2. The
World's Under There
Il locale, aveva garantito Magnus, era uno dei
migliori. Era incastrato tra una tabaccheria e un Internet point, ridotto,
almeno agli occhi di chi non sapeva vedere, ad una vetrina spoglia e
incerottata. Lo stregone aveva impegnato i minuti di tragitto per spiegare che
qualche anno prima quello spazio aveva ospitato un bar niente male, e che
qualche anno prima ancora era invece stato una lavanderia, e che ancora qualche
tempo prima era stato un rivenditore di dischi usati. Alec e Jace, che lo
seguivano con una certa riluttanza, si erano fermati alla versione, datata anni
Quaranta, secondo cui il famoso locale che stavano per visitare fosse stato una
macelleria gestita da un poco raccomandabile italo-americano. Oltre non lo
ascoltarono.
Nessuno dei due era stato entusiasta di sapere
che con “domani” Magnus e Izzy avevano inteso “subito dopo la mezzanotte”. Così,
solo qualche ora dopo la chiacchierata con il Sommo Stregone, erano stati
costretti a calarsi anima e corpo in quella sfida che ancora non li convinceva
nemmeno per metà. Quanto a chi prima dovesse abbracciare la causa dell’altro,
Magnus aveva avuto la grande idea di lasciare che a decidere fosse il
Presidente.
«È un ottimo giudice», aveva asserito con una
punta di sdegno quando Jace aveva sollevato delle perplessità. «Sapete che in
base alla curva della sua coda si riesce a leggere l’oroscopo?»
Non che ci credessero. A detta sua, quel gatto
sarebbe stato persino in grado di giocare una partita a Risiko, peraltro
vincendo. Gli concessero l’affermazione solo perché non volevano ricascare in
un’altra discussione con il rischio di sorbirsi i commenti di Isabelle,
accoccolata sul bracciolo del divano e pronta ad intervenire per il solo, sadico
gusto di vederli coinvolti in quella stupidaggine. Quasi si divertiva. Togliamo
il quasi.
Fu una decisione sofferta; non per il
Presidente, che se ne rimase quasi un quarto d’ora seduto in mezzo al tappeto a
fissare prima uno e poi l’altro, nel completo silenzio dell’appartamento,
dilettandosi nel frattempo in una metodica pulizia dei cuscinetti delle zampe. Cento
dollari tondi che non sapeva neanche di quale incarico fosse stato investito. Poi
si era alzato ed era sgambettato da Jace, che aveva avuto da ridire per il
semplice fatto che dietro di lui c’era la porta del bagno, e che il gatto, che gli
era passato oltre e si era infilato nella porta socchiusa, si era per ovvi
motivi mosso verso di lui. In tutta risposta, Magnus si era stretto nelle
spalle e se n’era uscito con un “Dura
lex, sed lex” dichiaratamente ironico e deliziato.
E poi aveva deciso di far loro da mentore per
la prima spedizione, e aveva annunciato che li avrebbe portati in uno squisito localino
per Nascosti, con buona musica, buona gente, buon tutto. Un localino gay. Lex un corno.
Arrivarono di fronte al The World’s Under There quando già erano scoccate le due del
mattino. La colpa del ritardo – o il merito, dipendeva dai punti di vista – era
di Magnus, che aveva impiegato più del previsto per decidere come vestirsi.
Alla fine si era messo addosso un completo viola che trasudava un’eleganza
allegra e sbarazzina, lasciando che da sotto la giacca si indovinasse la
camicia giallo limone.
Erano fermi da qualche istante di fronte
all’insegna luminosa, scritta in caratteri morbidi e arzigogolati e piantata
sopra all’ingresso a due porte, quando Jace, mani affondate risolutamente nelle
tasche del giubbotto di pelle nera e sguardo inchiodato sul neon rosso, aprì
bocca e disse, nel tono di chi esprime un dato di fatto:
«Ho sempre trovato molto meschina questa
storia dei locali per soli gay.»
Magnus si ravvivò il foulard bianco che si era
annodato al collo a mo’ di cravatta, facendo rilucere le paillettes che ne
tempestavano i contorni. «Io trovo molto meschino il tuo cinismo.»
«Ti ricordo che a quest’ora dovrei essere impegnato
a proteggere il mondo. E poi che razza di nome è The World’s Under There? No, aspetta», aggiunse dopo un attimo,
cogliendo la sua alzata di sopracciglia. «Ho cambiato idea. Non voglio saperlo.»
Alec, immobile in mezzo a loro, sembrava più a
disagio di lui. Era forse l’unico gay nel giro di chilometri, se non il solo al
mondo, capace di sentirsi scomodo di fronte ad un locale zeppo di gente che avrebbe
capito il suo modo di essere. «Solo Nascosti, hai detto?»
«Girano anche Nephilim» spiegò lo stregone, «e
girano anche curiosi, di tanto in tanto. È un ambiente pacifico, relativamente
nuovo. Di solito si è troppo impegnati a guardarsi le spalle per bersi qualcosa
in santa pace. Vogliamo muoverci?»
Furono dentro ancor prima che Jace potesse
chiedere in che modo avrebbe dovuto intendere il “guardarsi le spalle”. Aveva
l’orrenda sensazione che fosse un’espressione da tradurre alla lettera.
All’improvviso, chiara e tangibile come ferro, avvertì un’immensa nostalgia per
le ronde notturne al Pandemonium.
Il posto, per così dire, non era nemmeno
pessimo. Linee pulite, basse, arredamento moderno. La pista da ballo, irradiata
da un colorato gioco caleidoscopico, era circondata da divanetti e tavolini
affollati. Tutto era imballato in un’avvolgente semioscurità in cui saettavano
le luci dei lampadari. Persino la musica giungeva quasi sorda, profonda come se
passasse attraverso uno spesso strato di ovatta.
Il primo istinto di Jace fu di sfiorarsi il
fianco alla ricerca di un’arma. Con il problema che di armi non ne aveva. Lo
stregone aveva raccomandato ad entrambi di liberarsi persino di eventuali
forcine per capelli, soprattutto perché, parole sue, non era nemmeno il caso di
mostrarsi diffidenti come cani da caccia. Dopo gli eventi che avevano
interessato Idris, i rapporti con i Nascosti si erano di nuovo rilassati. D’altronde
avevano combattuto la stessa guerra. Magnus li aveva perdonati per la loro
iniziale intenzione di portarsi dietro almeno un’arma, riconoscendo di essere
ben consapevole di quanto i Nephilim si sentissero praticamente nudi quando
erano privi della possibilità di ammazzare qualcuno. Era stata un’uscita che
non era piaciuta nemmeno ad Alec, che gli aveva scoccato uno sguardo gelido
come ghiaccio.
«Wow, hai fatto in fretta», osservò lo
stregone, dando uno sguardo al movimento abitudinario con cui Jace aveva
cercato il conforto di una lama. «Rilassati e goditi l’atmosfera. Qui non c’è
nessun demone brutto e cattivo; siamo tutti favolosi. Tira fuori il gay che è
in te.»
«Non c’è nessun gay in me», lo ribeccò
l’altro. «È questo il problema.»
«Già, è una triste conclusione. Siamo qui per
rimediare.»
Si immersero nella folla solo per poter
raggiungere il bancone del bar. Non videro nessun altro Nephilim, ma solo fate,
qualche vampiro, un pugno di lupi mannari. Il resto era una giostra di stregoni
e streghe dal vestiario eccentrico; qualche coppia ballava sulla pista. L’unico
conforto della circostanza, rifletteva Jace mentre seguiva gli altri, era non
aver ancora beccato qualcuno conciato come un membro dei Village People.
Soprattutto, a rincuorarlo era che Magnus non si fosse impegnato per
somigliarci.
Si era accorto del modo in cui lo stregone
faceva di tutto per tenersi vicino Alec. All’ingresso, prima di tuffarsi fra la
gente, lo aveva acchiappato per la manica della giacca e non lo aveva ancora
lasciato andare, neanche volesse a tutti i costi evitare di perderlo di vista.
A dirla tutta, ora che ci faceva caso, se lo stava praticamente trascinando dietro. L’idea era di
osservare un uomo impegnato a strattonare per il guinzaglio un cane poco
disposto a fare la sua passeggiata. Qualcuno avrebbe potuto vederci del tenero,
in quel gesto, e invece Jace non riusciva a scollarsi di dosso il pensiero che
Magnus si stesse comportando in quel modo per dimostrare alla gente che stava
attorno che quel ragazzo era già impegnato. Via, proprietà privata, mio. E
quello, per l’Angelo, quello era divertente.
Si infilarono in un angolino relativamente
tranquillo del bancone. La barista, una vampira alta e dai lunghi capelli neri,
era impegnata a scambiare quattro chiacchiere con alcuni suoi simili accalcati
poco più in là. Prima che qualcuno fosse colto dalla sua stessa idea, Jace
scivolò a sedere sullo sgabello imbottito. Non aveva ancora smesso di guardarsi
attorno, gli occhi socchiusi in un’eterna ricerca del pericolo.
«Niente nomi», disse, rivolgendosi a Magnus. Era
costretto ad alzare la voce per colpa della musica. «Non ho voglia di farmi
della pubblicità. Con la storia del nostro viaggetto verso Sebastian, ne
abbiamo già avuta troppa.»
«Detto da uno che cerca sempre di mettersi in
mostra suona quasi come una barzelletta.» Lo stregone si schiaffò la mano sul
petto in un gesto esageratamente teatrale. «Niente nomi, accordato.»
«Né rimarremo qui per troppo tempo.»
«Non cominciare a fare i capricci. Abbiamo
appena cominciato, e c’è ancora un’intera giornata davanti a voi. Non ti
scoccia, vero?» domandò poi, sollevando la manica di Alec e, di conseguenza,
anche il suo polso.
Jace lo osservò per un lungo istante,
l’espressione interdetta. «Cosa?»
«Se io e lui andiamo a ballare. Tu
approfittane per ambientarti senza cercare guai.»
«Noi cosa?»
Alec gli rovesciò addosso uno sguardo spiazzato. Sembrava che gli avessero
chiesto di mettersi a saltare su un piede per tutto il locale. «Magnus, io non so ballare.»
L’altro batté le ciglia un paio di volte. «Alexander,
mi stai dicendo che c’è qualcosa che un Nephilim non sa fare?»
«Sì, esattamente.»
«Non esiste nemmeno una Runa del Ballo?»
chiese lo stregone. «Dovreste chiedere a Clary di crearne una, proprio per
rimediare a questi spiacevoli inconvenienti.»
«Dovrebbe creare una Runa del Mutismo,
piuttosto», borbottò Jace, e con uno sbuffo si mise più comodo e si voltò verso
il bancone. Si trovò faccia a faccia con la barista, che lo accolse con un
sottile sorriso. Doveva essersi avvicinata mentre erano impegnati in
quell’insensato battibecco.
«Il Sommo Stregone ha con sé degli ospiti?»
esordì lei, una linea di seduzione nella voce. Il vestito sbracciato che
portava, con la complicità del colore scuro, faceva risaltare la sua carnagione
chiara come fine porcellana. «Amici Nephilim?»
«Sì e no», rispose Magnus, ringalluzzito
nell’espressione e nei modi di fare. Aveva lasciato la manica di Alec per
passargli un braccio attorno alla vita, spingendolo appena in avanti. «Questo è
il mio ragazzo. Il biondo è invece una conoscenza. Perdonalo se ti sembrerà
schivo», puntualizzò, abbassando appena la voce. «Ecco, ha appena fatto coming-out. Deve ancora accettare la sua sessualità,
così gli sto dando l’occasione di uscire dal guscio.»
Jace si voltò a guardarlo con la mandibola
cascata per metà. Non sapeva se ritenersi più offeso dall’essere stato
etichettato come una conoscenza quando invece si conoscevano da tempo, oppure
se graffiargli via di dosso la soddisfazione che di certo aveva avvertito non
appena gli aveva dato del gay alle prese con le prime conferme su se stesso.
Stava macinando una risposta con i fiocchi, una di quelle toste, una di quelle
che avevano bisogno di una profonda rincorsa, quando Magnus prese ancora
parola, ignorando la sua stizza e dando qualche allegra pacca sul fianco di
Alec:
«Lo lascio alle tue amorevoli cure, Lydia. Ho
intenzione di trascinare questo bel ragazzo in pista.»
Non aggiunse altro. Dopo aver accolto il cenno
della vampira, si ritirò nella folla trascinando Alec con sé, senza nemmeno dargli
il tempo di avanzare un tentativo di protesta. Svanirono in quel turbine di
voci, luci e corpi.
Poi accaddero due cose contemporaneamente. Jace
se ne accorse quando fece per voltarsi di nuovo verso il bancone; la barista si
allontanò nello svolazzo dei capelli scuri, richiamata da un trio di ragazze
che chiedevano a gran voce da bere, e sullo sgabello accanto al suo si sistemò
un tipo dall’abbigliamento un po’ sciatto, con una scarmigliata chioma castana
ad incoronargli la testa. Riconobbe l’odore all’istante. Lupo mannaro.
Gli diede una sola occhiata, rapida e indifferente,
con l’intenzione di fargli intendere che non era il ragazzo più raccomandato
con cui scambiare quattro chiacchiere. Invano.
«Posso offrirti qualcosa da bere?» chiese lo
sconosciuto, scoccandogli un sorriso a trentadue denti.
Jace, gomiti piantati sul tavolo ed
espressione rabbuiata, si guardò prima dietro una spalla e poi dietro l’altra,
e solo per tornare a guardare il suo audace interlocutore e rispondergli con un
pungente: «Parli con me?»
«Con te.»
«Allora no.»
L’altro sollevò un sopracciglio. La risposta
lo aveva stranito, ma non abbastanza da togliergli di dosso quella fastidiosa
espressione da eroe della serata. «Sei qui con qualcuno?»
Doveva davvero dirgli con chi era lì? E
spiegargli peraltro la circostanza per cui era seduto in un locale per soli
gay? No. «No.» Appunto.
«Adesso mi dirai che di nome fai “No”.»
«Sbagliato.»
«Almeno possiamo chiacchierare un po’?»
Avrebbe voluto dargli ancora un quattro di picche, e l’avrebbe fatto volentieri. Non fece in tempo, perché il lupo mannaro aveva già ricominciato a parlare.
* * *
«E
così sono arrivato a Brooklyn», concluse il ragazzo, stringendosi nelle spalle
come a dire “Eccomi qui”. «Ci sono
delle cose che avrebbero potuto trattenermi là, ma non è che ci pensi molto.
San Francisco non sarebbe male se non fosse per la gente che ho incontrato.» A
questo punto si fermò e girò gli occhi su Jace. «Tu cosa mi racconti?»
“Cosa mi racconti”? Era la prima domanda che
gli poneva dopo un quarto di secolo, Dio.
Jace, che era rimasto ad ascoltarlo senza dire
una parola, si limitò a ricambiare lo sguardo. Il grande orologio ovale che
troneggiava in cima allo scaffale delle bottiglie testimoniava che fuori il
mondo si stava preparando ad accogliere le quattro del mattino. Proprio lui,
che aveva voluto sottolineare l’intenzione di non restare per troppo tempo in
quel posto, era rimasto seduto al bar quasi per due ore. Si era sorbito
l’apocalittico discorso di presentazione di quel tizio e aveva digerito le sue
vicende senza battere ciglio, restandosene semplicemente seduto a guardare un
po’ di fronte a sé, verso un rincuorante nulla, e un po’ attorno, a controllare
se nelle vicinanze ci fosse segno di Magnus ed Alec. Dei due neanche l’ombra;
aveva cominciato a prendere in esame l’orrenda ipotesi che se la fossero filata
senza di lui. Oh, l’avrebbe fatta pagare ad entrambi. Soprattutto l’avrebbe
fatta pagare allo stregone, aggiungendo al conto anche le due acque toniche che
si era preso da bere.
Ora che osservava il lupo mannaro mentre se ne
stava zitto, capì che avrebbe anche potuto essere di buona compagnia se solo non
fosse stato così logorroico. Tanto per rincarare la dose, c’era la certezza
assoluta che il tipo avesse attaccato bottone solo per dei secondi fini. Non
era qualcosa che riusciva a digerire.
«Okay, adesso te lo dico, cucciolotto», rispose
all’improvviso, spostando le gambe per girarsi del tutto verso di lui. «La
gente continua a ripetermi che dovrei avere più tatto quando parlo, ma non ci
riesco. Ti faccio tante scuse. Non ho ascoltato una sola parola di quel che mi
hai detto e non mi interessi. Sono qui dentro perché dovevo accompagnare un
amico.»
L’altro affrontò ogni frase di petto, e solo
per tornarsene di colpo a sorridere e dire: «Non vedo nessun amico con te.»
«È via.» Poi, dopo un attimo: «Credo sia
impegnato da qualche parte.»
«Senti, la storia dell’amico gay è vecchia,
Nephilim», fece il ragazzo, con una leggera risata a far capolino tra le
labbra. «Ormai non ci crede più nessuno. Se sei troppo timido per dire che sei
entrato qui dentro per curiosità, nessun problema.»
Jace ebbe la chiara, viva sensazione di
sentirsi formicolare le dita. Si era teso come un’asse di legno. «Hai due
sfortune dalla tua parte: sei logorroico e sei uno sbruffone. Hai cinque
secondi per alzarti e sparire. Comincio a contare.»
«Non vuoi neanche sapere come mi chiamo?»
«Due...»
«L’iniziale?»
«Tre...»
«Okay, okay.» Il lupo mannaro si alzò, alzando
le mani e sventolandole in un cenno. La sua era un’espressione di impressionato
e sarcastico sdegno. «Se vuoi un consiglio, datti una calmata. Non c’è bisogno
di comportarsi da preziosa principessa. E comunque non sei neanche quel gran
schianto da potertelo permettere.»
Touché. Definitivamente. «Ti spalmo sul bancone, se
insisti.» Ben scandito, anche.
«Non ce n’è bisogno.»
Jace lo seguì con lo sguardo mentre il tizio
ripescava la giacca dallo schienale e si allontanava, non senza avergli
scoccato un’ultima occhiata di diffidenza. E poi gli altri lo rimproverano
quasi sempre per il suo modo diretto di esprimersi? Dio, a volte mancare di
tatto era più efficace di una lama angelica.
Aveva una mezza idea di armarsi di cellulare e
di chiamare Alec quando, spiando il ragazzo che se ne andava, lo indovinò
insieme a Magnus. Stavano tornando al bar. Per una qualche ragione, il foulard
colmo di paillettes era finito attorno al collo del suo parabatai. Non volle
interrogarsi oltre.
«Chi era il baldo giovane?» gli domandò lo
stregone, facendo un cenno in direzione del lupo mannaro, che era intanto
svanito verso la pista. In faccia aveva un sorriso sicuro e radioso. Pareva di
ritorno da una festa spaziale. «Hai fatto conquiste mentre non c’eravamo?
Ma-non-mi-dire!»
«Evita quel tono da allegro conduttore
televisivo», gli soffiò contro Jace, bruciandolo con lo sguardo. «Non è
successo assolutamente nulla.»
«Hai sentito quell’inflessione nella sua voce,
tesoro?» lo ignorò l’altro, gongolando con soddisfazione. «Quel retrogusto da
“voglio tenermi i miei favolosi segreti tutti per me”?»
Alec spostò gli occhi in un punto non ben
precisato. In barba al tempo trascorso là dentro, sembrava ancora un orso
polare abbandonato nel deserto del Sahara. «È più uno sfondo da voglia di
omicidio, ma sono pareri», rispose, dando l’impressione di parlare più a se
stesso che agli altri.
«Si può sapere dove siete stati fino ad
adesso?» Jace si era alzato per metà dallo sgabello, una mano rigida sul
bancone e gli occhi iniettati di tradita e furente impazienza. «Mi avete
abbandonato ad un bar, in un locale per soli gay, con un tizio che ci ha
provato con me fino a un minuto fa!»
«E non è bello?» lo illuminò Magnus,
arricciando le labbra in un sorrisetto. Per quanto lì dentro facesse caldo, il
trucco non gli era sbavato di un solo millimetro e tutto quanto era ancora al
suo posto, con una nota di merito per l’ombretto giallo, i glitter e la linea
di matita nera. «Non trovi che sia romantico essere abbandonati in un locale e
trovare così l’amore della propria vita?»
«Ti dimentichi di Clary. Sono già impegnato.»
«Ma sentilo, il galletto.»
«Siete degli sporchi traditori.»
«Oh, quante storie.» Il Sommo Stregone si
lasciò sfuggire uno sbuffo drammatico e sventagliò la mano, quasi una piroetta,
mentre si voltava. «Tranquilla, Sissi. Adesso ce ne andiamo. Passo domani a
pagare quel che hai bevuto.»
«Come mi
hai chiamato?» Jace si mosse in fretta per seguirlo, non senza perdersi il
gesto con cui Alec strinse di colpo le labbra e tentò di trattenere una risata.
Anche se un verso gli scappò lo stesso. «Alec, non osare. Stai zitto.»
«Comunque, se vuoi saperlo, non siamo stati
tutto il tempo sulla pista», intervenne Magnus, che apriva la strada verso
l’uscita. Camminava tranquillo, mani nelle tasche del completo e postura ritta
e aggraziata. «Ad un certo punto ci siamo stancati. Siamo andati a fare cose
nostre.»
«Non voglio saperlo.»
«Cose ciccipucci.
È anche un aggettivo.»
«Ho detto che non voglio saperlo.»
«Magnus» s’intromise Alec, in un tono quasi
straziato, «ti prego.»
«Già, ti prego.» Jace schivò una fata e non
rallentò. Aveva la testa così piena di musica e luci da sentirsela pesante come
piombo. «Soprattutto per me. Ho bisogno di dormire.»
«Poche ore», raccomandò lo stregone. «Non
vorrete certo perdere tempo prezioso, giusto? Una giornata vola in fretta.
Spero tu abbia già qualche idea.»
«Per cosa?»
«Per Alexander. Il prossimo turno è suo.»
Alec guardò prima uno e poi l’altro, salvo
ricacciare poi gli occhi in basso e tirare un sospiro che era tutto fuorché
voglia di partecipare.
«In questo momento voglio solo far finta che
nulla di tutto ciò stia accadendo sul serio», se ne uscì Jace mentre si
avvicinavano all’uscita. Era una benedizione non essere più in mezzo a quel
trambusto. Non era mai stato così felice di tornarsene all’Istituto, anche se
solo per qualche ora.
«Ah, un’altra cosa.» Magnus si arrestò di
botto a pochi passi dalle due porte e si frugò nella tasca posteriore dei
pantaloni. Ne trasse un foglietto bianco, ripiegato un paio di volte su se
stesso, e lo tese a Jace. «Ad un certo punto sono andato in bagno», dichiarò,
con una naturalezza imbarazzante. «Ne ho approfittato per scarabocchiare
qualcosa. Lo porterai a Clary.»
Il Nephilim, che tentò in tutti i modi di
togliersi dalla testa l’idea di un Magnus Bane impegnato a disegnare nella
toilette di un locale per gay, lo spiò con un’occhiata scettica prima di prendere
il foglio. Persino Alec, benché si impegnasse a mostrare scarso interesse,
allungò un poco il collo quando il parabatai lo aprì.
«So che lei vede le rune prima di crearle»
stava intanto dicendo lo stregone, «e che pertanto non le inventa partendo da zero,
ma vorrei comunque dare un mio contributo.»
Quando Jace vide quel che Magnus aveva
disegnato, corrugò la fronte. «Non voglio offendere le tue doti artistiche, ma
questo cosa sarebbe?»
«Chi, per l’esattezza. È Michael Jackson, o meglio la sua silhouette mentre sta in punta di piedi», rispose l’altro, in tono spaventosamente convinto. «Ho pensato che potesse essere un buon suggerimento per un’eventuale Runa del Ballo. Perché lo ammetto, voi Nephilim siete un caso davvero disperato. Vraiment terrible. Senza nulla togliere al tuo impegno, Alec.» Persino il suo bel sorriso soddisfatto aveva qualcosa di orribile. «Allora? Lo consegnerai a Clary?»
Oh, Raziel, perché?
Gente, mi perdonerete, ma l'idea di trascinare Jace in un locale per soli gay mi faceva impazzire. Dovete sapere che non stravedo per lui - anzi, lui e Will sono proprio due dei personaggi che non riesco a sopportare, nel senso buono del termine, eh (?) Non avrei nemmeno un quarto di pazienza per avere a che fare con uno di loro due, e così, voilà, ho voluto prendermi una soddisfazione. Adesso mi sento meglio (?)
Oltre a ciò, non credo ci sia bisogno di tradurre il nome che ho scelto per questo delizioso posticino in cui Magnus li ha portati, ma lo faccio per amor di completezza; ebbene, "the world's under there" significa "il mondo è laggiù". Capirete perché Jace decide di non indagare il motivo per cui il locale si chiama proprio così. Sono libere interpretazioni.
Un avviso importante: una di voi mi ha fatto notare di avere dei problemi con la lettura (caratteri piccoli e necessità di scorrere per arrivare a fine frase). Sul mio pc la lettura non presenta nessuna di queste due scocciature. Mi piacerebbe sapere se qualcun altro ha problemi di questa sorta, perché nel caso, davvero, se interessa tutti quanti, potrò vedere di modificare il formato di pubblicazione - non ci sarebbero problemi <3 Nel mio caso, c'è solo quello spazio blu sulla destra che mi fa salire il nazionalsocialismo tedesco, ma ci marcio sopra, dato che almeno si legge bene (?)
Quanto al resto... Non faccio numeri, ma davvero in tantissimi/e avete inserito la storia nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate, e solo leggendo il primo capitolo. Grazie <3 Spero vivamente di non deludere le vostre aspettative. Sono rimasta piacevolmente sconvolta dal numero di silenziosi lettori che hanno voluto dare una possibilità a quest'immane nonsensata (?), considerando che è la mia prima ff nel fandom.
---Jace non ve l'ha detto, ma ve lo dico io. So già cosa combinare per Alec. Mi odio al solo pensiero, soprattutto perché è il mio favorito.
Grazie, grazie e grazie, e alla prossima <3
Dew_