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Autore: Princess_Klebitz    22/05/2015    1 recensioni
Amici fino alla morte ed oltre; nemici controvoglia. Musica, amore e morte nella metà sbagliata degli anni '90, scaraventati avanti volontariamente per non poter più tornare indietro.*
La tregua tra la Ragione ed il Caos durava da troppo tempo; quando si accorsero dell'errore, corsero ai ripari, e l'Immemore e l'Innocente si trovarono faccia a faccia, dopo anni di ricerche, per riportare la situazione in parità.
Un errore troppo grosso, la persona sbagliata, un imprevisto che non doveva assolutamente accadere.
Storia scritta nel 1997, e l'epico tentativo di riscriverla senza snaturarla.
Spero qualcuno apprezzi.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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45. Doppio sogno

Justin tornò dopo appena una settimana dagli States, quasi avesse calcolato il limite dei nervi di Dorian prima che impazzisse e avesse deciso di tornare mezza giornata prima che il suo biondo ed affascinante chitarrista sull'orlo traballante di uno strano abisso si lasciasse andare a qualche brutta cosa come una crisi di nervi.

Dorian non aveva raccontato a nessuno del suo incubo, che non si ripetè mai più con la vividezza della prima volta e che tornò puntualmente a torturarlo sì nei suoi sogni ma specialmente quando si perdeva ad occhi aperti nei vari momenti di quelle giornate assenti; non era stato in grado di creare più niente, con grande stupore di Eddie che gli telefonava regolarmente due o tre volte al giorno, gongolando per la loro crescente popolarità e non riuscendo allo stesso tempo a capacitarsi del perchè Dorian se ne stesse chiuso nel suo appartamento a non fare un accidenti di niente.

Solo che Dorian non stava facendo un accidenti di niente, vero?
Dorian stava provando a farsi saltare il circuito del cervello nel modo più disastroso, ovvero dall'interno; provava la sua mente di continuo come il suo nuovo lettore dvd o come il suo vecchio videoregistratore vhs, paragonandola più ad un nastro che ad un laser disc.
Un nastro era più facile si rovinasse, come sentiva stava per essere strappato qualcosa a forza di fermi immagini, avanti-veloce e avanzamento per fotogrammi. 

E indietro, indietro, indietro...
Sempre, tornava indietro a riguardarsela.

Eddie e Shane andarono a trovarlo per trascinarlo ad una festa a Londra ma non ottennero quasi riscontro: Dorian era assente e al tempo stesso nervoso, più che irritabile e -sembrava- irritato dalla loro visita. 
Il biondino riuscì a cavarsela con la scusa che stava cercando di smettere di fumare e visto quanto le sigarette avevano avuto un peso sui suoi nervi nei vari momenti trascorsi, sarebbe potuto essere quasi credibile non solo ai suoi amici ma anche a lui.

Quasi.
Perchè, al momento di uscire, Shane si voltò e lo squadrò per bene, trattenendosi sul pianerottolo.
"Sicuro di stare bene?"
"Ah, Shaney...Vorrei fumarmi un pacchetto di Marlboro e berci dietro tre birre, non in quest'ordine, ma..." - 'ma' un beato cazzo, non prenderò mai più in mano una sigaretta con esseri umani nel raggio di due chilometri!!-
"No, intendo.... Stai veramente bene?"

Dorian si appoggiò allo stipite della porta e lo guardò incuriosito, chiedendosi cosa stesse vedendo Shane in quel momento.

Il relitto del suo scintillante chitarrista alla deriva?
Il suo delitto immaginario riflesso nei suoi occhi?
Il senso di colpa che sembrava uscirgli da tutti i pori per qualcosa che non aveva fatto, oh no -non ancora-, ma che tornava a tormentarlo?

Il massiccio bassista scosse la testa e incrociò le braccia, per fortuna con l'aria di chi non avrebbe avuto tempo da perdere.
Shane non era Eddie, Justin o lui: non si perdeva in discorsi troppo lunghi o arzigogolati; Dorian dubitava fortemente che a lui capitassero incubi del suo genere. 
 
"Secondo me tu soffri di astinenza, è vero.", sospirò il moro, guardando verso l'alto come tutte le volte in cui aveva dovuto mettere pace o inserirsi in qualche modo in quel bipolarismo che sembrava fosse inevitabile per la vita della band...e la loro. "Ma non soffri di astinenza da sigarette.",e lo fissò dritto negli occhi, prima di andarsene. "Soffri di astinenza da Justin. Per la prima volta in sei anni..."-"Sette."-"...ecco. Sette anni. Non mi perderò a dirti che starà benissimo senza te perchè non lo so, sappiamo che Justin và a caccia di guai come un orso col miele, ma so che tu puoi stare bene senza lui.", e alzò l'indice per un attimo, come se Dorian avesse mai avuto intenzione di interromperlo, stupito com'era da quanto Shane avesse fuorviato il suo malessere. 

"Anzi, tutto questo cambiamento potrebbe farci bene, non ci hai pensato? Io ed Eddie ne abbiamo discusso, venendo qui. Ma tu... secondo me tu vuoi solo accertarti che Justin torni al Dublin airport tutto intero.",e ci pensò sopra vagamente. "E magari solo...? Spero non sia co-"
"Questa è una bugia FOTTUTA!!", proruppe finalmente Dorian con  un tono così acuto da sembrare una dama ottocentesca scandalizzata, gli occhi ormai spalancati tanto da fargli quasi cadere le orbite e la bocca debitamente aperta in modo quasi comico. "Mi stai accusando di essere geloso! Tu...Voi! Voi siete fuori di testa nel modo più assoluto!" 

Ed era sincero, Dorian, mentre lo diceva?

Assolutamente. 
Riguardo al fatto che Justin fosse solo, single, fidanzato, si fosse sposato a Las Vegas o fosse diventato parte di un circo, non gliene fregava proprio niente, a parte forse la scorta di kleenex che avrebbe dovuto fare in caso di rottura tra lui e Katryn.
Sia che fosse chiamato in causa da una parte che dall'altra.

Riguardo al fatto che Justin scendesse vivo dall'aereo, beh... quello era un discorso che non riguardava Shane nè Eddie.

"Meglio così.", fece spallucce Shane. "Ma non stare a rimuginarci troppo tutto solo, tappato in casa."
"Non sto rimuginando proprio niente.", ringhiò Dorian. "Ho la febbre, sto di merda perchè non posso fumare e vieni pure ad aumentarmi il carico?!", mentì abilmente, usando la sua rabbia vera ed incanalandola in una bugia. "Non è che mi aiuti molto nelle mie scelte salutiste, pare tu mi stia augurando un cancro!"
"Right, right...", alzò le mani Shane, arrendendosi. "Sicuro di non volere venire?"
"Dopo questo discorso e questo nervoso?! Vi aprirei il collo a morsi, probabilmente, ed anzi ti ringrazio perchè se prima a forza di chewingum mi ero fatto passare un po' il pensiero ora ho voglia di farmi tre pacchetti e vomitare l'anima!"

Shane lo osservò attentamente con la sua solita flemma, mentre di sotto Eddie lasciò partire una scarica di trombe di clacson che quasi fece scappare la pelle via dallo scheletro di Dorian e proprio sotto gli occhi inquisitori dell'amico.

"Hai due occhiaie da paura, passerotto, va bene il salutismo ma qua sembri ad un passo dal farti fuori.", sospirò infine il moro, accingendosi ad andarsene. "Fatti un favore e riprendi a fumare, per l'amor di Dio. Abbiamo già un mestruato nel gruppo, in due anche no."
"Se và avanti così mi farò mandare una stecca di sigarette anche di contrabbando.", sospirò Dorian, internamente sollevato che la sua menzogna fosse stata accolta. "Divertitevi a Londra. Io vado a farmi fuori altri due pacchetti di chewingum."

Shane mimò un saluto e scese le scale, raggiungendo Eddie che mostrava la sua impazienza dando accelerate a vuoto all'auto.
"Non viene?", gli chiese, appena l'amico si fu accomodato nel sedile del passeggero della piccola auto sportiva. 
"No, sta proprio di merda...", sospirò Shane.

Eddie lasciò il complesso di appartamenti dove abitava Dorian e si immise in un'arteria stradale piena di traffico in direzione dell'aereoporto, stando attento alla guida e abbandonandosi un po' al sedile solo quando le altre auto iniziarono a scorrere più fluidamente. 

"Hai scoperto cos'ha?"
"Non sono convinto abbia qualcosa, Eddie. Ha sempre fumato come una ciminiera e ha la febbre, ha una faccia da paura ma ce l'avresti pure tu se decidessi di smettere di fumare. O di bere."
"Sicuro non c'entri nulla quell'altro disgraziato?", ignorò la provocazione Eddie.
"Pareva una veginella vittoriana capitata per caso nel Bronx, quando gliel'ho accennato...", e allo sguardo interrogativo dell'amico, Shane spiegò, bontà sua. "Ha strillato la sua indignazione da baronetto offeso, mi ha persino perforato un timpano."
"E' come una prova di sincerità, conoscendolo.", si rilassò Eddie, finalmente. "Sono contento sia così; mancherebbe solo che la storia di Justin crei casini interni al gruppo oltre che alla storia dei paparazzi. E proprio in questo periodo di successo.", se ne uscì, con un piccolo sorriso trionfale.
"Non credevo tenessi così agli interessi amorosi di Justin. Se non ricordo male,ecco... Sì, mi pare che l'ultima volta che siete stati assieme sembrava volessi ammazzarlo."
"Difatti non può fregarmene di meno.", sorrise ancora Eddie. "Ma messo così, innamorato, il ragazzo è molto più malleabile, meno cazzone e meno propenso a fare stronzate o mettere qualcuno di noi nei guai, oltre a sparire dalla circolazione più spesso. Il chè, parlando di Justin, è sempre cosa buona e giusta a vederla dal mio punto di vista. "

"Sei un cinico di merda.", brontolò Shane, ma con un sorriso aleggiante.
"Ma terrò in piedi questo gruppo.", scrollò le spalle Eddie. "E' dura ma lo faccio per i posteri. Ed ora pensiamo solo alla serata. E' tanto che non andiamo a berci il cervello assieme!"

 Mentre Eddie e Shane sorseggiavano il primo cocktail della serata al Dublin airport, ovviamente pianificando di atterrare moderatamente sbronzi a Gatwick e abbastanza su di giri al party di qualche brand di abbigliamento giovanile schifosamente famoso che stava corteggiando Shane come modello, Justin stava quasi terminando la sua traversata dell'Atlantico, rincorso dalla sua anima rimasta indietro di cinque ore col jet lag. (*)

L'aereo per Londra partì due ore prima che l'aereo da New York atterrasse sul suolo irlandese quasi a mezzanotte e con la pioggia a spazzare la pista, rendendo l'amata patria un luogo brullo ed alieno agli occhi assonnati di Justin, che appena uscito dal terminal come un comune mortale in quel luogo all'apparenza dimenticato da Dio si fece prendere dallo sconforto e prendere in mano il cellulare con una certa decisione, digitando prima un sms alla sua ragazza oltreoceano, rassicurandola che l'aereo non era caduto e lui era a tutti gli effetti vivo,anche se sfinito.

Subito dopo, mentre con un braccio richiamava l'attenzione di un taxi -uno qualsiasi per l'amor di Dio prima che mi infradici!- senza pensarci neppure fece una chiamata, non sapendo bene cosa trovare dall'altra parte della linea. 

"Sì?", rispose una voce arrocchita, con una certa cautela.
Una voce di un vecchio.

"Ehi Dorian, sono Justin. Sono appena arrivato a Dublino da un cambio raggelante a NewYaaavk, sono sfiancato dal jet lag ma non ho voglia di dormire. Posso passare da te?"
*
*
Dorian attese Justin fuori dalla porta del suo appartamento da scapolo nelle 'torri del silenzio'  in una posa rigida di chi stesse per combattere una battaglia controvoglia,  con una sigaretta in mano ed l'accendino nell'altra, stretti in pugno quasi come armi.

Quando Justin scese dall'ascensore e lo vide, con le occhiaie marcate e le labbra compresse quasi a formare una riga trasparente, anche se mancante della sua caratteristica velocità di ragionamento e notevolmente più svagato del solito comprese che forse non aveva scelto un buon momento per fare visita o tenere mattina col suo vecchio amico Dorian; anzi, aveva proprio una cera di merda, non c'era male grazie, anche se era certo che la sua fosse uguale se non peggiore addirittura.
"Come và, Dorian-bello.", trattenne uno sbadiglio, fermandosi davanti a lui che sbarrava la porta come un guerriero stanco di troppe battaglie.

"Ho sognato di ucciderti.", sputò fuori subito Dorian.
E come per miracolo Justin di colpo si sentì sveglissimo, non intorpidito dal jet lag che comunque non lo lasciava dormire, ma proprio sveglio, reattivo e in guardia. 

Dorian non si accorse della sua reazione, anzi parve proprio non vederlo e Justin fece un mezzo passo indietro, difensivamente.
"Un sogno, hai detto."
"Un sogno.", confermò Dorian, con un'aria assente negli occhi verdi acquamarina.

Stava cercando di ricordare, visto che da quando aveva raccontato la bella storiella a Shane nelle ultime ore finalmente gli era sembrato di 'guarire' da quella perfida ossessione che da quasi una settimana gli stava rodendo il cervello quando...
Eccolo lì.

Lì sulla sua porta, il responsabile di tutto. 
Che poi... di tutto cosa?
-Ti sta saltando il cervello, Dorian. Ma stavolta per davvero.-

Ma no, era solo l'impressione che gli faceva averlo davanti in carne ed ossa dopo aver passato giorni a rimuginarci sopra e rivederlo nella sua mente tutti i momenti che passava da sveglio (e dormiva ben poco, ultimamente). 

Si accorse comunque che Justin si era come ritirato ed aveva appoggiato la borsa da viaggio a terra, pronto per qualcosa, e a sua volta fece un mezzo passo indietro; non rientrò nel suo appartamento,  ma all'amico diede l'impressione di una serpe spiritata pronta a spiccare il balzo per attaccare.

"Dorian...", lo chiamò Justin, quasi soffiando a bassa voce. "Cosa... cosa vuoi fare?"

E in quel momento Dorian si riscosse e, pur non avanzando dalla sua posizione, guardò le sue 'armi' e si rese conto di non essersi neppure reso conto di averle prese in mano. 
"Niente...", e lo sguardo assente e un po' folle riprese un'ombra di colore, mentre lo guardava, abbassando un po' la tensione e la rigidità delle spalle. "Ma... Tu tentavi di uccidermi per primo, nel sogno.", sussurrò, guardandolo finalmente negli occhi. 

"Era un sogno, Dorian...", gli rispose Justin, poco convinto e sempre attento ai movimenti del biondino. 
"Un sogno, già...", gli fece eco Dorian, abbassando la testa, come arrendendosi all'evidenza per poi rialzarla di nuovo e guardare fisso negli occhi di Justin. 
"Mi credi se ti dico che sembrava fottutamente vero? Ci ho creduto... Anche se non capivo il perchè." 
"Perchè... nei periodi di stress certi sogni sembrano più vividi di altri e tu mi sembri stressato forte. Ricordo quando prendevo le anfe, scambiavo realtà per-"
"No. Non ho capito il perchè di come apparisse così vivido...", sembrò riflettere Dorian, ormai quasi pacificato ma sempre tenendo i suoi occhi piantati in quelli di Justin.

"Quello che non ho capito è  PERCHE' volessi uccidermi."
   
Poi parve scuotersi di colpo e retrocesse nell'appartamento, poggiando sigarette e accendino sul tavolo. 
"Non so cosa mi sia preso, davvero... Ho passato una settimana senza sigarette ed ora ne ho fumate cinque di seguito e mi pareva di essermi rilassato, ma col cavolo. Entra, comunque."

-Ecco. Tutto d'un tratto non mi pare più questa buona idea tirare mattino per rimettermi in pari col jet lag a casa di Dorian...-, pensò Justin, ancora restìo a recedere dalla sua posizione di guardia.

La cosa l'aveva scosso non poco, nonostante il rincoglionimento andante, specialmente perchè anche lui aveva qualcosa  da esorcizzare, vero? 
Qualcosa che gli si agitava nella testa e che aveva giustificato il suo ritorno quasi precipitoso in patria. 

"Vuoi entrare o pensi che ti aspetti con un coltello in mano?", gli arrivò la voce ormai sedata di Dorian. 
"Di quello non ho paura.", rispose Justin che decise, con una scrollata di spalle, di entrare e andare incontro al suo destino, qualunque esso fosse. "Anche perchè nel sogno mi uccidevi accecandomi."

Quando entrò, Dorian aveva perso quel poco di colore recuperato ed era appoggiato alla tavola per non svenire, guardandolo stravolto.
Justin prese una sigaretta da quelle sul tavolo, sotto lo sguardo spaventato di Dorian, e la accese, andando poi a sedersi sul divano. 

"Ti andrebbe di offrirmi un caffè? Non vorrei addormentarmi fisicamente prima che la mia anima arrivi e trovi chiuso..."

Dorian lo guardò, intimorito e confuso, e poi si avviò verso la cucina  lanciandogli occhiate da sopra la spalla, guardingo. 
"Se lo sapevi... perchè sei venuto qui, infine?"

"Perchè ti voglio bene, passerotto.", ironizzò Justin. "Iniziavo a soffrire di astinenza da te. E poi perchè volevo raccontarti cosa mi è successo in Canada.", e fissò la punta della sua sigaretta, mentre tutta quella situazione iniziava a sembrargli più che irreale, ma si decise a confessare il resto. 

"Anche io ho sognato, in questi giorni.", e allo spuntare sbalordito della testa bionda di Dorian dalla cucina come un pupazzo a molla, si lasciò scappare un mezzo sorriso mesto. 
"Solo che nel mio sogno 'molto vivido' c'era un suicidio. Ma solo dopo che tu mi hai ucciso in un altro sogno. Lo stesso tuo.", e soffiò il fumo, mentre i suoi nervi assaltati dalla nicotina e dalla stanchezza shakerarono per un momento dall'ansia. "Un sogno dentro l'altro. Ed entrambi molto realistici. Ma ti assicuro che nell'altro... ", e abbassò lo sguardo sulle mani, che tremavano. 

"Insomma, ci ho pensato per giorni. Dannazione era tutto vero.", e poi alzò lo sguardo a fissare Dorian, che vide tutta la finta sicurezza di Justin andata in frantumi al solo ripensare. 

Ah, non era stato così diversa la sua settimana al di là dell'Atlantico, vero?

Dorian scosse la testa lentamente, la bella bocca appena aperta dallo stupore e gli occhi che iniziavano ad intristirsi, vedendo le lacrime affiorare in quelli di Justin.
"Va bene...", disse, tentando di recuperare almeno lui una certa sicurezza.  "Ora faccio il caffè e poi ci diciamo tutto. Con calma e tranquillità."

"La tranquillità l'ho lasciata qua a Dublino anni fa e non so ancora dove.", sussurrò Justin, chiudendo gli occhi e appoggiandosi al divano, mentre l'amico era già sparito in cucina. "E temo non tornerà mai più da me..."
 
"Che hai detto?"
"Sbrigati con quel caffè."
*
*
Dorian tornò con un caffè lunghissimo, cattivo e nero che in qualche modo a Justin ricordò immediatamente gli States,  fatto in qualche modo dalla sua moka e dalla sua abilità di bruciare anche l'acqua ma efficace nello svegliarlo dall'abbiocco in cui era caduto su quel divano molto, troppo comodo, tanto da fargli dimenticare quanto il biondino prima l'avesse guardato come si guardavano i pericolosi assassini.

"Dio, Dorian, sei peggio degli americani nel fare il caffè...", storse la bocca Justin, bevuto un sorso dall'enorme tazza che teneva tra le mani. 
Dorian aveva per sè una tazza notevolmente più piccola, corretta con panna e whisky quasi in un irish coffee tradizionale ma, immaginava, sempre cattivo nonostante tutto; si accese una sigaretta e, come se nulla fosse successo, si stirò le gambe sedendosi al tavolo, soffiando fuori il fumo.

"Com'è andata negli States?"
"States e Canada.", rispose Justin, ricevendo chiaramente l'imbeccata di Dorian; il suo povero chitarrista si era probabilmente srotolato il cervello durante la sua assenza se non persino prima -solo ora gli tornò in mente che non vedeva Dorian dal Festival- ed ora gli stava chiedendo un po' di requie per rimettersi almeno in condizioni di poterlo ascoltare. 

Gli stava chiedendo di fare due parole innocenti, distrarlo per fargli riprendere fiato e come dargli torto? 
Guardare Dorian, per Justin, era come vedersi in uno specchio distorto in quel momento e non se la sentì di rimproverarlo nè di cambiare rotta.

"States e Canada.", ripetè, come a convincersene. "Ti confesso una cosa: non sopporto il ritmo di L.A. In tre giorni siamo andati a due party della RCA-Sony, uno di Mtv, un incontro con la casa discografica nel quale ho fatto salotto per tre ore con il batterista dei Foo Fighters..."
"Cosa?!", sobbalzò Dorian, già dimenticatosi di tutte le altre faccende a sentire il gruppo che dal suo punto di vista aveva tradito la memoria dei Nirvana. 
"Era sbronzo marcio, è stata un'orribile tortura!", si lamentò Justin, prima di bere un altro sorso dello schifoso caffè da petrolchimico. "Ma quella strega di Monik non ha permesso assolutamente che entrassi anche io all'incontro con la dirigenza della Sony, come se fossi una spia nemica, cazzo quanto mi odia! Tanto Katryn se n'è uscita spiattellando palesemente che non aveva capito un cazzo, sai, termini tecnici etc, a parte di dover tenere un mini set il giorno dopo sul Sunset boulevard proprio appena dopo i Foo Fighters; Dio non voglia che la stiano spingendo per una collaborazione.", sospirò Justin. 
"Tu sai che la ucciderò prima che ciò accada, vero?"
"Tu sai che è amica di quella pazza di Courtney Love? Penso taglierebbe la gola a Dave Ghrol, prima di farlo.", sospirò Justin, pensando che ora per riportare Dorian sui binari della conversazione ci sarebbe voluto un miracolo di quelli cattivi. "Comunque, tre giorni: tre party, un concerto al pomeriggio in cui mi ha detto cortesemente di togliermi dai piedi dal backstage per evitare che, come al solito, me lo dicesse la stronza tedesca con un paio di lame ben affilate, insomma mi suggerisce un paio di bei posti dove andare a fare un giro ed effettivamente mi piace, gironzolo e mi perdo un po' via, torno e sai cosa? Quentin mi chiama dicendo che la Sony si è lamentata con l'Island-Universal perchè me ne sono andato e quando sono tornato non ho trovato il posto a sedere che avrebbero dovuto riservarmi in tribuna vip  e che per questo avrei potuto creare uno scandalo!"
"Ah, siamo a posto...", mugugnò Dorian, versandosi un po' di panna liquida nel caffè. "Dici sia stata una mossa di Monik?"
"Ci piazzo sopra un carico."
"E io te lo accetterei. E il soggiorno in Canada?"
"Aspetta, non ho finito! Mi hanno anche rimproverato di aver mancato una matinèe dopo un party finito alle quattro di mattina!", sospirò teatralmente Justin, portandosi una mano alla testa. "Io ci credo che Kat ha preso l'impegno dell'Irish Festival come una vacanza! Se le sue giornate sono così, effettivamente lo è stata!",e si massaggiò una tempia al solo ricordo.
Dorian annuì, conscio da prima di lui grazie ad una fitta corrispondenza ed occasionali telefonate per via della sua amicizia, che con l'ultimo disco Katryn era stata lanciata molto più in alto di loro ed essendo un'artista solista non poteva diluire i suoi impegni tra uno o l'altro componente di un gruppo. 

Era sola, dannatamente sola.
-E che questo l'abbia spinta ad innamorarsi di Justin? Di una persona che invece soffre se lasciata sola?-, pensò, nel silenzio creatosi. -Che l'istinto da crocerossina delle donne sia un dato appurato è okay, lo accetto e non ci vedo niente di male se non arriva all'autolesionismo, ma che non sia questo il caso? Una persona così forte che soffre di così tanta solitudine da attaccarsi ad una debole pensando di farle del bene e farsene a vicenda?- 

Ma insomma, che cazzo stava pensando?!
Possibile che in quel periodo tutti i pensieri su Justin gli riuscissero solo negativi? 
Su Justin che li aveva portati così in alto quasi a prezzo della sua stessa vita, appena pochi giorni prima?!
-...e che poi ti avrebbe ripagato con una coltellata allo stomaco. Sì, su quel Justin, non sul tuo amico cantante.-

"Bevi quel caffè, Just. Da caldo fa schifo ma da freddo sembra cicuta!"
"Sembri mia madre, quando parli così.", borbottò Justin, con una vena polemica. "Anzi scusa, mia madre almeno fa un buon caffè e lo è anche da freddo.", ma bevve lo stesso, sentendo i nervi che piano piano riafforavano al loro stato naturale di ipertensione. 
"Il chè, parlando di madre, mi porta al mio soggiorno in Canada. Hai mai visto dove abita?"
 Dorian sventolò la mano.
"Foto..."
"Beh, sembra davvero il villaggio degli elfi. Il primo giorno l'abbiamo passato assieme, non ti dico... Sembrava una favola.", e lo sguardo di Justin perse contatto con la gravità in un modo tanto dolce che a Dorian quasi andò di traverso il caffè dal trattenere una risata. 

Justin versione 'innamorato' ; l'aveva immaginato ma non l'aveva mai veramente visto.

"Non ridere tanto... Prima o poi capiterà anche a te e poi mi saprai dire!"
"Non rido, non rido. Ho il massimo rispetto per la vostra relazione, vi difenderei contro un branco di squali..."
"...ma? Perchè c'è un 'ma', lo sento nella tua voce, razza di oca."
"...ma vederti con quella faccia da imbambolato vale come uno 0 verde alla roulette! Dai, vai avanti!", sputò fuori caffè e fumo Dorian, tra le risate trattenute, riprendendosi con un sorriso ebete che valeva per due, anche per Justin che si era rabbuiato.
"Guarda, visto trovo quasi umiliante che tu mi stia prendendo il culo..."-"Ma dai!, non ti sto prendendo per il culo!"-"...salterò la parte in cui l'amico finalmente innamorato si confida col suo miglior amico e ti dirò subito ciò che mi preme.", lo lapidò Justin, e Dorian improvvisamente si ammutolì.

Eccola, la parte che temeva da quando Justin gli aveva telefonato, ormai tre ore prima.
"Bevi un altro po' di caffè, prima di doverlo buttare via tutto.", disse. "E prima dimmi come sta sua madre. Ho saputo che hanno dovuto ricoverarla di nuovo."

"Sua madre?", pensò Justin, alzando gli occhi improvvisamente ispessiti, di nuovo lanciati in un posto a zero gravità e forse in un luogo distante sei ore da lì. 
Un posto in mezzo alla neve, all'apparenza fiabesco, ma a differenza degli altri posti all'apparenza fiabeschi con delle porte chiuse a chiave e corridoi silenziosi e finestre, seppure graziose, impossibili da aprire. 

Quando riportò lo sguardo a terra, Dorian quasi saltò sulla sedia.
"Sua madre. Non ho mai visto una persona piangere tanto e non poterci fare niente..." 
-...senza esserne io la causa...-    
"Deve stare proprio male.", balbettò Dorian, irrigiditosi improvvisamente in modo che Justin solitamente avrebbe subito notato.

Ma Justin non era lì, vero? 
Era in posti immaginifici dai quali era facile entrare ma difficile uscire, e non necessariamente villaggi pieni di neve o case di cura private.
"Non la madre. Lei.", e si alzò in piedi di scatto, come a soffocare la rabbia che stava salendo. "Katryn. Ha pianto così tanto che non sapevo più che fare; avevo paura rimanesse anche lei in quel dannato posto. In quel... manicomio! E invece no, a tornare anche il giorno dopo, cantare le ninnananne, portare fiori e vestiti, foto, cazzo...", ed in quell'istante Justin sembrò davvero soffocare dalla rabbia, per una volta in vita sua non per sè stesso. "A portare ME per vedere se questo almeno l'avrebbe scossa!", e si risedette, non rendendosi conto di aver ribaltato la sua tazza di caffè ciofeca. 

"Sua madre è una palla al piede.", sentenziò, accendendosi una sigaretta e guardando Dorian senza vederlo. "Ed io la abbandonerei senza pensarci due minuti. Tutta la sua famiglia è una palla al piede, che imparino a nuotare o affoghino in silenzio."
"Non stai dicendo davvero, vero...?", protestò debolmente Dorian, al limite del terrore. 
Perchè lui ci vedeva, oh sì, ci vedeva chiaro.

I sogni non sempre avvenivano per un cazzo, come era poeticamente solito dire Eddie. 
"Se fosse stata Edele..."
"Edele non si sarebbe mai ridotta così.", lo liquidò Justin, riportando piano piano lo sguardo sulla terra e focalizzandolo su di lui; Dorian si accorse subito che Justin non aveva usato la parola 'madre' ma il nome proprio, ma subitava che l'amico -se tale era- se ne fosse accorto. "Mai, lo capisci? Perciò la questione non si...", e finalmente si accorse di come Dorian fosse rigidamente arretrato sulla sedia, la gambe pronte a schizzare in piedi ed i pugni serrati. 

"Diosanto, Kierdiing, ma che ti prende?!"
"I... tuoi occhi. Sono simili a... a...",e Dorian non riuscì a continuare, alzando solo infantilmente un dito per indicarlo. "...quelli. Quegli occhi. "

Non dovette continuare, che gli occhi di Justin riacquistarono non solo colore, ma anche una buona dose di spavento; anzi, più che spavento vero e proprio terrore, come quello che Dorian sentiva annidarsi nel suo stomaco in quel momento e come sapeva si stava aggrovigliando anche in quello di Justin.

Perchè anche lui aveva sognato e lui aveva capito subito di che occhi stava parlando, vero? 

E non solo, aveva accennato ad altro, nel corridoio...

"Justin..."
"Io...Dev'essere un gioco di luci, non... Non ho niente dietro! Niente!", disse, quasi disperato, per poi girarsi verso lo specchio del salotto. "Dannazione, perchè non mi hai dato uno specchio?!"
"Justin..."
"Cosa c'è, vuoi che ti firmi una dichiarazione giurata che non ho un coltello?! Sono solo stupidi sogni!! Siamo stati in un periodo di... casino! Siamo stati scaraventati al successo totale, siamo scombussolati, siamo...IN UN PERIODO DI FORTE STRESS PSICOFISICO!!"

Dorian prese fiato, riconoscendo una difesa che non avrebbe mai potuto abbattere, non senza la collaborazione di Justin, che in quel momento non avrebbe mai potuto avere.
Chiuse gli occhi e si impose di calmarsi, non credendo comunque ad una parola di quello che ormai urlava delirando Justin.

"Justin... che altro hai sognato? Hai parlato di un suicidio. Chi era di noi due?", e internamente le sue budella, se possibile, si aggrovigliarono preventivamente in un modo che parve non gli avrebbe più permesso di mangiare per almeno due o tre futuri alternativi. 
"Sì...", esalò Justin, esausto da quell'uno-due di tensione e di paura, anche lui logorato da quella settimana infernale. 
"Ero io."

Un silenzio di tomba calò sui due amici, finchè Dorian lo ruppe con la sua voce delicata ed una sola parola, come una goccia che dovesse finalmente cadere.
La prima di tante.

"Perchè?"

Justin lo guardò, con i suoi occhi tornati normali sì, ma di nuovo in quella nube di pensieri pericolosi. 
"Non lo ricordo, Dorian. Questo non lo ricordo.", e si prese la faccia tra le mani. "Ricordo solo che era dopo... Dopo il sogno in cui c'eri anche tu.", disse, con voce soffocata.

Il silenzio tornò, cupo come una nube di presentimenti e per cinque minuti rimasero in quelle pose totalmente prive di plasticità, come statue di un futuro nefasto. 

Justin rialzò il viso e guardò Dorian dritto negli occhi, presente come non mai ma con una voce debolissima. 
"Io... credo di non sentirmi bene."




(*)= il cosiddetto 'ritardo dell'anima' o 'anima che viene lasciata indietro' nelle traversate intercontinentali con conseguente grosso sballo di fuso orario, è un'espressione coniata da William Gibson, uno dei maggiori scrittori cyberPunk, nel libro 'Accademia dei sogni'. 
Essa significa che l'anima rimane indietro, all'orario di partenza, e raggiunge solo dopo ore o persino giorni il corpo, che in quel lasso di tempo si sentirà come 'svuotato'; da insonne, questa espressione non ha potuto non affascinarmi.
   
 
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