Don’t care about the rest
A Lee,
Perchè ho voglia di dedicargliela.
Past
Le
mura sono aperte. Sono alte, colorate; non un singolo graffito che rovini la
loro bellezza fresca, appena nata. Bambini vestiti eleganti le osservano un po’
scettici, i nasi arricciati di chi ha visto di meglio, di chi crede che le mura
della proprio casa siano migliori.
Non
c’è nessuno schiamazzo in quella mattina di primavera, mattina in cui le foglie
sono ancora bagnate dalla rugiada, in cui i fiori ti osservano incuriositi e
più belli che mai. C’è solo una bambina dai corti capelli neri che giocherella
con un sassolino, ignorando il fatto che questo potrebbe sporcarle le mani
bianche.
Lo
sguardo vacuo di chi non ha a cuore nulla di quella città. Gli occhi spenti e
poco luminosi di chi ancora non ha conosciuto l’affetto di un padre o di un
amico.
Nessuno
porge una domanda tanto ovvia, che dovrebbe affluire alle labbra come se fosse
la cosa più naturale del mondo: che cosa ci fa da sola, su un marciapiedi, la
primogenita della famiglia Hyuuga?
Nessuno
lo sa, nessuno lo chiede. A nessuno interessa la vita dei privilegiati. Chi se
ne importa se quella bambina si è perduta e non trova la strada di casa? La
villa è grande, potrebbe benissimo vederla da sé. Un’acidità inumana quasi, per
un qualche motivo che gli occhi appena aperti sul mondo di Hinata Hyuuga non
riesco a scorgere.
Poi
così dal niente, si passa a un tutto. Passi leggeri di un altro bambino, passi
che sicuramente, pensa un po’ triste forse, la supereranno e correranno dai
proprio genitori a farsi abbracciare, a farsi coccolare e elogiare.
E
le scenderebbe una lacrima, amica ormai delle sue guance pallide, se non fosse
che una testa la scruta, curiosa, forse un po’ indifferente, ma di
quell’indifferenza da bambino che fa sorridere sempre un adulto.
«Tu
sei una Hyuuga», dice arricciando le labbra in una smorfia, e no, non è una
domanda, ma una semplice constatazione di chi sa e vuole far vedere, di un
bambino un po’ più carino della media, che però lei, Hinata, ha già visto.
Non
se ne ricorda e annuisce, piano, incerta, lasciando cadere il sasso che teneva
stretto fra le manine, la mente contratta nello sforzo di capire.
«Io
sono Sasuke. Sasuke Uchiha. Non te lo dimenticare, perché non te lo dirò un’altra
volta», sbotta come se fosse stata lei la prima a presentarsi, un po’
presuntuoso ma comunque fiero di quel cognome che porta sulle spalle da quasi
otto anni.
E
Hinata annuisce ancora, incapace di fare altro, spostandosi un po’ di lato,
invitandolo a sedersi con lei.
«La
mamma mi sta aspettando», fa Sasuke mostrando un foglio con un bel numero
scritto in rosso, un voto di scuola, da mostrare perché si è impegnato tanto
per ottenerlo. Allora Hinata capisce che rimarrà ancora sola e gli occhi le
pizzicano, di nuovo, in modo più fastidioso.
E
forse Sasuke se ne accorge perché con uno sbuffo di chi sembra che abbia mille
altre cose da fare, si butta di peso di fianco a lei.
«Tsk,
tutte così le bambine, frignone e imbranate».
Present
Con
dei gemiti di dolore nelle orecchie, una donna passa davanti ad un vicolo
imbruttito dal tempo buio, ignorando l’invocazione d’aiuto a mezza voce che
chiamava proprio lei.
Chi
fa da sé fa per tre, dice il detto, e lei non ha intenzione di ignorarlo, anche
quando sente il rumore di una bottiglia spaccata, il tintinnio del vetro che
cade a terra, pericoloso, ma ormai non ci sono più bambini che rischiano di
farsi male giocandoci.
Konoha
è ancora la stessa, la solita acidità ed indifferenza che la porta ad essere un
quartiere odiato dall’alto, pur ospitando i personaggi più illustri della città
come abitanti.
Ed
uno di loro – il figlio minore, a voler essere precisi – è proprio dentro a
quel vicolo, un rivolo di sangue che cade dal labbro inferiore spaccato,
nessuna emozione che traspare dagli occhi scuri.
Chiudete
gli occhi se non volete vedere la scena. Se non volete vedere le mani dure,
decise, maschili che afferrano il collo del ragazzo di fronte e che con una
forza fin troppo cattiva lo sbattono a terra. E il corpo afflosciato dal
dolore, da cui provengono gemiti rauchi di sofferenza, viene riempito di calci.
E i sonori crack delle costole non toccano minimamente Sasuke Uchiha, la divisa
scolastica slacciata macchiata di sangue: non è un problema, un paio di mani bianche
gliela spoglieranno con imbarazzo e la laveranno con una cura che gli farà
venire un groppo in gola, e la voglia di macchiarsi di nuovo, per poter
rivivere quella scena d’affetto all’infinito.
Quando
i rumori spariscono e le sue orecchie riescono finalmente a riempirsi solamente
del frinire delle cicale, capisce che la tortura può finire, e che è ora di
farsi vedere in giro, per fare venire un colpo agli occhi che curiosi e avidi
di chiacchiere lo osserveranno, fino a captare anche un livido che nemmeno lui
aveva notato.
Assottiglia
gli occhi quando incrocia gli occhi di ghiaccio del giovane Neji Hyuuga,
perfetto ed impeccabile come suo solito nella divisa verde dell’armata militare
giapponese: lei gli aveva detto che
era tornato a casa per un periodo di pausa, lo ricordava bene. Ricordava anche
di aver udito dei rumori proveniente dalla sua stanza quando aveva messo piedi
in casa Hyuuga, e Sasuke aveva compreso che non era solo la pace che cercava,
lì da loro.
La
calura estiva lo fa sudare e si leva la camicia, buttandola all’interno della
borsa a tracolla, ignorando le spiegazzature che si sarebbe fatta e l’inutilità
il giorno dopo.
Con
la velocità di un battito d’ali che una farfalla compie, salta il cancello
d’entrata principale, dando un buffetto ad uno dei cani da guardia che guardia
non fanno, se l’intruso è Sasuke Uchiha. Li sente mugugnare e sa che vorrebbero
di più di quello che lui sta dando, come fanno tutti. Ed è seccato quando
scuote la testa un po’ spazientito, un po’ stanco, un po’ voglioso di un
abbraccio pieno d’affetto. E forse di un bacio e di qualche carezza.
«Sasuke?»,
una vocina bassa che potrebbe appartenere una bambina lo chiama dall’alto, da
una finestra aperta dove le tende azzurrine volano per il vento. Lui intravede
una lunga chioma di capelli corvini ed un viso di bellezza eterea, di quelle
che nemmeno si vedono alla TV, ma solo nei dipinti.
I
suoi occhi e le sue mani non ci pensano un attimo, ed è già lassù, come se
arrampicarsi su un muro fosse la cosa più facile del mondo, come bere un
bicchiere d’acqua.
Sente
subito una mano leggera, fresca, un po’ tremante forse che tocca piano la
ferita sul labbro, e lui pensa che di medicinali non ce n’è bisogno, perché
quel gesto gli basta e avanza, nella sua semplice efficacia.
«Ti
fa male?», domanda con la stessa voce di sempre, non un accento che sbava
quella pronuncia semplicemente perfetta. Come potrebbe rispondere sì, agli
occhi più preoccupati del mondo, al corpo che è tutto teso per lui come nemmeno
sua madre aveva mai fatto?
Fa
scivolare piano, delicato, senza fretta come nessuno avrebbe mai scommesso le
mani sui fianchi di Hinata – perché l’avevate riconosciuta, no? – e l’attira a
sé, forse un po’ sdolcinato, forse copia un gesto visto in strada da altri
ragazzi con altre ragazze, che su di lui stona un po’ ma che la fa
rabbrividire, e gli fa capire che in fondo va bene così.
«Sto
bene», sussurra un po’ roco, la voce cambiata dall’età, più da uomo, che fa
rabbrividire e fa perdere il corso dei pensieri alle donne che non sono abituate
ad udirla. Ma non a Hinata, che annuisce non del tutto convinta, perché lei sa
che Sasuke dice bugie per non farla preoccupare. E le fa piacere, inutile
inventarsi balle, perché quando quel ragazzo un po’ violento, un po’ solo, un
po’ presuntuoso le fa battere il cuore. A volte per affetto, a volte per paura.
Ed è amore in entrambi i casi, non ci sono dubbi: niente, nemmeno le occhiate
cattive, indignate, sconcertate che la osservano per strada potrebbero farle
cambiare idea.
Perché
Hinata lo ricorda ancora che lui è stato l’unico fra i bambini a fermarsi anche
se per curiosità e presunzione, perché lui è stato quello che la prima mattina
di scuola superiore aveva cambiato classe per stare con lei [l’ho fatto solo perché non volevo stare con
quell’idiota di Naruto, eh], per lui che era così orgoglioso, ma che quando
la baciava perdeva tutto e lasciava correre.
Ed
è con naturalezza infinita, come ogni giorno ormai, che lei fa l’amore con lui.
Chiude gli occhi alle carezze delle sue mani, lasciando che i sospiri, gli
affanni, i gemiti soffocati, troppo volgari
per una bocca così pulita, così bella sfuggano da lei, per arrivare a lui; un
letto cigolante che non ha nulla di romantico, che suona al ritmo dei loro
corpi danzanti: due ballerini perfetti, incastonati l’uno nell’altra, mentre
gioielli scuri cercano di trovare quelli candidi dell’amante. E lei lo chiama,
sottovoce, titubante, aggrappandosi alle spalle larghe del compagno: sussulta
ancora, quando lui cerca la sua mano, unico gesto che potrebbe sembrare
affettivo, in quello scambio di anime.
E
ancora capisce che i “no” secchi di suo padre, quando lei gli parla e tenta di
spiegare la presenza di Sasuke al suo ritorno di scuola, quelli invidiosi delle
compagne, le spinte e le violenze che silenziosa subisce per quell’amore che
tante pensano non faccia per una perfettina come lei,
scivolano via, come acqua di ruscello, come tutte le preoccupazione di Sasuke,
come ogni cosa.
Si
sentono perfetti ed imperfetti, giusti e sbagliati, ma tutto non ha importanza.
Hinata
capisce abbracciando il collo di Sasuke, imperlato da uno strato di sudore
leggero, inebriandosi del suo profumo, del calore di quelle lenzuola che non
c’è niente che potrebbe desiderare all’infuori di ciò.
Future
Non troppo lontano,
forse troppo vicino
Camminano
l’uno di fianco all’altra, la mano bianca che esibisce un anello che non è
costoso né ricercato con fierezza, ignorando i sussurri che le donne si
scambiano alle orecchie.
Sasuke
se le immagina quelle parole: era l’erede
ed è rimasta incinta, disonore per la
famiglia, provo ribrezzo solo a
guardarli.
Nessuno
al di fuori di qualche anima ha provato a capirli, ma a loro non importa mentre
Hinata si sfiora il pancione prosperoso e sorride nell’udire un colpetto che sa
tanto di “ehi, sono qui!”.
E
niente è più perfetto di così, e chissene frega se non si possiede una casa
meravigliosa, un conto in banca da far invidia se c’è amore e c’è felicità.
N/a
Sinceramente non ho nulla da
aggiungere.
Potrebbe facilmente alla mia “Mura di carta”, sul finale,
per chi l’avesse letta.
Diciamo che sì, mi sono impegnata e fortunatamente ho
trovato Sil disposta a leggerla anche se la coppia
non le piace...molto.
Sasuke e Hinata li vedo così. Non ci sono altri termini con
cui io stessa potrei descriverli.
Ringrazio chiunque leggerà o lascerà un commento.
Con affetto,
Mimi.