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Autore: Writer_son of Hades    30/05/2015    2 recensioni
In un passato lontano, gli uomini stavano distruggendo la terra. Gli dei, vedendo queste atrocità, scesero nel mondo e devastarono l'umanità. Solo un uomo e una donna, per ognuno degli dei esistenti, vennero salvati per diventare figli del dio che li aveva scelti.
Nel loro sangue di mortali, scorreva anche una parte dell'icore dorata degli dei. Generazioni e generazioni di discendenti si precedettero, portando pace e rispettando per gli dei e per la terra dove vivevano.
Mille anni dopo, una ragazza mortale, discendente di nessun dio, si ritrova a dover affrontare il suo destino.
Sarà veramente pronta ad abbracciare il ruolo così importante che le spetta?
(per questa storia ho preso spunto da alcuni aspetti della saga di "Percy Jackson")
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V









               Ero sicura di trovarla esattamente come l’avevo lasciata.
Ci vollero quasi due ore per raggiungerla, ma la strada la ricordavo bene. Arrivammo per il tardo pomeriggio e la roccia era calda dai raggi del sole della giornata.
L’avevo trovata due anni prima e ci avevo vissuto fino a quando l’Armata è venuta a controllarla e per poco non sono stata presa. Da allora non ci sono più tornata per paura di essere catturata, ma ora il cartello: “Miniera abbandonata. Non entrare.” mi dava un po’ di speranza.
                – Seguitemi e, per favore, attenti a dove mettete i piedi. – raccomandai loro.
Con una pietra ruppi il lucchetto del vecchio cancello arrugginito e con un spinta lo aprii. La miniera da fuori sembrava una semplice grotta davvero piccola, ma nessuno conosceva i suoi segreti come me. Entrammo nel condotto principale dove c’erano ancora le rotaie.
                – Aiden, vieni davanti con me per fare luce. – gli ordinai. Lui non disse niente e mi affiancò togliendosi il cappuccio. Subito il passaggio si illuminò e riuscii a distinguere le pareti famigliari. Dentro faceva freddo ed era umido, così cercai di affrettare il passo per portarli nel mio posto segreto.
Dopo un po’ di tempo nella galleria principale, mi fermai davanti ad una rientranza sulla destra. Feci cenno a Aiden con la mano di avvicinarsi e notai che era stata sbarrata con delle assi di legno. Sopra un altro cartello diceva di non passare. Sorrisi.
Staccate tutte le assi, il foro di circa un metro di diametro si aprì davanti a me. Andai per prima, seguita subito dopo da Aiden e Arcadio. Il buco era solo un’apertura per entrare in un corridoio secondario. Era lungo e alto e la temperatura era più secca e piacevole rispetto a quella della miniera. Quando tutti furono entrati, rimisi apposto le assi e ricominciai a camminare lungo il corridoio buio.
Contai attentamente i passi. Ventitré….ventiquattro….venticinque…venitsei…. mi bloccai.
                – Fate attenzione, qui iniziano le scale. – annunciai.
Aiden era al mio fianco e cominciammo a scendere i gradini in granito che portavano sempre più in profondità.
                – Ma, esattamente, dove stiamo andando? Dritti negli Inferi? – chiese Samuel.
Io ridacchiai. – Siamo quasi arrivati.
Infatti, dopo poco, i gradini terminarono e chiesi a Aiden di smettere di brillare. Lasciai i ragazzi al buio e armeggiai con lo zaino per tirare fuori i fiammiferi. Nel giro di poco avevo acceso tutte le lanterne nella grotta lasciando i ragazzi a bocca aperta.
Fissavano il soffitto che riluceva sotto la debole ma efficace luce delle lanterne. La volta, a cinque metri d’altezza, era completamente ricoperta di cristalli che luccicavano quando venivano colpiti dalla luce. La grotta sarà stata grande come un soggiorno di una casa, ma io ci ho sempre vissuto bene.
                – La temperatura è ottimale. – cominciai. – D’inverno è caldo, per via del vulcano che si trova sotto i nostri piedi. – quando lo dissi, mi guardarono impauriti. – Tranquilli, è spento da tempo ormai. Seguitemi che vi mostro il resto.
Li invitai a spostarsi in una stanza vicina. Dopo aver acceso le lanterne inizai a spiegare: – Questa è una piscina naturale con l’acqua che viene dalla sorgente e riscaldata sempre dal vulcano. – dissi mostrando loro il bacino circolare che usavo come vasca da bagno. Era circa di sette metri di diametro, ottimale per rilassarsi.
Mi mossi nella stanza vicino e mostrai un’altra caverna dove passavo l’estate. Era più grande di quella all’entrata e più fresca. Poi la piccola sorgente di acqua pulita e fresca che sgorgava da una rientranza sulla parete. L’acqua aveva corroso la roccia fino a formare una bacinella per contenerla. Infine li portai a vedere la latrina che avevo costruito da sola e la piccola dispensa. C’erano ancora dei barattoli di fagioli e carne in scatola. Per la latrina, avevo trovato un canale che fuoriusciva dalla miniera e ci avevo costruito sopra una tavoletta di legno come water.
                – È incredibile. – disse Samuel quando fummo tornati nella stanza principale.
                – È stato più un colpo di fortuna, forse. – risposi. – Questo posto l’avrà sicuramente usato qualcuno prima di me. Io sono stata solo molto fortunata a trovarlo e a tenerlo nascosto.
Elai estrasse dei teli dal borsone che si era portata a presso e li stendemmo a terra al centro della stanza, il posto più caldo. Il pavimento sembrava veramente riscaldato e mentre mangiavo la mia razione di carne in scatola, pensai che mi era mancato davvero quel posto.
Dopo il disastro di Quella notte, sono stata costretta a scappare per molto, troppo tempo. Dopo qualche anno che ho passato in mezzo alla strada, mi sono imbattuta in questo posto, quasi per caso. È stato un vero e proprio colpo di fortuna. Mi sono rimessa in piedi e ho riorganizzato la mia vita, decisa a sopravvivere.
                – Domani dobbiamo andare a cercare i fratelli di Ecate.– disse Aiden rompendo il silenzio.
                – E Dasos? – chiesi io. Non che mi importasse di quel tipo, ma sapeva qualcosa sulla mia famiglia e io dovevo sapere cosa.
                – Non è la priorità ora. – continuò il discendente di Apollo. – Dovremmo anche prendere provviste e delle coperte se vogliamo che questo diventi il nuovo quartier generale.
                – Aspetta cosa? – domandai tutto d’un fiato. – Quartier generale?
                – La casa di Dasos non è più sicura. – si intromise con un tono più dolce Arcadio. – Avranno cercato nostre tracce e forse distrutta. Non possiamo tornarci.
Il tono del ragazzo era assente.
                – Andrà bene. – ci rassicurò Samuel. – Domani è un altro giorno. Cerchiamo di essere positivi.
E detto questo si sistemò sulla coperta per riposare. Elai lo imitò e si mise vicino a lui. Achlys si distese poco dopo sulla sua e Aiden andò a posizionarsi vicino al muro.
Io guardai Arcadio.
                – Buonanotte. – gli dissi. Per poi stendermi a mia volta.
Lui non rispose, ma lo sentii stendersi vicino a me e avvolgerci con la sua coperta. Il suo profumo di foresta mi rilassò completamente.
 

                Nonostante il silenzio, il buio e il calore, non riuscii a chiudere occhio. Forse per la curiosità o per chissà che cosa. Mi voltai trovando il corpo di Arcadio. Non riuscivo a vedere il suo viso, ma sentivo il suo respiro caldo che mi sfiorava le guance.
Era tanto che non sentivo la presenza di qualcuno così vicino.
Ad un certo punto iniziai a sentire caldo. Troppo caldo. Il respiro mi diventò pesante e non riuscii più a sopportare la sua vicinanza. Mi alzai senza fare rumore e mi misi seduta lontana dal suo corpo.
Da quando condividevo il mio letto con qualcuno? Non mi riconoscevo più. Io ero abituata a viaggiare da sola, a cavarmela contando solo sulle mie forze. E a me bastavano.
Mi misi in piedi, non riuscendo a dividere la stanza con altre cinque persone. Con altri cinque sconosciuti.
Nel buio, camminai sicura verso l’entrata della piscina naturale. Sapevo dove andare, riconoscevo la strada. Arrivata alla stanza, tirai dritto nell’opposta direzione rispetto alla latrina, imboccando un corridoio più stretto e nascosto. Quel posto non lo avevo mostrato agli altri.
Continuai per pochi metri per il corridoio di roccia, ma ad un certo punto mi bloccai di colpo. Sentivo qualcosa di strano, qualcosa di diverso in quel luogo, qualcosa che non mi era famigliare. Mi voltai di scatto e presi la mano dello sconosciuto che mi aveva seguita e gliela torsi dietro alla schiena per tenerlo fermo.
                – Sono io. – sentii dire con voce mozzata.
                – Arcadio? – l’odore di selva l’aveva preceduto. Ma non mollai la presa. – Perché mi hai seguita?
                – Credevo volessi scappare. – poi lo sentii ridacchiare. – E poi, ti seguirei ovunque.
Lo mollai in malo modo, arrabbiata per il suo atteggiamento. – Sei odioso.
                – Oh, andiamo. Ammetti che adori la mia compagnia.
Sbuffai a ricominciai a camminare per il corridoio. Ma lui mi fermò prendendomi un braccio.
                – Dai, voglio davvero venire con te. – mi supplicò.
                – No.
                – Se non mi fai venire, mi metto ad urlare.
Maledetto.
                – Okay.
Ricominciai a camminare seguita da lui. Ci volle poco per arrivare all’entrata della stanza.
Dopo qualche secondo sentì un sospiro venire dalla sua parte. Pure io ero rimasta colpita la prima volta che l’avevo visto.
La stanza nascosta non era tanto grande, più o meno come la principale. Era per metà ricoperta da acqua. C’era una sorgente sotterranea che creava un piccolo lago che fluiva poi nella piscina naturale. Ma la cosa incredibile era il muro di fronte a noi. Lucciole di colorazioni fra il verde acqua, l’azzurro e il blu illuminavano la volta della grotta come milioni e milioni di lucine. Avevo imparato a conoscerle. Erano lucciole devote ad Ade, create per vivere in ambienti sotterranei.
                – È incredibile. – disse.
Mi sedetti sulla riva rocciosa e lui mi imitò, rimanendo sempre con lo sguardo verso le piccole luci.
Mi voltai verso di lui. I miei occhi si erano abituati all’oscurità e vidi i tratti del suo viso. Gli occhi riflettevano la luce azzurrina delle lucciole e la bocca era increspata in un sorriso.
                – Ma perché ce l’hai nascosto? –  mi chiese guardandomi. Forse anche lui si era abituato a quella luce.
                – Non lo so. – era la verità. – È il mio posto speciale. Ma non voglio che tu lo dica agli altri. Dovrà essere un segreto, chiaro?
                – Nemmeno fosse il tuo covo. – scherzò.
Io rimasi seria.
                – Okay, va bene. Non lo dirò a nessuno. Solo se tu mi prometti che possiamo tornarci quando vogliamo. – mi fece promettere.
                – No.
                – Sai, sento che è davvero da troppo che non caccio un urlo…. Potrei provare a vedere se riesco ancora a-
                – Prometto. – acconsentii a denti stretti. Lo sentii ridacchiare. Quanto mi dava sui nervi.
 
Restammo in silenzio ad ammirare le lucciole. Mi era mancato questo spettacolo.
               
                – Ti va di fare un bagno? – mi domandò improvvisamente.
                – Adesso?
                – Perché no? È buio, non posso vederti se ti spogli. – disse. E poi temei che facesse la sua solita battuta. – Tanto, ti ho già vista praticamente nuda.
                – Sapevo l’avresti detto. – ammisi.
 
Ancora silenzio.
Poi Arcadio cominciò a intonare un motivetto con le labbra chiuse. Non conoscevo quella canzone, ma la melodia era dolce.
                 
                It goes like the clouds,
                It floats like the sky,
                I want to go someplace and find you there.


Cantò quei versi sussurrandoli. La sua voce era graffiata mentre canticchiava il resto della canzone.

               Don’t go away,
               I need you to stay,
               I want to go someplace and find you there.

               And yes, you just run to him
               and I'll be down on my knees begging you
               Begging you "don't- I love you."


Non lo fermai. Era davvero bella. Chiusi gli occhi e mi immerse in quelle parole.

               I saw through your lies,
               I saw through your disguise,
               I want to go someplace and find you there.


Non so perché, ma una lacrima uscì involontariamente e mi strisciò la guancia. La lasciai correre, affidandomi all’oscurità.

               Don't go away,
               I need you to stay,
               I want to go someplace and find you there...

               I want to go someplace and find you there...

Aspettai un po’ prima di parlare. Mi sentivo così perdutamente sola in quel momento
                – Quando avrò delle risposte? – mormorai.
                – Mi dispiace averti trascinata dentro a questo. – era sincero. – Ma prometto che presto capirai molte cose. Dovrai solo avere un po’ più di pazienza.
Io abbassai lo sguardo. Erano anni che aspettavo delle risposte su tutta la mia vita. E ora che ero così vicina, nessuno mi diceva niente.
Qualcosa di insolito mi distolse dai miei pensieri.
                – Hai sentito? – domandai in un sussurro ad Arcadio.
                – Cosa?
Ancora quel fruscio.
Mi alzai lentamente e senza fare rumore, cercando invano di vedere attraverso quel muro di tenebre che mi circondava. Arcadio mi imitò, rimanendo in silenzio. Forse anche lui aveva sentito quel rumore.
Strinsi le mani a pugno, pronta a colpire se necessario, ma era impossibile che qualcuno avesse trovato quel posto.
Un fruscio e mi attaccò senza che nemmeno me ne accorgessi. Volai a terra a sbattei la schiena sul suolo duro, togliendomi il respiro. Poco dopo sentii un altro fruscio e anche Arcadio finire a terra. Tossii per riprendermi e mi rialzai. Qualcosa mi fece ricadere in ginocchio con un colpo allo stomaco ben piazzato.
                – Chi sei? Mostrati! – dissi con la voce mozzata. Mi tenni la pancia dolorante e cercai di rialzarmi.
                – Si cela nell’oscurità colui che non vuole mostrarsi.
La voce era così famigliare che per un secondo mi bloccai.
                – Perché sei qui? Come hai trovato questo posto? – chiesi ancora sperando di risentire quella voce.
La risposta arrivò poco dopo: – Questa è casa mia, siete voi gli intrusi.
Ancora quella sensazione. Ma perché?
                – Avevi detto che era sicuro. – disse fra i denti Arcadio al mio fianco.
                – Ti conosco? – continuai senza prestargli troppa attenzione.
                – Le ombre le hanno tutti, ma nessuno le conosce davvero.
                – Basta giochetti. – sbuffai. – Il mio nome è Skia. Figlia di Loudas e di Vasilissa. – dovevo cominciare da qualche parte. E quella voce mi diceva qualcosa. – Mortale.
Quando ci si presentava, prima si diceva il nome, poi i genitori, poi la discendenza. Nel mio caso nessuna.
Ci fu silenzio e temei che se ne fosse andato.
                – No.
                – No? – ripetei.
                – Non sei mortale. – ancora silenzio. – Sei una delle ultime discendenti di Ade.
                – Come lo sai? – non credevo alle sue parole.
La voce non mi rispose subito. Ma quando parlò, il tono sembrava rotto internamente.
                – Generazioni si sono susseguite. – cominciò. – Nostro padre lo era. E suo padre prima di lui.
La luce di un fiammifero illuminò una lanterna. Quella piccola luce mi sembrò accecante dopo tutto quel buio. Prima vidi solo una mano ricoperta da un guanto senza dita. Poi il raggio luminoso si ingrandì e riuscii a distinguere il volto della voce.
Capelli neri e sbarazzini del colore della pece. Occhi profondi e scuri dove affogare. Pelle pallida e cerea.
                – Ciao sorellina. – disse la voce. – È un po’ che ti cerco.






Nota dell'autrice: Allooooooora? Che ne pensate? Più o meno decente?? Lo spero...
Bé ho finalmente finito tutte le verifiche e interrogazioni di quest'anno!! Dei sono così felice! 
Un saluto a tutti quanti e spero che finiate anche voi con la scuola 
un abbraccio
Silvia
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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