Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: RLandH    01/06/2015    4 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Bene con questo capitolo chiudiamo il giro di narratori per ora (ve ne saranno altri in seguito – tra cui anche qualche vecchia conoscenza). Come avevo già preannunciato, mi pare, questo capitolo nonostante fosse con un nuovo narratore si ricollegava ad uno dei precedenti ed il titolo rende più o meno palese quale.
Altre varie note: Questa storia si prospetta fin troppo lunga rispetto quando avevo pensato, quindi devo cominciare a pensare come “accorciarla” e dunque pensavo di sistemare più avanti più punti di vista in un capitolo ... devo vedere, ma questo non c'entra nulla.Quindi sperò possiate gradire anche questo, vorrei ringraziare chi segue, chi preferisce, chi legge ed ovviamente chi recensisce (questi particolarmente vorrei ringraziare con tanto amore): summer_time.
Buona Lettura
RLandH
Ps - 
Questo capitolo era stato inizialmente betato da lamascherarossa, ma per una serie di disdicevoli incidenti informatici, mi sono trovata costretta a pubblicare il capitolo originale, che è risultato molto sincopato (causa la narratrice – ed il desiderio di rendere più possibilmente diversi i narratori) e con diversi errori di battitura – e non – in caso, sarei grata me li faceste notare.









Il Crepuscolo degli Idoli





Una battuta è sensazionale solo se ha un finale d'effetto





Berenyx I


Spezzò un po’ di cioccolata e ne mangiò un poco, facendo attenzione a non farsi vedere dalle commesse del supermarket o da altro. Un po’ come quando rubava cibo dalla cucina della principessa Andromeda e faceva attenzione a non farsi beccare da qualche mostro. Era più o meno la stessa cosa, certo se la guardia l’avesse punta, avrebbe potuto colpirla con un pugno dritto sul naso, un mostro era un po’ più complicato da buttare giù. Non se c’era Bells, lei avrebbe sconfitto anche Crono in persona, o almeno a Bernie piaceva pensare così, sua sorella era la più forte delle due, era la gemella maggiore, la più tosta ed intelligente, quella da cui era sempre dipesa. Ma Bells non c’era e Bernie era sola. Ingurgitò altra cioccolata. “Hei tu!” esclamò una guardia, indicandola; aveva un aspetto minaccioso, imponente e per un istante aveva pensato fosse un ciclope, ma la nebbia non si era diradata. Bernie infilò la cioccolata nella giacca, dove avesse potuto recuperala ed era corsa fuori. Una commessa aveva provato ad afferrarla, ma lei era scivolata, evitando le braccia della donna ed era corsa in fretta dalla porta a scorrimento.
Era riuscita a correre appena due isolati, prima che il fiato le si era spezzato in gola. Un tempo era più allenata, quando viveva sulla Principessa Andromeda. Posò la schiena al muro, cercando di prendere del fiato, prima di infilare le mani nella giacca ed estrarre la cioccolata, che aveva divorato famelica. Sorrise a quel dolce sapore. Aveva davvero bisogno di dolcezza. Chiuse gli occhi e per un attimo pensò di essere altrove. In un posto felice. Non sapeva quale fosse, se il ponte maestro della Principessa Andromeda, con il sole sul viso, bardata e pronta allenamento o nell’osservatorio dove lavorava suo padre, con l’occhio nella lente a spiare le stelle. Con Bells al suo fianco. Si diceva che le gemelle fossero uguali ed in sintonia e così erano lei e sua sorella. Fu di improvviso che accadde. Prima che riuscisse ad accorgersene, si sentì arraffare, schiuse gli occhi un attimo per vedere il cielo, poi di forza era stata buttata contro il muro, aveva urtato la testa contro i mattoni.
Volse appena gli occhi prevedere una figura alta, una macchia indistinta. Qualcosa di caldo le gocciolò tra i capelli e lungo il collo. Sangue.
 “Bells” mormorò.


 

Bells si era lanciata contro un gruppo di teppisti, afferrando un sasso da terra, era una furia, aveva scoccato l’arma improvvisata ed aveva colpito uno dei ragazzi alla vita. Quelli avevano lasciato perdere il cane che stavano tormentando ed aveva notato la spaurita tredicenne che li stava fissando, magra come un chiodo e con capelli dritti come spade, neri come la fuliggine. “Quella è una delle figlie di LaFayette?” aveva domandato uno dei ragazzi, era stato Ronnie James a parlare, il più alto, quindici anni, con i capelli rossi e due peli contati sul mento, con un sorriso sardonico sul viso. Bells era scappata immediatamente, era veloce, molto. Bernie che aveva osservato tutta la scena da dietro le assi del recinto, sperò che sua sorella arrivasse al passaggio segreto a pochi metri, quello dove Ronnie James non sarebbe riuscito a passare. Era capitato molte volte, che le due gemelle gli avessero interrotti dal loro bighellonare e quelli le avessero pestate, così Bernie aveva svitato un asse del recinto in modo che si sollevasse, così che le due ragazze riuscissero a scivolarci dentro.
Le LaFayette erano forti e sapevano anche difendersi vagamente, ma non erano capaci di tenere testa a cinque quindicenni, vigliacchi, per giunta, imprecava Bernie; Bells aveva più coraggio di loro messi insieme. Sua sorella riuscì ad infilarsi nel passaggio, sollevando l’asse, ma mentre scivolava un ragazzo le aveva afferrato una caviglia. “Bernie” aveva gridato quella mentre si aggrappava ai fili dell’erba del giardino e alla terra nel tentativo di non farsi tirare indietro. La gemella era corsa da lei, puntando i piedi a terra ed afferrandola per le mani, nel tentativo di resistere, intanto l’altra scalciava per farsi lasciare. Poi d’un tratto era cessato tutto, qualcuno aveva urlato. Bells era stata libera era strisciata dentro e Bernie aveva visto sullo stivaletto di pelle, alto fino al polpaccio uno schizzo di rosso ed era caduta al suolo. Altre urla ed altre botte. Colpi secchi. Sua sorella tremava, ma l’aveva afferrata per la camicetta di lino ed aveva cercato di trascinarla dentro casa, non avevano avuto la forza di guardare indietro o di alzarsi perfettamente in piedi, timorose di scoprire la verità.

Forzò le palpebre ed aprì gli occhi, il contorno dell’interno di una metropolitana si era disegnato, si era stropicciata gli occhi, prima di rendersi conto, era saltata in piedi, era stesa sul sedile di una metropolitana, poi si era toccata la nuca alla ricerca del sangue, aveva trovato una zona morbida e guardate poi le punte delle dita aveva visto il rosso. Nessuno sulla metropolitana sembrava essersi accorto di lei. “Sei sveglia” la voce era stata piatta, ne aveva ricercato la fonte, un ragazzo giovane, alto più di sette piedi, dai muscoli tirati sotto gli indumenti militari, capelli di un biondo scuro, occhi blu come il mare ed un sorriso seghettato da squalo, un lestrigone, anzi il lestrigone. “Arvey” disse con la lingua secca, come se l’intera saliva del suo corpo fosse scomparsa, il ragazzo sembrò abbozzare un riso genuino, “La piccola Berenyx LaFayette” disse con tono amichevole. E lei non seppe cose fare, se scappare via di fretta e furia, strapparsi gli orecchini di dosso, così da avere le sue armi, e provare a combattere oppure lanciarsi tra le sue braccia. Arvey si era sollevato dal suo posto. Era imponente. “Ringraziami” disse perentorio, “Se non fosse stato per me, due lestrigoni, due ciclopi ed un’arpia si starebbero spartendo le tue carni” aveva detto con nonchalance. Bernie ricadde seduta sul sedile della metropolitana, del tutto spaesata. Ancora una volta Arvery le aveva salvato la vita.

“Cos’è successo a Bells?” aveva domandato il Lestrigone, mentre scendevano ad una fermata, la sua voce era interessata e tradiva preoccupazione, “Non ne ho idea” rispose Bernie, perché era così. Durante la battaglia di Manhattan, aveva perso sua sorella nella foga. L’ultima volta che l’aveva vista, Bellatryx aveva una spada di stige nero lucido tra le mani e si lanciava contro l’Empire state Building, falciando a destra e manca chi capitava, con ardore negli occhi. Bernie era rimasta indietro, con la lama e lo scudo in seconda linea. Quando Crono era stato sconfitto. Quando il fuggi-fuggi generale era iniziato, Berenyx non era riuscita a ritrovare nessuno di cui gli importasse veramente, ne la sua gemella, ne il ragazzo per cui aveva avuto una cotta infantile.
Il ragazzo che non parlava mai, l’aveva afferrata per la vita e trascinata via, prima che gli dei folgorassero loro seduta istante. Bernie aveva scalciato, lo aveva graffiato, aveva tentato di scappare, di raggiungere il campo di battaglia. Di ritrovare tutti. Ma non c’era riuscita, un colpo ricevuto tra capo e collo e la sua coscienza se n’era andata all’averno, fino a che non aveva riaperto gli occhi ed era lontana dalla battaglia e da Manhattan. Sia nello spazio, sia nel tempo. Aveva urlato, si era infuriata, se l’era data di santa ragione con quel mezzosangue sempre muto. Ma alla fine, non aveva ottenuto nulla che altra rabbia. Avevano viaggiato insieme per tre settimane. Vagabondando come navi alla deriva, senza meta e senza scopo. Poi una mattina, a Boston, quando si era svegliata, in un appartamento disabitato, di un vecchio edificio, non l’aveva trovato più. Se n’era andato nella notte. Senza destarla, senza una spiegazione. Lasciandole un certo vuoto dentro. Si era raggomitolata sul pavimento ed aveva pianto. Per quel muto compagno che si era allontanato, che l’aveva gettata via come spazzatura, per quell’amore strangolato sul nascere e per la sorella perduta. Sentì come d’una mano sfiorarla, delicata tra i capelli scuri, materna. Nessuno era lì e nessuno le parlò, ma asciugatasi gli occhi Bernie era certa che sua sorella Bells dovesse essere viva, perché se così non fosse stato lei lo avrebbe saputo. Erano gemelle. Legate da qualcosa di più profondo del sangue. “Non è morta” disse ad Arvey, come per tranquillizzarlo ed anche ricordarlo a lei.
Le piaceva pensare che quel giorno, fosse stata la muta voce di sua madre a suggerirle che era così.

“La cerchi?” aveva domandato quello, passandosi una mano tra i capelli di un biondo paglioso, “Vorrei” aveva confidato. O si se avrebbe voluto. “Ma non saprei da dove cominciare” confessò con voce mogia. Non vedeva sua sorella dalla battaglia di Manhattan. Non aveva idea di cosa potesse essergli successo e soprattutto se Bells fosse la stessa che aveva lasciato quel giorno. L’ultima cosa che si erano dette era stata la stupida citazione di un film, dritte alla meta e conquista la preda, battendo le nocche scarne tra loro. Sorridevano, all’apparenza, ma tremavano pavide nelle loro viscere. Una battaglia, l’epilogo della loro vita si sarebbe giocato presto. Di li a poco. Tutta la loro esistenza, come la conoscevano, sarebbe cessata al tramonto di quel giorno. E ne erano spaventate. Bells era sempre stata la più forte ed era sempre stata la sua ancora, ma quel giorno tremava come una foglia d’autunno ed era stata Bernie a stringerla e a dirle che sarebbero riuscite a farcela, perché nessuno poteva fermare le Gemelle LaFayette. E che qualunque cosa fosse successa, sarebbero rimaste unite e tanto sarebbe bastato. Quasi le veniva da ridere a pensarci, che non solo avevano perso, ma che si erano perse. “Potrei aiutarti a trovarla” propose Arvey, prima di toccarsi il naso, “Ho un olfatto migliore” disse scanzonato. Berneyx sollevò lo sguardo verso di lui, quasi ebbe la vertigine nel cercare il suo viso così in alto, “Non hai di meglio da fare. Non lo so, sbranare mezzosangue? O dare la caccia a Percy Jackson?” aveva domandato piccata Bernie. Essere sulla principessa Andromeda, l’aveva spinta a diffidarsi dei mostri, metà di loro volevano solo averli per cena e l’altra metà, sperava solo di vederli putrefarsi, ma in cuor suo sapeva bene che Arvey era diverso.

Il lestrigone aveva infilato le mani callose nelle tasche dei jeans, mentre saliva lungo le scale, per tornare a vedere il chiaro sole, “Non in realtà no” confidò incerto. “E se mi do alla caccia di Jackson rischierei di rincontrare Pasticcino e gli altri” raccontò, “E gli ho fatto saltare una cena per cui si sarebbero squartati tra loro, che credo mangerebbero me, se dovessi rincontrarli” commentò con una punta di ironia, prima di scoppiare in una fragorosa risata. Un po’ folle. Che a Bernie ricordò la prima volta che si erano incontrati. Del sasso che Bells aveva lanciato contro la fronte del lestrigone, che l’aveva preso in pieno, ma in vece di farlo svenire o almeno indietreggiare, Arvey aveva riso con una voce profonda e spaventosa, davvero divertito da quel mero tentativo di difesa. Aveva denti aguzzi, che avrebbero potuto aprire le loro piccole membra come se fossero fatte di gelatine e la sua mazza da battaglia, era macchiata di rosso sangue. Come quello che avevano ritrovato a sporcare i pali bianchi del recito di casa, la mattina dopo l’aggressione.
Quando al telegiornale, passavano i nomi di quei ragazzi, una banda di adolescenti sbardati, scomparsi chi sa dove. Tutti. La polizia aveva fotografato per ore quegli archi di rosso. Schizzi che Bernie, di li a poco tempo avrebbe imparato, fossero causa di un trauma alla testa. “Non cercherai di mangiarmi?” aveva domandato la ragazza, sollevando un sopraciglio, non che credesse seriamente che il lestrigone l’avrebbe fatto. Poteva sembrare strano, ma quello era comunque Arvey, non un mangia mezzosangue canadese a caso. L’aveva detto, quasi per spezzare il silenzio che si era creato, quando Berenyx era scivolata nei suoi ricordi. Il lestrigone ridacchiò divertito, “Sono sicuro, che avresti un sapore pessimo, La Fayette” rispose alla fine, con un sorriso vagamente malandrino.


 

“Quindi fammi capire, tre lestrigoni, due ciclopi ed un’arpia si incontrano per caso in una città per mangiarsi una mezzosangue” aveva commentato stranita Bernie dopo aver sentito tutte le strane circostanze che avevano portato Arvey a separarsi dai suoi compagni, per salvarle la vita. “Già” rispose lui, con un tono piatto, come se non lo preoccupasse per niente che cinque creature incavolate ed affamate stessero sulle loro tracce, “Sembra l’inizio di una pessima barzelletta” commentò con un tono d’accidia Berenyx pensandoci su, cosa che fece decisamente sghignazzare il mostro, che si giustificò dicendo che era stata la stessa cosa che aveva detto Mickey, prima che Arvey desse inizio allo scontro. “Il finale però è assolutamente una barzelletta” aveva commentato quello, leccandosi appena le labbra, mentre chiudeva meglio la giacca sul suo corpo imponente, “Dove altro si trova un lestrigone che salva una mezzosangue?” aveva chiesto retorico, facendoli l’occhiolino. Bernie lo guardò un attimo, nello stesso posto dove si trovavano evidentemente lestrigoni di bell’aspetto con gli occhi blu. “Non sarebbe la prima volta” mormorò con voce sottile la ragazza. Arvey aveva fracassato la testa dei ragazzi che avevano provato a picchiare Bells. In un modo contorto le aveva salvate. Quella era stata la prima volta. Ma Bernie non era riuscita a considerarla come tale, specie quando aveva scoperto che dopo aver ucciso quei ragazzi, il lestrigone assieme ad un altro suo compagno, li aveva mangiati. Non lasciando neanche le ossa pallide.

“Uhm, si, ho quasi perso un braccio nella battaglia del labirinto” aveva commentato Arvey, guardando il suo braccio con un senso di diniego, pensando a quando si era distratto dal suo scontro, osservandola cadere sull’erba bruma. La spada di bronzo celeste, aveva tranciato quasi di netto l’arto, ma il lestrigone aveva spaccato il cranio del suo avversario ed aveva colpito anche quello di Bernie, facendolo crollare accanto a lei. I suoi occhi erano socchiusi, ma riusciva ancora a vedere qualcosa. Sorrise appena. Il mangiatore di mezzosangue l’aveva afferrata per il busto e se l’era caricata sulla spalla come un sacco di patate, “Resisti, piccola” le aveva detto con un tono preoccupato, allontanandosi dal campo di battaglia. Il sorriso si formò sul volto di Berenyx, prima che spostasse una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Una volta Carter, figlio di Apollo, gli aveva detto che i mezzosangue venivano scoperti da Satiri in esplorazione e portati al campo mezzosangue, intorno ai dodici anni. Alle gemelle LaFayette era successa una cosa decisamente simile, ma invece di essere condotte in un mitico campo d’addestramento, erano state portate alla medesima età su una corazzata da guerra titanica, popolata da mostri e quant’altro, travestita da nave da crociera. Ed al posto di un simpatico ragazzo capra, ci aveva pensato Arvey Spacca Meningi ed un suo compare, della medesima specie. Davvero poco erano valse le battaglie di Bells o i pianti isterici di Bernie, loro le avevano prese e portate via. E per quanto l’altro lestrigone aveva commentato per l’intero viaggio quanto dovessero essere succulente da mettere sotto i denti, Arvey non aveva detto nulla. Si era limitato a salvare la loro vita salturariamente e riprenderle quando riuscivano a darsi alla fuga, una volta aveva spezzato l’avambraccio di Bells in due parti, dopo quella che era stata la loro ultima tentata latitanza prima di aggiungersi all’esercito di crono. Il lestrigone aveva capito che era Bellatryx la forza portante del duo e rendendo lei debole e dolorante, le aveva chetate entrambe.


 

“La prima cosa da fare e lasciare la città” aveva stabilito Arvey, mentre si avvicinavano a quella che aveva tutta l’aria di essere una stazione dei treni, “Poi dobbiamo trovare un indizio per trovare Bells” aveva stabilito con voce ferma, aggrottando le sopracciglia. Certo il lestrigone aveva buon naso, ma Berenyx si rendeva conto che serviva a poco se dovevano annusare tutto il suolo americano. Era meraviglioso quando una volte dietro c’era Luke, che sapeva sempre chi era dove; Bernie si chiedeva ancora quante spie avesse dovuto avere per avere tutte quelle conoscenze. Sentì la bocca dello stomaco amara a pensare a quella lingua di vipera, che tanto gli aveva ammagliati con quella sua elegiaca età dell’oro, figlio di Ermes suicida, che per tutti era l’Eroe, che aveva salvato l’Olimpo e tutti quei deifilii contro cui quasi tutti i suoi amici erano morti. Per lei, Luke era solo il traditore codardo. Nulla di più. Un abile oratore e null’altro. Come Ethan, l’orbo, che a Bernie guardava sempre, quand’era sulla principessa, chiedendosi cosa ci fosse dietro quella benda, se un occhio cieco o una concavità vuota. 

Berenyx ci aveva pensato a dove Bells poteva essere andata. Il primo pensiero era stato suo padre. Perché era lì che lei era andata, dopo essere stata abbandonata. Aveva trovato la casa dove avevano abbandonato fatiscente, il recinto con il passaggio segreto quasi sconquassato, il giardino verde e curato, era di un secco giallo, incolto. L’interno era un disastro, libri sparpagliati ovunque e l’uomo che aveva trovato non era nulla in confronto con quello che avevano lasciato. Suo padre era un brillante astronomo, che aveva passato la sua vita da quando era bambino alla scomparsa delle sue figlie, con gli occhi puntanti verso il cielo luminoso. La volta e le stelle, mai nella vita, qualcos’altro lo aveva preso tanto. Al meno fino all’incontro con Nyx, la dea della notte mortale. Infondo si diceva Bernie, quale altra divinità poteva essere attratta da un piccolo topo da telescopio come suo padre. Poi erano arrivate loro due e, Berenyx lo ricordava ancora, scompigliando i loro capelli, l’uomo diceva che loro erano le stesse più luminose di tutto il cielo. Le sue. L’uomo che si era trovato davanti, era sciupato, invecchiato di vent’anni in soli cinque, con i capelli grigi ed il viso incavato. Un uomo che aveva perso la voglia di guardare le stelle. Un uomo per cui il cielo era nero come il carbone. Eppure i suoi occhi si erano accesi come astri, quando l’aveva vista in piedi sulla porta, quasi incredulo davanti quella figura.

Era rimasta tre mesi con suo padre.
Tre mesi in cui l’aveva aiutato a rimettere in sesto la sua vita. A sistemare la recinzione, il giardino, la casa. Tre mesi in cui aveva recuperato cinque anni di vita. In cui si era riunita alla persona di cui aveva sentito più la mancanza. Tre mesi a guardare verso l’orizzonte, aspettandosi di vedere Bells arrivare, con un passo deciso, felpato, da pantera. Aveva visto i ragazzini giocare al parchetto dietro casa, dove avevano giocato anche lei e la sua gemella. L’aveva cercata nei visi dei bambini. In quella ragazzina poco più che infante, che si eleggeva regina del parco e che coinvolgeva tutti gli altri a fare quello che diceva. Una chimera l’aveva attaccata, ma Bernie era riuscita a sconfiggerla. Sfortunatamente aveva rischiato che suo padre si facesse male. Se n’era andata pochi giorni dopo, baciandogli la fronte e giurandoli che sarebbe tornata. Suo padre l’aveva stretta, come se non avesse voluto lasciarla andare, come se dallo sciogliere quell’abbraccio dipendesse la sua vita. Ma aveva capito, che il destino di un semidio non era diverso da quello di un dio. Che non erano destinati a restare, come la meravigliosa e oscura Nyx aveva dovuto lasciarlo, così doveva fare anche lei. “Ti prometto che tornerò a trovarti e Bells sarà con me” erano state le parole con cui era andata via. Ed un bacio sulla fronte.

Aveva provato a cercare sua sorella con un messaggio di Iris, ma non ci era riuscita. Forse, perché non aveva una prova tangente che fosse viva. Era come cercare di chiamare un numero che si era dimenticato. Null’altro. Il problema era che Bernie non aveva più idee. Non era a casa di suo padre, non era raggiungibile come messaggio di Iris e l’unica altra casa che avevano mai avuto era stata solamente la Principessa Andromeda, ma non c’era più, era esplosa, saltata in aria e bruciata. Dalle acque nere del mare, aggrappata ad Arvey, al fianco di sua sorella, Bernie l'aveva vista consumarsi nel fuoco. Erano stati Charlie Bekendorf e Percy Jackson a farla bruciare. Avevano spazzato via la sua intera vita.
La sua unica e magra consolazione era che uno dei due carnefici era morto.


Era stato Arvey a scegliere la destinazione. L’aveva fatto sbattendo la testa di due ragazzi su un muro nel bagno dei maschi, non preoccupandosi di lasciarli vivi o morti, aveva preso i loro biglietti ed era salito su quella carrozza, seguito da una silenziosa Berenyx. Che ad occhi serrati, ignara di ciò che era appena avvenuto. La sua mente era occupata da un unico pensiero, trovare un modo, uno qualunque per trovare sua sorella. Da dove cominciare non ne aveva idea. Aveva sbuffato pesantemente accomodandosi al suo posto, erano nella classe economica e lei occupava il posto accanto al finestrino. Non avevano detto niente. Il silenzio, assieme al continuo susseguirsi del paesaggio, l’avevano condotta nel mondo dei sogni, senza alcuna fermata.


Per un attimo le parve Bells, e poi se stessa, più vecchia e matura. La pelle era bruna come la notte, il fisico era fasciato di un velo nero e scuro, come il buio, su cui splendevano tutte le costellazioni de mondo, irradiando d’ogni colore. Capelli neri, vorticosi al vento ed ali di scuro piumaggio, impetuose. Un viso duro, su cui splendevano due occhi luminosi come quasar incandescente. Era splendida oltre ogni immaginazione. Sublime, incredibilmente bella ed incredibilmente spaventosa. “Madre” si lasciò sfuggire, Nyx sembrò incurvare le fini labbra in un sorriso, “Bambina mia” bisbigliò lei con una voce profonda, ma incredibilmente delicata, Bernie si sentì così piccola a quel contatto. Avrebbe voluto stringersi a lei, come faceva con suo padre, tanto quanto avesse desiderato da bambina.

Nyx sembrò farsi più vicina, luminosa come una stella, “Cose oscure stanno accadendo” aveva bisbigliato, “Gea e la guerra” aveva aggiunto, accarezzandole i capelli scuri. “Vuoi che io combatta?” aveva chiesto preoccupata. Nyx le sfiorò la guancia delicatamente, “Nessuno può chiederti tanto” aveva detto con un tono impastato, aveva lisciato la gota, sistemato i capelli scuri dietro l’orecchio, “Se vuoi combattere è una tua scelta” aggiunse, con un tono estremamente materno, giocando con i capelli della ragazzina. Aveva un tocco delicato, calmo. Nyx riusciva ad irradiarla dello stesso delicato calore che le dava suo padre quando l’abbracciava, la sicurezza della forte mano di Bells stretta alla sua. Fu irrispettoso forse, ma non poté non stringersi attorno a quel corpo, in un abbraccio disperato. Il vestito della dea coceva come fuoco ardente, ma non bruciò la pelle di Bernie. Lei chiuse le sue mani sul suo corpo, stringendola più forte. Come una vera madre.

“Ma voglio chiederti io un favore” aveva bisbigliato Nyx, con un tono calmo, allontanandola appena, senza allontanare i palmi dalle braccia, “Gea cerca un arma potente” l’aveva informata, “Un’arma?” bisbigliò Bernie con una voce tremante, la dea della notte mortale annui, era una creatura amena, la più bella che avesse mai visto, “Devi trovarla, bambina mia” aveva ripreso, la sua voce sembrava persa altrove, “Devo?” domandò confusa, sbalordita, con gli occhi sgranati. Che quella fosse una missione? Come le aveva definite Carter, quando parlava degli incarichi che i genitori divini davano ai figli? “Per te?” domandò, le parole le erano sfuggite spontanee dalle labbra, come se non fosse riuscita a trattenerle, Nyx mosse il capo, “Ne per me, ne per gli dei, ne per Gea” aveva risposto la dea. “Per te stessa” aveva bisbigliato, passando i pollici sotto le arcate delle sopraciglia, “E’ un’arma potente, che ha bisogno di un custode potente” aveva bisbigliato con un sorriso vagamente velato, “Sono una dea primordiale” aveva ripreso, “Hai ereditato da me capacità che non puoi neanche immaginare” aveva bisbigliato con un tono d’affetto, baciandole la fronte, come lei aveva fatto con suo padre. Non poteva essere! Pensò Bernie, non era lei quella forte, era Bells quella che riusciva a scivolare nelle ombre ed evocare una profondo buio, da celare agli occhi di tutti la vita stessa. Era la sua gemella l’essenza stessa dalla notte, non lei.

Nyx sollevò un lembo del suo vestito di fumo, con stelle lucenti e ne strappò un pezzo. Era il manto della notte, Bernie lo percepì nel sangue. La dea accartocciò tra le sue mani il fumo, fino a confinarlo in un solo palmo, stretto in un pugno, congiunse anche l’altra mano e quando volse le mani aperte verso di lei, la ragazza poté vedere che il fumo della notte, aveva una forma solida, un cannocchiale d’onice nero lucido, tempestato di lucenti spiragli, per un attimo pensò fossero piccoli zirconi o addirittura diamanti, ma emanavano calore, quando prese il cannocchiale dalle mani di sua madre, erano fatti di pura luce e calore, erano come minuscole stelle. “E’ un taumascopio” aveva spiegato Nyx, “Molto speciale” aveva ripreso con un tono profondo. Lisciò di nuovo le guance di Berneyx con entrambe le mani e le sorrise. Il resto si dissolse in un vortice di nera fuligine, che le offuscò gli occhi. Quando tornò il chiaro. La notte era scesa e dal finestrino si definivano i confini imprecisi, agli occhi ancora semidormienti, di una città.

Si voltò verso Arvey, la stava guardando attentamente, lei si morse un labbro preoccupata, percependo ancora sulla pelle il calore del palmo di sua madre. “Non era un sogno come un altro, vero?” aveva domandato preoccupato, grattendosi i capelli biondi, “Ho avuto una missione” rispose spaesata lei. Il lestrigone l’aveva guardata come se fosse stata la cosa più strana del mondo, del genere Gea che ballava a ritmo di nacchere, “Credevo che hai mezzosangue che dichiaravano guerra all’olimpo non venissero assegnate missioni” aveva sputato fuori Arvey, con un certo tono di saccente. Bernie aveva sospirato pesantemente, non aveva mica tutti i torti, sua madre era una grande madre, ma non aveva mai fatto nulla di davvero importante per lei o per Bells, non le aveva mai spinte tra le braccia dei Titani o degli Dei, così come ora s’era astenuta da immischiarsa a quella dei Giganti, erano state loro due ad aver preferito allearsi con Luke, perché sembrava bella la sua età dell’oro e speravano in cuor loro di ridare il mondo alla loro madre, come giusto che fosse. E quella era la prima volta che sua madre si immischiava pesantemente. Sentì qualcosa bruciare sul suo fianco, spostò la giacca di pelle, per vedere che tra la maglietta nera e la giacca verde bottiglia, c’era il taumascopio. Lo prese delicatamente.

Lo portò all’occhio, senza rispondere alla domanda di Arvey ne spiegare nulla. Ciò che vide davanti a lei, non furono altro che immagini distorte di specchi di luci colorati, che dovevano essere ciò che c’era davanti. Nulla di utile. Solo dilettevole. Ma tra i giochi di colore, s’era formata una sagoma indistinta. Bernenyx aveva giocato con gli obbiettivi, cercando di incastrare meglio le lenti, affinchè la figura si definisse, ma nel tentativo l’aveva persa. Allontanato il taumascopio dall’occhio aveva guardato Arvey. Il canadese la fissava prettamente confuso, “Devo trovare un’arma” aveva spiegato con voce neutra. Sua madre le aveva fatto una richiesta, si era fidata di lei, le aveva assegnato una missione e le aveva donato un oggetto ricavato dal manto stesso della notte. Strinse le dita fragili sul dono. Doveva trovare l’arma per lei, perché la custodisse. E questo voleva dire accantonare la ricerca di Bells. “So dove trovarne a bizzeffe” la rassicurò Arvey spacca meningi, passando una mano sulla sua mazza da battaglia. Bernie aveva aggrottato le sopraciglia, prima di mostrare il taumascopio, “Ne cerco una in particolare” ed ondeggiò l’oggetto, era ovvio che quello servisse per trovarla, almeno credeva. Aveva solo intravisto una figura imprecisa.

“Dovremmo mettere da parte Bells, per un po’” aveva detto rattristata. Mentre il treno s’apprestava alla fine delle sua corsa. Volse lo sguardo, su un cartello c’era scritto il nome della città, ma era così addormentata, che le lettere si mischiarono fino a creare un luogo mai udito. Lasciò perdere. “Ne sei certa?” chiese Arvey, con un tono apprensivo, quasi distruggesse lui l’idea di non trovare sua sorella. Bernie oscillò ancora una volta il taumascopio, senza rispondere. Forse era perché di fatto era stata sua madre a darle quell’incarico, ma lei lo ritrovava giusto, come se fosse stato qualcosa di cui aveva bisogno.

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: RLandH