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Autore: Paperback White    24/05/2015    5 recensioni
"Is there anybody going to listen to my story
All about the girl who came to stay?
She's the kind of girl you want so much it make you sorry
Still you don't regret a single day
Ah girl, girl"
Chi era questa misteriosa ragazza cantata da John, su un testo scritto insieme a Paul? E se fosse stata una presenza importante nella loro vita?
Questa è la storia del più grande gruppo rock degli anni sessanta, osservata attraverso gli occhi di una ragazza ai più sconosciuta, e di cui la cronaca non lascia alcun ricordo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon, Nuovo personaggio, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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13. CYNTHIA POWELL
(Yesterday)

 
Yesterday, all my troubles seemed so far away
Now it look as though they're here to stay
Oh, I believe in yesterday
 
Suddenly, I'm not half the man I used to be
There's a shadow hanging over me
Oh, yesterday came suddenly
 
Why she had to go
I don't know, she wouldn't say
I said something wrong
Now I long for yesterday
 
Yesterday, love was such an easy game to play
Now I need a place to hide away
Oh, I believe in yesterday
 
La morte di Julia ha come segnato uno squartiacque profondo non solo nella vita di John, ma anche in quelle di tutti noi. Come se fosse finito il periodo dell'innocenza, dei giochi, della spensieratezza e fosse arrivato il momento di darsi da fare.
Ma dopo tanto dolore arrivò una piccola e timida luce nella vita di John: quel pallido chiarore fu Cynthia Powell (1).
Cynthia era una studentessa della scuola d'arte, timida e non molto appariscente, che vestiva in modo piuttosto sobrio e non si preoccupava di stare dietro all'ultima moda. Aveva i capelli di bel castano chiaro quando John la vide per la prima volta. Frequentava il corso di lettering, lo stesso in cui si era iscritto quel quel ragazzo trasandato e volgare, che lei aveva notato sin da subito. Arrivava sempre in ritardo, accampando scuse assurde per giustificarsi, e si sedeva dietro di lei, pronto a scocciarla per chiederle in prestito qualche strumento (che irrimediabilmente non veniva mai restituito). A quel tempo non credo che nessuno dei due potesse mai immaginare di poter stare con l’altro, che rispecchiava il loro esatto opposto. Perché Cynthia era in tutto e per tutto una brava ragazza, educata, fidanzata da tempo con certo Barry, con cui sperava di sposarsi, avere dei figli e vivere in una bella casa, lavorando anche come insegnante d'arte (2).

Come poteva una perfetta Miss Prim (3) innamorarsi di un Teddy Boy scapestrato?

Eppure successe qualcosa. Forse fu il continuo ticchettare sulla sua spalla per chiederle qualcosa, il suo mettersi sempre in mostra, il modo in cui suonava durante i party scolastici (4), o solo il fatto che fosse John Lennon: Cyn si accorse di quel ragazzo. Si rese conto di quanto fosse bello e affascinante e di come non sopportasse la vista di quella civetta di Helen Anderson, che aveva osato passare una mano tra i morbidi capelli ramati di John, chioma che anche la piccola Cyn avrebbe voluto afferrare per avvicinare dolcemente il suo proprietario verso le proprie labbra.
Queste furono le prime confidenze che mi fece Cynthia poco tempo dopo averla conosciuta e che cercai di accogliere nella maniera più imparziale possibile, senza pensare che l'oggetto delle sue attenzioni fosse proprio il mio amico. Perché era davvero difficile per me accettare il soggetto di quei sospiri innamorati e delle confessioni timide di quella ragazza appena conosciuta, che non si fermava nei suoi racconti nemmeno nei dettagli più “intimi”, come il loro primo bacio. Ma quell’episodio mi venne raccontato anvhe dallo stesso John per lettera, con piccole e leggere varianti dalla descrizione di Cynthia: per darti un annedoto fedele, ho riassunto i due diversi punti di vista in un unico racconto.

Una sera John era con tutti i suoi amici del college a bere al solito pub, quando Cynthia comparve davanti a loro, venuta per divertirsi con delle sue colleghe. Passò davanti al gruppo nello stesso momento in cui John se ne stava uscendo con l’ennesima battutaccia, che fu subito colta dalle sue orecchie. Lo sguardo severo di Cyn colpì il giovane ragazzo, che risultò ancora più inorgoglito della sua frase.
-Silenzio per favore. Niente barzellette sporche, c'è Cynthia- disse, scoppiando poi a ridere come un matto, seguito a ruota dai suoi amici. Cynthia si irrigidì e non gli rispose, allontanandosi verso il lato opposto del pub.
-Cavolo John, quella ti odia davvero. Ti ha lanciato uno sguardo come se ti volesse incenerire!- gli confidò un suo amico.
-Problema suo non mio- rispose lui, finendo il boccale di birra.
-Odiare? Ma se Cynthia ha una cotta pazzesca per te!- rise Geoff (5).
-Ma che dici! Non hai visto come lo guardava?- ribattè il suo amico.
-Come se volesse afferrarlo e baciarlo in quello stesso momento- concluse lui, sicuro delle sue parole -E poi sarei io quello miope!-
John rimase incuriosito da quei discorsi, forse non avendo mai davvero pensato a quella ragazza da quel punto di vista: era più che sicuro che lei provasse solo odio per lui. Ma in fondo era un sentimento non troppo dissimile dall’amore, avendo entrambi la caratteristica di avere una forte ossessione per una persona. In quel periodo poi era solo, aveva chiuso da poco l’ennesima storia, e quindi era maggiormente portato a volersi accertare se le parole di Geoff fossero vere.
Con una scusa si allontanò dai ragazzi, cercando Cynthia in mezzo a tutta quella folla. La trovò vicino al bancone che parlava con una sua amica mentre aspettavano l’ordinazione. John rimase ad osservarla mentre sorrideva a qualche confidenza che doveva averle fatto quella sua compagnia, rimanendone rapito. Non aveva mai visto Cynthia sorridere. Sembrava più carina rispetto al solito muso che metteva ogni volta che lui le rivolgeva qualche parola, e questo fu un ulteriore incentivo a volerla vedere sorridere ancora, questa volta verso di lui. Si, era quello il suo nuovo obiettivo.
Attese il momento giusto per avvicinarla, quando fu finalmente sola davanti al juke box, mentre sceglieva una canzone. Fissò lo schermo concentrata, per poi premere con un delicato dito un tasto, che fece partire una dolce melodia.
-Hai scelto una bella canzone- le disse.
-Grazie- rispose timidamente lei.
-Ti va di ballare?- fece un gesto galante, che accompagnò quella proposta.
-No mi spiace... credevo lo sapessi, sto con Barry-  gli sorrise lei, leggermente a disagio.
-Mica ti ho chiesto di sposarmi cazzo, voglio solo fare un ballo con te- le afferrò le mani e la trascinò con leggerezza al centro della pista. Cynthia non fece alcuna resistenza a farsi trasportare da lui, trovandosi in una situazione a cui stentava ancora a credere. Lei e John, abbracciati, che ballavano in quel locale.
La musica guidava naturalmente il loro passo e fece rilassare la rigida Cynthia, che si adagiò con garbo tra le braccia di John, felice e sicura come non lo era mai stata. Un sentimento simile che scaldò il cuore di John e lo fece avvicinare a quel pallido volto, a cui non aveva mai prestato attenzione, notando solo ora quanto fosse carina. Si avvicinò delicatamente al suo viso e la baciò titubante, temendo che potesse scappare via. Ma Cynthia non fuggì né in quel momento né mai: rimase proprio li, tra le braccia di John, pronta a farsi trasportare ovunque lui la portasse, ormai totalmente rapita (6).
Il natale aveva portato a John quella incantevole presenza nella sua vita, che iniziava la sua timida comparsa nelle lettere che mi spediva in quel periodo. Non ebbi modo di provare alcun sentimento per quella nuova figura, che fosse gelosia o semplice contentezza per il mio amico, perchè se a lui la vita stava dando finalmente qualcosa di positivo, per contro a me la stava togliendo.

E tutto successe qualche tempo dopo, quando mancavano ormai pochi giorni alle vacanze di natale del 1958. Quel giorno mi trovavo a Piccadilly Circus (7) a fare spese con Ben. Fin da quando ci eravamo incontrati mi era parso strano e agitato e non riuscivo a capire se il motivo fosse il mio continuo fermarmi davanti a qualsiasi vetrina, alla ricerca degli ultimi acquisti da fare, oppure ci fosse altro. Camminava vicino a me, distratto, con le mani nella tasca del giubotto, spostando lo sguardo da una parte all'altra. Pensai di essermi sbaglia, e non dissi nulla finchè non notai che per la terza volta lui non mi stava praticamente ascoltando. Lo afferrai per la manica e strattonai per richiamare la sua attenzione.
-Ben che succede? Sei qui fisicamente ma non mentalmente... c'è qualcosa che ti preoccupa?-
Lo vidi fissarmi per un momento, indeciso su come rispondermi.
-In realtà... si- abbassò lo sguardo verso la mia mano, che stava mollando la presa -Perchè non cerchiamo un posto tranquillo?- mi propose.
-Ok- dissi in fretta.
Ci allontanammo da Piccadilly Circus, imboccando Coventry street, che appariva meno popolata della piazza, anche se vi era comunque un mucchio di gente che la percorreva. Feci fermare Ben accanto ad un piccolo negozio dalla serranda abbassata, visto che sembrava più che intenzionato a non volersi davvero fermare, come se volesse allontanare il momento in cui mi avrebbe confidato cosa lo stava turbando.
-Ora puoi parlarmi- lo incoraggiai, trattenendo a fatica tutta la mia curiosità.
-Non è facile Freddie...-
Afferrai la sua mano, come a volergli infondere il coraggio per proseguire -Qualsiasi cosa dimmela e basta-
Pensai a varie ipotesi che potessero rendere Ben così depresso. Forse doveva partire e lasciare Londra per sempre? Era morto qualche parente caro, come la nonna che aveva York, che passava spesso a trovare? O forse era lui a stare male? Dovevo sapere. Strinsi con maggiore forza la sua mano, ormai divorata dalla curiosità e dalla paura di sapere cosa stava accadendo.
-Io... mi sono innamorato di un'altra ragazza-
A quelle parole lo mollai di getto e feci un passo indietro. Non riuscivo a capire se stesse scherzando o meno, ma la sua espressione seria non lasciava alcun dubbio al riguardo.
-Si chiama Tiffany, è una ragazza di York- proseguì lui.
York. La stessa cittadina a cui si recava con maggiore frequenza rispetto a prima. Ecco il motivo per cui aveva aumentato quelle visite, che credevo fossero rivolte solamente ai suoi parenti.
-Da quanto dura?- chiesi, con la voce che si stava facendo stridula. Dovevo sapere da quanto tempo quel sentimento era diventato solo una mia sciocca illusione.
-Da quasi un anno-
Un anno. Per un anno lui mi aveva baciata, aveva sussurrato frasi dolci nelle mie orecchie, mi aveva stretto a se dopo aver fatto l'amore mentre il suo pensiero correva verso un'altra ragazza. Io cos'ero allora? Una stupida, senza alcun dubbio.
Dopo quest'ultima affermazione, tutto quello che avevo trattenuto venne fuori di botto.
-Tu mi hai presa in giro per quasi un anno, osando pure arrabbiarti con me se qualsiasi ragazzo mi dava un minimo di confidenza? Oppure peggio, mi rimproveravi per la frequenza con cui mi scrivevo con John e Paul! Ma ti rendi conto di cosa hai fatto?! Tu sei un mostro- strinsi con forza i pugni, trattenendo l'impulso di colpire quel bel faccino, ormai fonte del mio dolore. Ma dovevo fermare quell’istinto, perché gli avrei solo dato una scusa per non sentire tutte le parole che volevo vomitagli addosso.
-Io... mi spiac-
-NON CI PROVARE, NON VOGLIO NEMMENO SENTIRTI DIRE "SCUSAMI"- urlai più forte, fermando quella sua frase -Io ti sono sempre stata fedele, ho cercato di capirti e di sopportarti, e tu hai mandato a puttane due anni e mezzo di rapporto per la prima troia che ti è passata davanti! E non hai avuto il coraggio di dirmi nulla per tutto questo tempo! Sei solo un vigliacco!-
Sollevai il volto e lo coprì con le mani, a non voler mostrare la prima lacrima che aveva iniziato la sua pietosa discesa-Dio quanto sono stupida a non essermene accorta!-
-Abbassa la voce, ti prego...- disse lui, guardandosi intorno, osservando alcune persone che ci passavano vicine e che ci lanciavano sguardi incuriositi.
-Non me ne frega un cazzo. Vuoi togliermi questo diritto?- Tolsi le mani dagli occhi e presi a fissarlo con odio. Lui teneva lo sguardo basso, incapace di guardarmi in faccia. Afferrai il suo mento con forza e sollevai la sua testa.
-Guardami quando ti sto parlando. Allora dimmi, chi ti si sei scopato prima delle due, me o lei?- gli chiesi.
Anche quella prima volta era stata una bugia?
Lui abbassò lo sguardo, non rispondendo, ma capii. Compresi che dentro quel letto, quella sera, lui stava rifacendo le stesse identiche cose che aveva fatto con lei. E questo lo rese ancora più schifoso. Allontanai con forza quel viso un tempo tanto amato, graffiandogli il mento con il mio gesto, e mi voltai, andandomene via a grandi passi. Lui non mi fermò, non avendo la forza di affrontarmi ancora, soffrendo per quello che aveva creato. Aveva distrutto la mia vita, quella vita imperfetta ma dolce nei suoi piccoli dettagli, che era diventata solo un ricordo sbiadito.
L'unica vittima ero io. La povera ragazza che si era illusa di essere ricambiata da qualcuno, che potesse essermi fedele e innamorato. Ma in fondo, che avevo di così speciale che potesse essere apprezzato al punto che non esistesse nessun’altra donna per lui?
Mi sentivo uno schifo, una di quelle persone che non hanno alcun diritto nel chiedere amore perchè non hanno nulla da offrire. Ero stata sciocca e mi aveva tradita, e non un tradimento occasionale, ma un vero e proprio secondo rapporto, che aveva inevitabilmente schiacciato il nostro. Le lacrime scendevano senza sosta dal mio volto, mentre mi facevo largo a testa bassa tra la folla, sperando che nessuno mi vedesse.
Le vie di Londra sembravano essersi improvvisamente popolate di tutta la sua cittadinanza, che a coppie o a gruppi di famiglie mi passavano accanto, sbattendomi in faccia la loro felicità. Mentre io ero li, da sola, con in mano il mio cuore spezzato a metà, non sapendo come ricomporre quei pezzi.
 
***
 
Quell'infernale 1958 passò alle mie spalle, e io cercai di concentrarmi su altro. Non dissi nulla né a John né a Paul, non volendo affrontare subito quel discorso con loro, incapace di ricordare quello che era appena successo. I contatti con Vicky erano ormai interrotti da tempo, e comunque non avevamo più la confidenza di una volta per poterle descrivere su un foglio tutto il mio dolore. Sapevo solo che Chris si sentiva con Tom, per quanto i loro contatti fossero meno frequenti rispetto alle loro sorelle maggiori, e ricevevo notizie sporadiche di quella ragazza con cui avevo condiviso buona parte della mia infanzia. Nelle lettere mandate a John e Paul feci sparire la presenza di Ben come se non fosse mai esistita, e per i primi tempi nessuno dei due se ne accorse, troppo presi dai loro impegni. Dopo aver suonato alla festa di nozze del fratello di George (8), altri due concerti avevano occupato il primo mese dell'anno, evitandomi così domande sul mio ragazzo. Io parlavo solo della scuola, che era diventato il mio più grande impegno: mi trovavo affrontare l'ultimo anno scolastico, che dopo gli esami avrebbe lasciato il posto ad alla mia nuova vita da adulta. Gli unici al corrente di quello che mi fosse successo erano ovviamente i miei familiare e Claire e Josh, che furono subito presenti, sostenendomi in tutti modi possibili e inimaginabili. Nessuno li obbligava a sorbirsi le mie lacrime, le mie lagne e le mie risposte depresse, ma loro non si arrendevano, consolandomi, tirandomi su di morale e aspettando che superassi l’evento. Non era assolutamente facile per me andare avanti ma capivo che dovevo farcela, e forse proprio i piccoli obiettivi che mi ero preposta furono uno degli stimoli a superare il tutto. E ovviamente, il totale appoggio dei miei cari era il mio salvagente in quella situazione. Anche se inizialmente non riuscirono a fare nulla, con il tempo il modo in cui loro credevano in me mi convinse a farmi forza, ad andare avanti, finché non ce l’avrei fatta da sola. Nonostante i primi mesi passati praticamente a piangere, disperarmi e autocommiserarmi, debolmente tentai di farmi forza, con un andamento lento ma progressivo. Ma era dura, perché avevo un’avversario forte che frenava la mia voglia di rivalsa: il bisogno di adagiarmi a quella sofferenza, lasciarmi sopraffare da quel mare oscuro e rimanere in uno stato di apatia. Perchè era quello il punto in cui ero arrivata dopo aver versato tutte le lacrime che mi erano rimaste: la totale indifferenza, la voglia di non poter provare nulla e di smetterla di soffrire. Ma loro non me lo avrebbero mai permesso. Tra qualche mese avrei compiuto 18 anni, un traguardo molto importante che avrebbe segnato la mia indipendenza, e che tutta la mia famiglia aspettava con grande frenesia di festeggiare. Molto probabilmente quel party sarebbe servito a farmi stare meglio, a farmi sentire amata e a dimenticare tutto, e per questo loro stavano cercando di concentrare tutti i loro sforzi in quell’evento. Dagli invitati, alla musica, alla sala da affitare, al vestito.
Verso i primi di marzo mia madre ci porto tutti a comprare gli abiti adatti alla cerimonia. Io ritenevo che fosse fin troppo presto ma lei non volle sentire nulla, e quindi fui costretta a seguirli in giro per negozi. Come immaginerai il mio morale era sotto le scarpe, stavo ancora male per quanto era accaduto a natale e non riuscivo a vedermi in alcun modo carina. Qualsiasi vestito stonava con quello che provavo: era troppo bello, sgargiante e morbido, a contrasto con la sensazione di brutezza, oscurità e durezza che si dibatteva nel mio stomaco. Mi guardavo allo specchio, restando insoddisfatta e facendo trepidare qualsiasi commessa. In quel momento indossavo un vestito rosso e bianco con una bella cintura stretta a fasciarmi la vita, un abito a dir poco mozzafiato (notando il suo prezzo), ma che trovavo inappropriato. Stanca, mia madre si allontanò con mio fratello che scalciava, stufo di quella eterna attesa, mentre quella povera venditrice partiva alla ricerca dell'ennesimo capo di abbigliamento.

Mark intanto era li, vicino a me, seduto senza aver detto quasi nulla. Mi guardò qualche secondo prima di dire qualcosa, come se cercasse di capire se fosse il caso o meno.
-Io trovo che questo vestito sia molto carino- affermò, con un sorriso incoraggiante.
-Non è brutto, solo che non è adatto a me- dissi.
-Come lo vorresti?- mi chiese, curioso.
-Nero, una tunica nera dove potermi nascondere tutta- risposi, a testa bassa.
Lui fece una piccola risata -Se te lo trovo poi dovrai prestarlo anche a me-
Calò nuovamente il silenzio tra noi, cosparso del chiacchiericcio degli altri clienti, intenti nei loro acquisti. Tutte quelle giovani ragazze compravano vestiti e scarpe allegramente, contente di poterle sfoggiare davanti ai loro fidanzati. E ora che avevo perso Ben, a cosa serviva vestirmi in modo carino? Nessuno doveva guardarmi. Sospirai, e quella mia piccola azione non sfuggì agli occhi vigili di Mark, che sembrava pronto a dirmi qualcos'altro.
-Non voglio farti nessun tipo di discorso, perchè ritengo che tu sia già matura abbastanza per prendere delle tue decisioni senza dover sentire il mio consiglio. Però vorrei lo stesso dirti qualcosa, e spero che questa mia intromissione non sia malvista. Ti chiedo solo di guardarmi e ascoltarmi un momento-
Alzai il volto verso di lui, leggermente incuriosita da quelle parole. Mark era sempre stato un tipo che non parlava moltissimo, era un buon ascoltatore e una persona che non amava intromettersi negli affari altrui, lasciandomi sempre i miei spazi. Per cui quella piccola richiesta meritava di essere ascoltata.
-Quando ti ho vista scendere da quella nave, con le braccia strette intorno al collo di tua madre, tu mi hai guardato con uno sguardo spaventato che mi fece innamorare sin da subito. Eri così piccola e fragile, inesperta del mondo, e avevi già compiuto un grande viaggio per sfuggire alla guerra. E quest’oggi rivedo la stessa fragilità che avevi quel giorno e non riesco a resistere, sentendomi impotente come allora. Ma oggi non sei più quella bambina spaventata, sei completamente diversa. Sei una giovane donna, hai vissuto, hai studiato e hai affrontato le tue sfide, piccole o grandi che siano, e ne sei uscita a testa alta. Sei cresciuta senza un padre in una terra straniera dove un nome come il tuo non ti ha favorito verso gli altri, eppure eccoti qui, hai creato una tua storia e ora sei una splendida diciottenne, bella, intelligente e matura. Se fosse in mio potere cancellare questo tuo dolore lo farei, ma non posso e non devo: anche questo ti serve per crescere e diventare ancora più forte. Io mi sento onorato di esserti stato vicino come patrigno e amico, e ho fatto tutto quello che ritenevo giusto nei tuoi confronti, sperando di non sostituire mai quella figura genitoriale che ti mancava e manca tuttora, ma cercando di esserci sempre per te. So che affronterai questa sfida e ne uscirai a testa alta, perchè sei la mia Fede, la nostra piccola forza. Mia, di tua madre e di Chris-
Quella confessione spontanea mi lasciò senza fiato. Mark, quella figura sempre presente ma non ingombrante, quell'uomo dallo sguardo gentile e i modi discreti era là, regista di quella che era stata sino a quel momento la mia vita, pronto ad entrare in scena per smuovere le cose. E ci era riuscito, in qualche modo quelle parole dette con amore avevano scaldato una parte di quei cocci che un tempo formavano il mio cuore.
-Ti ringrazio- dissi, trattenendomi dal piangere.
Lui si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla, permettendo di nascondere il mio volto contro il suo petto.
-Non volevo farti piangere ma dimostrarti il mio sostegno e quello di tua madre, anche solo a parole. Mi piacerebbe vederti indossare questo vestito in occasione del tuo primo ballo da maggiorenne. E se mi accettassi come tuo cavaliere, faresti di me l'uomo più fortunato del mondo-
Annuì con la testa, sussultando per un piccolo singhiozzo. In un modo o nell'altro, i due uomini più importanti di quei primi diciotto anni di vita mi erano stati strappati via, ma un terzo era rimasto. E avrebbe preso volentieri il posto di quei due uomini, a condurmi a passo di valzer verso il mio debutto, i miei tanto sospirati 18 anni, nel mio sgargiante abito rosso, guardandomi con la stessa tenerezza che solo un padre potrebbe avere. Quello stesso identico uomo che non mi fece scostare da lui finchè non mi tranquillizai e potei risollevare il viso, dove un sorriso faceva una sua prima comparsa dopo mesi di assenza.
 
***
 
Ma quel ballo non ci fu mai. Non ci furono i festoni, non ci furono i regali e le risate. Il 27 maggio 1959 passò senza lasciare alcuna traccia, senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, mentre noi cercavamo di rimettere a posto i pezzi della nostra famiglia. L'unico rumore che vi era stato era la vita spezzata di Mark Auster, agente della polizia di Londra. Era una fresca serata primaverile quel 6 marzo, una serata come molte altre. Eravamo tutti a casa mentre Mark era di pattuglia a Tottenham (9) per controllare la situazione, dopo che alcuni furti che erano avvenuti in zona con maggiore frequenza in quei giorni. Noi eravamo rilassati nella nostra comoda casa, senza minimamente preoccuparci del pericolo in cui poteva incorrere. Non per disinteresse nei suoi confronti ma perché dopo essere stati per anni preoccupati per lui ogni qualvolta che andava a lavorare, aspettando con ansia il suo arrivo, era diventato abitudinario come sentimento. E l’abitudine spesso affievolisce le cose, non facendoci più fremere davanti al telefono, sapendo quanto davvero fosse attento e scrupoloso. Il suo era un lavoro rischioso, ma lui non era uno sprovveduto, in anni aveva imparato come fare, quando tirarsi indietro e come agire. Aveva un ottimo intuito che lo aveva portato a compiere al meglio il suo lavoro, rimanendo illeso e affinando il suo giudizio. Ma nemmeno la sfortuna è sprovveduta e purtroppo sa bene dove colpirti. Da come ci disse il collega che era con lui in pattuglia, stavano entrambi inseguendo una banda di ragazzi beccati a rubare in una gioielleria, che ad un certo punto si erano divisi, sparpagliandosi per i cuniculi di quelle vie, sperando di far perdere le loro tracce ai due agenti. Mark era penetrato nei vicoli più bui di quella strada senza aspettare i rinforzi, non volendo darla vinta a quei piccoli criminali, immaginandosi di non trovare nessun pericolo davanti a sé. Ma mai pensiero fu più sbagliato. Un urlo agghiacciante aveva richiamato il suo collega, che aveva smesso di inseguire il suo reale obiettivo e si era diretto verso quella voce orribilmente familiare: aveva ritrovato il suo amico steso a terra con una mano su un fianco, tamponando inutilmente una profonda ferita all’addome, mentre poco distante da lui brillava la refurtiva. Quel sacchetto contenente alcuni gioielli sottrarti al negozio, il cui prezzo sembrava maliconicamente equivalente a quello di una vita umana. Mark morì quella stessa notte, poco prima di arrivare in ospedale. L'orrendo trillo del telefono svegliò me e il mio fratellino, che scattammo in piedi spaventati, mentre nostra madre era corsa a rispondere, sentendo la vecchia ansia risalirle fino alla punta dei capelli. Udii il suo grido, ed entrambi ci precipitammo nel corridoio, dove la trovammo crollata a terra, con la cornetta che pendeva mestamente dal tavolo. Non sapevo bene cosa fosse successo, ma intuii sin da subito che dovevo fare qualcosa in quel momento: dopottutto, senza la presenza di Mark, ero io la forza della mia famiglia.
Fu tutto esattamente come in un film: presi in mano la situazione e chiamai un taxi, e mentre l'aspettavo cercai di far riprendere mia madre e di stare dietro a Chris, che piangeva spaventato. Bussai a casa dei Morgan, che furono così gentili da aiutarci prendendosi cura del mio fratellino, mentre io, mia madre e il signor Morgan ci precipitammo all’ospedale, ormai per fare il riconoscimento del corpo. Lui ci aspettò rispettosamente fuori, mentre noi due entrammo nella piccola saletta. Mia madre faticava ancora a stare in piedi ed io ero là, pronta a sostenerla, senza preoccuparmi di chi avrebbe sostenuto me. Mi dovetti appoggiare al muro d'ingresso, colpita con violenza da l'odore di sangue che proveniva dal quel cadavere, sdraiato su quella sterile barella. Quel corpo fermo, rigido e freddo, che fino a qualche ora prima mi aveva salutata con una bacio leggero sulla guancia. Mi avvicinai con riverenza verso quella figura, l'unica traccia di un padre nella mia vita. Aveva il volto leggermente contratto, appariva pallido e sporcato dal suo sangue, che impregnava la stessa divisa che lo aveva mandato contro il suo destino. Mia madre piangeva sulla mia spalla con una disperazione che non le avevo mai visto e che aveva la forza di performarmi e disintegrare le poche energie che mi erano rimaste. Era il terzo uomo importante nella mia vita che se ne andava, lasciandomi sola e senza via di scampo. Mi odiai per quel pensiero egoistico, ma non riuscivo a non vedere questo come l'ennesimo abbandono, lo scherzo del destino che si divertiva a colpirmi, perfido giocatore della mia vita. Un pensiero volò a John e Paul: era questo il dolore che avevano provato? La totale assenza della persona cara, lo sbigottimento nel non poterla avere più accanto e la mancanza di quella figura tanto amato. La sensazione di essere spaventati, soli e vulnerabili a qualcosa che è più grande e che con le sue oscure fauci riesce ad inghiottire tutta la tua vita. Ed ecco sedici anni della mia vita su quel lettino, ridotti ad una bambola inanimata che un tempo parlava, respirava e amava.

Quella sera la vita della mia famiglia mutò improvvisamente.

Per prima cosa cercammo di sistemare tutto per dargli un degno funerale, come se fosse l'ultimo step da fare prima di gettarci verso l'ignoto. Ricordo la sera prima della cerimonia, con Chris che era tornato a casa dopo essere stato alcuni giorni dai genitori di Mark. Era stato lui stesso a chiedere di poter tornare con noi e tutti avevano accolto la sua richiesta, non avendo il coraggio di negargli nulla. Io mi trovavo nel mio letto, con il corpo adagiato su un fianco e rivolta verso la finestra, incapace di dormire. Respiravo lentamente, cercando di fare mente locale su cosa stesse accadendo, paralizzata dalla paura. A distogliermi da tutto ci fu una piccola manina che mi strattonava con decisione, richiamando la mia attenzione.
-Fede sei sveglia?-
-Si-
-Posso dormire con te stanotte?- chiese lui, titubante.
La vocina di mio fratello era ridotta ad un flebile suono, che indicava tutta la sua spossatezza. Mi girai e gli feci posto sotto le coperte.
-Ma che non diventi un'abitudine!- gli dissi, abbozzando un sorriso.
Lui si strinse a me, con la testolina che si appoggiò sul mio petto. Potevo sentire il dolce ed infatile profumo dei suoi capelli, con il capo che sussultava ad intervelli irregolari.
-Chris?- feci, capendo che stava per mettersi a piangere.
-Domani papà finirà sottoterra non è vero?-
Aveva solo nove anni a quel tempo, e doveva affrontare la perdita di un padre venuto a mancare fin troppo presto nella sua vita. Una triste coincidenza che ci univa. E nonostante tutti quanti avessero tentato di attutire quel dolore, Chris era un bambino sveglio e aveva capito ben più di quello che gli avevamo rivelato.
-Si- non potei mentirgli ancora.
-Tutti mi ritengono troppo piccolo per capire, ma io so tutto. Noi non vedremo più papà-
Si strinse più forte a me, abbracciandomi stretto con le sue manine. In quel momento compresi tutto l’amore che provavo verso quella piccola creaturina e mi prese il panico. Dovevo intervenire, farlo smettere di soffrire, attutire in qualche modo quello che provava. Chiusi gli occhi, trattenendo il respiro e rilassando la mente: dovevo ingoiare quella sofferenza per poter trovare le parole adatte ad aiutarlo. E non so come, ma fui guidata da un piccolo pensiero che comparve improvvisamente nella mia mente.
-Non è vero quello che dici-
Lui alzò la testa, guardandomi con quegli occhietti pieni di speranza -Ah no?-
-No. Lui non è fisicamente presente, ma è qui- dissi, indicando il suo petto -e qui- continuai, indicando il mio.
Lui fissò quella mano che si era spostata da un corpo all'altro cercando di capire.
-E' grazie a lui se siamo qui. Lui è una parte di noi, come noi eravamo una parte di lui. E basterà anche un solo pensiero per ricordarti che lui fa parte della nostra vita, presente anche quando non te ne rendi conto. Anche ora che siamo qui, io e te sdraiati su questo letto, lui ci guarda e ci protegge-
-Come fai ad esserne così sicura?- chiese, intimorito dal cedere a quella immagine sin troppo bella per essere vera.
-Perché me lo ha detto lui stesso ora, sussurrandomi queste parole dentro l’orecchio- gli feci l’occhiolino, ammirando poi estasiata il modo in cui quella frase l’aveva colpito. Il cambiamento nella sua espressione fu la più grande ricompensa che potessi ricevere in quel momento, perché lessi la convinzione che non era tutto perduto. Suo papà ci sarebbe sempre stato, in quel modo speciale a cui entrambi volevamo credere.
Gli baciai piano la fronte e lo strinsi a me, ripensando a quello che gli avevo appena detto. Chris aveva bisogno di credere a tutto ciò e ci avrei creduto io stessa, perché era l'unico modo per andare avanti. Questa era l’unica fede che dovevamo avere e vera o falsa che fosse non aveva alcuna importanza: purchè ci aiutasse a proseguire con le nostre vite.
 
***
 
La morte di Mark fu l'apice di quel nuovo periodo nella mia famiglia. La casa doveva essere riassegnata, ma comunque i soldi non ci sarebbero bastati per mantenerla. Mia madre non lavorava ed io dovevo ancora ultimare i miei studi, con gli esami che si avvicinavano all'orizzonte. Quella prospettiva rese ancora più duro quell'ultimo anno, ostacolato da tutte le sventure che mi erano capitate. Ci trasferimmo a Winchmore Hill (10), non troppo lontani dalla stazione, abbastanza vicini alla lavanderia dove mia madre, grazie alcune conoscenze, era stata assunta. Io avrei ovviamente terminato gli esami alla Blackheat e mio fratello avrebbe ricominciato la scuola a settembre in un nuovo istituto, più vicino alla nostra nuova abitazione. Non avrei mai pensato che avrei rimpianto quella stanza che per anni avevo paragonato a quella che avevo a Liverpool, sempre perdente nel confronto. Ma era stata la casa della mia infanzia, di un periodo felice, delle mie amicizie londinesi e delle lettere che scrivevo ai miei amici del Merseyside. Ed ora la mia nuova vita mi aveva portato in un posto che non conoscevo e che non riuscivo a farmi piacere. Ci trovammo a dividere la casa con la padrone della lavanderia, la signora Fillys, in una bifamiliare dal mattonato rosso e gli infissi chiari, una casina piccola ma confortevole. Fu davvero una doppia fortuna trovare quel lavoro e quell'alloggio a poco: la signora Fillys aveva all'incirca 15 anni in più di mia madre, era sola e aveva bisogno di una mano in negozio e in casa, e quel compromesso sembrava andare bene a tutti quanti. Fu ovviamente un grande dolore separarmi da Claire, la mia vicina e migliore amica, ma quella distanza fisica non ebbe alcun effetto negativo sulla nostra amicizia, anzi: vedevo lei e Josh regolarmente. Il trasferimento avvenne proprio intorno ai giorni del mio compleanno, che comunque non avrei potuto festeggiare. Radunai tutte le mie cose dentro alcuni scatoloni e mi lasciai la casa alle mie spalle, cercando di farmi forza per affrontare quel nuovo futuro. Incrociai le braccia intorno al collo di Claire e Josh, promettendogli che sarei presto passata a trovarli, e trasportai con me il cartone più importante, quello con le lettere di John e Paul. Lo strinsi a me durante tutto il viaggio, pensando ai miei due amici: quella sera per prima cosa avrei scritto una lettera ad entrambi, per dargli il mio nuovo indirizzo. Ormai era più di due mesi che non ci sentivamo, e l'ultima volta era stato per telefono. Ero riuscita a sentirli per comunicargli tutto quello che era accaduto, pronta a confidarmi liberamente con loro. Ne avevo tremendamente bisogno. La telefonata era stata un pochino confusionaria (caos dipeso dal fatto che fossimo in tre a parlare), ma ero riuscita a dire tutto tra una lacrima e l'altra, ad ammettere la mia fragilità persino davanti a loro. Non che non volessi farlo, ma erano l'unica parte ancora spensierata della mia vita e affrontare questo discorso con loro due voleva dire cancellare l'ultimo angolo di purezza che mi restava, sporcandolo con la mia nuova e grigia quotidianeità. Gli avevo promesso che appena mi fosse stato possibile gli avrei scritto, ma gli impegni scolastici mi avevano assorbita, facendomi momentaneamente distanziare da loro. Soffrivo guardando quelle buste bianche, ognuna con una calligrafia diversa, con lo sguardo fisso verso le due lettere a cui dovevo ancora una risposta. Sia John che Paul avevano aspettato sin troppo pazientemente, e non mi sarei ancora sottratta a quell’impegno, a costo di sacrificare ore di sonno per scrivergli.

Qualche giorno dopo mi vidi con Claire e Josh, che si erano offerti ad aiutarmi a ripassare per gli esami, già affrontati da entrambi. Era soprattutto una scusa utile per vederci tutti e tre insieme, visto che gli impegni ci davano meno occasioni libere. In quel periodo Claire lavorava al negozio di parrucchiere di un’amica della madre mentre Josh aveva trovato posto come apprendista presso lo studio di un noto fotografo, che faceva dei servizi per alcune riviste. Nessuno dei due aveva perso tempo ed io ero molto orgogliosa di entrambi che avevano iniziato le loro carriere. Percorsi quella strada familiare con un nodo in gola mentre i miei occhi guardavano quelle case tutte uguali, presenti indelebilmente nei miei ricordi. Imboccai il vialetto che conduceva all’ingresso dei Morgan e prima di bussare gettai un rapido sguardo alla mia vecchia abitazione, trattenendo l’istinto di piangere. Non volevo piangere ancora. Diedi le spalle ai miei ricordi, e bussai forte: fui accolta dal caldo abbraccio dei miei due amici che mi scaldò subito il cuore.
-Tantissimi auguri di buon compleanno! Ora possiamo finalmente ubriacarci e finire in galera insieme, non ne sei felice?- scherzò Claire, guardandomi ironica.
-Cavolo, non ci avevo ancora pensato a questo!- mi finsi preoccupata.
-Nah, se non guidi non devi avere alcun timore di tutto questo. A meno che non te ne vai in giro addescare giovani adolescenti indifesi- mi fece l'occhiolino il mio amico, aggiungendo a bassa voce "pss quando sei libera ci facciamo un giretto per qualche scuola"
Risi al loro modo di fare così allegro, che mi si sprigionò contro come una ventata d'aria fresca, che inspiravo a pieni polmoni.
-Prima del dovere... il piacere!- disse Claire con fare trionfale -vieni su con noi-
Josh mi trascinò per le scale mentre Claire ci precedeva, aprendoci la strada. Si mise davanti alla porta della sua camera e con fare elegante la spalancò. La visione di quella stanza mi diede un colpo al cuore, una piccola malinconia di un passato finito troppo presto. Avrei volentieri ridato la mia libertà e indipendenza per tornare a quei tempi.
Mi fecero sedere sul letto e mi consegnarono un piccolo pacchettino, che era appoggiato sul piccolo comodino accanto a noi.
-Ragazzi non dovevate- gli dissi solo, ancora incredula a vedere quel piccolo regalo.
Loro fecero segno di no con il capo -Non hai avuto una festa... ma i regali sono d'obbligo- disse Josh con fare deciso.
-Aprilo forza!- mi esortò Claire.
Osservai la piccola scatoletta verde con il fiocco blu, grande quanto il mio palmo, chiedendo cosa mai avrebbe dovuto contenere. Sfilai il fiocco che morbidamente si sciolse tra le mie mani, permettendo a contenitore di respirare. Sollevai il coperchio e trattenni il fiato: avevo davanti a me una bellissima collana dalla catetina argentata con un ciondolo molto speciale: la lettera F.
-Ragazzi è davvero stupenda! Non ho parole per ringraziarvi, avete fatto anche troppo per me!-
-Non è troppo, era quello che dovevamo fare- rispose Josh, scompigliandomi teneramente la testa.
-E le sorprese non sono finite qui- disse Claire, alzandosi dal letto.
Io li guardai sospettosa -Che altro succede?-
-Diciamo che ci sta un nuovo regalo... ma prima bisogna fare una piccola premessa. Signorina Morgan, a lei la parola- fece Josh, indicando la cugina.
-Premessa?- non riuscivo a capire.
-Prima ascolta- mi disse Claire -Questa è la storia di una povera lavoratrice (che sarei io), tornata a casa dopo un turno massacrante, senza poter correre dalla sua vicina preferita a sfogarsi.-
Io risi, sentendo quel tono così teatrale in cui stava raccontando tutto.
-Insomma Claire racconta tutto per bene sennò non gli fai capire nulla- protestò il cugino.
-Guastafeste- lo guardò storto lei -Va bene, cercherò di raccontare tutto nella maniera più chiara possibile-
Fece una piccola pausa e poi riprese.

-Era il giorno del tuo compleanno e io ero uscita prima da negozio, pronta a sdraiarmi sul letto dopo una giornata massacrante. Avevo una gran voglia di vederti ma sapevo perfettamente che quel giorno avevi il doposcuola, e quindi desistetti da quell'intento, capendo che mi sarei intromessa nel tuo studio. Quando arrivai davanti casa, notai tre ragazzi che chiacchieravano animatamente davanti alla porta della tua vecchia abitazione, tentando di guardare dentro la finestra.
"Questo posto sembra deserto" aveva detto quello più alto.
"Te lo dicevo io che dovevamo cercare di contattarla invece che agire d’impulso! Ora siamo qui e non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere!" aveva sospirato l'altro, (decisamente un bel ragazzo!).
Il terzo era più piccolo e silenzioso, e continuava a guardare dentro la casa, senza dire nulla.
Quei tre ragazzi però mi erano tanto familiari e ci misi qualche secondo a capire dove li avessi già visti, gridando poi a gran voce "Paul e John!". I due si erano girati subito a quel richiamo e mi guardavano confusi, ma io ero più che certa che fossero i tuoi amici di Liverpool.
"Non sapevo di essere famoso anche in questa zona, il mio fascino deve aver colpito ancora!" aveva risposto John, quando mi ero finalmente avvicinata a tutti quanti.
"Sono Claire, l'amica di Freddie. E’ stata lei a mostrarmi le vostre foto che mi hanno permesso di riconoscervi… quasi tutti” guardai un momento il ragazzino più piccolo, non riuscendo a ricordarmi il nome.
"Io comunque sarei George" mi rispose lui, togliendomi qualsiasi dubbio. Non saprei dire se fosse infastidito o meno di non essere stato ricordato, ma dal suo sguardo non lo escluderei!
"Ah certo George, scusa!"
“Siamo venuti a trovare Freddie per il suo compleanno ma in casa non sembra esserci nessuno… dove sono finiti?” mi chiese Paul.
Spiegai tutto ai ragazzi, dicendogli quello che era successo negli ultimi mesi, fino a parlargli del tuo trasferimento appena compiuto.
"Dannazione, si è trasferita! Cavolo che tempismo che ha quella ragazza" aveva replicato seccato John.
"Dove si trova ora?" mi chiese Paul.
Gli diedi il tuo indirizzo, spiegandogli anche come arrivare a casa tua, ma dicendogli che non ti avrebbero trovata fino ad una certa ora.
"Esce dal doposcuola alle sei, magari potete aspettarla fuori scuola".
"Cavolo abbiamo il treno a quell'ora" sbuffò amareggiato Paul.
"Prendiamo il prossimo” gli aveva risposto John.
"Non dire idiozie, poi chi ce li ripaga i biglietti? Rischiamo di non poter tornare a casa" gli fece notare Paul, rivolto verso di lui
"Al massimo passeremo la notte dentro questa casetta, mi sembra un posto accogliente nonostante tutto" fece John con una totale tranquillità. Devo ammettere che è anche più divertente e pazzo di come lo avevo immaginato ascoltando i tuoi racconti!
"John lo sai benissimo che devo tornare a casa. E anche tu e George. Già abbiamo rubato i soldi a tua zia per venire e se non ci facciamo vivi per cena..." aveva lasciato crollare la frase, ma tutti avevamo inteso come sarebbe andato a finire il discorso.
"Paul non ha tutti i torti… e poi io ho già fame" disse George, che fino a quel momento non aveva detto altro.
John si era grattato la testa, infastidito dalle parole di Paul. Sicuramente avevano organizzato tutto all'ultimo minuto ed erano venuti sprovvisti di qualsiasi cosa.
"Ecco cosa succede a girare con dei ragazzini" sbuffò, arrendendosi all'evidenza "Ora ci tocca tornare a casa senza averla vista o avergli dato il nostro regalo".
Guardai la borsa che avevano con loro, capendo che si riferissero a quello. George si accorse che la stavo fissando e senza perdere tempo mi fece una proposta, a cui doveva aver pensato in quel preciso istante.
"Tu sei sua amica giusto? Allora possiamo lasciarti il nostro regalo, così che possa riceverlo direttamente da te"
Annuì, accettando quel compito. Anche se aveva speso poche parole durante quella nostra conversazione era davvero l’unico a non aver perso tempo e aver trovato la soluzione più adatta.
"Io avrei voluto fargli gli auguri dal vivo..." disse Paul, con tono dispiaciuto. Mi ha fatto molta tenerezza, era così dolce e carino quel suo pensiero.
"Non fare la donnetta piena di sentimenti e accontentiamoci di questa soluzione" aveva risposto John, rivolgendosi verso di me e esordendo con un "Bambola ce l'hai carta e penna?"-

E finì anche il racconto di Claire, come una piccola fiaba in cui ogni singolo personaggio aveva appena finito di recitare la sua parte. I miei amici erano venuti sino a Londra pur di vedermi e di darmi il loro regalo, il che era già un gesto meraviglioso. Ero dispiaciuta che avessero fatto tutta quella strada senza potermi vedere, ma al tempo stesso la gioia per quello che avevano fatto era incontenibile.
Al termine della storia, Josh si chinò sotto il letto e recuperò il tanto atteso regalo. Una valigetta scura conteneva quell'oggetto, che appariva decisamente più grande rispetto al precedente regalo. Sopra vi era un biglietto, attaccato con un pezzettino di scotch. Lo presi e lo aprii, riconoscendo subito la bella e ordinata calligrafia di Paul che riportava questo messaggio:

"Alla diciottenne più fantastica di tutta la gran Bretagna, a cui rendiamo omaggio con i nostri più sinceri auguri. Attenti a non volerti far venire crampi alle mani, speriamo che questo oggetto possa esserti utile per continuare a sfornare altri capolavori, che attendiamo con ansia di leggere.

John Lennon
Paul McCartney
George Harrison

PS: *Ci terrei a precisare che le parole sono state da me abilmente modificate, visto che John aveva iniziato scrivendoti un mucchio di porcherie e George aveva proposto un misero "auguri" (Paul)
*Purtroppo quel rompiscatole del Macca ha rovinato la mia opera, ma appena tornerai a Liverpool troverai la versione vm18 del nostro bigliettino (John)
*Auguri (George)"
 
Risi leggendo quelle righe, piene della loro ironia e del loro affetto, e aprì subito la valigetta.
Trattennì il fiato: avevo davanti a me la più bella macchina per scrivere (11) che avessi mai visto. Piccola e manegevole, dalla scocca azzurra e i piccoli tastini neri, ed era là, pronta per me. Ne avevo sempre desiderata una e ora finalmente potevo averla tra le mie mani. Lessi sul retro la marca e il modello, "Olivetti lettera 22" (12). Era italiana, esattamente come me. Che fosse un caso? No, con loro niente era lasciato al caso.
-Direi che ci hanno proprio azzeccato!- disse Josh, sorridendomi.
Io mi voltai e strinsi forte i miei amici, trattenendo le lacrime. Nuovamente mi ripetei che non dovevo piangere, perché di lacrime ne avevo versate sin troppe. Quelle brutte esperienze mi avevano resa una piagnucolona, ma il calore e l'affetto dei miei amici doveva trasformarmi nuovamente in una persona forte e positiva. Cosa ho fatto per meritarmi delle persone simili accanto a me? Se quella era la consolazione per tutto il male che avevo subito bé direi che avevo ricevuto molto più di quanto potessi desiderare. Cinque persone mi avevano fatta capire che avevo diritto anche io ad essere amata da qualcuno, con quel tenero e dolce sentimento che era l’amicizia.  Se nel corso di quei mesi avevo messo in dubbio me stessa e il mio valore, grazie a loro potei ripensarci: forse ero solo una semplice ragazzina, magari ero la persona meno importante tra tutte, ma per quei cinque ragazzi io ero solo la loro Freddie, e il loro affetto mi aveva reso la maggiorenne più fortunata al mondo.
 
NOTE
(1)= Cynthia Powell, più conosciuta come Cynthia Lennon (Blackpool, 10 settembre 1939), è una scrittrice e saggista britannica, prima moglie di John Lennon e madre del cantante Julian Lennon (primo figlio di John).

(2)= Sono tutte parole riportate da Cynthia, che racconta come fosse la sua vita e i suoi progetti prima dell'arrivo di John.

(3)= "Signorina Buonemaniere" come la soprannominava John.

(4)= Perchè i Quarry Men erano la band che suonava durante le feste al Liverpool College.

(5)= Geoff Mohammed, amico e compagno di scuola di John al college, per metà arabo e l’altra metà indiano. Lui e John strinsero subito amicizia, accomunicati dal fatto che fossero entrambi miopi, e si divertivano a girare insieme senza occhiali, creando buffi incidenti. Tra gli amici di John era quello che aveva maggiormente la testa sulle spalle ed era sempre pronto a tirarlo fuori dai guai.

(6)= Diciamo che per il primo appuntamento tra John e Cyn ho unito il racconto di John con il quadretto creato nel film In his Life: John Lennon story.
Questo è il racconto di John: "Conobbi Cynthia all'istituto d'arte. Era una snob, la prendevo in giro con Geoff, dicendo "silenzio, per favore. Niente barzellette sporche, c'è Cynthia". Avevamo lezione di ballo e io avevo bevuto, le chiesi se voleva ballare. Geoff mi aveva incoraggiato dicendomi "Cynthia ha un debole per te". Le chiesi di andare ad una festa con me, ma lei mi disse che era impegnata. Non so come la convinsi, e ci prendemmo qualcosa da bere insieme, per poi andare nell'appartamento di Stu, fermadoci prima a comprare fish e chips."
(In realtà John e Cynthia ebbero un primo appuntamento in un pub, che in alcuni testi viene indicato come lo Ye Cracke).

(7)= Piccadilly Circus è una celebre piazza di Londra, nonché luogo di ritrovo, cuore morale della città, situata nella City of Westminster. Viene chiamata la "Times Square" di Londra. Costruita nel 1819 per collegare Regent Street con l'omonima Piccadilly (importante strada dello shopping) è diventata col passare degli anni uno dei principali punti di snodo del traffico cittadino. La sua felice posizione, nel cuore del West End londinese, e la vicinanza con importanti luoghi di interesse come i teatri di Shaftesbury Avenue o strade come Coventry Street e The Haymarket ricchissime di negozi e locali alla moda, hanno reso Piccadilly Circus un affollato punto di ritrovo, nonché una vera e propria attrattiva turistica tanto da diventare uno dei simboli stessi di Londra.

(8)= Sabato 20 dicembre si svolve a Upton Green il ricevimento per il matrimonio del fratello di George, Harry, e di sua moglie Irene McCann.

(9)= Tottenham è un quartiere situato nell'area di North London, nel borgo londinese di Haringey, circa 10 chilometri a nord-est di Charing Cross. Già municipio autonomo dell'hinterland londinese, fu soppresso nel 1965 quando fu incluso in Haringey, che a sua volta dal 2000 è uno dei trentatré borghi che formano la città di Londra. Il vecchio palazzo municipale di Tottenham è ora la sede del borgo di Haringey. Nei decenni precedenti è stato un quartiere piuttosto malfamato e frequentato da cattive compagnie, soprattutto nei pressi della stazione.

(10)= Winchmore Hill è un quartiere nel quartiere di Enfield, a nord di Londra, nel quartiere postale N21.
Winchmore Hill è delimitato a est dal Green Lanes (la strada A105), Barrowell Green, Firs Lane e Ford Grove, mentre ad ovest da Grovelands Parco; a sud si estende alla parte Aldermans Hill, e nel nord Vicari Moor Lane e Houndsden Road. Winchmore Hill è 8,9 miglia (14,3 km) a nord nord-est di Charing Cross.

(11)= La macchina per scrivere, nata sul finire del XIX secolo, è stata uno dei primi dispositivi di largo utilizzo per la rapida redazione di documenti in formati standardizzati. Il suo utilizzo fece nascere una nuova professione, inizialmente riservata alle donne: la dattilografia. Sono diversi gli inventori ai quali la macchina da scrivere viene attribuita, spesso di diversa nazionalità. È quindi possibile che varie persone abbiano lavorato contemporaneamente ad idee simili senza necessariamente essere a conoscenza l'uno del lavoro dell'altro.
(NB: Il nome usato popolarmente, "macchina da scrivere", apparentemente errato, è in realtà un uso corretto della preposizione "da" con il significato di fine o scopo. Nell'italiano contemporaneo, il significato di scopo della costruzione "da + verbo all'infinito" è ancora vivo in espressioni come appunto macchina da scrivere o macchina da cucire, e ancora in forme come la congiunzione in modo da.)

(12)= La Lettera 22 è una celebre macchina per scrivere meccanica portatile realizzata dalla Olivetti. Fu uno dei prodotti di maggior successo della Olivetti negli anni cinquanta, e ricevette premi sia in Italia (Compasso d'Oro nel 1954) sia all'estero (miglior prodotto di design del secolo secondo l'Illinois Institute of Technology nel 1959). Fu progettata nel 1950 dall'architetto e designer Marcello Nizzoli, collaboratore dell'azienda di Ivrea dal 1938, in collaborazione con l'ingegnere Giuseppe Beccio. La Lettera 22 sostituì il modello Olivetti MP1, uscito nel 1932 e progettato da Riccardo Levi, con design di Aldo Magnelli. La tastiera è incorporata nella carrozzeria in alluminio, il rullo è incastrato senza nessuna emergenza, fatta eccezione per la manopola, rispetto al piano orizzontale della macchina; la leva dell'interlinea è emergente ma più compatta nel corpo della macchina rispetto alla Lexikon, per rispondere alle esigenze di trasportabilità e di limitato ingombro. La macchina per scrivere misura 8,3 × 29,8 × 32,4 cm e ciò la rendeva, nonostante il peso di circa 4 chilogrammi, estremamente funzionale al trasporto per i canoni dell'epoca. La tastiera è del tipo QZERTY, come è solito delle macchine italiane (a parte le moderne tastiere per computer). Oltre ai tasti di scrittura la tastiera include una barra spaziatrice, due tasti delle maiuscole, un tasto fissamaiuscole, il tasto di ritorno e un tasto di tabulazione.

ANGOLO DELL'AUTRICE: Questa settimana sono stata puntuale yeah <3 No ok seriamente, ve lo dovevo!
So che vi lascio con un cap mooolto triste e poco incentrato sui ragazzi, ma necessitavo di raccontarvi ancora di Freddie, ormai avrete capito che cerco di renderla una storia a tutto tondo! Spero di non essere caduta nel banale, ma è questo il percorso che ho pensato per lei.
Ovviamente la canzone del sottotitolo è legata a questo passaggio da un passato più tenero all'età adulta che è più complicata, come nel suo caso.
Vi ho tolto di mezzo Ben, forse qualcuna ne sarà contenta ahah!
Ora finisco questo delirio e vi lascio con alcune informazioni: come già detto, domani finalmente me ne parto per Liverpool, festeggio il mio compleanno (che è mercoledì, voglio gli auguri eh! =P) e (ora che ho i biglietti posso dirlo) GIOVEDI' VADO A VEDERE IL CONCERTO DI PAUL MCCARTNEY.
E' tipo un sogno che si realizza insieme al viaggio, che ho sudato e faticato molto per ottenerlo, e sono al settimo cielo!
Tornerò in Italia il 29 e a Roma il 30, quindi purtroppo scalerà la pubblicazione a giovedì 4 giugno.

Ribadisco, è tutto per poter mantenere un alto livello (per i miei standard) della storia, cosa a cui tengo molto, e che punto sempre e comunque (e date anche la colpa alla Jus in Bello 6 che mi ha fatto delirare ancora di più quest'anno!).
Ringrazio come sempre le mie lettrici Penny, Cagiu_Dida e Jude che sono sempre tanto tanto carine e che mi sostengono moltissimo! <3
E un grazie speciale per tutto quello che fa' per me a Anya, mia beta, consulente, sfogatrice (?), grande amica e compagna di viaggio a Liverpool e da Paul <3
Grazie di cuore a tutte quante, anche a chi legge e non posso ringraziare per nome!
Un bacio e a presto.
White
  
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