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Autore: L_Lizzy    22/05/2015    0 recensioni
Associazione Ricerca Dotati.
Un nome, una garanzia e proprio dietro l'angolo c'è qualcuno pronto a portarti via l'impero che hai costruito. Ma non temere, saprai difenderlo se credi nelle tue capacità. Fai delle tue debolezze nuove forze.
Attacca e non voltarti indietro poichè Lui non ti ha riservato alcuna carineria.
Una storia che salta da passato a presente e, perchè no, tra un po' anche futuro.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2




Quattro giorni all’apertura ufficiale della sede dell’Ard.
Dire che ero elettrizzato non avrebbe reso l’idea. 
L’ubicazione dell’istituto era stata concordata in seguito ad un’accanita lotta tra quelli che erano i membri del consiglio. C’era chi aveva proposto come sede il Polo, per non creare sospetti, chi voleva mettere suddetta sede su di una piattaforma petrolifera nell’oceano, sostenendo che nessuno mai avrebbe cercato in quel posto. C’era stato chi aveva optato per le Piramidi, chi voleva edificarla nei sotterranei di una cattedrale e chi invece in Messico, affermando che l’unico vero problema in quel caso sarebbe stato superare la dogana con quelle teste calde dei Dotati, che si sa, per natura non erano particolarmente inclini a mostrarsi disponibili nel rivelare le proprie identità. Insomma, dovevo aspettarmelo, aver scelto dei soci giovani ogni tanto faceva degenerare il tutto in fantasie poco realizzabili. Dopo circa quattro ore di assemblea però trovammo una soluzione. La scuola, gli appartamenti e gli ambienti comuni si sarebbero trovati in un unico edificio in una cittadella nelle campagne. Esatto, nel centro di Greenpeace, un comune con non moltissimi abitanti. Non prendeteci per sprovveduti. Dove nascondere qualcosa che non dovrebbe esistere facendo in modo che nessuno possa trovarla? Quale nascondiglio migliore che porre questo qualcosa davanti agli occhi di tutti? Proprio in quei posti che si ritengono scontati, parte di una monotonia, dove nessuno cercherebbe un’anormalità. 
Inoltre non volevo segregare i Dotati in quattro mura di cemento armato, negando loro la possibilità di vivere; se l’avessi fatto non sarei stato migliore dei miei genitori. Volevo che vedessero la Sede come la loro nuova casa, la stessa che alcuni non avevano avuto, e che ad altri era stata sottratta. Casa.
So perfettamente dei rischi che potrebbero danneggiarci, ma in una strategia bisogna tenere conto sia dei pro che dei contro. Greenpeace è abbastanza lontana dalla metropoli ma abbastanza abitata da non essere considerata fuori dal mondo. Ai Dotati sarebbe stato permesso di uscire a proprio piacimento e rientrare quando avrebbero desiderato a patto che fossero presenti alle lezioni mattutine. Avrebbero avuto una stanza ad aspettarli ma nessuna costrizione vera e propria che li obbligasse a vivere segregati. Ovviamente per coloro che ancora non avevano superato la maggiore età il discorso non valeva, avrebbero avuto un coprifuoco da rispettare, diverse attività per intrattenerli senza che dovessero uscire dalle strutture della Sede non accompagnati. 
Non si sarebbero accettate trasgressioni. Questo punto mi premunivo sempre di chiarirlo con chi invitavo in sede stabile all’Ard. Se avessero accettato di farne parte avrebbero dovuto assumersi le proprie responsabilità e tenere un atteggiamento consono e rispettoso. Qualsiasi complicazione, sgarro o comportamento ritenuto inappropriato sarebbe stato discusso da me personalmente e al bisogno chi avesse promesso fumo sarebbe stato allontanato o, in casi meno drastici, avvertito di non ritentarci.

“Non dovevate Miss. Queste carinerie tenetele per colui che porterete all’altare” dissi col sorriso sulle labbra accettando di buon voglia la ciambella che la donna mi sventolava a due centimetri dal naso. Seppur non fossi più un bambino mi trovai a sorridere sotto ai baffi di zucchero al sentire la sua risposta.

“Ora come ora non vi sono pretendenti, avete forse intenzione di proporvi come candidato messere?”

Missy era la dolce settantenne che si occupava del panificio della piazzuola; sempre pronta alla battuta non dava mai a nessuno la soddisfazione di chiudere il discorso. Lei doveva aprirlo e lei doveva mettervi la parola fine. Se si trovava in una giornata no non dovevi nemmeno provare a cavarle di bocca qualche parola soprattutto se vi trovavate in negozio: era capace di tirare fuori il matterello e colpire dove più nuoce. Fortunatamente appena arrivai a Greenpeace mi prese in simpatia evitandomi una tale disgrazia, so per certo che queste non sono solo dicerie, anzi si comportava con me come una nonna farebbe con il proprio nipotino, viziandomi con, ogni mattina, un dolcetto differente. All’inizio ero rimasto spaesato davanti a tanta naturalezza e dolcezza soprattutto in una donna che nascondeva forchettoni e palette nel grembiule che non toglieva mai dalla vita. Ora posso dire in tutta sincerità che è una donna capace di mettere a proprio agio chiunque, capace di destreggiarsi in qualsiasi tipo di situazione, bella o brutta che sia. Una donna animata da un fuoco invisibile che mai si spegne. 
Che fossi in riunione con i soci della struttura o in ricognizione nella stessa, ogni giorno doveva consegnarmi la colazione personalmente, a costo di attaccarsi al campanello del portone principale per ore.
Nel comune era ben amata, chiunque la conosceva, se non di vista di fama, essendo proprietaria del forno migliore da qui alla città più prossima. Sempre in prima fila alle manifestazioni di beneficenza e alle assemblee comunali aveva riscosso simpatie anche da quei pomposi che si credevano chissà chi. 
Quando aveva scoperto che una volta a settimana mi rifornivo di pane, panini, gallette, e tutto ciò che poteva sostituire questi carboidrati, al mercato aveva provato a tenermi il broncio per poi puntarmi con occhi di fuoco per quattro giorni fino a quando non si era decisa a parlarmi. Mi aveva comunicato, ebbene sì, non chiesto ma comunicato, che si sarebbe occupata personalmente di rifornire la mensa della struttura. Non era solita sentirsi dare un no come risposta.

Io e i ragazzi ci eravamo anche premurati di mettere in giro la voce che la struttura ospitasse coloro che ivi si recavano per dei corsi di aggiornamento avanzati tenuti da professori che sapevano il fatto proprio. Il fatto che queste lezioni potessero durare più o meno tempo, comportando sistemazioni permanenti, non destava sospetti perché, a chi lo chiese, rispondemmo che ammaliati dal sistema e notati per le loro capacità era stato proposto loro di restare, di venire assunti e retribuiti. Insomma, il progetto finalmente era concreto, sembrava quasi di toccarlo con mano, già mi vedevo il cortile pieno. Non potevo esserne più soddisfatto ed in quel momento non rimaneva altro che andare a parlare ai Dotati.



* * *



L’idea dell’Ard, come detto in precedenza, non venne su dal nulla ma fu invece frutto di ragionamenti logorroici e, spesso, senza capo ne coda. Quando però iniziò a prendere forma ai miei occhi da adolescente ricordo di non avere perso tempo e di essermi messo sotto. Prima di pensare alla parte economica della faccenda dovetti imparare a convivere con l’aura, e non fu facile. Per governarla non bastarono un paio di settimane ma, bensì, mesi e mesi di lavoro. Iniziò a essere facile non farla espandere e tenerla a freno, sembrava fosse l’aura stessa ad aiutarmi a conoscere e comandare il suo potere. Scoprii che non era maligna. Elaborai tutta una personale teoria su di essa; cosa potevo fare per chetare le domande che mi tormentavano? Convincermi delle conclusioni alle quali arrivavo era un modo come un altro per tranquillizzarmi e poi, non so come spiegarlo, ma il potere era in grado di guidare i miei pensieri sulla giusta via o così almeno finii per convincermi. So che può sembrare tutto campato per aria ma non lo è, non per me che tutt’ora vivo questa situazione. 
L’aura che mi circonda era nata con me, pura, linda. Si era sviluppata contemporaneamente alla mia crescita. I fatti che rendevano felice me la facevano risplendere di una luce bianca, accecante, quelli che mi turbavano erano capace di farla tingere di tonalità cupe. Non ero in grado di distinguerne i colori da infante ma con il tempo avuto a disposizione dopo il mio risveglio, e la sua stessa guida, divenni capace di vederla riflessa allo specchio e successivamente di percepirla intorno a me. E senza che abbassassi lo sguardo sulle mani che sembravano catalizzarne l’energia. La vicinanza dei miei genitori, coloro che ritenevano il proprio figlio un pericolo,  aveva fatto precipitare l’equilibrio che era rimasto stabile fin quando attorno a me vi erano altri bambini. La purezza dei loro cuori era assorbita dall’aura che, attraverso essa, cercava di fare scudo ai toni scuri che la tingevano quando ero a contatto con mamma e papà. Non sapendolo erano stati proprio loro, volendosi proteggere confinandomi nella mia stanza, a buttare nel cesso gli sforzi del mio essere facendomi sprofondare nell’oscurità. La stessa oscurità che si era mano a mano diradata all’allontanarsi di quei due liberandomi da quello stato di dormiveglia che mi aveva sottratto gli anni della giovinezza. Spinto dal volere realizzare qualcosa che permettesse a quelli come me di vivere, con la V maiuscola direi. Una volta in pace con il potere scoprii che le sue capacità non si limitavano a distruggere vetri e quanto altro negli scoppi di rabbia ma che invece potevo modellarlo a mio piacimento. Crescevo insieme ad esso, e con il tempo, era diventato l’unica compagnia che potevo vantare. Potevo permettermi di parlargli, di vagliare insieme tutte le scelte che mi portarono dove mi trovo ora. In quegli anni lavorai sodo mettendo da parte ogni soldo che potevo ricavare. Iniziai svuotando il porcellino di porcellana, che, ironicamente, avevo chiamato Porchi, ricavandone qualche bronzino. Quelli furono i primi risparmi a essere messi da parte per la realizzazione dei miei piani. Rivoltai la casa in cerca di banconote tra i materassi e monetine negli svuota tasche. Quando, sicuro di avere razziato tutto mi spinsi fuori dalla porta di casa il mondo era pronto per essere esplorato.



* * *



“Kate, lasciami in ufficio l’indirizzo e torna a casa prima che tuo marito mi denunci per sfruttamento.”

“Già fatto, si trova sulla sua scrivania dall’ora di pranzo e se lei non fosse stato così eccitato avrebbe certamente notato la cartella. Si controlli, per Dio! Sembra non riesca a stare fermo.”

Il fatto che Kate sia la mia assistente personale la rende una privilegiata. A lei e a pochi altri nella struttura permetto di parlarmi in questo modo. Nelle sue parole è sempre celata una sottile, anche non, presa in giro. Una sua frase basta a farmi riprendere il controllo, a rimettere la testa sulle spalle. Anche questa volta non posso darle torto. Mi sento irrequieto, talmente nervoso da aver svuotato cinque bottigliette di acqua nel giro di un’ora, da aver mandato al diavolo chiunque abbia provato a parlarmi e aver dato un calcio ad una delle pareti del mio ufficio. Nemmeno il cerchio alla testa che da due ore mi squassava il cranio mi aveva impedito di fare su e giù per i corridoi scavando fosse che, se fossi andato avanti, mi avrebbero fatto raggiungere l’emisfero opposto.

“Pensa a filare via prima che possa pensare di revocarti le ferie.”

La vedo sbuffare con aria teatrale e ci mette talmente tanto impegno che il ciuffo ramato che si trova sulla sua fronte fa un saltello proprio come lei mentre alle scarpe da lavoro sostituisce un paio di scarpe basse da ginnastica che hanno l’aria di essere cento volte più comode. Non ho mai capito la sua ossessione per questi cambi. Una volta le ho anche chiesto perché lo facesse ma come risposta ricevetti un’espressione sbalordita che sembrava dire “e me lo chiede anche!”. Non capirò mai e lei di certo non mi aiuterà, l’unica cosa che ho ipotizzato e che abbia visto troppe volte quei reportage sugli studi legali in cui le segretarie sembrano fatte di plastica talmente si tirano la pelle del volto per sembrare più giovani. Sempre con ai piedi quelle scarpe da vertigini come se il loro contratto preveda uno stacchetto in passerella, nemmeno dovessero sfilare sul Red Carpet dico io. Fortunatamente le calzature da lavoro di Kate non sono nulla di vertiginoso e appuntito, insomma nulla che ti preoccuperesti di ricevere in testa dopo una sfuriata. Ebbene sì; per quanto lei si ostenti a imitare quelle bamboline il suo atteggiamento è tutt’altro che ben disposto. E del sorriso da copertina di quelle avvocatesse novelle non c’è ombra sul suo viso. È sempre sul piede di guerra, in effetti penso andrebbe più che d’accordo con Missy, anzi, non mi sorprenderei di vederle iniettarsi a vicenda una dose di autoironia l’una e disponibilità l’altra da far impallidire chiunque. L’unica differenza è che la mia dolce settantenne è tanto cara con me mentre Kate non mi risparmia scenate da banshee con tanto di uscita scenica. Davvero, più di una volta mi sono stupito di come tutto fosse coordinato al secondo. Nel momento stesso in cui lei sbatteva la porta del mio ufficio uscendo, un meteorite si schiantava sulla Terra e una stella cometa volava sulla teste di tutti quei Re Magi stipati in presepi troppo affollati. 
Pur essendo più giovane di me possiede quel fascino che ti spiazza, sul serio. Un minuto prima la vedi che si controlla il lucidalabbra allo specchietto e il minuto dopo è saltata alla gola di quel poverino che consegna la corrispondenza negli studi. 
Se mai doveste condividere il marciapiede con lei in uno di quei famosi cinque giorni che stravolgono la vita di tutte le donne vi consiglio di cambiare sponda così da non venire spinti sotto un auto in corsa dalla suddetta. Se mai vi venisse in mente di contraddirla vi conviene cambiare città, paese, stato, perché non vorreste mai partecipare ad una di quelle sue discussioni unilaterali nelle quali si autoproclama imputato, giudice e giuria.

“Ci hai provato grand'uomo ma toglimi un solo giorno e te la vedrai con me e prenditi un sonnifero, dormi un po’, non vorrei facessi scappare il primo Dotato con quelle occhiaie da paura.”

Sono quasi tentato di risponderle con un “Sì, signora!” corredato di saluto militare ma la sua possibile reazione mi spaventa abbastanza da rinunciare al tentativo.

Non sono mai stato così nervoso. 
Aspetto che esca per tornare in ufficio, aggirare la scrivania e sedermi, tra le mani la cartella con l’indirizzo del Dotato. Il primo Dotato che sto per introdurre nel programma. 
Non so quanto sarà difficile domani, e soprattutto se lo sarà, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è che devo risultare abbastanza credibile da convincerlo.

Offrirò una possibilità a chi non l’ha mai avuta.





Angolino Autrice:
Bhe, io vi avevo avvisato che non sarebbe stato un appuntamento ad aggiornamento costante quindi a tutti quelli che mi vogliono mettere alla gogna dico che ho le mani legate dalla scuola che non mi lascia un attimo libera. Maledetta.
Secondo capitolo, non siamo ancora alla lunghezza desiderata ma questo è quanto.
Spero piaccia a qualcuno e spero che questo qualcuno passando lasci una recensione giusto per sapere se la strada è quella giusta… siate l’Hansel per la mia Gretel (?).
A presto,
L_lizzy
  
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