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Autore: Writer_son of Hades    01/06/2015    1 recensioni
Questa è una storia Vera.
Non l'ho pubblicata per ricevere meriti o altro. Volevo solo che qualcuno sapesse che sto facendo qualcosa e che non la sto lasciando andare.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ho fatto per Lei


 
Questa storia vera è dedicata ad una persona che amo con tutto il cuore.
Lei non la vedrà mai, com’è giusto che sia. Ma qualcuno doveva sapere che sto facendo qualcosa.
 



Venerdì 29 maggio 2015, si prospettava come una normale giornata di scuola. Certo, se fossi stata capace di  predire il futuro, avrei saputo che sarebbe stata una giornata memorabile.
L’odore di chiuso impregnava l’aula dove diciannove studentesse del liceo linguistico stavano parlottando fra loro. Alcune di loro perfino urlavano o ridevano come una cornacchia con problemi intestinali… ma sorvoliamo sulla simpatia delle mie compagne di classe.
Io, ventesima, guardavo davanti a me in prima fila il banco vuoto della ventunesima. Lei non c’era.
Nulla di strano, direte voi. Ma Lei non salta nemmeno un giorno. Lei viene sempre a scuola, anche se non ha chiuso occhio tutta la notte per il pianto, anche se odia tutte quelle sciacquette che ci circondano, anche se non ci sono verifiche o interrogazioni impossibili. Lei c’è sempre.
Guardavo il suo banco vuoto, domandandomi come avrei potuto chiederle se stesse bene. Quella era una domanda che non aveva più significato ormai. La risposta era sempre e solo la stessa: sorriso finto e “sto bene.”
Non mi accorsi nemmeno che entrò il prof di lettere. La cartella aperta piena di fogli mal ridotti, gli occhiali rettangolari sulla punta del naso appuntito e i capelli bianchi per i cavoli loro.
                << Silenzio, per favore. >> chiamò sistemando le proprie cose sopra alla cattedra. Le mie compagne, senza smettere di ridere e di parlare, si alzarono. Io le imitai, con lo sguardo un po’ perso nel vuoto.
Il prof si posizionò sul fianco destro della cattedra, unì le mani come se stesse pregando e, quando vide che tutte lo stavamo guardando, fece il suo solito inchino.
                << Buongiorno. >>
Noi rispondemmo in coro e ci risistemammo sulle sedie.
Fece un veloce appello segnando l’unica assente e sulla schermo della LIM fece apparire le medie matematiche dell’anno scolastico.
                << Visto che il programma di italiano è già finito, >> cominciò prendendo la sedia della cattedra per posizionarsi al fianco del tavolo. << propongo di vedere con voi le medie e per mettere un voto finale al vostro penoso e veramente orribile anno scolastico. >>
Adoro la sua ironia. Specialmente perché è spesso rivolta alle persone peggiori nella mia classe. È forse l’unico professore che davvero capisce ognuna di noi.
Molte protestarono dicendo che si erano impegnate eccetera, ma il prof le ammutolì, cominciando a leggere le medie.
Io ero la terza e un sette sono riuscita a portarlo a casa.
                << Silvia, mi dispiace darti un sette. >> cominciò vedendo il mio 7,34 sullo schermo. << Ma di più non riesco.>>
Io annuii e sorrisi leggermente. Conosco le mie potenzialità e pure il prof. Un voto non mi definisce.
Poi si rivolse alla classe: << In ogni caso, questo lo dico a tutte, l’anno è stato molto difficile e visto che io sono sempre brutto e cattivo con voi, un sette nella mia materia è un ottimo risultato.>>
Continuò scorrendo tutto l’elenco e verso la fine arrivò il Suo turno.
                << 8,4 >> lesse il prof. << Il voto è otto, ma potrei anche farle qualche domanda nei prossimi giorni per poterle dare un nove. >> borbottò fra sé e sé. Poi aggiunse una parolina che fu la causa della spettacolarità di quel giorno. << Poverina. >>
Nulla di speciale. Un innocuo e un semplice “poverina”.
                << Poverina… >> ripeté una mia compagna ironicamente, nella fila in fondo.
Altre, vicine a lei, lo ripeterono e risero.
                << Se non le danno 9 si ammazza. >> risero di cuore.
 


È la mia migliore amica.
L’ho conosciuta in prima media ad un camposcuola con la parrocchia e siamo subito diventate unite. Siamo due pazze irrecuperabili e ridiamo come matte insieme.
Le medie sono passate e ci siamo ritrovate in classe insieme al liceo. Ero felicissima di poter stare con Lei tutte quelle orribili ore di scuola.
Siamo tutte femmine nella nostra classe e vivere lì dentro, non è affatto facile. Certo, ci sono delle persone stupende che non farebbero male ad una mosca, che sono la maggior parte. Ma c’è gente che potrebbe marcire all’inferno. Ragazze senza un minimo di principio, moralità o rispetto per gli altri.
Lei è sempre stata molto sensibile alle critiche e quando ha sentito una nostra compagna darla dell’obesa (cosa non vera dato che era più magra di me), le è partita la testa.
Certo, non era solo quello. I genitori che litigavano e che volevano sempre di più da Lei, non aiutavano molto.
L’estate scorsa, al nostro quinto camposcuola insieme, ho notato che a pranzo e a cena mangiava sempre poco o niente. Ho iniziato da subito a preoccuparmi e a starle accanto, ma più il tempo passava, più si allontanava da me.
La stavo perdendo ogni giorno che passava. E io non sapevo cosa fare, perché ero da sola. I genitori? Da non considerare. Le compagne di classe? Pessima idea. I professori? Ma siamo matti?!
Ero da sola che cercavo di tenerla a galla. Ed era difficile.
Non mangiava più, non parlava più. Poi una sera mi ha scritto un messaggio: “Voglio morire.”
Il mio cuore si è fermato e ho cominciato a chiamarla al telefono e mi sono fatta portare a casa sua dai miei genitori. Sono stata con lei, ma non voleva parlarmi.
Da Luglio, sta passando mesi infernali, chiusa nella sua oscurità. E io, lentamente e standole vicino, mi stavo trasformando nel’oscurità che irradiava. Ma c’è sempre stata una piccola luce di speranza. In alcuni momenti credo di perderla o persino di cadere con lei. Ma tenevo duro. Dovevo.
Nonostante tutto. Nonostante tutto questo dolore, a scuola dava sempre il massimo e il prof se ne era accorto.
 


              << Poverina… >> ripeté una mia compagna ironicamente, nella fila in fondo.
Altre, vicine a lei, lo ripeterono e risero.
               << Se non le danno 9 si ammazza. >> risero di cuore.
Io non riuscii più a trattenermi. Mi alzai in piedi, cercando di tenere la voce ferma e fredda: << Avete la minima idea di quello che ha passato e che sta tutt’ora passando? E in ogni caso va meglio di tutte voi messe insieme. Nonostante tutto riesce a prendere voti altissimi. E voi vi permettete perfino di prenderla in giro? Avete idea di chi l’ha ridotta così? Voi. Persone senza un minimo di rispetto. Superficiali ed egoiste.  Io mi farei un esame di coscienza prima di dire qualcosa. >> sento il cuore battermi a mille nel petto. Mi è uscito tutto così, senza pensarci.
               << Bé, ma calmati. >> disse una mia compagna.
               << Oh, Jessica. >> cominciai io con un tono ironico. << Sono così contenta che il tuo vocabolario di italiano si espanda da “pompino” fino a “calmati”. E poi, ti vorrei tanto spiegare, che se dici ad una persona “calmati”, la persona fa l’esatto opposto e, invece di tranquillizzarla, le fai venire un istinto di saltarti al collo. >>
               << Ma come ti permetti di parlarci così? Chi ti credi di essere? >> ribadì la sua vicina di banco con quell’orribile voce.
               << Io sono una persona che cerca di difendere la sua migliore amica, che sta morendo per colpa vostra. Ora non sto più a guardare mentre la riducete a niente. Ora devo reagire, perché la sto perdendo. E non posso perderla per un branco di babbuini senza cervello! >> ero ferma e sicura di quello che stavo dicendo.
Ci fu silenzio e i nervi mi si rilassarono. Mi voltai leggermente verso il professore. Mi stava fissando con quegli occhi azzurro ghiaccio. Sono nella merda, pensai.
                << Si sieda. >> mi invitò con voce piatta.
Io esegiuii l’ordine.
                << Vorrei spiegarle che nessuno si può rivolgere così ad una sua compagna. È mancanza di rispetto. >> mi sgridò.
Sentivo le lacrime che stavano per scendere, ma le tenni dentro. Fissai il suolo e non parlai per tutta la lezione. Ero delusa di tutto. Volevo scappare. Pure quella volta non era servito a niente.
Al suono della campanella presi la merenda e cercai di uscire senza incrociare gli occhi del professore. Pur troppo, lui mi chiamò. Insieme a me, fermò in classe anche le due ragazze che mi avevano risposto.
                << Volevo parlare con voi. >> iniziò sistemando gli occhiali sul naso. << Silvia ha sbagliato a rispondervi così, ma voi avete sbagliato in principio, trattando male una vostra compagna. >> ho alzato lo sguardo verso il prof, non capendo inizialmente dove volesse andare a parare. << Ho parlato con la Sua mamma e mi ha spiegato che è in questa situazione anche perché le compagne di classe la prendono in giro. Dunque vi chiedo di cercare di tenere a freno la lingua per non ferire nessuno. >> poi ci fissò. << Tutte e tre. >>
                << Ma prof… >> cominciò una con il tono da innocente.
                << No. Niente “ma prof.” >> concluse. << Ora andate a ricreazione e riflettete su quello che avete fatto. >>
Le due ragazze uscirono dalla porta con passo pesante. Sapevo che non avrebbero riflettuto, ma non mi importava. Io stavo nascondendo un sorriso.
                << Silvia. >> mi chiamò ancora il professore.
Mi voltai.
                << Hai fatto una buona cosa oggi. Ma c’è modo e modo per dire le cose. >> mi disse.
                << Lo so. Mi sono fatta prendere dall’ira. >> mi giustificai, non riuscendo più a trattenere il sorriso.
                << Per alcuni filosofi, l’ira era la peggiore delle tentazioni. >> come sempre aggiungeva un pezzo di sé nelle sue prediche.
                << Cercherò di fare attenzione la prossima volta, promesso. >> giurai uscendo definitivamente dalla classe.
Fuori dalla porta mi stavano aspettando tutte le mie compagne, che quando mi videro, partirono in un fragoroso applauso nel mezzo del corridoio. Non mi meritavo tutto quello. Io l’ho fatto solo per Lei, ma Lei giustamente non lo saprà mai.
Almeno so di non essere più sola a combattere.
   
 
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