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Autore: Writer_son of Hades    23/05/2015    2 recensioni
In un passato lontano, gli uomini stavano distruggendo la terra. Gli dei, vedendo queste atrocità, scesero nel mondo e devastarono l'umanità. Solo un uomo e una donna, per ognuno degli dei esistenti, vennero salvati per diventare figli del dio che li aveva scelti.
Nel loro sangue di mortali, scorreva anche una parte dell'icore dorata degli dei. Generazioni e generazioni di discendenti si precedettero, portando pace e rispettando per gli dei e per la terra dove vivevano.
Mille anni dopo, una ragazza mortale, discendente di nessun dio, si ritrova a dover affrontare il suo destino.
Sarà veramente pronta ad abbracciare il ruolo così importante che le spetta?
(per questa storia ho preso spunto da alcuni aspetti della saga di "Percy Jackson")
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV










La mattina dopo mi svegliai con il sole negli occhi.
Mi voltai dall’altra parte facendo uno strano verso e mi coprii la faccia con il cuscino. Respirai. Aveva uno strano profumo. Respirai ancora. Sembrava un albero di quercia con un pizzico di pino. Respirai profondamente inebriandomi di quel dolce profumo.
Poi ricordai a chi appartenesse.
Mi alzai sui gomiti e con gli occhi ancora mezzi chiusi cercai per la stanza il colpevole.
                – Oh, la bella addormentata ha deciso di degnarmi del suo sguardo? – era appoggiato alla porta del bagno con l’asciugamano tra le mani.
Rituffai la faccia nel cuscino. – Arcadio, perché le tende non sono chiuse? – gli urlai con la voce soffocata dal tessuto.
                – Perché è ora di alzarsi. – sentii la sua voce avvicinarsi. – È così una bella giornata. E poi devo portarti dal mio amico che ti mostrerà veramente da chi discendi.
Lui e le sue stupide teorie.
                – Perché hai dormito nel mio letto? – gli domandai voltando leggermente la testa verso di lui.
                – Non ho dormito nel tuo letto. – si affrettò a dire.
                – Il tuo profumo di selva si sente lontano un miglio. – ribattei.
                – E tu puzzi di morti. – mi canzonò cercando di difendersi.
                – È impossibile visto che io non sono una discendente di Ade.
                – Giuro, che quando scoprirai di esserlo, ti prenderò in giro per non avermi ascoltato. – mi urlò tornando in bagno.
Dei! E mi alzai per prepararmi.
 

Quando uscimmo la temperatura era piacevole. Sembrava che tutto il gelo delle notti scorse fosse stato spazzato via. Non so perché decisi di seguirlo. Avevo una sensazione, questo è vero. Avevo questa sensazione che forse lui avrebbe potuto darmi una risposta. Ma forse erano solo delle stupide fantasie campate in aria da una ragazza mortale.
Ma lo seguii lo stesso. Lui si diresse verso il centro di Nuova Roma. Il posto peggiore del mondo. Abbiamo dovuto camminare per un’ora e forse più prima di lasciare la periferia e di entrare nella città. Era tutto ancora tranquillo. Passeggiavamo tra i vicoli popolari di Nuova Roma. Piccole case e condomini da massimo tre piani d’altezza si alternavano ad entrambi i lati della strada di sassi che stavamo percorrendo. Era quasi mezzogiorno, per cui si vedevano fumi uscire dai camini o dalla finestre dove era appeso il bucato. Rumori di gente che rideva si udivano dalle abitazioni più grandi. Il pranzo era solito mangiarlo con la famiglia tutta riunita. Per chi una famiglia ce l’aveva.
Abbassai lo sguardo al selciato e continuai a seguire Arcadio per un’altra buona mezz’ora.  Arrivammo ai limiti del centro e la folla di gente stava già iniziando ad aumentare. Sacerdoti del Gran Consiglio con le tuniche celebrative che passeggiavano nei giardini pubblici tra quelle meravigliose fontane e le statue raffigurative. Soldati dell’Armata che stavano ai lati delle strade e salutavano le persone che passavano con un largo sorriso sincero. Uomini e donne in abiti lussuosi e gioielli vistosi che camminavano per le vie di una Nuova Roma così diversa da come la vivevo io ogni giorno.
                – Non perderti a fissarli. – mi disse Arcadio, che si era fermato all’inizio di una via secondaria. – Loro non dovrebbero ricevere niente da te.
Era un tono di voce duro. Ma io annuii semplicemente e continuai a seguirlo per quella piccola via sulla destra. C’erano bancarelle che vendevano vasi d’argilla, gioielli e pietre preziose, vistosi abiti fatti a mano, colorati tessuti in porpora e celeste per le feste più sfarzose.
Io cercai di non incrociare lo sguardo di nessuno e mi focalizzai sulla schiena di Arcadio che procedeva sicuro attraverso tutto quel casino. Arrivati al fondo della lunga via, si fermò e bussò ad una porta dipinta di verde sulla sinistra.
                – Sì? – domandò una voce profonda da dietro l’infisso.
                – Sono io. – rispose Arcadio, sicuro.
Un uomo alto e con folti capelli biondi aprì la porta con un sorriso, forse riconoscendo la voce del ragazzo.
                – Arcadio! – lo salutò tirandogli una pacca sulla schiena. – Era tanto che ti aspettavo, vecchio mio.
                – È sempre un piacere rivederti zio.
A quelle parole mi voltai a fissare il ragazzo che fino a poco prima credevo non avesse nessuno. Proprio come me.
                – E lei è?.. – domandò l’uomo voltandosi verso di me.
                – In cerca di risposte. – risposi secca.
Il biondone si fece scappare una fragorosa risata. – Ah, l’adoro di già. Entrate.
Ci invitò facendoci spazio per passare. Seguii Arcadio dentro all’abitazione. Non era grande a differenza degli altri edifici che la circondavano. Era tutto rigorosamente in legno e c’erano solo delle piccole lampade sparse per la casa ad illuminarla, data l’essenza di finestre. Notai una piccola cucina ad angolo, un lungo tavolo con parecchie sedie intorno, una poltrona rosa posizionata davanti ad un caminetto e un soppalco con sopra la camera da letto. Una scala sconnessa portava al piano superiore.
                – Benvenuta nella mia umile dimora. – annunciò l’uomo sedendosi sulla poltrona sollevando un onda di polvere. – Il mio nome è Dasos. E come ti avrà già detto Arcadio, sono discendete di Pan, come lui.
                – No, non mi aveva detto di avere uno zio. – confermai io, rivolgendo al ragazzo una brutta occhiata. Sì, mi dava fastidio che mi avesse mentito.
                – Non è mio zio. – si affrettò a dire Arcadio. – Lo considero mio zio perché mi ha preso con lui quando hanno ucciso tutta la mia famiglia. – continuò in tono serio e duro. – Non ti preoccupare, nessuno dei miei parenti è ancora in vita.
Poi sbuffò e andò a prendersi qualcosa dalla cucinetta.
Tutta la mia rabbia improvvisamente svanì. Mi sentivo così in colpa. Per essermi arrabbiata con lui visto che aveva un parente e perché non gli ho creduto. Rimasi a fissarlo mentre armeggiava con i fornelli.
                – Sai quando arriveranno gli altri? – domandò Dasos guardando il ragazzo.
Lui scosse la testa, senza voltarsi.
                – Gli altri? – domandai, preoccupata.
                – Sì, degli amici di Arcadio. – disse sbrigativo l’uomo.
Dopo qualche minuto sentì qualcuno bussare alla porta. Dasos si alzò e compì lo stesso rito che aveva fatto prima con me e Arcadio.
                – Sì? – chiese, avvicinando l’orecchio alla porta.
                – Siamo l’Armata….chi vuoi che sia, Dasos! – lo rimproverò una voce femminile.
L’uomo aprì la porta e intravidi una chioma castana. La ragazza che aveva parlato entrò seguita da un ragazzo e da un’altra ragazza. Erano tutti e tre vestiti di nero o comunque  colori scuri. Occhio e croce avranno avuto la mia stessa età.
                – È lei? – domandò, puntandomi un dito contro in modo parecchio aggressivo.
                – Io cosa? – risposi con lo stesso tono.
                – Oh dei….non mi sembra molto sveglia. – mi canzonò, sbuffando.
                – Achlys, sii gentile. – la fermò il ragazzo in tono gentile. Portava corti capelli castano chiaro e mi si avvicinò con un bellissimo sorriso.
                – Piacere. – disse allungandomi la mano. – Io sono Samuel, discendente di Dioniso.
Gli occhi erano davvero strani. Avevano una colorazione sul violetto. Mi sembrava simpatico, ma non gli strinsi la mano. Perché erano qui? E perché tutti continuavano a chiedere se io ero io? Chi sarei dovuta essere?! Ero un po’ stufa di tutto questo mistero. Ero venuta in quel posto per avere delle rispose, non per non capirci ancora di meno.
Ritrasse la mano, vedendo che non accennavo a stringerla. – Mi scuso per il comportamento poco cordiale della mia amica.
                – Io sono Elai. – disse la ragazza che non aveva ancora aperto bocca. Aveva biondi capelli mossi che le ricadevamo sulle spalle come una cascata d’oro. Gli occhi erano di smeraldo e le labbra rosee a forma di cuore facevano intendere una solo provenienza.
                – Discendente di Afrodite. – la precedetti io con un tono di disgusto. I peggiori, dopo Zeus e Poseidone, erano i discendenti di Afrodite. Divi del cinema, cantanti, modelli e menate varie. Vanitosi e caparbi come pochi.
La ragazza fece una brutta smorfia sentendo il mio tono di voce e mi squadrò da cima a fondo.
                – Mi piace. – disse voltandosi verso Dasos. – Ma qualcuno dovrebbe cucirle la bocca.
                – Siamo in due a pensarlo. – concordò con lei Arcadio mentre portava in tavola dei panini con del tè.
I ragazzi si avvicinarono e si sedettero dimenticandosi completamente di me o di qualsiasi altra cosa. In effetti pure io stavo morendo di fame. Erano giorni che non mangiavo e quei panini avevano un aspetto davvero invitante.
                – Smettila di fare la permalosa e vieni qui. – mi prese in giro Arcadio in tono serio.
Odiavo il suo atteggiamento, odiavo tutti in quella stanza, ma lo stomaco si impossessò del mio corpo e mi fece sedere al tavolo con loro e addentare un panino. Dei se era buono.
Mentre mangiavo il terzo panino, dei rumori al piano superiore attirarono la mia attenzione. Sentii prima un tonfo e poi dei passi. Una figura incappucciata scese la scala appoggiata al soppalco e con un balzo si rimise in piedi. Il volto nascosto non lasciava intendere l’identità dello sconosciuto. Quella faretra e quell’arco, però, erano inconfondibili.
Mi alzai in piedi d’istinto. – Tu.
Il ragazzo si tolse il largo cappuccio nero mostrando quella chioma bionda che avevo visto due notti prima.
                – Potevi usare la porta. – gli disse Dasos, ma senza rimprovero nella voce.
                – Ho avuto dei…problemi… – rispose aggiungendo uno dei suoi sorrisi accecanti.
Io ero rimasta a fissarlo, senza capirci niente.
Con calma si tolse il cappotto nero scoprendo una felpa blu scuro e posò vicino alla scala la faretra e l’arco.
Quando finalmente mi degnò di uno sguardo, prima aggiunse un sorriso e poi disse: – Ehi.
Nemmeno fossimo vecchi amici che si ritrovavano per una rimpatriata. Dopo quello, ne avevo abbastanza. Avevo seguito uno sconosciuto che mi aveva aggredito la notte precedente solo per ritrovarmi in una casa dove si stava svolgendo un’adorabile riunione di vecchi amici.
Scossi la testa e mi domandai cosa mi fosse passato per la testa. Senza nemmeno pensarci due volte mi diressi verso la porta per uscire all’aria aperta, ma prima di poter metter mano sulla maniglia, una freccia si impiantò a cinque centimetri dalla mia faccia sullo stipite della porta.
Ne fissai la punta, prima di voltarmi verso il colpevole.
                – Non lasci la casa, fino a quando non abbiamo chiarito chi sei. – disse il ragazzo con l’arco teso fra le braccia. Non ricordavo nemmeno più il suo nome.
Lo fissai come se volessi strangolarlo con lo sguardo. Nessuno, e ripeto, nessuno poteva dirmi cosa fare o non fare.
                – Aiden, cerca di calmarti. – lo fermò Elai, la discendente di Afrodite.
Io strinsi i pugni e tirai la mascella. – Non prendo ordini da te, solo perché sei un Olimpo.
Il ragazzo ridacchio. – Mi ha davvero dato dell’Olimpo? – chiese guardando gli altri. – Senti, potremmo diventare grandi amici, un giorno. Ma per adesso non mi stai per niente simpatica.
                – Il sentimento è reciproco. – ribattei.
                – Ora basta. – intervenne Arcadio. – Ti ho promesso delle risposte e le avrai. – mi disse. – Ma prima dobbiamo aspettare una persona, perché anche noi abbiamo qualcosa da dirti.
Mi calmai improvvisamente, presa da una cieca curiosità. – A me?
                Il ragazzo annuì. – È tanto che ti cerchiamo.
Me? Perché avrebbero dovuto cercare me?
                – So che sembra strano. E lo è, in effetti. – disse Dasos, divenendo immediatamente serio. – Ma io conoscevo tuo padre.
                – Mio… – non riuscivo nemmeno a dirlo. Le parole mi morirono in gola tanta era l’emozione.
                – Non avrei dovuto dirtelo, ma se è l’unico modo per tenerti qui con noi, allora ne è valsa la pena. – continuò l’uomo.
Io non ci potevo credere. Volevo fare così tante domande che la mia testa stava per esplodere.
Poi ci fu effettivamente un’esplosione. Venne da fuori l’abitazione, ma fece comunque scuotere il terreno sotto i nostri piedi. Fissai spaventata la porta, temendo che chissà cosa potesse entrare. Non me ne resi nemmeno conto che stavo correndo verso un buco sulla parete vicina alla cucina stretta nella mano di Arcadio che mi incitava a rimanere concentrata.
                Era tutto buio là sotto, ma non so come, riuscivo a capire esattamente dove fossimo diretti.
                – Qualcuno ti ha seguito? – sentii chiedere da qualcuno più avanti.
                – No. Non lo so. – rispose incerto Arcadio che viaggiava al mio fianco.
Dopo qualche minuto di corsa sfrenata nel buio, emergemmo in un vicolo poco fuori il quartiere dove c’era l’abitazione. Dasos ci disse di andare a cercare un posto sicuro per la notte e che sarebbe andato a cercare qualcuno di cui non sapevo il nome.
                – Dove andiamo? – chiese Samuel.
                – Aiden, il cantiere è libero? – chiese Achlys.
                – Sono scappato da lì questa mattina. – mormorò il ragazzo.
                – Il vecchio ospedale? – optò Elai.
                – L’hanno abbattuto. – rispose Arcadio. – Dovremmo cercare i fratelli di Ecate.
                – Non abbiamo tempo e gli dei solo sanno dove si trovano quei due. – commentò Aiden.
E fu in quel momento che intervenni io, lucida. – Ho un posto perfetto, ma non so quanto vi potrà piacere.
Tutti mi fissarono, come imbambolati.
Arcadio fu il primo a parlare: – Okay. È sicuro?
Io annuii.
                – Speriamo solo sia vero. – si intromise Aiden, sistemandosi l’arco a tracolla e il cappuccio sulla testa. Lo guardai male e cominciai a correre verso ovest sapendo esattamente dove portarli.








Nota dell'autrice: Buongiorno a tutti! Nuovo capitolo solo per voi. Che ne dite? Vi è piaciuto? Bè, spero vivamente di sì. 
Non so voi, ma io sono ancora sommersa di verifiche e interrogazioni. Non ne posso più gente.
Un bacione a tutti e pregate gli dei per me
Silvia

 
 
 
 
   
 
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