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Autore: Ambaraba    25/05/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHASTANTINE 4

   I giorni successivi erano trascorsi in modo sempre più singolare, agli occhi di Zed. I suoi due coinquilini non solo si comportavano in maniera inspiegabile, ma evitavano anche accuratamente di spiegarle perché. Quando Zed faceva notare loro che c'era qualcosa di strano, otteneva sempre le solite due reazioni, in risposta: John se la cavava con una scrollata di spalle e una battutina, mentre Chas, improvvisamente, perdeva l'uso della parola e balbettava qualcosa di incomprensibile, prima di scappare via a fare chissà quale cosa urgentissima.
   Zed si era arresa. Anche se era sempre più curiosa, non c'era poi molto che potesse fare. Una parte di lei sperava che le stessero tenendo nascosta qualche svolta importante, qualche caso particolarmente complicato – e di conseguenza interessante – di cui prima o poi sarebbe venuta a conoscenza. Un'altra parte, però, cominciava a nutrire un sospetto che, alla luce dell'amicizia che legava quei due, non era neanche così infondato, dopo tutto. Se era quella, la cosa che le stavano nascondendo... Be', lo stavano facendo piuttosto male. E comunque, non ce n'era alcun bisogno. Sarebbe stata solo contenta per loro.
   Non capitavano molte occasioni per essere felici, da quelle parti: e l'unica cosa veramente saggia da fare era prendersi tutte quelle che c'erano.


   «John?»
   «Mh.»
   «Secondo te lo ha capito?»
   «Mmm... In una scala da zero a dieci? Cento.»
   «Ma siamo stati attenti. Come ha fatto?»
   «È una sensitiva, Chas. E, se non bastasse questo, è una donna. Hanno un sesto senso per questo genere di cose, dovresti saperlo.»
   «Pensi che dovremmo dirglielo?»
John gli rivolse uno sguardo perplesso.
   «Dovremmo? Se proprio vuoi farlo, pensaci tu. Non sono mica la dottoressa della Posta del cuore.»
Chas alzò gli occhi al cielo.
   «Diamine, John. È solo che... È-- È una nostra amica. E dal momento che vive con noi, forse non dovremmo nasconderle una cosa del genere.»
   «Lo so che non vedi l'ora di dire al mondo che stai con l'uomo più figo del mondo, love,» lo canzonò John con un ghigno. «Ma questa cosa fortemente imbarazzante che stai per fare è assolutamente inutile, fidati. Di sicuro non le dirai niente che non sappia già.»
   John si scottò le dita, mentre spegneva un cero votivo. Era tutta la mattina che cercava di mettere insieme un incantesimo degno di questo nome, ma non era ancora riuscito a combinare niente. Aveva voluto che Chas restasse al mulino solo per godersi insieme a lui la privacy momentanea, dal momento che Zed era in città a fare rifornimento di materiali al negozio di belle arti.
   Non erano andati molto oltre, dopo il bacio di quella volta. Si stavano addosso, si cercavano, si scambiavano baci ogni volta che ne avevano la possibilità: ma c'era una specie di accordo silenzioso, tra loro, per cui cercavano di fare le cose con calma, senza bruciare i tempi e godendosi la lenta evoluzione di quel rapporto già profondo che avevano e che si stava trasformando in qualcosa di più.
   John sparecchiò la grossa scrivania con un gesto, accantonando con aria stizzita gli oggetti che vi aveva poggiato precedentemente.
   «Non è decisamente la mia performance migliore,» sbuffò, facendo per accendersi una sigaretta.
   «Sei troppo nervoso,» commentò Chas, sfilandogliela dalle dita. «E dovresti smetterla di fumare così tanto: ti agita ancora di più.»
Stavolta fu John ad alzare gli occhi al cielo.
   «Sì, mamma, certo, mamma. Prometto che ci proverò. Però adesso ridammela, eh?»
Chas lo ignorò.
   «Cos'hai?» chiese invece. Fallire un incantesimo per colpa dell'ansia non era una cosa da John. Doveva esserci per forza qualcosa che non andava.
   «Niente...» fu l'evasiva risposta.
   «John,» ripeté Chas, e stavolta il suo tono sottintendeva qualcosa come Non prendermi in giro, ce l'hai scritto in faccia che c'è qualcosa che non va. John era tentato di ripetergli che non c'era nulla che lo preoccupasse, ma poi Chas gli posò le mani all'altezza dei gomiti e lo obbligò a fronteggiarlo – anche se, per farlo, John doveva sollevare la testa in quel modo così esagerato, come se stesse parlando a un gigante-- be', in effetti stava parlando a un gigante. E insomma, non riuscì a dire nient'altro che la verità.
   «Facciamo le cose senza fretta, ok?» disse soltanto. «Zed o non Zed, non mi va di accelerare troppo le cose.» Si guardò la punta delle scarpe, in imbarazzo. Ora che l'aveva detto, si sentiva molto più che imbarazzato. Era la prima volta che faceva un discorso del genere con qualcuno, e voleva mettere bene in chiaro le cose. Non desiderava il silenzio perché aveva un problema di qualche tipo ad ammettere come stavano le cose, anzi. Aveva solo timore di commettere qualche passo falso, e non voleva che la situazione gli sfuggisse di mano. Chas era l'unica persona di cui gli importasse veramente, e meritava qualcosa di più. Meritava di essere trattato bene.
E se voleva che le cose tra loro andassero veramente bene, John doveva essere sicuro di ogni decisione, di ogni passo.
   Era un sacco di roba da spiegare a voce, e lui non era esattamente il tipo a cui piaceva lanciarsi in dissertazioni filosofiche sui sentimenti, perciò lasciò perdere. Sentì le mani di Chas sfregargli affettuosamente le braccia, come per riscaldarlo.
   «John, qual è il problema?», chiese.
   «Non voglio sbagliare con te.»
Finalmente! Ce l'aveva fatta a dirlo. John si sorprese di come le parole fossero uscite con facilità. Tirò un sospiro.
   «Non stai sbagliando.»
   La voce di Chas era rassicurante come tutte le volte, e anche il calore che le sue mani trasmettevano. Un attimo dopo, con una sincronia perfetta, John sollevò lo sguardo e Chas si chinò su di lui, e ripeterono ancora quel gesto a cui si erano abituati. Veniva sempre tutto in modo molto spontaneo e naturale, come se non avessero mai fatto altro in vita loro. Dovevano essere stati i lunghi anni di rodaggio della loro amicizia ad aver affinato così bene l'intesa che condividevano. John gli mise le braccia al collo, un po' perché semplicemente gli piaceva farlo, e un po' perché così poteva attirarlo a sé mentre si baciavano. Chas lo circondò, lo strinse forte attorno alla vita. Fosse dipeso soltanto da lui, avrebbe bruciato le tappe col lanciafiamme, tanto per fare prima. Sapeva di amare John, lo aveva saputo fin dal momento in cui, nonostante non possedesse ancora il dono dell'immortalità parziale, si era reso conto di essere disposto a morire per salvargli la vita. Lo amava così com'era, pieno di difetti messi in bella vista come trofei, ma ancor più pieno di pregi che teneva ben nascosti in un angolino dentro di sé. Chas voleva esplorarli tutti, quegli angoli, conoscerlo fino in fondo e dirgli che lo amava ogni giorno di più. Perché era la verità. Non c'era nulla che non amasse di lui, e questo era il motivo per cui gli era rimasto sempre accanto.
   John si ritrovò a fare quella cosa che faceva sempre, posargli entrambe le mani sulle guance per poter sfregare quella sua barba ostinata con le dita. Era qualcosa che lo rilassava tantissimo, placava istantaneamente le sue crisi di nervi, meglio delle sigarette. A quel punto, si era persino dimenticato di aver provato il desiderio di accendersene una. Tutto ciò che desiderava era starsene allacciato a quella specie di orso grande e grosso, pieno di premure e istinti protettivi.
Quando Chas scese a baciarlo sul collo, però, non poté fare a meno di ridere. L'altro interruppe quello che stava facendo, lo guardò con aria interrogativa.
   «Che c'è?», chiese, disorientato.
   «Niente... Non smettere,» rispose John, aggrappandosi alla sua camicia per attirarlo di nuovo a sé. L'unico inconveniente di pomiciare con Chas, a parte il solletico, era che la sua pelle si riempiva di piccoli segni arrossati. Ma sparivano quasi subito, e comunque era una sensazione piacevole.
   Ripresero da dove avevano smesso, si strinsero ancora di più. Era come essere tornati improvvisamente all'età di quindici anni, ma era perfetto così. Avevano bisogno di qualcosa di buono, chiaro e pulito, che non venisse bruciato e consumato senza cognizione di causa. Avevano bisogno di uno spazio neutrale, di un territorio soltanto loro, di qualcosa che andava preservato dal male che combattevano ogni giorno. E volevano godersi quel qualcosa senza preoccupazioni, senza farsi problemi inutili. Potevano essere spontanei e sinceri, l'uno con l'altro, essere sé stessi senza paura, ed essere liberi.

   Tla-tlack.

   «Oh merda!»


   Ok. Ora non aveva più dubbi.
Quando era entrata, aveva visto John sobbalzare e Chas scattare dall'altra parte del tavolo, fingendo entrambi di essere improvvisamente concentratissimi a fare chissà che.
   «Sei di ritorno così presto,
love?» aveva chiesto John, con un sorriso fintamente disinvolto che non riusciva a camuffare un certo nervosismo.
   Zed aveva sollevato la busta di carta del negozio, rivolgendogli un'occhiata alla
Guarda che non sono un'idiota... Ma diamine, come siete teneri, e aveva delicatamente sorvolato la domanda.
   «Io vado di sopra... Vedo che siete impegnatissimi,» aveva detto, avviandosi per le scale.
   «A-ah. Incantesimi difficili. Roba da professionisti, tesoro,» aveva risposto John, rigirandosi le maniche – già rigirate, - avendo già recuperato la solita aria da spaccone.
Zed aveva sentito la battuta sulla punta della lingua, e proprio non ce l'aveva fatta a trattenersi.
   «Certo... E uno di questi incantesimi prevede di passare la faccia sulla carta vetrata, per caso?»
   Non appena ebbe pronunciato queste parole, ebbe l'impressione che Chas volesse staccare una tegola dal pavimento e cominciare a scavare con le proprie mani una buca per sotterrarsi.
   John si passò nervosamente una mano sulla faccia.
   «Effetti collaterali...», si giustificò.
Zed salì a passi leggeri i pochi gradini che la separavano dal piano superiore.
Li avrebbe lasciati alle loro cose.

   … Certo, però, che a nascondere le cose erano proprio negati.


  
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