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Autore: Javaadda    28/05/2015    1 recensioni
"E’ che lo sento indistintamente presente in ogni mio gesto, come se fosse la ragione di ogni sorriso, lacrima, e gioia, come se l’avessi odiato a tal punto da amarlo. Ma non lo amavo nel modo giusto. Lo volevo possedere come fosse un pezzo da vetrina, il pezzo che ero riuscita ad aggiustare. Ed ero ossessionata da quell'idea. Ma l'ho volontariamente allontanato da me. E potrei perfino continuare a scrivere di noi sui muri, sui libri, in ogni pagina, frase o parola ma non ci siamo più, e non ho forze per inventarci di nuovo."
|Loe|
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo corpo era rigido, nonostante la situazione. Un insieme uniforme di muscoli tesi, come fosse impostato a mantenere una posizione di continua difesa. E le sue labbra, assieme alla sua voce, evocavano al contempo un'espressione di equilibrio che contrastava le sue logiche fisiche.

Non c'era un tassello fuori posto, eppure io ero lì.

In un breve attimo, incastonò i suoi occhi nei miei, e quel gesto mi sembrò velato di una bellezza profonda. Come se di occhi come quelli, non ne potessero realizzare migliori. E le mie fragili dita, non sembrarono bramare di meglio che affondare in essi, ed esternare cotanta bellezza, dall'impurezza della sua quotidianità.

< Cosa non ti piace di te? > chiese d'un tratto.

In quel tratto sentii me stessa, affiorare come se dopo quattro lunghi anni, fossi riuscita a sopravvivere. Mi sentivo una tagliente scheggia di legno incastrata tra le costole e lo sterno di uno sconosciuto, che non riusciva ad espellermi.

Ero l'alone di un piano mancato, di un uomo mancato.

E sentivo affianco a me, un'altra scheggia farsi spazio tra la carne lacerata del corpo sconosciuto di cui mi ero impossessata, e quella scheggia era il mio nemico, di fronte a me.

Deglutii, rumorosamente.
< Dedico ogni parte di me a chi amo. > 
< Ed è sbagliato? > socchiuse gli occhi. 
< Potrei innamorarmi e perdere ciò che sono. > sogghignai. 
< Cosa sei? > soggiunse. 
Un'anima dalla forma indefinita, che ha preso vita in un corpo incapace di contenerla. > 
< Te, cosa sei? > chiesi, poggiando il mio peso al lato di un muro dall'intonaco scorticato. 
Sono un corpo senza anima. >

Ci eravamo scelti tra persone, che le scelte le sbagliavano ogni giorno.

Si poggiò al mio fianco, facendo sbattere scoordinatamente, e in modo irregolare, la spina dorsale, fino a farla aderire al muro alle nostre spalle.

< Gli altri hanno paura di te, per ciò che fai? > sussurrai.
< Nessuno sa, oltre te e Fred. > indugiò.
< Lo terrò segreto, se è ciò che mi stai chiedendo, ma ricordati che hai tempo per cambiare strada. > indugiai, di rimando.
< Non posso più tirarmi indietro, Noemi. Sei arrivata troppo tardi. >

Tempestò impetuoso i suoi occhi nei miei.

< E se fossi arrivata quattro anni fa, avrei potuto impedirti tutto ciò? > rabbrividii al ricordo di quell'anno.

L'anno in cui fui privata della mia libertà.

< Quattro anni fa, saresti stata la mia scelta. >

Sentii una fitta allo stomaco, di quelle che ti mozzano il respiro, e ti fanno ansimare. E sentii dolore, a tal punto da maledire il tempo.

Avrei voluto farci sviare le strade poste dinnanzi a noi, le strade che ci avevano portato l'uno contro l'altro.

Le strade che quell'oggi si erano incrociate, consapevoli di distanziarsi nuovamente.

Osservai l'orologio stretto al mio polso, dal cinturino di cuoio color amaranto, e dalle lancette dall'oro comparabile ai miei capelli.

< Devo andarmene. > affermai. 
< Ma è presto. > disse, e le parole gli si smorzarono in gola alla vista dell'orario. 
< Dammi il tuo numero. > affermò.

Afferrai il telefono dalle sue mani e digitai dieci numeri, poi glielo porsi di nuovo.

Le sue dita affusolate, scontrarono il mio palmo gelido, in un breve istante necessario a procurarmi la pelle d'oca.

< Probabilmente non ci rivedremo fino alla prossima estate. > disse, attendendo un mio contro-battito.
< Scommetto che ci rivedremo, Lorenzo.> ammiccai.

Una squillante risata tuonò dalle sue labbra, e quest'ultima comportò l'eco della mia.

Era bella la luce dei nostri sorrisi, la bipolarità della nostra gioventù.

Abbandonai quel luogo che di noi sapeva tanto, ne aveva proprio il sapore, e lo sentivo tra le labbra.

Raggiunsi Alessia alla sua auto, me ne andai con il suo odore incastonato in ogni arto. Lasciai Lorenzo con il cuore colmo di una sensazione di inadeguatezza mai provata prima.

Mi sentivo come se quel luogo che di bello non aveva nulla, fosse il più adatto a noi. Mi pareva che tutto potesse mantenersi solo in posti come quello.

D'altro canto speravo che non potesse continuare altrove.

Era tardi quando il motore si spense e mi ritrovai ad ammirare la dolce e armoniosa struttura della villa di mia cugina. I fiori aleggiavano leggiadri nella fresca brezza notturna, e l'immensa distesa di prato mostrava la rugiada brillare sotto i bassi e tozzi fari che ospitava il giardino.

Alessia aveva i capelli color mogano, che con corrompenza riportarono alla luce il volto del cassiere, seduto a gambe cianche sullo sgabello girevole dietro il bancone.

E possedeva i miei stessi occhi, dal color comparabile alla nocciola.

Ma, al contrario mio, aveva una corporatura minuta. Ogni suo arto era studiato in modo tale da completarne l'altro.

Entrammo in casa sua con cautela, intente a mantenere lo stato di quiete che predominava prima del nostro arrivo, e ci sistemammo sulle lenzuola candide del suo letto matrimoniale.

Ci guardammo, con i volti scavati ed i vestiti ancora avvinghiati al corpo.

Ci guardammo, e ci perdemmo nella presenza di noi stesse, nell'altro.

Avrei voluto farle provare le mie stesse sensazioni, l'adrenalina, il terrore, la sorpresa.

Avrei voluto tanto fare la mossa giusta.

< Stai bene? > chiesi.
< Si, sono solo stanca. > affermò. 
< Non ti merita, lo sai? > sussurrai, trasportata dal suono lieve del vento.
< E te, lo meriti? > stridette.

Cercai i suoi occhi, ma non mi concesse di osservarli.

< Sai perchè lo faccio. > ringhiai. 
< Non avevo capito dovesse nascere qualcosa tra di voi. > Prese a mordersi le unghie, segno di nervosismo che l'accompagnava dall'infanzia. 
< Devo arrivare a conoscere i suoi punti deboli, Alessia. > Allungai la mano per afferrare la sua, ed il suo sguardo lentamente si incatenò al mio.

< Mi dispiace. > ammise.
< Mi dispiace, cazzo. > soggiunse, portando lo sguardo sulla finestra socchiusa.

Si mosse a disagio, si fece piccola tra quelle lenzuola che in sere come quelle non servivano neanche.

< Non scusarti. > soffiai esausta.
< E' difficile stargli accanto? > disse, e sospirò.

Avvertii i muscoli contrarsi sotto il sottile strato di pelle che avvolgeva le miei ossa.

< Si alternano istanti in cui la mia voglia di ferirlo supera ogni mio schema. > ammisi.
< Dovrai farlo, arriverà il momento in cui il tuo rancore troverà una via di fuga. > 
< Quella via non ti piacerà, Ale. > mi distanziai dalla sua ombra.
< Tu non pensare a me. > disse, e sorrise leggermente per alleviare la tensione lentamente ancorata ai nostri sguardi.

Ridemmo assieme, istericamente.

Forse per tutta la sera, oppure solo un'istante prima di cadere sfinite sul materasso. 
Senza una giusta causa e ragione, non ci serviva neanche.

Ed il tempo, per una volta, non mi remò contro, ma viaggiò con me.

Tutto il resto scomparve perchè c'eravamo noi, e ci bastavamo.
E c'era la voglia incontrollabile di proteggersi a vicenda, che ci avvolgeva le ossa.

Ma quando pensai che la ragazza posta affianco a me, sdraiata distrattamente e imperfettamente sul quel letto, dormisse, questa aprì bocca.

< Posso accettarlo.. > biascicò. 
..puoi fingere di esserne innamorata. > 
< L'amore non potrà cambiarlo. > sussurrai.
< Lo so, ma le tue menzogne si. > sospirò, sommessamente.
< Buonanotte, Ale. > le accostai il mento sotto la coperta. 
< Notte. > mi parve di udire, come risposta.

La mia vita aveva degli schemi, era una struttura uniforme di piani. Piani colmi di menzogne, false speranze, giochi di parole. Avevo creduto di vedere il cielo stellato una volta arrivata al traguardo.

Avevo basato i miei movimenti sulla consapevolezza che sarei stata in grado di resistere alle tentazioni.

Avevo creduto Lorenzo non racchiudesse altro che il segno indelebile del sangue dei suo cadaveri, eppure qualcosa mi rincuorava che quella strada non se l'era consapevolmente cercata.

C'era finito dentro, trasportato da una forza maggiore della sua. 
C'era finito dentro, allo stesso modo in cui mio padre, in tempi remoti, era finito sulla strada del buono. 
Allo stesso modo in cui io, sono finita a cercarlo.

E non avevo mai visto le stelle brillare così prima di noi.

Al mio risveglio, i miei pensieri intrecciarono la visione della pistola che aderiva alle sue mani lattiginose. L'impugnatura perpendicolare all'asse della canna, l'assenza di una calciatura fissa, la sua leggerezza, l'agevolezza di ogni suo movimento.

Il mio corpo iniziò a sudare freddo.

Alessia mi accompagnò davanti casa dei miei nonni, e si diresse verso quella dei suoi. Girai la chiava del cancello sgualcinato. La sua pittura bianca mostrava parti scoperte, dalle quali si affacciava il corrompente colore della ruggine. Il viale era contornato da alberi di mandarini, e l'odore di quest'ultimi fluttuava nell'aria afosa.

< Buongiorno. > affermai irrompendo nella sala centrale.

Mio nonno se ne stava sdraiato sul divano di camoscio, rivestito da una coperta color rosa pastello. 
I suoi occhi erano contornati da un giallognolo intenso ed il suo sguardo era spento.

< Come sta? > chiesi, posando un leggero bacio sulla guancia di mia nonna.

Quest'ultima, intenta a sciacquare le poche stoviglie usate, interruppe le sue faccende. 
E posò lo sguardo su suo marito.

< Come vuole il Signore. > affermò, con voce tremante.

I suoi occhi erano imperlati di tristezza e la sua pelle era traslucida.

< Te, come stai? > chiesi rivolgendomi a lei.

I suoi capelli, al contrario del suo solito, erano disfatti e il colore ambrato aveva lasciato spazio alla ricrescita bianca. 
La sua pelle era ricoperta di piccoli ematomi, e il suo volto era invecchiato, lasciando in bella vista le marchiate rughe.

< Non è importante. > ammise.

Non riuscii a sostenere il suo sguardo, perché mi sentii trafitta dal dolore di qualcun'altro, che non era il mio, e non lo volevo. Perché la mia vita era quell'oggi, era presente, e gli eventi altrui mi distraevano dal viverla nel mio volere. E mi sentivo in colpa per sentirmi affranta dal peso della vita che mi derubava mio nonno, ma non riuscivo a evitarlo.

Era come se, in cuor mio, dovessi prendermi a dosso il peso di mia nonna, e trascinarlo con me perché mio dovere alleviarlo. Ma non lo volevo quel dolore, non le volevo altre promesse da mantenere.

La mia vita ne era piena, me ne strabuzzava l'animo.

< Potrei parlare con nonno? > sussurrai.

Lei annuì, e mi diede un sottile bacio sulla guancia, prima di chiudere la porta alle sue spalle.

< Nonno, ho conosciuto suo figlio. Ha ucciso davanti a me, e non sono riuscita a fare niente per impedirlo. >

I suoi occhi si socchiusero per qualche istante, ma mi esortì a continuare.

< Troverò il suo punto debole, ma cosa dovrò compiere una volta che l'avrò tra le mani? >

Le sue labbra si schiusero, ed un sospiro sussurrato disperse il suo alito nella stanza.

< Dovrai sottrarglielo. > soffiò, con un voce talmente sottile da sembrare immaginaria.

Il mio respiro si perse nella sua stessa irregolarità, e mi sentii avvampare il cuore.

< Ciao, nonno. Rimettiti. > urlai, prima di sbilanciarmi in una corsa squilibrata.

Uscii di casa affiatata, quelle mura parevano stringersi ad ogni mio passo, mi mancava l'aria.

Continuai a correre fino ad imboccare le possenti scale che mi avrebbero condotto all'ultimo piano del palazzo di Ivana, la nonna di Alessia.

Suonai il citofono lasciando scivolare la mia mano sudata sul bottone di plastica alla mia destra, ed un rumore assordante invase le mie orecchie. Ivana sorridente davanti al mio esile busto, mi aprì il portone.

Affondai le mie braccia nelle tasche del suo maglione, e mi strinse in un abbraccio confortevole.

Ma appena vidi affiorare un chioma ribelle alle sue spalle, mi avvinghiai alla esile figura di mia cugina, e ogni cosa sembrò colorarsi di verde.

verde era il mio colore preferito, perché non è che segni la speranza, quella no, ce la devi avere dentro.

Ma segna la vita, la felicitàl'eternità di un gesto, e noi eravamo tutto questo.

| Certi luoghi, certi calori, certe persone, ti paiono casa, anche se sei lontana da essa. |

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Angolo autrice: Mi presento belle pimpe, sono Noemi, compio 15 anni a novembre, e adoro scrivere, il mio più grande sogno infatti è pubblicare un libro. Vorrei sapere che ne pensate della storia, perchè per me è davvero importante, e se ci sono errori o passaggi che si comprendono poco, siete pregati di scrivermelo sotto, sono pronta a qualsiasi opinione, ma fatevi sentire perfavore. Ciao a tutte, un bacione. Noemi :)

  
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