Ciao a tutti! Lo so, ormai mi davate per dispersa ma sono riuscita finalmente ad aggiornare! Scusate se ci metto tanto ma il tempo che ho a disposizione per scrivere è veramente poco in più c'è stato un calo di ispirazione che però è stato colmato :-) spero almeno che la vostra paziente attesa sarà in parte ripagata e che il capitolo vi piaccia! Scusate ancora! Un grazie a tutti coloro che leggeranno e a quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite e/o le preferite! Un grazie speciale a the best (Grazie mille per la tua recensione! Ci ho messo una vita a pubblicare questo 4 capitolo scusa, ma spero davvero che ti piaccia!! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi :-)!), a Cleo_Sam (grazie, sono contenta che la storia finora ti sia piaciuta, spero che questo capitolo non ti deluda ;-)!) e a roby626 (grazie mille per la tua recensione! Ti capisco, anche se sapevo come sarebbe andato a finire il film, ci sono rimasta malissimo anch'io nell'ultima scena, lei che muore, lui che diventa Darth Vader, è stato ingiusto! Infatti ho iniziato a scrivere questa storia per avere una piccola soddisfazione almeno nella fantasia e vederli felici :-) comunque purtroppo sono molto lenta ad aggiornare ma non ho abbandonato la storia ;-) spero portiate pazienza XD ps. ho cercato di essere più attenta con l'ortografia, spero ci siano meno errori, grazie per la segnalazione :-) sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo, mi auguro ti piaccia :-)! ). BUONA LETTURA A TUTTI!
4_Il
nemico e l’amante
Vedere
Luke e Leila ridere sdraiati sul soffice tappeto della nostra camera,
era una
gioia che non aveva mai fine. Avrei potuto passare delle ore intere a
guardarli
osservare il mondo con i loro occhi pieni di stupore per ogni cosa.
Erano
ancora troppo piccoli per gattonare, ma già riuscivano a
stare seduti senza
appoggiarsi a un sostegno. Voltavano il loro piccolo capo a destra e
sinistra,
inseguendo il pupazzetto che Vivian e io facevamo volteggiare sopra le
loro
teste e allungavano le manine come per afferrarlo. Erano una meraviglia.
All’improvviso
però, un suono prolungato mi riportò bruscamente
alla realtà. Sia Vivian che io
ci immobilizzammo, cercando di capire la fonte del rumore. Era una
sirena che
risuonava da ogni angolo del palazzo. Ghiacciai sul posto, mentre
Vivian mi
lanciò un’occhiata terrorizzata. La bolla si era
infranta. Era il segnale di
allarme.
Scattai
in piedi come una molla e presi in braccio Luke, urlando alla ragazza
di
prendere Leila. Insieme ci dirigemmo verso la porta ma facemmo appena
pochi
passi che fummo raggiunte da Taomar. Era pallido e aveva gli occhi
sgranati.
“Senatrice,
stanno per attaccarci, dobbiamo fuggire subito” mi
informò senza perdersi in
preamboli.
Un
brivido mi percorse, mentre un presentimento si faceva strada in me.
“Chi ci
sta attaccando?” chiesi, mentre ci dirigevamo correndo verso
la pista di
decollo. Accanto a noi sfrecciavano in ogni direzione i pochi abitanti
che
avevano trovato asilo nel palazzo di Taomar, tutti diretti verso la
nostra
meta, ansiosi di raggiungere la prima navicella disponibile.
“La
flotta imperiale, senatrice. Non ho idea di come abbiano fatto a non
essere
avvistati dalle nostre sentinelle, ma tra meno di dieci minuti saranno
qui”. La
voce del pover’uomo suonava come una sentenza a morte.
Dieci
minuti…avevamo solo dieci minuti per raggiungere una nave e
metterci in salvo!
Era impossibile, anche fossimo riusciti a salire a bordo, come avremmo
potuto
sfrecciare via sotto il naso dell’Impero? Eppure aumentai la
corsa, come se
davvero avessimo qualche speranza di scappare.
“Come
hanno fatto a scoprirci?” gridai per sovrastare il rumore che
la folla di
fuggiaschi attorno a noi stava creando.
“Non
lo so, siamo stati molto attenti con le trasmissioni, l’unica
spiegazione
logica potrebbe essere che hanno scoperto la nostra seconda spia e che
Ezac non
abbia resistito all’…” un boato
interruppe la frase di Taomar. Le mura del
palazzo tremarono fino alle fondamenta e fummo costretti a fermare la
nostra
corsa. Il cuore mi rimbalzò in gola. Erano arrivati prima
del previsto e
avevano iniziato a bombardare il nostro rifugio.
Un
altro boato. Il pavimento tremò. Questa volta non riuscii a
tenermi ferma e
sbattei contro il muro. Per fortuna riuscii a colpirlo di spalle,
proteggendo
il piccolo Luke che tenevo in grembo. Sia lui che la sorella iniziarono
a
piangere, spaventati da quei rumori assordanti.
“Lady
Amidala, state bene?” Vivian mi si avvicinò
preoccupata, cercando
disperatamente di calmare Leila.
“Non
preoccuparti per me, preoccupati solo della bambina!” le
urlai cercando di
sovrastare il rumore di una terza esplosione. “Taomar,
dobbiamo raggiungere la
navicella!” dissi poi rivolta all’uomo.
Questi
mi guardò quasi con compassione, ma mi assecondò,
non avendo il coraggio di
dirmi quello che purtroppo ben sapevo. Non avevamo scampo.
Riprendemmo
la nostra corsa verso la pista di decollo. Molte altre persone ci
stavano
seguendo, forse attaccati alla stessa folle speranza, o
incapacità di
arrendersi, che avevo io. Giunti alla pista, ci precipitammo
giù per le scale
che separavano l’ingresso dalla zona del decollo, diretti
verso la prima nave.
Appena scesi, ci ritrovammo circondati da una folla di gente disperata
che
spintonava e urlava cercando di raggiungere l’ingresso di una
delle navicelle. Cercai
di tenere in braccio Luke con una mano sola e con l’altra
afferrai quella di
Vivian, terrorizzata di perdere lei e la bimba in mezzo a quella
fiumana
impazzita. Per un secondo mi prese il panico, temendo di non riuscire a
raggiungere la navicella dopo tutta la fatica fatta per arrivare fin
lì. Poi
giunse una seconda consapevolezza, ben più funesta della
prima ma di una
certezza così assoluta da impormi comunque uno stato di
calma. Tutte quelle
persone che si accalcavano e lottavano per la speranza di salire a
bordo di una
nave, tutte le donne, gli uomini e i bambini presenti su quella pista,
me,
Vivian e Taomar compresi, eravamo delle prede in trappola. Non
c’era salvezza
per nessuno di noi. Eravamo al pari di topi impauriti che cercavano di
scappare
da morte certa.
Un
rumore metallico provenne dalle porte dell’hangar. Qualcuno
aveva azionato il
portellone per aprirsi. Tutti si azzittirono, accecati dalla luce del
giorno
che prepotente inondò lo spazio distogliendoli dalla loro
corsa. Una
cinquantina di teste di voltarono verso l’apertura. Strizzai
gli occhi,
accecata momentaneamente dalla luce improvvisa. Ma quando la mia vista
si
abituò a quella luminosità, avrei voluto tornare
ad essere cieca. Lo spettacolo
che mi si parò davanti era terrificante.
Cinque
navi della flotta imperiale ci aspettavano pronte a far fuoco davanti
all’ingresso dell’hangar.
La
nave centrale avanzò di poco superando l’ingresso
quel tanto che bastava per
poter aprire il portellone e far scendere una trentina di cloni armati.
Tutti
con la stessa divisa bianca, tutti con la stessa arma carica, tutti
orribilmente
creati per seguire gli ordini di un folle ciecamente. Mentre si
disponevano in
fila davanti a noi tenendoci sotto mira, in una tacita intimazione a
non
muoverci, una figura vestita completamente di nero spiccò
per la sua diversità,
non solo rispetto ai cloni, ma anche rispetto a qualsiasi altro
presente in
quella stanza.
Mi
mancò il fiato, mentre il presentimento che avevo avuto si
concretizzava. Chi
altri poteva guidare l’attacco contro di noi? Solo lui. Darth
Vader.
Un’aurea
di timore lo avvolgeva più oscura del mantello che
ondeggiava ad ogni passo
deciso che lo conduceva al centro della fila dei suoi cloni. La postura
era
eretta, i lineamenti duri sembravano scolpiti nel ghiaccio e incutevano
la
paura persino di guardarlo. Ma i suoi occhi erano ciò che
colpiva di più.
Sembrava che provasse un totale disinteresse per qualsiasi cosa su cui
si
posassero, come se non ci fosse una folla azzittita e terrorizzata
davanti a
lui, ma il nulla. Vagavano da un lato all’altro della stanza
come se guardasse
unicamente dei fantasmi, in cerca di altro.
Poi
un fulmine di comprensione mi illuminò su cosa stesse
così freneticamente
cercando. Voleva me. Se l’Impero era venuto a stanare il
focolaio dei ribelli,
lui era venuto a prendere me.
Vederlo
in quelle vesti mi mandò completamente in confusione.
Davanti a me, vedevo il
Sith che sapevo non si sarebbe fatto scrupoli a uccidere tutta quella
gente per
ordine dell’Imperatore, il Sith che mi incuteva paura e da
cui ero scappata in
tutti quei mesi. Il Sith da cui avevo salvato Obi-Wan e da cui cercavo
di
proteggere i miei figli. Eppure…quel viso era quello di
Anakin. L’Anakin che
sapevo avrebbe sfidato l’intera Galassia pur di sapermi al
sicuro, l’Anakin che
mi aveva fatta sentire amata tra le sue braccia. L’Anakin che
era il padre di
quei figli che volevo proteggere.
Come
potevano essere la stessa persona due figure così opposte?
Era una scissione
che non potevo comprendere e che mi dilaniava.
Come
se fosse stato attratto da una calamita invisibile, i suoi occhi infine
si
posarono su di me, trovandomi anche in mezzo a quella ressa. Senza
curarsi di
nessun altro, puntò dritto nella mia direzione. I presenti
si spostarono
immediatamente, aprendo un corridoio umano per lasciarlo passare, quasi
avessero
paura di entrare anche solo nella sua scia. Il cuore prese a battermi
in petto
talmente forte che temetti quasi potesse cedere. Non riuscivo a
formulare
nessun pensiero coerente, nessuna frase. L’unica cosa di cui
avevo
consapevolezza erano i suoi occhi che sembravano volermi trapassare
l’anima con
un’intensità tale da rendermi difficile decifrare
quale sentimento al momento
provasse.
Quando
mi fu a meno di un metro di distanza, si fermò ed io mi
costrinsi a non
indietreggiare. Lanciò un’occhiata al bambino che
stringevo tra le braccia, ma
fu solo la distrazione di un attimo. Mi chiesi velocemente se avesse
capito chi
fosse e se avesse provato qualcosa ma non ci fu il tempo per altre
considerazione perché, finalmente, mi parlò.
“Va’
a prendere le tue cose, vieni via con me”.
La
durezza nella sua voce mi trapassò più di una
spada. Anakin non mi aveva mai
parlato così, perentorio e autoritario. Mi aveva dato un
ordine che non
ammetteva repliche. Un ordine… dopo mesi di lontananza. Il
mio animo si accese
di ribellione e mi chiesi per un attimo quali possibilità
avessi. Poi però mi
resi conto che la strada che potevo percorrere era una soltanto. Quella
di
seguirlo.
La
cosa che più mi preoccupava mentre mi voltavo per farmi
largo tra la calca che
ci fissava ammutoliti, era però quel calore nel cuore che
leniva l’umiliazione
della sconfitta e che non riuscivo a estinguere. Perché se
il tono freddo era
stato pronunciato dal Sith, il fuoco che gli aveva illuminato gli occhi
quando
infine mi si era avvicinato... era di Anakin. Ed era un richiamo a cui
non
potevo restare indifferente.
*
Stelle
e pianeti scivolavano fuori dal finestrino della stanza buia. Piccoli
punti
luminosi su un manto scuro che rimanevano alla vista la durata di un
attimo
prima di perdersi nell’immensità di quello spazio.
Esattamente come i miei
pensieri, che scorrevano frenetici e troppo veloci perché
potessi soffermarmi
abbastanza su di uno e comprenderlo appieno.
C’erano
così tante domande, tanti dubbi, paure, osservazioni. La
più innocua, quella su
cui cercavo di focalizzarmi per evitare di andare su ben altri
pensieri, era
inerente alla nostra destinazione. Dove stava andando a tutta
velocità la nave
da guerra dell’Imperatore? Un pianeta non troppo lontano dove
potersi
rifornire? Oppure stavamo andando a Corruscant, la capitale
dell’Impero? Avrei
preferito di gran lunga rivedere la vecchia sede del Senato e i suoi
palazzi
tra le nuvole anziché ritrovarmi a bordo della Morte Nera.
Quella era la meta
che più temevo. L’idea di ritrovarmi su quella
nave portatrice di morte mi
terrorizzava. In più aveva paura che una volta a bordo di
quella fortezza
orbitante non sarei più riuscita a uscirne. Sarebbe stata
per me una prigione
inespugnabile, non c’era nessuna speranza che Obi-Wan e Yoda
sarebbero riusciti
a portarmi via da lì.
Obi-Wan
e Yoda…
Il
loro nome risuonò nella mia mente come una campanella
dell’ultima speranza. Per
me, per la Resistenza e per la Galassia intera. Erano rimasti solo loro
là
fuori a difendere il ricordo della libertà perduta.
Grazie
a qualche disegno del destino benevolo i due Jedi non si trovavano a
Giano
quando eravamo stati attaccati dalla flotta imperiale. Anzi, erano su
un
pianeta ben lontano, Golbia 7, a cercare di fondare una nuova base per
la
nostra Lega con l’aiuto del senatore Jewis, un fervente
sostenitore della
Repubblica.
Mi
lasciai sfuggire un sospiro di sollievo a quel pensiero. Rabbrividii
alla sola
idea della loro cattura. Se fossero stati a Giano, a
quest’ora probabilmente
sarebbero già stati giustiziati e ogni nostra speranza di
ribellione sarebbe
morta con loro.
La
mia mente saltò per associazione ad altre cinquanta persone
che erano state
prese con me sulla pista dell’hangar. Cosa era successo loro
quando me ne ero
andata scortata da cinque cloni? Sperare che le avessero lasciate
andare era
utopistico e l’idea che potessero essere state tutte
giustiziate all’istante
era talmente orribile da risultare inconcepibile. C’erano
anche dei bambini in
quello sciagurato gruppo! Potevo solo augurarmi che fossero stati fatti
prigionieri, una posizione di stallo da cui potevano ancora essere
salvati.
Pensai soprattutto al povero Taomar e a Vivian. Lei l’avevano
lasciata venire
con me, ma una volta salite sulla nave ci avevano fatte separare e non
avevo
idea di dove la avessero condotta. Mentre Taomar faceva parte del
gruppo dalla
sorte ignota. Non sapevo di che informazioni potesse disporre
l’Impero, se
sapeva quale fosse il ruolo di Taomar nella Ribellione. Potevo solo
augurarmi
che fossero all’oscuro del fatto che era stato lui a fornirci
una base su cui
nascere e operare o lo avrebbero ucciso immediatamente.
Ed
io…?
La
vocina nella mia testa passò ad un altro collegamento. La
mia sorte quale
sarebbe stata? Era la seconda delle domande difficili che mi sforzavo
di non
formulare.
Sospirai
appoggiando la fronte al vetro. Ero seduta su un divanetto posto sotto
il vano
della finestra in una stanza quadrata e angusta. I cloni mi avevano
condotto là
assieme ai miei figli appena salita a bordo. Non era una prigione,
doveva essere
una delle tante stanze degli ufficiali della nave, ma non era
certamente tra le
più accoglienti. Le pareti in metallo nere rendevano
l’ambiente freddo e il
mobilio consisteva in un letto a due piazze, che occupava quasi tutto
lo spazio
e sulla quale ora riposavano placidamente i bimbi, e una lunga panca
accanto
alla parete a sinistra della porta di ingresso su cui avevo appoggiato
le due
borse che contenevano pochi effetti personali miei e dei gemelli. Una
porticina
sulla destra dava accesso a un bagno. Aveva il minimo indispensabile ma
ero
comunque grata di quel piccolo lusso.
Il
fatto di non essere stata portata in prigione assieme agli altri mi
metteva in
una posizione diversa da loro, eppure la porta era chiusa
dall’esterno. Come
dovevo considerarmi? Una prigioniera Ribelle? Un ostaggio politico?
Come
mi
considerava Anakin?
Eccola,
la domanda numero uno. Quella che premeva per uscirmi di bocca e
tormentarmi
lentamente. C’erano troppi fatti contrastanti tra loro.
Sapevo che Anakin si
sentiva tradito da me, soprattutto dopo il mio salvataggio di Obi-Wan.
Ma
sapevo anche che quel “vieni via con me” non era
l’ordine di un nemico contro
un’avversaria sconfitta. Era la richiesta di un marito che
rivoleva indietro la
moglie.
Ma
chi dei due sarebbe prevalso? Là su quella nave non era
l’Anakin che mi aveva
corteggiata a Naboo, era il Sith che stava conquistando
l’universo come braccio
destro dell’Imperatore. Quante speranze avevo di far
prevalere il mio Ani
dentro quella nave?
“…purtroppo
Yoda e Kenobi non si travavano su Giano al nostro arrivo. Ho lasciato
la
retroguardia sul pianeta ma dubito che torneranno là. La
notizia del nostro
assalto si sarà già diffusa in tutta la
Galassia”.
In
postura eretta davanti all’ologramma
dell’Imperatore, Darth Vader stava concludendo
il rapporto della conquista di Giano avvenuta qualche ora prima.
“Ha
poca importanza, abbiamo distrutto la loro principale base operativa,
saranno
nel completo scompiglio e noi abbiamo dimostrato la nostra schiacciante
superiorità contro quegli stolti. Hai fatto un buon lavoro,
Lord Vader”. Si
complimentò Darth Sidius, minimizzando la mancata cattura
dei due Jedi. Sapeva
che due singoli individui non avrebbero potuto fare nulla contro la
potenza
dell’Impero, era l’unione dei pianeti ribelli che
temeva, la forza della massa.
Ma aveva buone ragioni di credere che l’attacco nel cuore
della Lega avesse
inferto una dura batosta alle certezze di chiunque avesse osato opporsi
a loro
pensando di poterli sconfiggere. Probabilmente, in quello stesso
momento molti
dei pianeti che aveva appoggiato i Ribelli ora li stavano abbandonando,
temendo
di essere i prossimi bersagli nel mirino della loro epurazione. Obi-Wan
Kenobi
e Yoda sarebbero rimasti soli e sarebbero diventati una minaccia nulla.
“Inoltre
sei riuscito a catturare una prigioniera altrettanto importante, la
Senatrice
Amidala” aggiunse con un ghigno soddisfatto.
Al
contrario, i lineamenti di Anakin si indurirono a quelle parole.
“Con tutto il
rispetto, maestro, Padmé Skywalker non è una
prigioniera di guerra, né una Senatrice
della Repubblica. Nel nuovo Impero, è mia moglie”
ribatté duro, nominandola per
la prima volta con il suo nome da sposata, come avrebbe voluto poter
fare da
quando avevano pronunciato i voti, se non fosse stato per
quell’ingiusto codice
Jedi.
Il
Sith proruppe in una risata rauca. “Certo, mio giovane
apprendista. Ma ti
consiglio di rendere chiaro questo concetto a tua moglie per prima o
devo
ricordarti con chi si è schierata in questa guerra? Non
è stata fedele
all’Impero e nemmeno a te, preferendo fidarsi del maestro
Kenobi”.
L’osservazione
crudele, seppur lasciata cadere con studiata leggerezza, si
insinuò nell’animo del
giovane come una stilettata. Tuttavia la sua espressione di marmo non
diede la
soddisfazione all’Imperatore di fargli vedere che aveva
colpito nel segno.
“Gli
Jedi sono riusciti a manipolarla fino ad ottenebrarle il giudizio.
Basterà
farle aprire gli occhi per vedere il giusto fine delle nostre azioni
affinché
si convinca a unirsi alla nostra causa, non ho dubbi a tal
proposito” la difese
convinto.
Lord
Sidius annuì, preferendo chiudere l’argomento
sulla ragazza. In verità dubitava
che il suo giovane apprendista sarebbe riuscito a piegare la fede cieca
nella
Repubblica che aveva Amidala. Conosceva la Senatrice da una vita, aveva
dedicato tutta la sua esistenza alla difesa del diretto alla
libertà di ogni
pianeta. Le sue convinzioni non erano manipolate dagli Jedi, come
sosteneva -
mentendo probabilmente persino a se stesso - il giovane, erano idee che
aveva
radicate nella sua mente da anni. Fargliele cambiare era impossibile.
Ma
sinceramente, finché Anakin avesse saputo tenere a bada
Padmé e non gli avesse
creato problemi, le convinzioni politiche di una ragazza non erano di
alcun
interesse per lui.
L’ologramma
si dissolse facendo tornare la stanza della trasmissioni in una
semi-oscurità. Anakin
si appoggiò alla parete dietro di lui e si passò
una mano sul viso. Le parole
dell’Imperatore giravano il coltello in una piaga che
sanguinava da mesi e
anche se davanti a lui l’aveva difesa, non riusciva in cuor
suo a perdonarla
del tutto per il suo tradimento.
Aveva
condotto Obi-Wan da lui su Mustafa. Era scappata con lui, sottraendogli
in un
colpo sua moglie e il figlio che portava in grembo. Aveva messo in
piedi
un’organizzazione interplanetaria con il solo scopo di
contrapporsi a loro. E
gli aveva sparato per salvare uno dei suoi principali nemici.
Come
poteva perdonarla?
Eppure,
la amava lo stesso. E ora era lì, su quella nave, a pochi
metri da lui. Ma
invece di riempirlo di gioia come aveva sperato, ciò lo
gettava nello
scompiglio più totale. Come doveva comportarsi? Da un lato
sarebbe voluto
correre ad abbracciarla e dirle quanto gli era mancata. Ma
dall’altro…non
poteva ignorare tutto quello che era successo da quando aveva scelto di
schierarsi dalla parte degli Jedi. Per questo, nonostante avvertisse la
sua
presenza su quella nave attirarlo come il canto di una sirena, non era
ancora
andato nella sua stanza a vederla. Non sapeva come comportarsi.
Preso
dalla frustrazione, scagliò un pugno contro il muro. Basta
stupide riflessioni
o dubbi! Se fosse rimasto fermo a pensare un minuto di più
gli si sarebbero
fusi i neuroni, ne era certo. Doveva agire.
Doveva
andare da lei.
Quando
sentii il rumore metallico della porta della stanza aprirsi, seppi chi
era il
mio visitatore prima di voltarmi ad accoglierlo. Percepii la tensione
irradiarsi immediatamente nell’aria e uno sguardo pungermi la
schiena
reclamando con forza la mia attenzione.
Presi
un respiro profondo e, lentamente, mi voltai.
A
pochi metri da me, Anakin mi fissava, lo sguardo in tempesta come
quello che mi
aveva rivolto nell’hangar qualche ora prima. Il cuore
tornò a pompare tanto
forte che lo sentivo rimbombarmi nelle orecchie e con trepidazione mi
chiesi,
ora che eravamo finalmente soli, cosa sarebbe accaduto. Mi avrebbe
urlato
contro? O sarebbe corso da me ad abbracciarmi?
I
minuti passarono, con tanta lentezza che avrei potuto vedere i granelli
di
sabbia scivolare via dalla clessidra uno ad uno, ma né io
né Anakin movemmo un
passo.
Sentii
gli occhi minacciarmi di riempirsi di lacrime. Avevo sopportato tanto
in quei
mesi, le vittime della guerra, la tensione dell’esito incerto
delle nostre
missioni, l’onere di dover cercare alleati per la causa,
eppure nulla mi era
sembrato tanto insopportabile come quello. Avere mio marito a due metri
di
distanza e sentirlo lontano una galassia intera.
“Ani...”
con voce spezzata, le mie labbra pronunciarono il suo nome, ma prima
che
potessi aggiungere altro, un secondo suono si propagò per
l’aria.
Luke
si era svegliato e aveva iniziato a piangere, probabilmente spinto
dalla fame o
semplicemente perché ritrovandosi in un posto sconosciuto
voleva vedere sua
madre.
D’istinto
mi avvicinai subito a lui e lo presi in braccio iniziando a cullarlo.
Come
avevo previsto, voleva solo essere rassicurato, e difatti,
tranquillizzato
dalla mia presenza, smise subito di piangere. Intenta a preoccuparmi
del
bambino quasi non mi accorsi che Anakin si era accostato a noi. Alzai
lo
sguardo per incrociare il suo e quello che vi lessi mi sciolse il
cuore. Un
forte calore aveva scacciato la tempesta di prima, rilegandola sullo
sfondo.
Stava studiando il volto del piccolo Luke come…incantato.
Alzò una mano come
per accarezzarlo, ma poi parve ripensarci e
l’abbassò. Mi chiesi perché, era il
padre dopotutto, pensava di non aver diritto di accarezzarlo? Poi mi
resi conto
che forse non sapeva come comportarsi. Era vero che era suo figlio, ma
era la
prima volta che lo vedeva e non si diventa padri per diritto di
nascita, è una
qualifica che va acquisita giorno dopo giorno, comportandosi come tale,
e lui
per ora non ne aveva avuto il tempo.
L’incertezza
di prima si volatilizzò. Sapevo cosa avrei dovuto fare come
prima cosa. Gli
avrei presentato le due splendide creature che aveva contribuito a
mettere al
mondo.
“Lui
è Luke, ti somiglia già, sai? È forte,
riesce già a gattonare un poco. Ha i
tuoi occhi.” Gli dissi mentre mi avvicinavo piano alla
bambina. “Lei invece è…”
“Leila”
mi anticipò Anakin, spostando la sua attenzione alla seconda
creaturina che
dormiva placida tra le coperte, i pugnetti serrati vicino al capo
castano. “Te
li sei ricordati” commentò dopo.
“Come
avrei potuto scordare i nomi che avevamo scelto per i nostri figli?
Siamo stati
anche fortunati, il Fato ha voluto che potessimo usarli entrambi da
subito”
commentai, prendendo una manina di Luke per posarle un bacio.
Poi
calò di nuovo il silenzio. Anakin era immobile davanti a
Leila, le mani chiuse
a pugno come se temesse di non controllarle se non le avesse tenute
sotto
controllo. Avrei pagato oro per sapere cosa stesse pensando dietro quel
volto
imperturbabile. Mi diedi mentalmente dell’ingenua. Per un
attimo avevo sperato
che facendogli vedere i nostri figli, ogni cosa sarebbe tornata a
posto, che
avremmo potuto dimenticarmi della guerra che proseguiva là
fuori e che ci aveva
divisi.
“Hanno
bisogno di te Anakin, e anch’io. Non sai quanto è
stata dura andare avanti da
sola in questi mesi” mormorai infine piena di amarezza, dando
voce ai miei pensieri.
Aspettai
una sua reazione con il fiato sospeso, e stavolta non si fece
attendere. La
mascella del giovane si indurì e negli occhi balenarono di
nuovo i lampi della
tempesta di prima.
“Sei
tu che sei scappata da me, non ti ho lasciato io”
ringhiò, offeso. Poi si passò
una mano sul viso. “Perché sei fuggita da me?
Perché mi hai portato via i miei
figli? Padmé…tu non hai idea di quanto mi sei
mancata, giorno e notte…perché mi
hai lasciato?”
Più
che le accuse che quelle parole portavano, a trafiggermi fu il tono di
dolore
con cui vennero pronunciate. Avrei preferito una sfuriata, ero
più
psicologicamente preparata all’idea che mi urlasse contro.
Essere inondata da
quel dolore non lo avevo preventivato.
Di
colpi mi resi conto di quanto lui stesso doveva aver patito la
separazione. Se
era stata dura per me, che avevo i nostri figli di cui occuparmi e il
sostegno
dei miei amici, per lui, da solo in quel posto tetro con
l’unica amicizia di un
Sith a guidarlo, doveva essere stato insopportabile. Il cuore mi si
straziò.
Oh
Ani…
Posai
Luke sul letto e mi avvicinai a lui, ma Anakin indietreggiò
d’un passo per
mantenere la distanza, guardandomi diffidente. Incassai il colpo e
cercai di
trovare le parole giuste per difendermi.
“Anakin, non
è da te che sono scappata, ma
dall’Imperatore. Ogni ora che abbiamo passato lontani avrei
voluto che fossi
con me!” cercai di persuaderlo, ma ottenni solo un sorriso
amaro.
“Se
è vero, saresti potuta tornare da me in qualsiasi momento e
invece hai
preferito nasconderti e allearti con Obi-Wan e gli altri Ribelli per
distruggerci”
si passò una mano sul viso.
“Distruggervi?
Anakin, è l’Imperatore il nostro nemico, tutto
quello che ho fatto è cercare un
modo per riportare la Repubblica che ci è stata
ingiustamente tolta. L’ho fatto
per difendere i principi in cui ho sempre creduto e in cui credevi
anche tu.
L’ho fatto per salvare te” mi difesi prontamente.
Eccola,
la discussione dai toni accesi che sapevo sarebbe arrivata. Nella mia
mente
l’avevo già immaginata diverse volte, studiando le
parole che avrebbero potuto
ricondurre Anakin alla ragione. Farla dal vivo però era
molto più estenuante di
quanto avessi preventivato. Non avevo idea che una volta rivisto il mio
unico
desiderio sarebbe stato rifugiarmi tra le sue braccia e scordarmi della
guerra
galattica in corso. Non sopportavo l’idea che le nostre
divergenze politiche al
momento fossero così forti da costituire una barriera
insormontabile.
Il
ragazzo scosse la testa e si avvicinò alla finestra
appoggiandosi con una
spalla. “Ho aperto gli occhi sulle bugie in cui credevo
ciecamente tempo fa,
Padmé. Io sono riuscito a vedere il marcio che
c’era dietro ideali che
vendevano come puri, se mi ascoltassi ora che sei lontana dalle
influenze degli
Jedi, lo vedresti anche tu e capiresti che non è
l’Imperatore il nemico di
questa galassia” ribatté.
La
convinzione nella sua voce fece vacillare la mia speranza di riportare
a galla
l’Anakin che avevo sposato. Possibile che Palpatine avesse
affondato così a
fondo le radici delle sue menzogne?
Mi
massaggiai la fronte con le dita e mi presi un secondo per pensare.
“Ani,
non sono sotto l’influenza di nessuno, sei tu ad esserlo.
Palpatine è riuscito
a farti vedere come un nemico coloro che prima consideravi la tua
famiglia Non
puoi seriamente pensare che sia giusto che l’intera Galassia
sia soggiogata da
un solo uomo che si è auto nominato Imperatore. Non
c’è più libertà in questo
universo!” cercai di ragionare con calma. Forse se fossi
riuscita a farlo
riflettere sulle ingiustizie che si stava perpetuando, con
razionalità potevo
indurlo almeno a mettere in dubbio le sue posizioni. La sua reazione
però mandò
in aria tutte le mie speranze.
“La
libertà!” ripetè sprezzante. Si
staccò dal vano della finestra e prese a
camminare nervosamente per la stanza. “La libertà
non è un diritto, è un bene
che va guadagnato e la Galassia ha dimostrato che finora non
è capace di
gestirla, la sua libertà! Pensaci, sono secoli che
c’è la Repubblica e sono
secoli che scoppiano guerre tra pianeti in continuo. E credimi, io lo
so bene,
sono anni che sono in prima fila a cercare di sedare qualche guerriglia
perché
qualcuno decide di aver trovato il giusto pretesto per far guerra a
qualcun
altro. Se la Galassia non è in grado di gestirsi da sola
senza scatenare
conflitti allora è bene che lo faccia qualcun altro,
qualcuno di abbastanza
saggio che possa imporre la pace, persino con la forza se necessario.
È questo
che l’Imperatore ed io stiamo facendo, stiamo portando la
pace che da migliaia
di anni la Repubblica sbandiera senza riuscire ad attuarla.”
Il giovane si
fermò per riprendere fiato e mi si riavvicinò.
“Tu, proprio tu tra tutti,
dovresti ben sapere quanto il Senato e gli altri organi di governo
fossero
corrotti, quanto fosse impossibile far applicare qualsiasi decreto per
il bene
dei pianeti. Ora tutto questo appartiene al passato.
L’imperatore vuole la pace
e il benessere per tutti, in cambio chiede solo obbedienza. Tu dovresti
essere
in prima fila tra noi, a godere dei benefici di una pace per cui
combatti da
anni, non dovresti cercare di ostacolarla! So bene che la via che
abbiamo
scelto è contro i tuoi principi, ma non puoi essere tanto
cieca da non vedere
come sia l’unica percorribile”. Lo sguardo che mi
rivolse mentre pronunciava
questo folle discorso mi fece tremare. Era calmo e convinto della
verità di ciò
che stava dicendo. Possibile che fossero seriamente queste le sue
convinzioni?
Un
eco di una conversazione avvenuta tanto tempo prima riemerse. Era un
pomeriggio
di sole a Naboo di molti anni fa e in una conversazione ricordavo che
Anakin
avesse espresso un concetto preoccupante, ma a cui all’epoca
non avevo dato
peso, pensando che fosse solo l’affermazione di una giovane e
inesperta testa
calda. Aveva detto che se non si riusciva ad arrivare a un accordo tra
i vari
senatori, qualcuno avrebbe dovuto avere il potere per costringerli ad
accettare
leggi che non volevano. Possibile che il germe del Sith già
c’era ed io non me
ne ero accorta? Possibile che le parole di Palpatine avessero solo
potenziato
inclinazioni già presenti in lui?
Mi
afferrai la testa tra le mani e mi allontanai da Anakin, rifiutando i
miei
stessi pensieri. No, Anakin era certamente un uomo portato
all’azione e poco
incline alla diplomazia ma non era un crudele dittatore. Aveva buon
cuore, io
lo sapevo, lo avevo visto in tutti quegli anni in cui aveva rischiato
la vita
per proteggere innocenti che non conosceva neppure. Lo avevo visto
nello
sguardo innamorato e timoroso che aveva appena rivolto ai suoi figli.
Palpatine
aveva distorto alcuni suoi ideali facendogli credere che fosse giusto
perseguirli.
“Anakin”
ritentai con calma “è vero, il Senato era corrotto
e sicuramente anche gli Jedi
hanno avuto la loro parte di colpa, ma noi abbiamo combattuto proprio
per
estirpare quel male che corrodeva il Senato e ripulirlo. Tu ti sei
unito a
coloro che lo consumavano dall’interno come un cancro, hai
fatto vincere la
parte sbagliata e non hai ottenuto la pace, ma la schiavitù
di interi pianeti.”
Cercai di farlo riflettere.
Purtroppo
però Anakin mi rivolse uno sguardo sprezzante.
“Non riesci a vedere aldilà
della tua desueta moralità. Tutto quello che facciamo
è per il bene della
Galassia e questo giustifica ogni mezzo” ribatté.
A
quel punto, tutta la calma racimolata prima, evaporò.
“Non puoi piegare in
ginocchio un intero universo solo perché tu pensi che sia
giusto farlo!”
sbottai, avvicinandomi combattiva, pronta a difendere le mie idee
contro
qualunque folle pensiero politico avesse voluto vendermi. Ero abituata
alle
dispute senatoriali sin da quando ero ragazza, non mi sarei fatta
piegare dalle
convinzioni che gli aveva instillato quel folle, avrei continuato a
sostenere e
ripetere le mie idee all’infinito se fosse servito per farlo
rinsavire.
Purtroppo però, Anakin mi spiazzò con una
risposta che di politico aveva ben
poco.
“Si
invece se è il prezzo da pagare per tenerti al sicuro con
me!”
Il
drastico cambio di rotta della conversazione mi mandò in
confusione. Cosa
voleva dire? Cosa c’entravo io in tutta quella guerra?
Perché aveva detto
“prezzo da pagare”?
Anakin
chiuse la bocca di scatto, come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa
che non
avrebbe voluto dire e incrociò le braccia al petto.
“Ani,
io…” scossi la testa, come se così
potessi riordinare le idee, ma prima che
potessi parlare di nuovo, Anakin riprese la parola.
“Basta,
è inutile discutere ancora. Adesso sei troppo scossa dagli
ultimi avvenimenti,
ma quando ti sarai calmata, sono certo che inizierai a cambiare
prospettiva”.
Il
tono da ordine perentorio che stava usando mi fece di nuovo accendere
la
scintilla di ribellione, come quando mi aveva ordinato di seguirlo
all’hangar.
Io non ero uno dei suoi sottoposti a cui dare imposizioni, avrebbe
fatto meglio
a ricordarselo!
“Calmarmi?”
ribattei con tono sprezzante. “Non sono una donna in preda
all’isteria, sono
una prigioniera di guerra, una Senatrice, e non ho nessuna intenzione
di
tradire tutto ciò in cui credo per delle giustificazioni da
folle!”
“Prigioniera?”
Anakin strabuzzò gli occhi, irritato da quella parola
“Tu non sei una
prigioniera, Padmé, sei mia moglie”
affermò duro, sfidandomi quasi a
contraddirlo.
Un
piccolo palpito tradì quanto mi avesse dato piacere sentirlo
chiamarmi
“moglie”, ma il fuoco della mia piccola arringa
ancora non si era spento e lo
mise in secondo piano.
“Se
non sono prigioniera allora posso andarmene quando voglio”
insinuai acida.
Mi
aspettavo una reazione violenta alla mia provocazione, ma quello che
vidi mi
colse del tutto alla sprovvista. Anakin diventò pallido di
colpo alle mie
parole, lo sguardo spaventato.
Mi
afferrò per le spalle e con un violento strattone mi trasse
a sé. “Non osare
nemmeno dirlo. Il tuo posto è accanto a me”
sibilò.
Mi
incatenai al suo sguardo, scrutando in quei pozzi verde muschio la
verità che
celava dietro quel tono che voleva essere minaccioso, e vi lessi una
disperazione tanto acuta che mi sconvolse. Era un grido di aiuto, una
solitudine che aveva il bisogno di essere colmata.
Senza
che ce ne accorgessimo, la discussione aveva portato i nostri visi a
pochi
centimetri di distanza. Sentii il suo respiro caldo sfiorarmi il viso e
la mia
attenzione dai suoi occhi si spostò sulla sua bocca, ancora
aperta dopo la foga
del discorso. Di colpo, tutti i miei ideali, tutti i buoni motivi per
cui
avevamo discusso fino a pochi secondi prima, mi scivolarono via dalla
mente e
davanti a me non vidi più il Sith che combatteva per
l’Impero. C’era solo il
mio Anakin. E io avevo un disperato bisogno di lui, un disperato
desiderio di
sentirlo di nuovo accanto a me. Avevo bisogno di baciarlo. Lanciai di
nuovo un’occhiata
in alto per incrociarne lo sguardo e stavolta vidi il riflesso dei miei
stessi
pensieri, non più in conflitto ma uguali. Le sue iridi verdi
si erano incupite,
il desiderio stava prendendo il posto dell’abisso di
disperazione di poco
prima.
La
distanza che ci separava era fisicamente così
irrisoria…come spinti da una
volontà esterna, entrambi ci avvicinammo ancora. E ancora.
Sentivo il suo alito
caldo sulle mie labbra, la sua presa sulle mie spalle era divenuta una
carezza
gentile che mi sospingeva vicino a lui.
Baciami.
Ma
proprio mentre le nostre labbra si stavano ormai per sfiorare, Anakin
parve
riscuotersi da quel tepore che aveva colpito entrambi e si
staccò in fretta da
me, quasi avesse preso la scossa. La distanza tra noi
aumentò di una manciata
di centimetri ma mi parve di nuovo incolmabile. L’Imperatore,
i Ribelli,
Obi-Wan, la guerra, tutto, ci ripiombò addosso con la forza
di un terremoto,
riponendoci agli antipodi di quell’orribile scacchiere.
Mi
lanciò un’ultima occhiata dove scorsi tutti il
tormento che anch’io provavo e
si diresse a grandi falcate verso l’uscita. In un battito di
ciglia, aveva
lasciato la stanza.
E
un vuoto in mezzo al mio petto che quasi mi tolse il respiro, come se
fosse un
buco capace di risucchiare tutta l’aria che cercavo di
incanalare nei polmoni.
Mi
lasciai cadere sul letto e mi presi la testa tra le mani, completamente
priva
di forze dopo aver retto la tensione degli ultimi minuti. Pezzi della
recente
discussione mi balenavano in testa in una confusione tale che era
impossibile
riordinarli per dargli un ordine, un senso. O forse, semplicemente, non
era
fattibile perché di senso non ne avevano nemmeno un
po’.
Anakin
aveva difeso a spada tratta l’Impero, ma quelle parole
stonavano così tanto con
ciò che conoscevo del suo cuore che non riuscivo a
spiegarmelo. Inoltre c’era
quella frase rimasta in sospeso, quel “è il prezzo
da pagare”, a cui non
riuscivo a dare un significato. Non mi aveva dato nemmeno la
possibilità di
chiedergli un chiarimento perché si era affrettato a
cambiare argomento. Cosa
mi stava nascondendo?
Ciò
che invece era chiaro come il sole, era il dolore che lo dilaniava
dall’interno. Alla minaccia di andarmene, la disperazione
aveva sgretolato la
maschera del Sith colpendomi più di qualsiasi sfuriata. Una
disperazione che
era eco della mia.
Ma
se ci faceva tanto male essere distanti, perché non
riuscivamo semplicemente a
tendere la mano e ritrovarci? Per un istante, ci eravamo quasi
riusciti. Il
desiderio l’uno dell’altro ci aveva fatto mettere
da parte le nostre divergenze
politiche. Per un secondo eravamo rimasti sospesi in un micro-universo
unicamente nostro. Ma poi eravamo tornati alla realtà. Mi
aveva chiamata
“moglie” ma non potevamo ignorare tutto
ciò che ora ci separava, non potevo
chiudere gli occhi e dimenticarmi degli innocenti che aveva aiutato a
ridurre
in schiavitù, o peggio, di quelli che aveva ucciso. Non
potevo stare con mio
marito, ignorando il Sith.
Una
parte di me però, desiderava tanto poterlo fare. Chiusi gli
occhi e mi sfiorai
con un dito le labbra, ricordandomi il brivido che la sua vicinanza mi
aveva
dato.
*
Per
due giorni, Anakin non si fece più vedere. Le uniche persone
che regolarmente
entravano in quella camera erano due servitori che portavano il mio
pranzo e il
latte per i bambini. La mattina del secondo giorno, portarono anche due
brandine per i piccoli, idea di cui fui grata perché
dormendo insieme nel letto
continuavo a temere di schiacciarli senza accorgermene rigirandomi nel
sonno.
Purtroppo però l’arrivo giornaliero dei due
servitori non costituiva di per sé
una grande distrazione. Non mi parlavano neppure, nonostante gli avessi
rivolto
più domande dirette su quale fosse la nostra destinazione e
quanto mancasse. Si
limitavano a svolgere il loro compito e a sparire in men che non si
dica, lasciandomi
nuovamente nella mia tetra solitudine. La situazione ormai era ben
oltre il
sopportabile. Cosa diamine passava per la testa ad Anakin? Aveva
intenzione di tenermi
rinchiusa in quelle quattro mura a tempo indeterminato?
Sconfortata,
mi appoggiai al vano della finestra, la fronte contro il vetro freddo.
Perché
non torni
da me?
Due
giorni. Aveva fatto passare due lunghissimi e stramaledetti giorni da
quando
aveva avuto il coraggio di vederla. Dannazione, da quando era diventato
così
codardo? Perché solo di codardia si poteva parlare, non
c’erano altre
motivazioni. Dopo averla cercata per mezzo universo, dopo averla voluta
così
intensamente, ora la evitava! Era davvero un dannato idiota.
Ma
le parole che si erano detti, il tono rabbioso con cui gli si era
rivolta, la
discussione accesa…era stata insopportabile.
Lui
l’aveva ripresa come sua moglie e lei si riteneva una
prigioniera! Aveva
persino insinuato di andarsene!
Il
solo pensiero lo faceva impazzire, non poteva perderla di nuovo.
Eppure, il
motivo che lo aveva tenuto lontano da lei era che sapeva che non poteva
tenerla
accanto a lui in questo modo.
Nonostante
le sue intenzioni, lei…aveva ragione. Se lei se ne voleva
andare, di fatto lui
la stava trattenendo lì come prigioniera.
Se
solo fosse riuscito a farle cambiare idea! Come poteva farle capire che
tutti
gli atti orribili di cui nella sua testa lo accusava, li aveva commessi
per
loro due e per i loro figli? Non vedeva che aveva creato una
realtà dove loro
potevano stare assieme senza doversi nascondere?
Ed
era quello il motivo per cui si era tirato indietro quando stavano per
baciarsi, rompendo quell’unico istante in cui miracolosamente
erano riusciti a
dimenticare le loro divergenze. Non poteva baciare Padmé se
lei si riteneva
costretta a stare con lui. Aveva visto chiaramente che sua moglie lo
amava
ancora. Nonostante la rabbia e il furore con cui aveva difeso le sue
idee, i
suoi dolci occhi castani emanavano lo stesso calore di sempre quando lo
guardavano. E questo aveva lenito come un balsamo una parte delle sue
ferite. Tuttavia
sapeva che si sentiva come un animale ferito chiuso in gabbia e non
poteva tenerla
al suo fianco in questo stato. Inoltre non tutto tra loro era stato
chiarito, lui
si sentiva ancora tradito per le sue azioni ed era palese che lei non
si fidasse
di lui e del suo giudizio.
Aveva
aiutato a costruire quell’Impero affinché loro
potessero stare assieme, ma ora sembrava
fosse proprio quell’Impero a separarli. Grazie alla sua
tenacia era riuscito a riportarla
fisicamente accanto a sé, ma adesso il ragazzo capiva che la
sfida di ritrovarla
tra milioni di pianeti non era che l’inizio. Pur avendola a
qualche metro di distanza,
Padmé era più lontana che mai. Avrebbe dovuto
ripristinare la fiducia che c’era
tra loro per poterla riavere veramente accanto.
Doveva
fare qualcosa, anche se non sapeva ancora cosa, ma di certo non poteva
continuare a girovagare per quella nave con il pensiero sempre rivolto
a un
alloggio del piano inferiore.
Ma
prima che potesse fare un passo, la porta della sua camera si
aprì rivelando
l’ingresso di un ufficiale.
“Mio
Signore, siamo giunti a destinazione. La Morte Nera è
davanti a noi”