I giorni successivi erano
trascorsi in modo sempre più singolare, agli occhi di Zed. I suoi
due coinquilini non solo si comportavano in maniera inspiegabile, ma
evitavano anche accuratamente di spiegarle perché. Quando Zed faceva
notare loro che c'era qualcosa di strano, otteneva sempre le solite
due reazioni, in risposta: John se la cavava con una scrollata di
spalle e una battutina, mentre Chas, improvvisamente, perdeva l'uso
della parola e balbettava qualcosa di incomprensibile, prima di
scappare via a fare chissà quale cosa urgentissima.
Zed si era arresa. Anche se era
sempre più curiosa, non c'era poi molto che potesse fare. Una parte
di lei sperava che le stessero tenendo nascosta qualche svolta
importante, qualche caso particolarmente complicato – e di
conseguenza interessante – di cui prima o poi sarebbe venuta a
conoscenza. Un'altra parte, però, cominciava a nutrire un sospetto
che, alla luce dell'amicizia che legava quei due, non era neanche
così infondato, dopo tutto. Se era quella, la cosa che le
stavano nascondendo... Be', lo stavano facendo piuttosto male. E
comunque, non ce n'era alcun bisogno. Sarebbe stata solo contenta per
loro.
Non capitavano molte occasioni
per essere felici, da quelle parti: e l'unica cosa veramente saggia
da fare era prendersi tutte quelle che c'erano.
«John?»
«Mh.»
«Secondo te lo ha capito?»
«Mmm... In una scala da zero a
dieci? Cento.»
«Ma siamo stati attenti. Come ha
fatto?»
«È una sensitiva, Chas. E, se
non bastasse questo, è una donna. Hanno un sesto senso per
questo genere di cose, dovresti saperlo.»
«Pensi che dovremmo dirglielo?»
John gli rivolse uno sguardo
perplesso.
«Dovremmo?
Se proprio vuoi farlo, pensaci
tu. Non sono mica la dottoressa della Posta del cuore.»
Chas alzò gli occhi al cielo.
«Diamine, John. È solo che...
È-- È una nostra amica. E dal momento che vive con noi, forse non
dovremmo nasconderle una cosa del genere.»
«Lo so che non vedi l'ora di
dire al mondo che stai con l'uomo più figo del mondo, love,»
lo canzonò John con un ghigno. «Ma questa cosa fortemente
imbarazzante che stai per fare è assolutamente inutile, fidati. Di
sicuro non le dirai niente che non sappia già.»
John si scottò le dita, mentre
spegneva un cero votivo. Era tutta la mattina che cercava di mettere
insieme un incantesimo degno di questo nome, ma non era ancora
riuscito a combinare niente. Aveva voluto che Chas restasse al mulino
solo per godersi insieme a lui la privacy momentanea, dal momento che
Zed era in città a fare rifornimento di materiali al negozio di
belle arti.
Non erano andati molto oltre,
dopo il bacio di quella volta. Si stavano addosso, si cercavano, si
scambiavano baci ogni volta che ne avevano la possibilità: ma c'era
una specie di accordo silenzioso, tra loro, per cui cercavano di fare
le cose con calma, senza bruciare i tempi e godendosi la lenta
evoluzione di quel rapporto già profondo che avevano e che si stava
trasformando in qualcosa di più.
John sparecchiò la grossa
scrivania con un gesto, accantonando con aria stizzita gli oggetti
che vi aveva poggiato precedentemente.
«Non è decisamente la mia
performance migliore,» sbuffò, facendo per accendersi una
sigaretta.
«Sei troppo nervoso,» commentò
Chas, sfilandogliela dalle dita. «E dovresti smetterla di fumare
così tanto: ti agita ancora di più.»
Stavolta fu John ad alzare gli occhi
al cielo.
«Sì, mamma, certo,
mamma. Prometto che ci proverò. Però adesso ridammela, eh?»
Chas lo ignorò.
«Cos'hai?» chiese invece.
Fallire un incantesimo per colpa dell'ansia non era una cosa da
John. Doveva esserci per forza qualcosa che non andava.
«Niente...» fu l'evasiva
risposta.
«John,» ripeté Chas, e
stavolta il suo tono sottintendeva qualcosa come Non prendermi in
giro, ce l'hai scritto in faccia che c'è qualcosa che non va. John
era tentato di ripetergli che non c'era nulla che lo preoccupasse, ma
poi Chas gli posò le mani all'altezza dei gomiti e lo obbligò a
fronteggiarlo – anche se, per farlo, John doveva sollevare la testa
in quel modo così esagerato, come se stesse parlando a un gigante--
be', in effetti stava parlando a un gigante. E insomma,
non riuscì a dire nient'altro che la verità.
«Facciamo le cose senza fretta,
ok?» disse soltanto. «Zed o non Zed, non mi va di accelerare troppo
le cose.» Si guardò la punta delle scarpe, in imbarazzo. Ora che
l'aveva detto, si sentiva molto più che imbarazzato. Era la
prima volta che faceva un discorso del genere con qualcuno, e voleva
mettere bene in chiaro le cose. Non desiderava il silenzio perché
aveva un problema di qualche tipo ad ammettere come stavano le cose,
anzi. Aveva solo timore di commettere qualche passo falso, e non
voleva che la situazione gli sfuggisse di mano. Chas era l'unica
persona di cui gli importasse veramente, e meritava qualcosa di più.
Meritava di essere trattato bene.
E se voleva che le cose tra loro
andassero veramente bene, John doveva essere sicuro di ogni
decisione, di ogni passo.
Era un sacco di roba da spiegare
a voce, e lui non era esattamente il tipo a cui piaceva lanciarsi in
dissertazioni filosofiche sui sentimenti, perciò lasciò perdere.
Sentì le mani di Chas sfregargli affettuosamente le braccia, come
per riscaldarlo.
«John, qual è il problema?»,
chiese.
«Non voglio sbagliare con
te.»
Finalmente! Ce l'aveva fatta a
dirlo. John si sorprese di come le parole fossero uscite con
facilità. Tirò un sospiro.
«Non stai sbagliando.»
La voce di Chas era rassicurante
come tutte le volte, e anche il calore che le sue mani trasmettevano.
Un attimo dopo, con una sincronia perfetta, John sollevò lo sguardo
e Chas si chinò su di lui, e ripeterono ancora quel gesto a cui si
erano abituati. Veniva sempre tutto in modo molto spontaneo e
naturale, come se non avessero mai fatto altro in vita loro. Dovevano
essere stati i lunghi anni di rodaggio della loro amicizia ad aver
affinato così bene l'intesa che condividevano. John gli mise le
braccia al collo, un po' perché semplicemente gli piaceva farlo, e
un po' perché così poteva attirarlo a sé mentre si baciavano. Chas
lo circondò, lo strinse forte attorno alla vita. Fosse dipeso
soltanto da lui, avrebbe bruciato le tappe col lanciafiamme, tanto
per fare prima. Sapeva di amare John, lo aveva saputo fin dal momento
in cui, nonostante non possedesse ancora il dono dell'immortalità
parziale, si era reso conto di essere disposto a morire per salvargli
la vita. Lo amava così com'era, pieno di difetti messi in bella
vista come trofei, ma ancor più pieno di pregi che teneva ben
nascosti in un angolino dentro di sé. Chas voleva esplorarli tutti,
quegli angoli, conoscerlo fino in fondo e dirgli che lo amava ogni
giorno di più. Perché era la verità. Non c'era nulla che non
amasse di lui, e questo era il motivo per cui gli era rimasto sempre
accanto.
John si ritrovò a fare quella
cosa che faceva sempre, posargli entrambe le mani sulle guance per
poter sfregare quella sua barba ostinata con le dita. Era qualcosa
che lo rilassava tantissimo, placava istantaneamente le sue crisi di
nervi, meglio delle sigarette. A quel punto, si era persino
dimenticato di aver provato il desiderio di accendersene una. Tutto
ciò che desiderava era starsene allacciato a quella specie di orso
grande e grosso, pieno di premure e istinti protettivi.
Quando Chas scese a baciarlo sul
collo, però, non poté fare a meno di ridere. L'altro interruppe
quello che stava facendo, lo guardò con aria interrogativa.
«Che
c'è?», chiese, disorientato.
«Niente...
Non smettere,» rispose John, aggrappandosi alla sua camicia per
attirarlo di nuovo a sé. L'unico inconveniente di pomiciare con
Chas, a parte il solletico, era che la sua pelle si riempiva di
piccoli segni arrossati. Ma sparivano quasi subito, e comunque era
una sensazione piacevole.
Ripresero
da dove avevano smesso, si strinsero ancora di più. Era come essere
tornati improvvisamente all'età di quindici anni, ma era perfetto
così. Avevano bisogno di qualcosa di buono, chiaro e pulito, che non
venisse bruciato e consumato senza cognizione di causa. Avevano
bisogno di uno spazio neutrale, di un territorio soltanto loro, di
qualcosa che andava preservato dal male che combattevano ogni giorno.
E volevano godersi quel qualcosa senza preoccupazioni, senza farsi
problemi inutili. Potevano essere spontanei e sinceri, l'uno con
l'altro, essere sé stessi senza paura, ed essere liberi.
Tla-tlack.
«Oh
merda!»
Ok.
Ora non aveva più dubbi.
Quando
era entrata, aveva visto John sobbalzare e Chas scattare dall'altra
parte del tavolo, fingendo entrambi di essere improvvisamente
concentratissimi a fare chissà che.
«Sei
di ritorno così presto, love?»
aveva chiesto John, con un sorriso fintamente disinvolto che non
riusciva a camuffare un certo nervosismo.
Zed
aveva sollevato la busta di carta del negozio, rivolgendogli
un'occhiata alla Guarda
che non sono un'idiota... Ma diamine, come siete teneri, e
aveva delicatamente sorvolato la domanda.
«Io
vado di sopra... Vedo che siete impegnatissimi,» aveva detto,
avviandosi per le scale.
«A-ah.
Incantesimi difficili. Roba da professionisti, tesoro,» aveva
risposto John, rigirandosi le maniche – già rigirate, - avendo già
recuperato la solita aria da spaccone.
Zed
aveva sentito la battuta sulla punta della lingua, e proprio non ce
l'aveva fatta a trattenersi.
«Certo...
E uno di questi incantesimi prevede di passare la faccia sulla carta
vetrata, per caso?»
Non
appena ebbe pronunciato queste parole, ebbe l'impressione che Chas
volesse staccare una tegola dal pavimento e cominciare a scavare con
le proprie mani una buca per sotterrarsi.
John
si passò nervosamente una mano sulla faccia.
«Effetti
collaterali...», si giustificò.
Zed
salì a passi leggeri i pochi gradini che la separavano dal piano
superiore.
Li
avrebbe lasciati alle loro cose.
… Certo,
però, che a nascondere le cose erano proprio negati.