persona che lo ha costruito e distrutto, ha bisogno di non ricordare Regina e il suo sorriso splendente, ha bisogno di non essere il sé stesso di quando aveva sedici anni. Quando pensava di essere in capo al mondo e di poterlo controllare e dominare a suo piacimento.

E con l'acqua sulla pelle, Albus compie nuovamente lo stesso errore di sempre, con orgoglio: cancella ciò che non desidera, lo relega nella parte più intima del suo animo, lo mette da parte per non affrontarlo. Ma fa meno male, e lui non ha mai nascosto -quantomeno a se stesso- di essere un vero vigliacco.



~*~*~



Quando apre la porta di casa, quella mattina, Albus non ha mai avuto meno voglia di uscire. Il vento gli soffia in faccia con cattiveria, il freddo si arpiona alla pelle e le sue dita si stringono al pomello per contrastare il forte desiderio di richiudere la porta e nascondersi sotto alle coperte. Non si è mai sentito così impaurito in tutta la sua vita, nonostante la curiosità di sapere il motivo della lettera lo abbia divorato sin alla sera prima, quando si è coricato con il desiderio che la notte passasse velocemente.

Ora vorrebbe soltanto che il tempo potesse riavvolgersi e non continuare mai il proprio corso.

Pondera seriamente se andare o meno all'appuntamento, ritardando il proprio incontro con la verità; "Ho avuto un impegno improvviso di lavoro", "Sono davvero mortificato, ma ho avuto un'urgenza che non potevo assolutamente delegare", "Sa, non volevo venire e quindi--"

Sospira e indossa i guanti, sistemandoseli alle dita, per poi alzare la pesante sciarpa che ha dovuto indossare per proteggere le sue corde vocali dal gelo, compiendo poi il primo passo nel mondo esterno. Con le chiavi in tasca e l'mp3 nelle orecchie si incammina per le strade fredde e ancora buie con la testa bassa e il petto pesante. Spera di non incontrare alcun fan sul suo cammino, perché non sarebbe se stesso. E una serie di articoli su di lui non è assolutamente ciò di cui ha bisogno.

La voce di Marta gli gorgoglia nelle orecchie, 'Sexy e sorridente, tesoro; sei splendido!', il suono che si piega su se stesso come le onde del mare, ma non vi è alcuna voglia di sorridere.

Non riesce a mandar via le sensazioni del sogno che lo ha svegliato, non riesce a dimenticarsi di Regina, del suo corpo esile e fin troppo asciutto, del suo canto malinconico e melodioso, dei suoi morbidi capelli, delle sue labbra sottili...

Chiude gli occhi, svoltando in una piccola via laterale, mentre inspira e tenta con tutto se stesso di combattere quell'improvvisa tenaglia di malinconia che sembra avergli catturato le viscere. Si sente mancare il fiato, la pelle dolorante dal desiderio di essere toccata, il cuore soffocato.

Alza il volume della musica mentre aumenta il passo, le gambe che per un momento sembrano contrastare la sua decisione divenendo rigide e pesanti, per poi soccombere al suo volere.

E ritorna a fare ciò che ha sempre fatto, correre via dai suoi problemi, scappare, voltare il capo per non affrontarli.

Si vergognerebbe, ma la vergogna non è abbastanza forte da farlo fermare e affrontare i suoi bisogni; è più facile andare avanti, coprirsi gli occhi, ignorare le vampate d'imbarazzo che lo colgono quando si rende conto del proprio comportamento, nascondere ogni suo sentimento fra le note di una canzone.

Come vorrebbe tornare indietro, Smaterializzarsi allo studio di registrazione, chiudersi in sala e dare sfogo alla parte più vera di se stesso; anche a costo di cantar male, anche a costo di perdere la voce ed essere rimproverato da Marta, anche a costo di dover spostare dei concerti. Non gli importa. Se potesse cantare, chiuso in una stanza dove solo la sua voce è padrona indiscussa dell'aria che lo circonda, potrebbe ritornare ad avere il controllo di sé; potrebbe riaggiustare la propria maschera e tornare a nascondervi insicurezze e paure.

L'edificio davanti al quale si ferma è anonimo, i muri un tempo bianchi ma ora ingrigiti dal tempo e adornati da graffiti a tratti volgari e a tratti vere e proprie opere d'arte. Una finestra al secondo piano ha il vetro rotto, il legno della porta sembra corroso dalle termiti e i cardini in ferro sono ormai arrugginiti.

O almeno, così appare ai Babbani. I muri esterni sono in realtà di un verde scuro, i vetri color carta da zucchero, gli infissi dorati e la porta finemente lavorata. I Centri di Metropolvere Pubblica sono edifici sparsi per tutto il paese, ognuno adornato in modo diverso a seconda della persona che ha elargito i fondi per la sua costruzione. Nelle zone ad alta densità di popolazione non magica, dove le case non possono essere dotate di un camino, edifici come quello che Albus si trova davanti sono nati dalla necessità dei maghi di potersi spostare tramite Metropolvere, senza essere obbligati a Smaterializzarsi.

Questo CMP è piccolo, a volte mal organizzato, ma è il più vicino a casa sua, e Albus ha imparato col tempo a chiudere un occhio. Anche se, a ben vedere, ha usufruito di quel servizio per poco tempo, molti anni prima, e gli ritorna forte il desiderio di girare i tacchi e allontanarsi a gambe levate.

Seriamente, cosa gli impone di seguire le direttive di quella lettera? Gli importa davvero di sapere quale sia la persona che ha bisogno del suo aiuto? Potrebbe benissimo trattarsi di qualche esaltato che, sul letto di morte, ha richiesto la visita di uno dei figli del Salvatore Del Mondo Magico.

'Non sarebbe la prima volta...' si ritrova a pensare, in piedi davanti alla porta finemente lavorata, mentre ricorda come suo padre avesse inveito contro i genitori di un ragazzo che insistevano per far incontrare il loro figlio vent'enne con Lily (all'epoca dodici anni appena compiuti) perché lei era "Estremamente carina e interessante", a parere del giovane.

Scuote la testa per scacciare quei ricordi, che pungono fastidiosamente in un punto impreciso del petto, e oltrepassa la soglia fingendo una sicurezza che in quel momento non possiede assolutamente.

Incredibile quanto la vicinanza con il mondo Magico faccia tremare le sue fondamenta.

L'ambiente interno è di molto diverso da quello esterno; se fuori i colori e i materiali aggrediscono l'occhio di chi li guarda, dentro tutto quell'impetuoso desiderio d'apparire si tramuta in un caldo abbraccio, come quello di una casa dove si sono vissuti gli anni migliori. Le tinte pastello coccolano lo sguardo, i divani in tessuto rosso invogliano a mettersi comodi durante l'attesa, da ingannare con una serie di settimanali e mensili sparpagliati sui tavolini accanto a una modesta libreria in legno. Sulla destra, qualche pianta in vaso precede un'ampia porta che sicuramente sul corridoio dove sono stati collocati i camini mentre, esattamente davanti all'ingresso, dietro un bancone in legno, una giovane ragazza attende di smistare i clienti, rispondere diligentemente a ogni loro quesito ed essere la repentina e precisa soluzione a tutti i loro problemi.

Ad Albus ricorda tanto le segretarie della sua casa discografica, ai suoi occhi tutte uguali; per l'amor del cielo, sanno fare benissimo il loro lavoro, ma c'è qualcosa che non gli ha mai ispirato fiducia, nella loro figura professionale.

« Buongiorno, come posso aiutarla? »

La ragazza al bancone ha il loro stesso tono e l'uomo si domanda se faccia parte del corso di formazione, possedere quella cadenza fastidiosa e quella voce acuta. Eppure quella al bancone sembra davvero una bimba coi capelli castani a incorniciarle un viso appena paffuto, gli occhi scuri un poco truccati e la camicetta chiusa solo fino al penultimo bottone.

« Ho bisogno di viaggiare con la Metropolvere, in Inghilterra. » le risponde Albus, il tono sbrigativo, e quando le si avvicina nota nel suo sguardo una chiara nota di confusione e curiosità. Si ritrova a inarcare un sopracciglio e il gesto viene registrato dalla ragazza che abbassa immediatamente gli occhi, cercando di riprendersi.

« Certamente, qual è la sua destinazione? » domanda, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio e guardandolo come se cercasse di ricordarsi qualcosa.

« Preferirei se rimanesse un'informazione privata. » le risponde, sulla difensiva, e mentre posa un gomito al bancone, nota la ragazza fissarlo intensamente.

'Che sia una mia fan?' si chiede, domandandosi se la sua musica è davvero riuscita a raggiungere anche il mondo magico. Magari si tratta di una strega con amicizie o parenti Babbani, oppure semplicemente attratta dal mondo non magico. Cerca di sorridere, nonostante il suo umore, per mantenere la sua facciata di uomo sexy, allegro e soprattutto sempre pronto a flirtare giocoso con i propri fan.

« Comprendo il suo desiderio, ma sfortunatamente nuove regolamentazioni interne ci obbligano a chiedere la destinazione, per poterla registrare in caso di controlli. » spiega, il tono concitato e le mani che non riescono a rimanere ferme. La sua voce trema un poco, mentre lo guarda insicura, e Albus sente odore di menzogna.

Una fiammata di spirito Serpeverde gli balza nel petto.

« Regolamentazioni interne, mh? » domanda, inarcando il sopracciglio e sporgendosi un poco sul bancone, sentendo il controllo della situazione vertere fra le sue mani. Guarda deliziato come la ragazza gli sorrida a disagio, annuendo, e i suoi occhi brillino della preghiera di non ricevere ulteriori domande, la mente che lavora febbrile per tenersi pronta a sfornare risposte soddisfacenti. Forse è astinenza, la sua, ma gli sembra di poterlo vedere fisicamente lo sforzo che sta compiendo per mantenere il controllo; come un sottomesso alle prime armi.

Sospira. È decisamente astinenza...

« Non c'è davvero modo di mantenere l'anonimato? Si tratta di una questione privata. » tenta nuovamente, cercando di forzare con la propria decisione la debole difesa della ragazza. Non gli piace essere preso in giro.

« Sfortunatamente no, sono davvero mortificata. » è la risposta della giovane, e Albus è davvero poco convinto del suo sentimento. Sospira, portandosi due dita alla base del setto nasale, e cerca di pensare a una destinazione che possa andare bene. E in quel momento, la sua testa si svuota di ogni cosa.

"Ovviamente...."

« Ehm... il San Mungo. » risponde, attingendo a tutta la sicurezza che riesce a racimolare e ritrovandosi a pensare che se ci fosse stata Marta forse avrebbe gestito meglio la situazione.

La ragazza scarabocchia su un foglio, sorridendo vittoriosa.

« La ringrazio della comprensione. » cinguetta, con l'aria di chi è venuto a conoscenza dello scoop più succulento della storia, « Quanto desidera lasciare come offerta per il servizio? »

Albus la guarda per un lungo istante, perdendo momentaneamente il suo charme, per poi chiudere gli occhi e imprecare silenziosamente. Si è completamente dimenticato che, essendo la Polvere Volante davvero molto economica, i CMP non hanno un listino vero e proprio ma richiedono comunque una donazione libera.

Con il solo problema che l'uomo non maneggia denaro magico ormai da anni.

« Ah... L'offerta. » ripete, cercandosi nelle tasche e ingoiando l'imbarazzo, « È un problema se vi firmo un'autorizzazione a ritirare una somma dalla mia camera blindata alla Gringott? Non ho denaro magico con me, al momento. »

« Nessun problema, attenda solo un istante. » si scusa la giovane, alzandosi dall'alto sgabello sul quale apparentemente era seduta sino a quel momento, per poi sparire in una piccola porta laterale.

Mentre il silenzio impregna l'ambiente attorno a lui, Albus percepisce con chiarezza -e pungente forza- la sensazione che qualcosa gli sia appena sfuggito di mano. Qualcosa all'altezza dello stomaco gli suggerisce che ciò che è appena accaduto si ritorcerà contro di lui.

Cerca di impedirsi d'essere così pessimista.

« Stai scherzando, vero?? »

Una squillante voce femminile gli arriva alle orecchie, da oltre la porta, seguita poi dal suono di qualcuno che intima di fare silenzio.

La sensazione aumenta.

Dopo quelli che sembrano interminabili minuti -durante i quali il vociferare concitato dall'altra parte della porta non si è minimamente placato- la ragazza torna al bancone con una pergamena in mano, porgendogliela assieme a piuma e inchiostro.

« Ecco, dovrebbe cortesemente compilarmi questo piccolo modulo inserendo la data, l'importo che vuole donare e firmando il consenso. » spiega l'impiegata, praticamente camminando a dieci centimetri da terra e spingendo di conseguenza l'umore dell'uomo sempre più in basso.

Albus annuisce, compilando i campi richiesti senza notare che nel frattempo sono uscite dagli uffici un altro paio di impiegate, che stanno palesemente fingendo di dover fare qualcosa proprio in quella stanza.

Quando porge la pergamena alla ragazza, la situazione degenera.

Vede il suo viso illuminarsi alla lettura del suo nome, e l'idea che effettivamente sia una sua fan inizia a concretizzarsi.

« Allora non mi ero sbagliata! » esclama, catturando l'attenzione delle altre ragazze, che si avvicinano per leggere la pergamena, « Lei è il figlio di Harry Potter! »

Sulle spalle dell'uomo ricadono pesanti macigni che credeva di aver abbandonato da anni. Con le mani sudate e il petto aggrovigliato in un sottobosco di rovi spinati, Albus si ritrova catapultato indietro negli anni, strattonato all'ombelico esattamente come una Passaporta.

E si ritrova i flash dei fotografi in viso, stretto in un vestito che odia, il respiro mozzato da una cravatta annodata male, le spalle premute una contro suo fratello e l'altra contro sua sorella, il padre che risponde a inutili e ripetitive domande mentre la madre cerca, come loro, di sopportare, sussurrando: "Tra poco torniamo a casa, solo un piccolo sforzo".

Quante volte avrebbe voluto scappare, quante volte avrebbe voluto lasciare tutto e tornare a Hogwarts, allora il solo luogo nel quale aveva trovato chi era diventato la sua casa.

Le ragazze davanti a lui gli fanno domande, gli chiedono l'autografo, "Dov'è stato per tutto questo tempo, Signor Potter?", "Il Mondo Magico sente la sua mancanza!", e l'uomo sente la propria magia scalpitare.

Stringe le dita a pugno, sul bancone, per impedirsi di mettere mano alla bacchetta.

« Ragazze. » le chiama, indossando la migliore maschera nel suo vasto repertorio, sorridendo soave e caricando la sua voce di un tocco di malizia, « Credetemi, vorrei davvero rimanere qui a rispondere alle vostre domande e non solo » ammicca, facendo l'occhiolino a una di loro, « ma sfortunatamente sono atteso altrove con una certa urgenza, e temo di dovervi salutare. »

Finge rammarico al dispiacere delle ragazze, e sorride cordiale quando gli viene consegnata la Polvere Volante e viene condotto a uno dei camini.

Saluta con un giocoso occhiolino le impiegate prima che si allontanino dal camino, ed è in quel momento di solitudine che Albus rischia di cedere. Vorrebbe urlare, sente l'ira vorticargli sotto la pelle e trasformarsi in un fuoco vivo che gli arde nel petto. Stringe la polvere fra le sue dita, qualche granulo che gli sfugge e sfrigola una volta raggiunti i carboni spenti, producendo una leggera fiammate verdognola.

Odia il suo cognome. Odia la sua storia, odia essere ricordato non per la persona che è ma per suo padre. Vorrebbe convincersi che non è colpa sua, e dentro di sé ne è certo, ma dopo anni ancora non riesce a perdonarlo. E si rende conto di essere infantile, ma la rabbia nei suoi confronti non è ancora scemata.

Al contrario, ritorna più viva che mai difronte a episodi simili.

Inspira profondamente, gettando la Polvere nel camino ed enunciando la propria destinazione con sicurezza, scandendo le parole, ma con una chiara nota di nervosismo e astio.

Il desiderio di tornare a casa è più forte che mai.



~*~*~



L'istituto Geelens si presenta, all'esterno, come una sobria ed elegante unione fra magia e mondo Babbano, un mix di antico e moderno. La struttura, anticamente una casa nobiliare, è stata recentemente ristrutturata per accogliere pazienti affetti dai più disparati disturbi psichiatrici. La necessità di un punto di supporto per la comunità magica, in termini di salute mentale, si è mostrata sempre più pressante via via che i reparti del San Mungo non sono più stati in grado di gestire il fiume di pazienti che, soprattutto in seguito alla Guerra, si rivolgevano alla struttura in cerca di aiuto.

All'interno, il gusto moderno babbano fa da padrone, con forme geometriche irregolari e materiali lucidi.

Quando Albus esce dal camino, scrollandosi un po' di cenere da dosso, viene accolto da un'elegante signora in tailleur e camice bianco che gli sorride cordiale.

« Benvenuto all'istituto Geelens. Come posso aiutarla? »

Per un momento l'uomo, ancora con la rabbia addosso, sente il desiderio di risponderle male. A una prima occhiata gli sembra identica all'impiegata del CMP, e digrigna un poco i denti.

« Ho un appuntamento. » risponde secco, avvicinandosi al bancone. La donna, senza batter ciglio, apre quella che pare un agenda e vi una veloce occhiata.

« Con chi? »

Albus apre le labbra, per poi accorgersi di non ricordare il nome della dottoressa. Richiude lentamente la bocca, portandosi due dita alla base del setto nasale mentre posa il gomito sul bancone in vetro.

Ha sempre avuto un'ottima memoria, per questo le rare volte che non riesce a ricordare qualcosa sente il nervoso e la frustrazione risalire lungo l'esofago.

« Non ricordo il nome della dottoressa-- »

« Mi dica il suo; se ha un appuntamento sarà sicuramente scritto in agenda. » lo interrompe l'impiegata, con voce pragmatica e professionale che gli ricorda molto quella di Marta, ma nonostante questo, alla sua frase Albus si ritrova a storcere il naso.

« No, me lo ricordo, si chiama... si chiama A-- Ak qualcosa... »

La donna inarca un sopracciglio, confusa.

« Mi scusi se insisto, ma è molto più semplice se mi dice il suo nome. Vede, ho qui gli impegni di tutti i medici presenti in struttura, se so il suo nome troviamo senza difficoltà la dottoressa con la quale ha appuntamento. »

Albus la osserva per un momento. Il suo tono è diverso da quello della ragazza al CMP, ma più della sua voce ciò che lo rassicura è il suo sguardo. Possiede la sicurezza di chi sta facendo il proprio lavoro, nulla di più. Inspira, sporgendosi un poco.

« Albus. » risponde, lo stomaco stretto in una morsa d'acciaio e il petto ormai vuoto nel quale rimbomba l'eco di un dolore lontano, « Albus Potter. »

La reazione della donna è molto diversa da quella che si sarebbe aspettato. La vede spalancare gli occhi, alzandoli dal libro che ha fra le mani, e guardarlo con un profondo dolore nello sguardo.

« Oh. » mormora soltanto, chiudendo il volume, « Mi segua, la porto immediatamente dalla dottoressa Åckerman. »

"Ecco come si chiamava...!" si ritrova a pensare, nonostante la confusione per la reazione della donna, e la segue a passo spedito lungo i corridoi asettici, oltrepassando porte all'apparenza tutte uguali.

Si sente a disagio fra quelle mura, nonostante l'ambiente sia oggettivamente di buon gusto e quasi confortevole. Ma è il pensiero di cosa quella struttura effettivamente sia, a iniettargli potenti brividi nelle ossa. Non si sente a suo agio nel sapere di essere circondato da dottori, infermieri e psichiatri. Non si è mai fidato di loro.

Attraversano un paio di sale, salendo di qualche piano con l'ascensore, fino a quando l'impiegata non lo fa aspettare in una sala d'attesa, provvista di sedie fin troppo comode e ripiani colmi di libri che dubita qualcuno legga davvero.

« Signor Potter? »

La voce premurosa di una giovanissima infermiera, sicuramente specializzanda, lo distoglie dalla nebbia dei suoi pensieri. Non vorrebbe alzarsi, non vorrebbe seguirla. Percepisce chiaramente l'infantile desiderio di tornare a casa, nascondersi sotto alle coperte e dimenticare chiunque lo abbia chiamato in quel luogo.

Ma non lo fa.

« ? »

« La dottoressa può riceverla; mi segua. »

Controvoglia, segue quella giovane infermiera fino a una porta sulla quale troneggia una targa, “Dott.ssa Florentia Vesela Åkerman, e viene lasciato davanti a quella soglia con l'arduo compito di scoprire qualcosa che non si è sicuri di voler sapere.

Quando prende coraggio, abbassa la maniglia per rivelare una stanza modesta nelle dimensioni, un'enorme scrivania dall'aria ordinata, una libreria dall'aspetto imponente in confronto alla stanza nella quale si trova, qualche pianta e soprattutto una donna compostamente seduta su di una sedia girevole in pelle.

Albus la guarda un momento, gli occhiali appena abbassati sul naso a schermare un paio di piccoli occhi intenti a leggere ciò che sembra una cartella clinica, i capelli legati stretti in un austero chignon e l'espressione rigida di chi conosce il suo potere.

"Mi ricorda qualcuno..." si ritrova a pensare, prima di schiarirsi la gola per annunciare la sua presenza.

Al suono, la donna alza gli occhi.

« Finalmente, signor Potter. Le piace farsi attendere. » inizia, la voce appena roca e decisa, « Prego, si sieda. » continua, indicando con un gesto della mano la sedia dall'altro lato della scrivania.

Se mai aveva voglia di scappare, in quel momento si è triplicata.

« Ho avuto un inconveniente al CMP... » tenta di spiegare, prima di essere interrotto.

« Quanti autografi ha dovuto firmare? O il popolo magico si è sorpreso di rivederla fra noi? »

Albus assottiglia gli occhi, digrignando un poco i denti.

« Preferirei mi dicesse perché mi avete chiamato qui. Di chi si tratta, mio padre? Mia madre? Avete finalmente messo la camicia di forza a James? » domanda, lasciandosi scappare una risata all'idea di suo fratello con quell'indumento addosso; risata che, però, muore in fretta all'espressione invariata della donna.

« Si tratta di una tematica estremamente seria e delicata. Gradirei che trattasse la situazione con la dovuta serietà, signor Potter. »

« Mi scusi... »

La dottoressa lo guarda da sopra gli occhiali per un lungo momento, prima di sporgersi per aprire un cassetto della scrivania, estraendone una cartella clinica dall'altezza disarmante.

« Il paziente per il quale lei è stato chiamato ha una storia clinica estremamente complessa, prima di giungere alla nostra struttura ha visitato numerosi centri ed è sotto la nostra tutela da non più di sette anni. I diversi centri e i diversi approcci che sono stati attuati con lui ci hanno reso il compito estremamente difficile, e per questo ci troviamo in una situazione spinosa che necessita il suo aiuto. Lei è la sola persona che gli è rimasta. »

Albus ascolta la donna cercando di districarsi fra i suoi termini e la sua cadenza regolare. C'è qualcosa di magnetico nel modo in cui si esprime, e sente i muscoli delle spalle rilassarsi lentamente, per poi tornare rigidi all'ultima frase.

La sua mente cerca si passare in rassegna chi possa combaciare con quella descrizione e quando, in un angolo remoto della sua testa si forma un nome che è riuscito a non formulare per molti anni, Albus inizia a sudare freddo.

« Dottoressa... » comincia, la voce tremante a causa della gola chiusa e le mani sudate, « ... mi dica il nome. » chiede, quasi in una disperata supplica.

La donna lo guarda per un tempo che ad Albus pare infinito, prima di sospirare impercettibilmente.

« Certamente. » risponde, togliendosi gli occhiali e posandoli sulla cartella, « Abbiamo bisogno del suo aiuto con Scorpius. Scorpius Hyperion Malfoy. »


Fine.

   
 
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