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Autore: Bloody_Schutzengel    21/05/2015    2 recensioni
[Primo capitolo della serie: Sotto mille ciliegi]
Anno ****, mese di Agosto, quindicesimo giorno.
Lo stato di Kintou viene stravolto da un violento colpo di stato da parte di estremisti detti Rivoluzionari, che attuano un macabro e violento regime di ferro nella parte orientale del paese. La parte occidentale, invece, è popolata ancora da creature magiche, sacerdotesse e dalla natura. E' chiamata Terra Pura ed è sotto tiro dal generale salito al potere che vuole emulare violentemente i costumi delle popolazioni d'Oltremare, industrializzate e moderne all'esterno ma sanguinose e ingiuste all'interno.
Yoko è una semplice ragazza di Kintou Shuto, la capitale di Kintou Est, che a causa di vari eventi, si troverà ad entrare nell'esercito della morte della città, pur di sfuggire all'esecuzione pubblica. Tra le file, Yoko dovrà affrontare i suoi compagni, tutti uomini, le battaglie, le campagne militari ma soprattutto il vero e proprio generale, del quale è oggetto di desideri perversi e omicidi allo stesso tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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• Capitolo 19 •
Orologio

 


Gli occhi gli si aprirono pian piano, mentre la testa pulsava ancora di dolore.
D… Dove mi trovo?” Pensò.
Non riuscì a vedere molto, tra i suoi gemiti di stanchezza che lo distraevano: assi di legno chiaro, umidi e freddi illuminati da un solo spiraglio di luce. Sbatté le palpebre un paio di volte per poi realizzare che sopra di lui non c’era molto spazio. Provò ad alzarsi, ma uno movimento improvviso, come uno strattone, lo fece cadere. Le sue narici acquisirono di nuovo sensibilità solo dopo un po’: acqua di mare. Era su una barca? Adesso che ci rifletteva, il luogo dove si trovava era umido, freddo e si sentivano rumori d’acqua che s’infrangevano contro il legno. Sì, era su una barca. Diretta dove?
“Calma, Hatori, pensa…”
Provò ad alzarsi di nuovo ma notò solo allora che aveva le mani legate dietro la schiena con una corda sottile ma molto resistente. D’improvviso, si ricordò che era stato in una specie di infermeria per tutto quel tempo.
“Perché ero in infermeria…?”
Il generale, quello strano uomo dai capelli lunghi e dal fisico esile: era stato lui a ferirlo tanto gravemente da passare giorni e giorni di degenza. Ma… aspetta… l’aveva anche curato?
“Questa faccenda non torna…”
In effetti, le ferite non facevano più male e ora che si muoveva poteva avvertire le bende stringergli ancora il petto. Perché? E poi… Yoko! Come si era potuto dimenticare di lei? L’aveva quasi tirata fuori da quel posto infernale, l’aveva salvate per poco dalle grinfie di quel generale assassino. Forse, a quell’ora…
“E se Yoko fosse morta, ora?” Le lacrime non uscirono, abituate a restare al proprio posto anche davanti a scene strazianti e a pensieri altrettanto terrificanti… Gli occhi di Hatori fissarono il vuoto.
“Cosa dici! Non può essere morta!”
“Ah? Chi ha parlato?” Il ragazzo ebbe un sussulto. Non era stato abbandonato su una barca in balia delle onde e della morte certa? C’era qualcuno? Provò ad alzarsi facendo affidamento sugli addominali appena guariti e riuscì a mettersi a sedere. Adesso la sua testa era a qualche centimetro dal tessuto bianco che copriva quella che doveva essere una specie di stiva: in fondo c’erano delle casse, potevano essere viste ad intermittenza ogni volta che i raggi del sole penetravano quella tela attraverso dei buchi ch’erano stati fatti per non far morire Hatori. Il ragazzo si concentrò, cercando di trovare un’uscita, ma appena si voltò dall’altro lato, ebbe un altro sussulto.
“Yoko non è morta. Lo so.” Quella voce aveva parlato di nuovo e proveniva dal fondo dell’imbarcazione. Man mano, Hatori vide un essere volatile, luminoso e fatto d’aria, come un fantasma o uno spirito: Tohma.
“Ah, sei tu! Perché sei qui?” Gli domandò piuttosto contento di vederlo, tranquillizzandosi immediatamente.
“Ho visto dall’alto che venivi portato via dal palazzo, verso le porte della città, così ho decido si seguirti. Ti stanno portando nella Terra Rossa. Sono dei soldati del generale…” Gli spiegò il fantasma. Hatori, sempre più tranquillo, sospirò profondamente e stette in silenzio per un po’. Era bello poter avere qualcuno con cui parlare, in quella situazione. Alzò lo sguardo verso Tohma: lo stava fissando, quindi si voltò subito a guardare davanti a sé, evitando gli occhi del vivo. Era affascinante: non era del tutto trasparente, ma era biancastro, bluastro… era luminoso e fatto di gas, di aura e di spirito… Era davvero affascinante. Gli occhi erano anch’essi bianchi, ma non gli facevano impressione, semplicemente, li trovò unici.
“Come fai a dire che Yoko sia ancora viva? Per quanto sia agguerrita è pur sempre una ragazzina… Non è difficile da battere…” guardò nel vuoto, mentre Tohma si voltò verso di lui repentinamente e con uno sguardo più che contrariato.
“Ma cosa dici? In quei pochi giorni che ho passato con lei, se c’è qualcosa che ho capito, è che Yoko è una guerriera! Il generale sarà stato sconfitto ogni volta che avrà cercato di approfittarsene. Lo so perché sono sicuro che sia già accaduto. E’ stata aggredita da un soldato, lo sapevi?” disse lo yurei, sconfortato, mentre l’altro restò di sasso.
“Come è possibile… non mi ha detto niente…” Il silenzio calò nella stanza, tombale e freddo come il ghiaccio lancinante. Hatori quasi tremava. I suoi denti si strinsero sempre di più e gli occhi gli si assottigliarono. “Dannato generale… dannato regime… dannata Kintou!” Ringhiò tra sé e sé, mentre la rabbia cresceva dentro il suo cuore fino a farlo bruciare con una sola scintilla, accesa da ciò che gli aveva confessato lo spirito.
“Vorrei aiutarti a scappare, ma non posso toccarti…” La sua voce era davvero un soffio di vento puro. Produceva un eco angelico e vellutato, tanto innocente quanto affascinante, tanto da far calmare Hatori almeno un po’.
“Devi aiutarla.”
“Cosa?” si voltò Tohma verso il ragazzo che si ostinava a fissare il vuoto, con la testa bassa e le gambe scomposte. “Come faccio se non posso nemmeno toccarla? Sono semplice aria, sono inutile. Sono una dannata anima che non troverà mai la luce. Sarò costretto a vagare così per l’eternità finché non impazzirò e non comincerò a tormentare i vivi con incubi da libro dell’orrore…” Hatori tentò di afferrarlo per le spalle, ma si era dimenticato di essere legato. Cercò quindi di toccarlo con la spalla, ma ottenne solo una dolosa caduta sul legno dell’imbarcazione che la fece traballare non poco. Aveva trapassato Tohma che era lì seduto, quasi fluttuante, che si spostò in preda al panico. “Che stai facendo?! Se  lo rifai il legno potrebbe cedere e moriresti affogato!” Urlò lo yurei, preoccupato.
“Eri stato di grande aiuto a Yoko quando eri ancora vivo, giusto?” Lo spirito annuì guardando il ragazzo per terra. “Lei si fida di te, giusto?” Annuì ancora. “Allora sparisci da qui e trovala, falle coraggio e aiutala a salvarsi. Anche solo parlarle potrebbe salvarle la vita. Hai capito?”
“Parli come un generale…” Hatori non rispose, lusingato, in parte, da quel commento. “…Sì, ho capito.” Tohma gli sorrise, guardandolo negli occhi.
“Ora vai!”
“Grazie.” Lo yurei scomparve, lasciando di nuovo solo il ragazzo, che non ebbe di nuovo con chi parlare e che rimase in silenzio finché la voce non decise di fargli pronunciare delle ultime parole prima che si riaddormentasse.
“A te…”
 
 
Trasparente… anzi, invisibile. Invisibile, ma anche molto, molto potente. Era così che nella sua testa Yoko descriveva quella barriera che aveva ucciso ormai uno degli uomini del generale. Il silenzio era calato sulla situazione.
“Disponetevi in modo da afferrare saldamente un pezzo di corda, soldati, forza! Muoversi!” il capo dell’esercito continuava a ripetere gli stessi ordini finché tutti i suoi uomini non toccarono con le loro mani un pezzo di quel lungo e polveroso cordone. Come un bravo soldato, Yoko era davanti a tutto, in posizione, con la mano davanti al suo corpo e l’altra che teneva stretta sotto il braccio un pezzo di corda.
Mentre quella situazione statica continuava a protrarsi a lungo, Heizo osservava da dietro il generale la giovane, con l’espressione più calma ed indecifrabile che avesse potuto assumere. Nel suo cuore, invece, campeggiavano lampi di odio e istinti più che omicidi, alternati ad immagini macabre che venivano fuori quasi come delle interferenze inquietanti.
Dopo alcuni minuti, senza che il generale dovesse ringhiarle qualcosa, Yoko prese un bel respiro e dopo essersi calmata, fece il primo passo. Si spaventò da sola, senza darlo a vedere. Si fermò, terrorizzata dentro come una bambina che sussulta al primo scricchiolare inaspettato di legnetti. In effetti, da quando il generale aveva provato ad approfittarsi di lei così come quel soldato misterioso, non si sentiva più pura. Temeva di morire. E che morte poi! Solo a causa degli istinti da bestia di persone con cui non avrebbe mai voluto aver a che fare. Solo per questo sarebbe dovuta morire? Se non fosse stata troppo occupata a concentrarsi per avvertire il calore della barriera sulla sua mano, si sarebbe iniziata ad arrabbiare al solo pensiero di dover lasciare quel mondo tanto miseramente.
Fece il secondo passo, mentre il cuore le batteva sempre più forte e mentre gli occhi di Heizo premevano sempre di più, distanti, sulla sua persona. Si sentiva malamente osservata da quello strano individuo… I legnetti del sottobosco scricchiolarono ancora una volta, poi un’altra, mentre il quarto passo fece muovere tutti gli altri soldati. Una musica celestiale, una manifestazione della natura: quel suono croccante e rilassante, infondeva fiducia nella ragazza, che chiuse gli occhi per immergersi in quella foresta e diventare più sensibile ad ogni percezione. Poteva avvertire i caldi raggi di sole che le illuminavano il viso ogni tanto, mentre trapassavano ora sì ora no dalle fitte foglie degli alberi. Il canto degli uccelli era distante metri e metri, tutti in cima agli enormi alberi dalle cime irraggiungibili e il vento freddo ma delicato d’inizio inverno contrastava sulla pelle di Yoko con il sole che la accarezzava. Caldo e freddo, silenzio, canti e scricchiolii, fruscii delle foglie. Ma ancora, le dita della sua mano non sentirono nulla…
“Hugh!” sussultò improvvisamente.
“Rapporto, soldato.” Fece diligentemente il generale, che dentro sentiva una strana sensazione, un tremolio, un sussulto nel profondo. E se fosse stata per morire…
“Sento… Sento un formicolio alla mano. E’ caldo… è…”
“Generale, piccola incompetente. Con chi credi di avere a che fare?!” Interruppe Heizo improvvisamente, guadagnandosi un’occhiata prima sorpresa, poi assassina da parte del suo capo. Yoko si sentì sporca ancora una volta, abituata a non ricevere richiami, o almeno non più una volta che il generale s’era “addolcito”.
“Con te faccio i conti dopo.” Gli ringhiò con un filo di voce quello e l’altro, senza cambiare espressione, non disse niente, più calmo del solito.
Yoko continuò ad avanzare, sentendo che il calore sulla sua mano aumentava ed aumentava, prendendo poi il braccio, poi il collo, i piedi, le gambe, la testa, il viso, il torace e per ultimo, il cuore. Era un calore forte che la rincuorò dal vento freddo d’inverno che era soffiato attraverso i suoi capelli durante tutta la marcia. Gli occhi erano ancora chiusi, mentre lei si godeva quella sensazione di calore, di amore, come se quella terra in cui era appena entrata l’avesse amata tanto da infonderle vita pura e calda nelle vene. D’altra parte, i soldati non sentivano altro che un formicolio fastidioso, come se la barriera avesse avvertito che fossero intrusi, mentre il generale non sentì nulla, come quando si varca la soglia di una casa in cui si è già stati più volte e non si sentono più gli occhi dei suoi padroni addosso, ma ci si sente semplicemente, a proprio agio. Tuttavia, egli non si sentiva a proprio agio, era preoccupato da quella sensazione. Perché non avvertiva nulla? Come se la barriera non avesse captato una minaccia? Eppure… Forse…
Dopo qualche minuto il calore scomparve gradualmente dal corpo di Yoko, facendole anche aprire gli occhi e realizzare che la radura per l’accampamento sembrasse molto più vicina. Gli altri soldati abbandonavano a terra il cordone una volta attraversata la barriera e in poco tempo, il grande pezzo di corda venne abbracciato dalla folta erba che cresceva più avanti nel sottobosco. L’aspetto della radura la faceva sembrare magica addirittura: l’erba era molto alta in alcuni punti, mentre in altri si scoprivano chiazze di terreno spoglio ma umido e cosparso di pietre legnetti e foglie trascinate dal vento. Gli altissimi alberi donavano solennità a quel paesaggio, che paradossalmente venne accentuata una volta che il generale passò davanti alla ragazza per controllare se il posto fosse stato idoneo all’accampamento. L’eleganza di quell’essere mista alla solennità di quel luogo, conferivano alla situazione un aspetto, appunto, magico.
Subarashii…1” sussurrò tra sé e sé Yoko, quando quel placido terreno venne calpestato violentemente dai soldati e dalle ruote dei carri delle provviste che già venivano aperti e svuotati di tende, pali, legno, vesti, mappe, cibo, tavoli…
“Non stare lì impalato, soldato!” La richiamò il generale, facendole cenno di andare a contribuire al montaggio della sua tenda personale. La ragazza subito scattò in piedi, guadagnandosi un’occhiataccia di Heizo: e così, le sue parole non avevano effetto ma quelle del generale sì…? Bene.
Furono conficcati quattro paletti, furono legate delle corde e il terreno fu infilzato con i sostegni della maestosa tenda dal generale. Era molto più grande delle altre e possedeva una struttura simile alle palafitte: una pedana di legno di ciliegio che avrebbe impedito ad animali ed indetti striscianti di avventarvisi. Il tessuto della tenda stessa era beige, con fuori un vessillo rosso sangue con la scritta in ideogrammi del suo titolo: “将軍2”. All’interno vennero trasferiti sacchi dalla forma di cilindri, fagotti e provviste, dei cuscini, una coperta e delle mappe e perfino una sottospecie di tavolo. Era davvero la tenda di un generale.
Quanto alla propria, Yoko dovette cavarsela da sola. Straordinariamente, il sostegno della sua piccola abitazione non crollò al primo colpo come da copione e quel drappeggio beige non le piombò addosso. I picchetti furono piazzati diligentemente e così anche le provviste e gli effetti personali della ragazza. Effetti personali, poi… un’altra divisa da guerra, una katana ed altre cianfrusaglie da guerra. Per il resto, non c’era nulla: solo una coperta ed un cuscino ed un piccolo sgabello di legno nel caso le fosse venuto in mente di scrivere qualcosa. Ma se non aveva né inchiostro, né penna e né calamaio?
Uscendo dalla propria tenda, Yoko notò che attorno all’albero che sorgeva al centro dell’accampamento, fu lasciato un’enorme spazio, con dei tavoli allestiti alla bene e meglio per il pranzo e la cena. Le provviste erano ancora sui carri, tenute al sicuro dal calore e messe sotto sale. Se si fossero esaurite, sarebbero ricorsi alla caccia, tanto, quella terra sarebbe stata deturpata di tutti i suoi frutti, fino all’ultima radice o germoglio. Pur sapendo che non avrebbe dovuto, Yoko si inoltrò tra le altre tende, per andare a rovistare nei carri di provviste. La verità era che stava morendo di fame. Stava rischiando grosso, lo sapeva, ma era da quella mattina che non mangiava qualcosa e l’aver vomitato la notte scorsa le aveva fatto svuotare ancor di più lo stomaco. Decise di tentare. L’interno del carro era gremito di cibo e soprattutto di proteine, anziché riso, il che era strano, dato che l’alimento più economico era proprio quello. Perché investire i propri soldi in qualcosa di lussuoso a danno dell’attrezzatura militare che era proprio ciò che serviva in quel momento? Yoko guardò più all’interno: c’erano anche verdure, sistemate in delle casse sul fondo, alla sua destra. Non fece ancora niente: aprì bene le orecchie e si assicurò di poter sentire solo soldati che si davano ordini a vicenda per l’allestimento dell’accampamento e non passi inquietanti del generale o del vice. Una volta sicura, ma non troppo, alzò un piede da terra, urtando contro lo scalino legnoso che doveva salire. Ci riprovò una seconda volta e allora riuscì a poggiare la suola dello stivale sulla piccola asse di ciliegio, purtroppo però, non sarebbe mai potuta passare inosservata.
All’improvviso sentì qualcosa che le afferrò il colletto della divisa e senza che chi l’aveva beccata potesse vederla, spalancò gli occhi. Venne tirata via dal carro e buttata a terra dalla medesima mano, batté la testa e mugolò per la botta. Gli occhi faticarono ad aprirsi col rimbombo della caduta che era ancora nella sua testa, mentre la mano destra corse al retro del collo per massaggiarselo, dopo quella strana sensazione di calore che si ha quando ci si fa un movimento brusco e vi si sposta un nervo.
Nani wo shite ita?3” Yoko aprì gli occhi: era il generale, stranamente. Stranamente perché era da un po’ che non la trattava così bruscamente. Ma non c’era da sorprendersi: le regole erano pur sempre regole, ne era consapevole. Non poté guardarlo dritto negli occhi, dimenticandosi il loro primo incontro in cui avrebbe giurato di estirparglieli pur di insegnarle a farlo.  Lui la prese per il colletto e con lo sguardo calmo la guardò fisso nelle pupille nocciola, senza far trasparire alcuna emozione ed aspettando che rispondesse.
Nani mo4…” Rispose lei confusa e a fatica, soffocata quasi dalla presa del generale.
“E allora che cazzo ci facevi vicino il carro delle provviste?” Le ringhiò sussurrando. Sembrava come se la stesse rimproverando per qualcosa che avrebbe potuto metterla in pericolo, ma questo trasparì ben poco e se Yoko non avesse avuto l’abilità che possedeva a leggere nel cuore delle persone, non ci sarebbe mai arrivata. Gli occhi sottili del generale la guardavano come una mamma guarda spaventata il figlio dopo avergli dato il resto una volta ch’è scampato ad un grande pericolo. Lo stesso sguardo intriso di paura che appare come rabbia: ecco di cosa erano intrise quelle pupille nere. Lei non rispose, guardò solamente a terra, comprendendo la situazione. Quello la lasciò andare, delicatamente e accorto che nessuno potesse aver notato quella scena, soprattutto ed ovviamente Heizo. Era l’ultima persona con cui avrebbe voluto a che fare in quel periodo. Sul serio: era troppo strano, cambiato. Prima sembrava rimasto bloccato a quando lui e il generale avevano solo dodici anni o poco più, quando quest’ultimo lo trattava ancora come una persona sua pari mentre l’altro si dimostrava sempre timido e taciturno, quasi sottomesso. Ma non fu questo uno dei motivi per cui il generale aveva incominciato a trattarlo quasi alla pari di un servo, da opportunista. Dopotutto, però, non erano in cattivi rapporti. Conoscendo il vice da molti anni, sapeva che c’era sotto qualcosa di molto losco per averlo fatto cambiare così velocemente e in modo strano. Allora, emanava un’aura malvagia ovunque andasse… Che mistero.
Una volta che il generale sentì delle urla provenire dal centro dell’accampamento, dove in lontananza poteva vedere dei soldati litigare come dei bambini, si risvegliò dai suoi pensieri sul vice. Fece per correre subito dai suoi indisciplinati subordinati, poi si fermò, distratto dai mugolii di sforzo che Yoko emise mentre si alzò a fatica da terra, pulendosi con le mani l’uniforme. La guardò per qualche secondo e senza che lei se ne accorgesse le si avvicinò velocemente.
“Va’ a farti un giro, qui non sei al sicuro adesso. Devo sistemare alcune cose…” Yoko ascoltava confusa e con gli occhi sgranati le sue parole, che sembravano uscire da un’alter ego gentile e cortese e non da quella boccaccia volgare buona solo a sparare ordini ed insulti. Mentre parlava, non la guardò mai negli occhi, ma guardò nel vuoto, fissando l’erba che cresceva robusta sotto le suole dei loro stivali. La ragazza portò le mani al petto, una sopra l’altra come se stesse tenendo una collana o qualcosa di simile, mentre lo fissava curiosa. Il generale stette di nuovo per andarsene, dopo qualche minuto di silenzio, ma si fermò una seconda volta, attirando di nuovo l’attenzione della ragazza che stava ubbidendo agli ordini.
“Stanotte, a mezza notte, vieni nella mia tenda.” Stavolta ci fu un profondo contatto visivo: le pupille scure del generale, impassibili e fisse, guardavano quelle di Yoko che diventarono intrise di terrore ed esitazione di fronte a tali parole che facevano risvegliare i ricordi più brutti che aveva della prigione in cui era stata chiusa fino a poche ore prima. Sussultò. “Devo parlarti di una cosa che credo ti interessi, se ci tieni a non crepare ancora in questo mondo. Prendi questo…” Le sue dita affusolate e delicate si poggiarono sul tessuto nero della divisa, cercando alla ceca una tasca che fu trovata dopo alcuni secondi. Quando i polpastrelli toccarono qualcosa di duro, freddo e ferroso, la mano uscì da questa tasca, facendo scivolare tra le dita la catena dell’oggetto che era stato estratto: un orologio da taschino. Lo porse a Yoko, che lo prese non senza esitare e lo aprì pigiando la rotellina dorata a lato. Il coperchio si alzò, mostrò il quadrante bianco con le lancette finemente lavorate e decorate. Erano nere e sembravano fatte di pizzo, sia quella delle ore che quelle dei minuti e dei secondi. I numeri erano in caratteri che Yoko non conosceva, che sembravano lettere di un alfabeto che non conosceva, ma di cui aveva sentito parlare5. Il generale intuì che non conoscesse i numeri delle antica civiltà che controllò a lungo gran parte delle Terre d’Oltremare, quindi le si avvicinò velocemente, sempre in procinto di andare a bastonare quegli impertinenti dei suoi soldati che urlavano sempre di più. “Quando la lancetta delle ore è su questa ‘x’ con due stanghette dopo, allora sarà mezzanotte e mezzogiorno. Con gli altri numeri cavatela da sola. Ora va’ a farti un giro e non farti vedere da nessuno.” La licenziò velocemente, quasi arronzandola e lasciandola ancora imbambolata davanti a quel piccolo oggetto. In effetti, era affascinante come orologio: il coperchio aveva un buco centrale di metallo intagliato con ghirigori eleganti che lasciava intravedere il bianco del quadrante sottostante. Era un metallo simile all’oro, ma meno pregiato e dal colore più “sporco”, ma unico proprio per questo. Sembrava un pezzo raro e di grande importanza per il generale, o almeno così pensò la ragazza che si domandò il perché di affidare cosa tanto cara a lei che avrebbe potuto perderla e di cui non gli importava niente.  Non capiva neanche ancora perché le avesse detto, in breve, di sparire per un po’ e ritornare per tempo, in modo che nessuno avesse notato la sua “scomparsa”. No, decisamente non capiva, ma si limitò ad approfittare del fatto che dovesse ubbidire per esplorare quella terra tanto magica e amata, di cui le aveva sempre parlato Hatori. Strinse l’orologio al suo petto, guardò oltre il confine dell’accampamento: la foresta si faceva tanto fitta da colorare l’atmosfera di un verde smeraldo affascinante, come anche l’erba. Sentiva che la stava chiamando, sentiva che doveva andare. Mise l’orologio nel taschino, si sistemò il cappello e una volta controllato che nessuno stesse facendo caso a lei, corse via, immergendosi nel verde. Purtroppo, però, ci sarebbe sempre stato qualcuno con gli occhi fissi su di lei…
 
Quando il generale arrivò sul posto, le urla si erano placate e tra i tre soldati che stavano litigando, apparve Heizo, che si fece strada tra loro e andò incontro al suo capo col solito sguardo spento e misterioso. Il generale non era convinto.
“Che è successo qui?” si limitò a domandare.
“Stavano litigando per motivi banali, mio signor generale. Mi sono permesso di rimetterli in riga: si sono dimenticati come essere dei soldati rispettabili e hanno cominciato ad urlare tra loro come delle donnicciole, signore.” Rinfoderò la katana, che fu seguita dallo sguardo dell’altro.
“Che ci facevi con la katana sfoderata?” Domandò sospettoso fissando l’arma messa via tenendo una mano su un fianco.
“A volte servono le maniere forti.” Disse solamente quello, scomparendo tra la folla di soldati che andavano avanti e indietro come formiche nell’accampamento. L’altro fissò la figura del vice allontanarsi man mano, fino a che non venisse interamente sommersa dalle divise degli altri soldati. Bofonchiò qualcosa e socchiudendo gli occhi di voltò verso quelli che fino ad allora avevano litigato, secondo Heizo, per motivi banali. Non si fidava più del suo vice: doveva approfondire. Appena aprì gli occhi ed alzò lo sguardo verso i colpevoli, ebbe un sussulto: i loro occhi erano strani. Sembravano vuoti, che fissavano solo e solamente il vuoto, persi, senza emozioni. Come nei romanzi dell’orrore, quando si viene posseduti da un demone e le pupille vanno a finire dall’altra parte del bulbo che ruota. Soltanto che quei due ragazzi, le pupille le avevano ancora davanti, non avevano gli occhi totalmente bianchi con vene di sangue ben evidenziate. Guardavano solamente il vuoto e sembravano vagare come fantasmi.
 

 
“Ho visto un uomo… In realtà, sembrava un essere volatile… Come se fosse fatto di fumo, come fosse… uno youkai.”
 

Il generale prese per il polso uno dei tre e lo scosse, una volta che quei pensieri gli rimbombarono in testa. Sapeva di non credere ai fantasmi e sapeva che non esistevano gli youkai… o almeno così dava sempre a vedere. Che fosse stato forse lui ad avvelenare Yoko? E come? Perché avrebbe dovuto? Non era nemmeno un fantasma: poteva toccarlo e non era scomparso al suo tocco come uno youkai avrebbe fatto. Era un soldato veterano, un ragazzo di ventotto anni, sano diligente e composto. Senza dubbio uno dei suoi uomini migliori in quanto a condotta. Il generale non lo conosceva molto bene, ma poteva dire tranquillamente, che vederlo coinvolto in un litigio era molto inusuale. Anzi, era l’unica volta che lo scovò in quelle circostanze. C’era qualcosa che puzzava dietro tutto ciò… E intanto, il generale fissava inorridito quegli occhi morti.

 
 
 
• Note dell’autrice 
 
 
 
  1. Meraviglioso
  2. “Shogun” (generale) scritto in kanji. Ho voluto metterlo per dare più autenticità al tutto, spero non dispiaccia!
  3. Cosa stavi facendo?
  4. Nulla
  5. Parliamo ovviamente di quelli che dovrebbero essere gli Antichi Romani, quindi anche di numeri romani sull’orologio.
 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Davvero, ho sempre paura che prima o poi possa deludervi, non ho mai scritto una long completa… ma davvero spero di non abbandonarla mai! La storia è programmata e spero di potercela fare e non deludervi mai! Grazie sempre a tutti quelli che hanno messo la storia tra i preferiti, tra le storie seguite o ricordate o che hanno recensito, Grazie davvero del sostegno! Se vi piace la storia, non esitate a scrivere cosa ne pensate e lasciare quindi una piccola recensione, mi farebbe contenta. ^^ Detto ciò, al prossimo capitolo! Vi voglio bene!
“Anche io!”
E’ ritornata…
 
-Fred Schubert & Bloody Schutzengel
 
   
 
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