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Autore: hailtothematty    25/05/2015    4 recensioni
Jane si premette le mani tremanti contro la bocca, sgranando gli occhi. Si accucciò contro il furgoncino. Era spaventata a morte. Udì i suoi amici piangere e urlare, e poi un uomo ordinare: “Alzatevi! Alzatevi, ho detto!”. E tutta quella cattiveria ingiustificata nella voce le bloccarono il respiro. Poi altri dieci spari la assordarono.
“Ben fatto, Hank” si era congratulato quello di cui ancora non aveva sentito la voce, lo stesso che aveva premuto il grilletto su Scott. Scoppiò a ridere un attimo dopo, e Jane li sentì schiaffarsi un cinque. Si trattenne dal vomitare: come potevano essere soddisfatti e gioire per aver ucciso delle povere persone?
“A te l'onore” fece Hank. “Aspetta... non erano dodici?”
“Non dire che ci è scappato!” imprecò uno dei due, sbattendo la pistola per terra. Quest'ultima ruzzolò fino sotto il fugone... proprio quello dietro quello dietro al quale lei si era nascosta. Osservò a bocca aperta i piedi dei due avvicinarsi, con il cuore che fra pochi istanti le sarebbe esploso nel petto. Il compare di Hank si accucciò a guardare dove la pistola si fosse cacciata e, in quel preciso istante, i loro occhi si scontrarono.
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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I


I don't want to survive, I just want to die.








Doveva essere una semplice riunione di amici, una di quelle che ormai erano diventate parte della routine di quella spledente estate che soltato uno Stato come la California sapeva regalare. Era incominciata proprio come tutte le altre: Scott e la sua barba avevano guidato il camioncino carico di giovani nel cuore della foresta, verso le dieci avevano accesso il fuoco, e poi ci si erano tutti seduti attorno, a passarsi lo strumento del potere fra di loro. Nessuno tra quei sempliciotti pacifisti però si sarebbe mai aspettato che una semplice riunione degli hippie del luogo si sarebbe potuta trasformare in una carneficina, perchè appunto nessuno nel raggio di miglia desiderava la loro morte; a dire il vero, stavano abbastanza simpatici a tutti; o almeno così credeva Jane.
Invece era accaduto: verso le dieci e mezza, nel bel mezzo del racconto di Bob su quanto fossero interessanti e fottutamente esilaranti gli scoiattoli che scorrazzavano davanti all sua roulotte, due uomini armati fino ai denti si erano inoltrati fra gli alberi ed avevano riempito di piombo i dodici presenti, o almeno ci avano provato. Jane infatti era riuscita a scappare, forse perchè era quella più vicina al furgone, dietro al quale si era riparata nel momento stesso in cui aveva visto quei due uomini avvicinarsi. A lei non piaceva farsi le canne con gli altri, li preferiva quando erano sobri. E così, aspettando che giungesse il momento in cui avrebbero spento il fuoco e si sarebbero messi a guardare le stelle – la sua parte preferita della serata, da quando aveva 13 anni – era andata a bere un sorso d'acqua alla fontanella lì vicino. Era tornata e aveva visto quegli uomini di spalle; uno dei due stava puntando la pistola su Scott. L'altro, invece, lo aveva visto di profilo. Scott, per niente intimorito, aveva alzato sorridente la canna per offrirla ai due e quello che aveva premuto il grilletto. Il corpo inerme dell'uomo che Jane aveva sempre considerato come un padre si era accasciato a terra, illuminato dal fuoco, proprio davanti a lei e a tutti gli altri ragazzi; e poi vide tutto quel sangue sgorgare senza pietà...
Jane si premette le mani tremanti contro la bocca, sgranando gli occhi. Si accucciò contro il furgoncino. Era spaventata a morte. Udì i suoi amici piangere e urlare, e poi un uomo ordinare: “Alzatevi! Alzatevi, ho detto!”. E tutta quella cattiveria ingiustificata nella voce le bloccarono il respiro. Poi altri dieci spari la assordarono. 
“Ben fatto, Hank” si era congratulato quello di cui ancora non aveva sentito la voce, lo stesso che aveva premuto il grilletto su Scott. Scoppiò a ridere un attimo dopo, e Jane li sentì schiaffarsi un cinque. Si trattenne dal vomitare: come potevano essere soddisfatti e gioire per aver ucciso delle povere persone?
“Aspetta... non erano dodici?”
“Non dire che ci è scappata!” imprecò uno dei due, sbattendo la pistola per terra. Quest'ultima ruzzolò fino sotto il fugone... proprio quello dietro al quale lei si era nascosta. Jane era paralizzata. Osservò a bocca aperta i piedi dei due avvicinarsi, con il cuore che fra pochi istanti le sarebbe esploso nel petto. Il compare di Hank si accucciò a guardare dove la pistola si fosse cacciata e, in quel preciso momento, i loro occhi si scontrarono; la sua mente accecata del terrore elaborò la scena così tanto lentamente che le sembrò che il giovane per raccogliere la pistola ci avesse impiegato degli anni.
Ora non respirava più, non vedeva più, non sentiva più niente ed il cuore aveva persino smesso di batterle nel petto; ora pensava soltanto a correre.
“Ferma! Non vogliamo farti del male!” gridò l'uomo che si era piegato a raccogliere la pistola, quello dagli occhi verdi e puri, dei quali la dolcezza non si addiceva per niente all'assassino a sangue freddo che aveva dimostrato di essere.
Jane era troppo, troppo spaventata per potersi fermare a ridere di quell'affermazione. Si voltò a guardare dove fossero, e li vide ad una ventina di metri, in mezzo agli alberi. Jane continuò a correre, mentre i polmoni le si incendiavano nel petto. Con il cuore in gola, si rese conto di stare arrancando. Ormai non ce la faceva più, le gambe le facevano un male tremendo, e la vista offuscata dalle lacrime le rendeva impossibile vedere dove si stesse dirigendo. I rami le graffiavano il viso ed i vestiti. Si sentì improvvisamente trattenuta per qualcosa. Si voltò e vide che il suo rasta preferito si era impigliato in un ramo, dal quale cercò di disincastrarlo. Sull'orlo della disperazione, lo strappò via e continuò a correre. Dopo un tempo che le parve eterno, esausta, si era gettata a capofitto sul terreno, con il respiro divenuto una serie di rantoli e il cuore che le martellava nelle tempie. Rimase in ascolto della corsa dei suoi inseguitori, distanti pochi, pochissimi metri da lì, che tirarono dritto, prendendo un'altra direzione. Si accucciò contro il busto di un albero e pianse a dirotto: proprio non riusciva credere di aver perso tutto in così poco tempo. Come se non bastasse, l'unico sentimento che il suo povero cuore, sconvolto e sanguinante, concepiva in quel momento era quel fottuto senso di colpa, che mai l'aveva abbandonata: si era solo accentuato terribilmente, quasi a impedirle di respirare. Continuava a pararlesi davanti agli occhi la vista del cadavere di Scott, del suo quasi-padre, dell'uomo che l'aveva salvata da una vita di miseria. Gli spari le rimbombavano nelle orecchie, e le lacrime continuavano a scorrere inesorabili, a rigarle il viso illuminato dalla Luna. Perchè diavolo era ancora viva, mentre tutti gli altri erano morti?
Quando i suoi nervi si furono distesi, ed il lume della ragione cominiò a farsi strada timidamente all'interno della sua mente ancora in parte accecata dal terrore, si piegò da un lato e vomitò l'anima.

 


 

 

***

 

 



Aveva dormicchiato accasciata al tronco dell'albero presso il quale si era nascosta – sperando che durante il sonno gli assassini la trovassero e facessero cessare la sue sofferenze. Tuttavia, il mal di schiena e il torcicollo non erano assolutamente niente rispetto all'indescrivibile dolore e angoscia che che la vista dei corpi dei suoi amici le aveva riportato alla luce, così come quel fottuto senso di colpa che da anni la tormentava: lei sapeva che meritava di morire assieme agli altri, di condividere con loro lo stesso crudele destino. E invece eccola lì, sopravvissuta ad una strage. Oh, ma lei non era tagliata per fare l'eroina, e nemmeno per sopravvivere; questo Jane lo sapeva bene. Eppure, per tutta la vita non aveva fatto altro: sopravvissuta alla morte dei suoi genitori, alle violenze del nonno... e adesso a questo. Le persone le continuavano a morire davanti agli occhi e lei rimaneva in vita, ingiustificatamente. Era davvero stufa di tutta questa fortuna. Jane voleva soltanto morire.

“Oh mio dio...” aveva sussurrato con la voce rotta dal pianto, quando il giorno dopo si era diretta sul luogo della carneficina. L'intera zona era stata limitata all'accesso dalla polizia, mentre un paio di auto e un'ambulanza erano parcheggiate nelle vicinanze. Alcuni uomini della scientifica, interamente vestiti di bianco, stavano camminando attorno ai cadaveri, tutti presi dalle loro analisi, fotografie e annotazioni. Lei era sull'orlo della crisi isterica. Oltrepassò la striscia divisoria con la più assoluta naturalezza, mentre si guardava intorno. Non poteva credere che fosse accaduto proprio a lei: Scott, Tiffany, Tyler, Caroline, Edward, Mike, Bob e tutti gli altri erano... morti, proprio lì, la notte prima, davanti ai suoi occhi. 
E poi il suo sguardo annebbiato si era posato sulla sua quasi-sorella. Si era abbandonata tremante sulle ginocchia sul cadavere della sua migliore amica, della ragazza con la quale era praticamente cresciuta, mentre sentiva le lacrime cominciare a scendere inesorabili, implacabili. “Zoey...” aveva singhiozzato. Prese la sua testa e la posò sul suo grembo, accarezzandole i capelli. E pianse a dirotto, mentre con la coda dell'occhio vedeva alcune persone avvicinarsi a lei, con un diavolo per capello.
“Non puoi stare qui, ragazzina” l'aveva rimproverata una poliziotta, della quale i lunghi capelli biondi erano legati in un'elegante coda di cavallo.
“Ti prego” singhiozzò “Ero qui, ieri sera. Ho visto tutto. Lasciami fare un ultimo saluto alla mia famiglia!”
Kate Backer sbuffò, la prese per un gomito e la trascinò a forza fuori dalla scena del crimine.
“No!” si dimenò Jane, supplicando in lacrime quella poliziotta dal cuore di ghiaccio “Lasciami andare, ti prego. Non capisci! Erano la mia famiglia, la mia fottuta famiglia!”. Finì così per attirare l'attenzioni dell'uomo di spalle a pochi passi dall'ambulanza, rimasto tutto quel tempo in disparte a parlare con altre persone. Jane lo vide voltarsi verso di lei e perse un battito. Nonostante egli indossasse un paio di lucenti Ray-Ban a specchio a nascondere gli occhi, ebbe la terribile impressione che fosse lo stesso che si era chinato a raccogliere la pistola sotto il furgone, poteva esserne sicura. Jane desiderava tanto che non fosse così. Le sembrava di stare letteralmente impazzendo.
“Se eri qui ieri notte, fermati un secondo, così poi ti facciamo delle domande. Va bene?” le chiese Kate, aumentando la stretta al suo gomito in modo da farsi guardare in faccia.
Jane pianse più forte. Voleva parlare, insistere, urlare o dimenarsi, invece riuscì soltanto a piangere. Nessuna parola era in grado di uscire dalla sua bocca, in quel momento. La poliziotta si tirò indietro indignata. Le sembrava di aver a che fare con suo nipote di quattro anni.
“Hey, Kate, lascia fare a me.” le sorrise Matt, avvicinandolesi e sfoderando con un lucente sorriso le sue ammallianti fossette. Si sistemò gli occhiali nel colletto della camicia, dal quale spuntavano alcuni tatuaggi colorati, mentre Jane rimase impietrita a fissarlo: nel momento stesso in cui i loro occhi si incrociarono in quella che per lei fu la seconda volta, la giovane ebbe la tremenda certezza di trovarsi di fronte all'uomo di ieri sera. Era lui. Oh merda, era proprio lui.
La poliziotta gli sorrise con gratitudine, per poi dirigersi a discutere con quelli della scientifica di cosa avessero trovato. Così, Jane rimase sola con quel ragazzo, che non poteva avere più di 25 anni. Non osava alzare lo sguardo. Non poteva guardarlo, non aveva il coraggio di avere nuovamente quella fottuta certezza.
“E così, ieri eri qui? Hai assistito alla scena?”
Jane non rispose.
“Immagino sia stato molto difficile per te, veder morire i tuoi amichetti, vero?”
“Erano la mia famiglia” gli rispose acidamente Jane. Non riusciva a credere di trovarsi faccia a faccia con l'uomo che li aveva fatti fuori uno ad uno, assieme al suo altro compare.
Matt si infilò le mani in tasca e sospirò. Poi, sorridendo maliziosamente, le rivolse quella dannata domanda...
“Hai visto chi è stato, piccolina?”
Jane esitò, irrigidendosi all'improvviso. Trovò il coraggio di alzare lo sguardo e fissarlo, con gli occhi arrossati e lucidi, colmi di rabbia trattenuta a fatica.
“No.” si limitò a rispondere.
“Un vero peccato. Adesso dove andrai? Se non hai soldi, sarà molto difficile che tu riesca a procurarti un posto dove stare.”

“Ho un lavoro in centro, nel negozio di ortofrutta di mio nonno. Guadagno abbastanza per poter badare a me stessa”, gli mentì. La verità è che non aveva alcun posto dove andare.
“Interessante. Be', direi che qui abbiamo finito. Se per caso ti venissero in mente altre cose, vieni pure da me, sarò lieto di ascoltare le tue deposizioni”, concluse, continuando a sorriderle. Le allungò un biglietto da visita e Mary Jane lo infilò in tasca senza nemmeno guardarlo. “anche se non credo tu abbia altro da aggiungere al rigurado, non è vero?”
Jane strinse i pugni e lo fulminò con lo sguardo.
“Te la farò pagare.”, biascicò a denti stretti.
“Senti, ragazzina...”, riprese Matt, chinandosi quasi alla sua altezza e fissandola negli occhi. Jane si sentì improvvisamente come nuda, piccola, indifesa e tremendamente a disagio. Poi, lo sguardo di Matt si spostò dalle sue iridi azzurre al ciondolo che portava al collo. Jane, però, non si accorse di quest'ultimo particolare, perchè aveva già ripreso a fissare il suolo, incapace di sostenere il suo sguardo.
Perchè lo avete fatto? Perchè avete ucciso delle povere persone innocenti? Che vi avevano fatto di male, eh?” mormorò la ragazza, con la voce rotta dal pianto. Sentiva riaffiorare le lacrime, ma doveva essere forte. Non poteva piangere di fronte a quello schifoso assassino, non poteva fargli capire quanto fosse debole, quanto male le avesse fatto.
Il giovane la ignorò completamente: “Capisco tu sia molto scossa per l'accaduto, però sappi che per qualsiasi cosa, io ci sarò. Il mio numero ce l'hai. Ora, se vuoi scusarmi, ho un'indagine che mi aspetta” E, così dicendo, la sorpassò, andando a raggiungere i colleghi..




 

***





Mary Jane Wilson vieni subito qui aveva gracchiato il nonno tra una bocchata di pipa e un accesso di tosse Jane senza farselo ripetere due volte era andata terrorizzata dal solo sguardo di quell'uomo abbassati i pantaloni le ordinò e lei lentamente aveva cominciato a calarli tremante e terrorizzata come sempre avviccinati brutta sgualdrina che non sei altro avvicinati di più Jane piangendo a dirotto arretrò di mezzo metro sentendosi l'attimo dopo colmare dalla felicità di essere riuscita a scacciare le brutte manacce callose dell'uomo che tormentava la sua vita da tre anni quello sì che era davvero un giorno speciale il cui ricordo le era così così confuso era un giorno speciale poi ricordò di averlo fatto incazzare perchè l'anziano ancora incredibilmente sveglio e pimpante così pimpante da far paura aveva cercato di acciuffarla e lei si era ribellata oh sì si era proprio ribellata era così incredibile che non riusciva a crederci poi all'improvviso l'uomo aveva preso a premersi una mano sul petto e si era controrto sulla poltrona mollando improvvisamente la pipa e lasciandola cadere per terra Jane si accorse che qualcosa non andava e si era allontanata ancora di qualche passo mentre al nonno schizzavano gli occhi fuori dalla orbite per l'infarto che si stava diramando Era morto era davvero morto davanti a lei e sapeva già quello che sarebbe successo oh altrochè se lo sapeva sarebbero tornati quei pulciosi assistenti sociali e l'avrebbero affidata a qualcun altro quanto voleva i suoi genitori voleva solo loro ma loro non c'erano più e così era scappata sotto al ponte accucciandosi su una specie di collinnetta all'ombra a gambe incrociate e il ricordo non era più tanto confuso quando ripensava all'uomo che poi non era nient'altro che il buon vecchio Scott che le si era avviccinata e le aveva allungato una mano sorridendo chiedendole...

“Hey, ragazza, serve aiuto? Sembri sconvolta...” si era interessata una giovane donna dai capelli corti e neri, seduta su un bidone rovesciato, la quale, vedendo Jane in quelle condizioni, aveva persino smesso per un secondo di farsi aria con il pezzo di cartone, talmente era presa dalle condizioni della poveretta.
Non le era nemmeno stato permesso di riprendere le sue cose, in quanto costituivano parte integrante delle prove di quell'orribile atto. E così, era tornata al suo luogo di origine, riparata all'ombra del ponte, assieme ad altre persone mai viste prima. In quella moltitudine, desiderava enormemente non dare nell'occhio, ma con quei vestiti color pastello tutti larghi e quella folta chioma riccia che si ritrovava, tutto questo le sembrava assai difficile.
“No. Sto bene.” le aveva risposto.
Si era seduta a gambe incrociate su una specie di piccola collinnetta, prendendo il suo ciondolo d'oro fra le mani e facendolo scorrere con la catenina in mezzo alle labbra asciutte e spaccate, inumidite ogni tanto dalla lingua; quanto avrebbe dato per un sorso d'acqua. Fissava incuriosite le persone intorno a lei, evitando allo stesso tempo di incrociare i loro sguardi. Un'altra cosa per la quale non era tagliata.
Un uomo dalla folta barba sporca e ingrigita le si era avvicinato incuriosito e Jane, allarmata, si era improvvisamente alzata dal suo angolino, sperando che egli si allontanasse. Ma, anche se qualcuno di loro le avesse fatto del male, che importanza avrebbe avuto? Aveva perso tutto.
“Via! Via!” le gridò gesticolando il barbone, dal ghigno sdentato vagamente visibile in mezzo alla folta barba sporca. “Via!”
“E' furioso perchè ti sei seduta nel suo punto preferito” le disse ancora la donna, alla quale piaceva da morire stringere amicizia con chiunque venisse lì. Sapeva infondo che fosse lei il vero leader del posto, anziché quello spilungone tuttofare del suo fidanzato.
“Oh, scusami.” arrossì Jane tutto di un colpo, andandosi a sedere in un altro angolino. Poco distante da lei, i due bambini della compagnia che avevano appena cessato di rotolarsi nel fango la stavano fissando. Jane non riuscì a sostenere nemmeno il loro sguardo, proprio non era brava in questo genere di cose.
“Non sei di qui, vero piccolina?” le rivolse la parola un'altra donna, molto più mascolina e robusta della prima. Jane la guardò in faccia e rimase inorridita nel vedere che aveva... la barba. La signora scoppiò a ridere “Non volevo sconvolgerti più di quanto tu non sia già”
“E' che non sono molto brava con le persone” si limitò a risponderle Jane, sorridendole lievemente.
“Be', se hai intenzione di restare qui, sappi che sei la bevenuta, qualsiasi cosa ti sia successa.” le sorrise la giovane donna di prima “Piacere, io sono Taylor.”
“Mary Jane.”
“Per caso... facevi parte di quella compagnia di hippie che è stata massacrata questa notte?” la interrogò la donna barbuta, che in seguito si presentò come Jessica Parker.
“Vedo che le notizie viaggiano piuttosto in fretta...”
“Be', cara Jane, non è così usuale vedere gente da queste parti girare conciata come te”
“Jessica...” la riprese Taylor, bloccando il pezzo di cartone a mezz'aria per la seconda volta di fila; Jane successivamente capì che quell'azione era ciò che involontariamente Taylor faceva ogni volta che qualcosa di molto importante attirava la sua attenzione all'interno di una conversazione.
“Che c'è? Lo sai che sono sempre molto diretta”
Taylor alzò gli occhi al cielo, per poi alzarsi dal suo bidone e avvicinarsi a Jane.
“Mi piacerebbe che tu restassi con noi, fa sempre comodo qualche ragazza in più. Questo posto sta diventando pieno di stupidi uomini puzzolenti...” si lamentò Taylor, mentre Jessica scoppiò a ridere; una risata molto... mascolina.
“Non ho voglia di unirmi a nessuno per ora.”
“Tay, è appena sopravvissuta ad una strage orribile. Perchè devi già cominciare a farle queste pressioni? Povera piccola...”
“Non fa niente. Sto bene.”
Seconda volta che lo ripeteva, seconda volta in cui non era affatto vero. Avrebbe voluto molto volentieri affogare in quel bel fiume che si trovava lì vicino. Affogare e liberarsi una volta per tutte di quel fottuto peso sullo stomaco.
“Oh... scusami Mary Jane, sono troppo impulsiva. I-Io non...”

“Hey, davvero, non fa niente.” le sorrise. Era così bello quando qualcuno si preoccupava per lei. “Però adesso avrei proprio bisogno di un secondo per rimanere sola. Sono successe così tante cose...”
“Oh, certamente!” esclamò la donna, arretrando e andandosi a risedere sul suo amato bidone rovesciato, riprendendo a farsi aria.
Jane andò a sedersi in riva al fiume, camminando con i piedi sanguinanti e doloranti sui ciottoli bollenti, cercando di allontanarsi il più possibile dagli altri. Le piaceva così tanto stare da sola, a pensare e farsi delle domande. Il rumore del fiume le faceva dimenticare qualsiasi cosa. In quel momento, distesa al sole, con i piedi a mollo nell'acqua fresa, con gli occhi chiusi, lei non era più Mary Jane Wilson, quella che sopravviveva sempre a tutto, quella che non voleva tutta la sua fortuna: lei era molto più lontana, volava alta nel cielo con le sue grandi ali, le ali di un gabbiano. Talvolta invidiava così tanto quei meravigliosi uccelli, in grado di fuggire, volare lontani dai propri problemi, lasciarsi le proprie sventure alle spalle. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere un gabbiano, volare oltre le nubi, sorvolare la sua amata spiaggia di Huntington Beach, vedere il mondo da una diversa prospettiva; qualsiasi cosa.
Sospirando, si appoggiò distrattamente con i palmi delle mani sui ciottoli e, quando dopo un po' cominciarono a farle male, se le mise in tasca di quei pantaloni di cotone. Aveva caldo ma non le importava. Si accorse in seguito di avere ancora il biglietto con su scritto il numero di quel poliziotto bastardo e lo tirò fuori per gettarlo nel fiume. Quando però ce lo ebbe fra le mani, oltre a contraere la mascella per la rabbia che provava nei confronti di quello spietato assassino, si accorse che sopra a quel piccolo foglietto non vi era scritto alcun numero, ma soltanto una piccola frase scritta a mano.




“C'è stato un errore”



Con il cuore che le scoppiava, accortocciò il biglietto e lo gettò nel fiume. Si alzò, salutò Jessica e Taylor e corse a prendere un autobus, in direzione della fermata di polizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:
Come state, cari lettori? Sapete che sono sempre qui a rompervi con le mie storie, ormai dovreste averci fatto l'abitudine! Efp dovrebbe tremare, se dico che ho altre due storie pronte da essere pubblicate. Fra le tre che ho a disposizione, questa oltre ad essere la più recente, è anche l'unica ad essere ambientata in contesto reale, dato che le altre due sono molto più sul genere new-gothic che mi piace tanto. Avevo voglia però di pubblicare qualcosa di diverso da Bloodline, e quindi eccomi qui!
Questo capitolo mi sembrava abbastanza esplosivo da poter essere pubblicato, mi scuso davvero tanto se la scena iniziale vi ha disturbati perchè un po' cruenta e inspiegabile, ma ormai dovreste aver capito che sono una vera e propria amante di tutto questo spargimento di sangue, don't blame me.
Primo capitolo e ho già inserito qualche piccolo, piccolissimo colpo di scena, tanto per mantenermi in allenamento.
Spero che questa storia vi abbia colpiti e se sì, recensite e aggiungete alle preferite! Vorrei tanto, tantissimo sapere cosa ne pensate, e vorrei che esprimeste la vostra opinione su queste mie solite idee malsane.
Se vedo che questa storia subirà parecchi apprezzamenti, allora la continuerò.

Alla prossima!
 

   
 
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