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Autore: Mary P_Stark    01/06/2015    2 recensioni
Stheta mac Lir è il principe ereditario della casata dei mac Lir, prossimo re di Mag Mell e valente condottiero fomoriano. Il suo essere primogenito è stato spesso fonte di drammi interiori, così come di conflitti con il padre e la madre. L'aver tradito, seppur inconsapevole, il fratello minore Rohnyn, ha causato in lui ulteriori dubbi e ulteriori sofferenze, portandolo a rivalutare concretamente tutta la sua esistenza. E' giusto che il suo popolo sia così chiuso in se stesso, che i sentimenti vengano banditi dalla vita quotidiana? Perché, l'essere come gli umani, è visto come un difetto, quando la vita sulla terraferma pare, ai suoi occhi curiosi, piena di meraviglie? Ciara, suo capitano delle guardie e fidata amica di una vita, è preoccupata dalla svolta pericolosa presa dai pensieri del suo principe, soprattutto quando scorge in lui un interesse sempre crescente per l'umana Eithe, amica di Sheridan. In questo triangolo di interessi sovrapposti, Stheta scopre anche una nuova realtà, creature ancor più mistiche di quanto già loro non siano e che, per ironia della sorte, lo aiuteranno a scoprire le verità che cercava. - 2° RACCONTO SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"- Riferimenti presenti nel racconto precedente. Crossover con ALL'OMBRA DELL'ECLISSI
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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12.
 
 
 
 
Parlare con Hœnir e Mimir, - figli omonimi degli antichi Asi rimasti su Vanheimr dopo le sanguinose guerre contro gli asgardiani – divenne vitale, per noi.

In considerazione di quanto volevo fare a ogni costo, non potevo esimermi dal conoscere le loro opinioni in merito.

Sapere di avere l’approvazione di Savarnhe circa il mio desiderio di cambiamento, era importante.

Mettere a conoscenza gli antichi figli delle divinità asgardiane di ciò che era avvenuto, era più che mai vitale, ora.

Assieme a Ciara, perciò, il giorno seguente ci recammo presso il palazzo dei Saggi, che si trovava poco distante dalla villa di Savarnhe.

Lì, trovammo ad attenderci un folto schieramento di servitù, impegnato apparentemente in un trasloco in grande stile.

Pur chiedendocene i motivi, preferimmo non porre domande. Non eravamo lì per interessarci dell’arredamento della villa dei Saggi, ma per parlare con loro.

Nell’intercettare Rhotan, il capo maggiordomo, indaffarato nel dare ordini, chiedemmo quindi di poter conferire con i padroni di casa.

Questi fu lesto ad accompagnarci nell’ala della villa non ancora toccata dai lavori, scusandosi nel frattempo per la confusione.

Attraversammo l’ala principale, ora simile a un campo di battaglia, prima di risalire una lunga e curvilinea scala in marmo bianco.

Quando infine raggiungemmo il corridoio dell’ala ovest, ci incamminammo fino a raggiungere una porta ad arco, ove Rhotan bussò per essere accolto.

Ciara, al mio fianco, mi strinse un momento il braccio, proprio all’altezza della rihall, e io la sentii vibrare come una corda d’arpa, come rispondesse al suo richiamo.

La parvhein era forte e, se non fossi stato particolarmente attento, avrei mostrato ben prima del previsto ciò che era avvenuto tra noi.

Non era il momento di indulgere in simili pensieri, o tutto sarebbe stato vano.

Dovevo creare una base solida da cui partire, alle mie spalle, perché sapevo benissimo che avrei trovato mio padre, sulla strada che intendevo percorrere.

Nessun  principe ereditario poteva scegliere la propria sposa. Era il Consiglio dei Saggi, a farlo.

Spiegare a Hœnir e Mimir il nostro progetto, e quanti e quali alleati ci spalleggiassero, poteva essere un buon modo per avere il loro voto.

Mi disgustava dover agire a quel modo, per poter raggiungere i miei scopi, ma non avrei esitato a farlo.

Il ricatto non era tra i miei pensieri ricorrenti, e neppure in quelli di Ciara, ma ci eravamo dichiarati entrambi d’accordo, dopo averne lungamente parlato.

Per sconfiggere le ritrosie di Tethra, o i colpi di testa di Muath, l’unico modo era porli dinanzi al fatto compiuto, e con il benestare dei Saggi.

Quando finalmente fummo accolti, mi inchinai compitamente ai due fomoriani di nobile lignaggio, e così pure fece Ciara.

I tre Saggi erano gli unici fomoriani a cui anche un Re doveva inchinarsi.

Mimir ci pregò di accomodarci su un basso divano, che stava proprio di fronte a un’ampia balconata di corallo bianco.

Da lì, la veduta poteva spaziare sulle colline di Mag Mell, su cui sorgevano le ville dei potentati e delle famiglie della Corte.

Hœnir, invece, ordinò a Rhotan di portarci qualcosa di aromatico da bere.

Rimasti infine soli coi due Saggi, notammo immediatamente un cambiamento radicale sui loro volti.

Se la presenza di Rhotan li aveva trattenuti dall’esprimere il loro notevole sconcerto, la sua mancanza permise loro di esprimere la loro perplessità.

Dinanzi alla servitù, nessuno dei due si sarebbe mai permesso di esternare alcun tipo di sentimento.

«Cosa vi porta qui, Altezza, e senza esservi fatto precedentemente annunciare? Cosa mette le ali ai vostri piedi?» esordì Mimir, accomodandosi a sua volta su una poltrona.

I lisci capelli biondi, lunghi fin quasi ai piedi, vennero scostati su una spalla mentre, la mano libera, sistemava le pieghe della tonaca rossa e gialla che indossava.

Hœnir, abbigliato con colori più sobri, rimase accanto alla scrivania e prese ad accarezzare distrattamente la sua fulva chioma, che riposava sulla sua spalla destra.

Entrambi ci osservarono con i loro cangianti occhi blu, dalla strana corona color verde menta.

Li avevo sempre ritenuti occhi bellissimi, ma anche dannatamente difficili da interpretare.

Da quel che sapevo, li avevano ereditati dai genitori asgardiani mentre, le chiome lunghe e fluenti, erano appartenute alle loro madri fomoriane.

Con la perdita del culto degli Asi, gli asgardiani avevano perso corporeità in ogni regno, ivi compreso il nostro, così gli anziani Hœnir e Mimir erano scomparsi.

Le mogli si erano lasciate morire lentamente, assolvendo al loro dovere di madri fin quando i figli avevano avuto la forza di camminare con le loro gambe.

Anche per questo, Hœnir e Mimir erano così legati.

La loro triste e comune storia li aveva avvicinati molto, e questo aveva portato le loro vite a intrecciarci con forza.

Dacché io ricordassi, non li avevo mai visti separati.

«Giungo a voi con una notizia e una richiesta» esordii, allungando gli avambracci sulle cosce e stringendo le mani tra loro con una buona dose di nervosismo.

I due Saggi annuirono, pregandomi di continuare. I loro volti erano imperscrutabili.

Io allora presi fiato e, con un mezzo sorriso, domandai: «State cambiando casa?»

Mimir rise bonariamente, scosse il capo e, con aria esasperata quanto amorevole, chiosò: «Le donne hanno gusti mutevoli, in fatto di arredamento, e questi sono i risultati. Spero che la casa non vi sia sembrata troppo in disordine. Non oso neppure mettere il naso fuori di qui, con il rischio che la mia Celian mi obblighi a spostare qualcosa di mio pugno.»

«Ragionevolmente in disordine. Ma comprendo» assentii, prima di tornare serio in viso.

Ciara mi diede una pacca sulla coscia, gesto che non passò inosservato ai due uomini, che però preferirono non dire ancora nulla.

Dunque, parlai io.

«La parvhein si è manifestata, e Ciara è risultata essere la Prescelta.» Lo dissi senza guardare nessuno in particolare, e così fece la coraggiosa donna al mio fianco.

Quante altre avrebbero accettato – a Mag Mell – di parlare di simili argomenti dinanzi a due uomini, e che neppure erano nostri parenti stretti?

Nessuna, a mio parere.

Gli occhi dei due Saggi si sgranarono leggermente, ma ancora non dissero nulla.

«So benissimo che i mac Airth non rientrano nelle famiglie di nobile lignaggio designate dalla Corona, e che solo voi potete scrutare nelle Pergamene per conoscere il nome di colei che sposerò…» continuai a parlare, con una certa veemenza a inasprire il mio tono. «… ma Ciara è la donna che amo, e solo lei sposerò. Essendo l’arganthe un evento pressoché unico, nonché importantissimo nella nostra cultura, dovrete convenire con me che non può esservi altra donna, nella mia vita, se non lei. Per lo meno, se vogliamo essere certi che io abbia una discendenza sicura e numerosa.»

Parlare a quel modo mi fece quasi desiderare di fuggire da lì, indignato e disgustato com’ero.

Non volevo che tutto si risolvesse al mero, cinico enumero delle potenzialità di una Prescelta, ma era anche l’unico argomento valido che loro avrebbero potuto ascoltare.

Amore.

L’amore non era contemplato nelle scelte dei Reali. Anche se farvi accenno avrebbe potuto accrescere la forza del mio dire.

I due Saggi scrutarono in viso Ciara, che si mantenne stoica e inamovibile, un’autentica roccia al mio fianco, con ancora la mano poggiata sulla mia gamba.

Dimostrava, senza parlare, la forza dei suoi intenti.

Io ero suo, come lei era mia.

Di fronte a tutti o, almeno per ora, di fronte ai due Saggi.

«La vostra richiesta ci è ora nota. Qual è la notizia, quindi?» mormorò Mimir, lanciando occhiate intermittenti a me e Ciara.

Appariva quasi sbalordito, ma non contrariato.

Questo mi diede un barlume di speranza.

Quanto a Hœnir, non seppi davvero che dire. Era più imperscrutabile di un fondo abissale.

«Penso sia importante essere degni di rispetto, e mio padre si è sempre guadagnato il rispetto grazie al suo esercito. Ne convenite?»

I due Saggi non dissero nulla, spingendomi però a proseguire. Se chi tace acconsente…

«Non giungo a voi come un giovane dal cuore debole, o dalla mano malferma. Mio padre si accinge ad avvicinarsi all’abdicazione obbligatoria, visto il raggiungimento dei dodicimila anni di età, e io assurgerò al potere dopo di lui. Ma non sarò né debole, né influenzabile. La mia richiesta di sposare Ciara non deve essere vista in questi termini, ma solo come il primo passo verso un cambiamento che deve avvenire.»

Presi un respiro, e proseguii.

«Le nostre leggi sono immobili da centinaia di millenni, tutto si è semplicemente susseguito senza che nessuno provasse minimamente a comprendere se vi fossero, o meno, dei difetti nel sistema. Tutti davano per scontato che le cose andassero bene così.»

«E non è vero? Già prima di partire da Vanaheimr, le dispute erano quasi scomparse, soppiantate da un rigido controllo sui territori. Da millenni non si combattono più guerre, i Protettorati sono asserviti al potere della Corona di Mag Mell, e nessuno ha più tentato di scalzare vostro padre dal trono dai tempi di suo fratello l’Apostata. Quindi, ove si trova la falla nel sistema?» mi fece notare Mimir, accarezzando l’aria con una mano.

«Siamo diventati niente più che automi che si limitano a eseguire ordini, o seguire regole, senza porci domande. Questo non è progresso, è stagnazione. Desidero un popolo più dinamico, che faccia le sue scelte, e che sbagli, anche. Ma che viva. I nostri progenitori non erano solo dèi dediti alla guerra, ma anche alla luce, alla gioia.»

Strinsi i pugni, sulle ultime parole, e questo attirò l’attenzione dei due saggi.

«Questo produrrebbe nuovo caos, e lo sapete.» Il tono di Hœnir fu paziente, come se stesse parlando a un bambino maleducato e non a me, al suo principe. «Non fu un caso se i fomoriani abbandonarono i culti più… carnali dedicati a Freya. Sviavano l’attenzione, deviavano anche le menti più pure.»

Mi irritò sentirlo parlare a quel modo, lo ammisi tra me e me senza alcuna difficoltà, e non potei esimermi dal replicare aspramente.

«Forse, e forse no. Ma preferisco il caos alla totale immobilità. Inoltre, unirsi carnalmente all’ombra delle pareti di casa non è dissimile dal farlo alla luce di un fuoco, onorando la dea. E’ solo più meschino, perché si tenta di negare l’ovvio.»

Entrambi i Saggi si irrigidirono alle mie parole, e lanciarono sguardi ansiosi in direzione di Ciara, immobile al mio fianco.

Nessun uomo sano di mente, o anche vagamente educato, si sarebbe esposto in quei termini, ma io ero stanco di tergiversare.

«Siamo creature di carne e sangue, non solo di forza e intelletto. Nasconderlo come, ormai da millenni, stiamo facendo, è solo menzogna pura. E io detesto le menzogne.»

Guardai dabbasso, ove la servitù stava lavorando alacremente, e aggiunsi: «Vostra moglie, nobile Mimir, ha desiderato il cambiamento, perché millenni di oggetti sempre uguali l’avevano stancata.»

«Non potete paragonare il rinnovo di un locale alla vita del vostro regno, o dei vostri cittadini!» protestò il Saggio, adombrandosi.

«Se non si cambia, non si noteranno mai le cose belle, così come quelle brutte. Non si potranno mai notare gli errori, o migliorare le cose già di per sé positive, portandole all’eccellenza. Limitarsi a scrutare l’orizzonte senza mai realmente vederlo, porta un popolo all’estinzione.»

Quell’ultima parola li fece irrigidire.

Sorrisi tra me, e proseguii nella mia disamina.

«Pensate non sappia che il numero dei fomoriani sta drasticamente calando? Chiediamoci il perché. Un popolo senza spinte emozionali non prospera,… muore. E i conti parlano da soli.»

Lasciai che pensassero alle mie parole per alcuni minuti di teso silenzio, dopodiché lanciai la bomba.

«Ho avuto l’onore e il piacere di parlare con un asgardiano, pochi giorni addietro. Penso conosciate il nome del dio Fenrir.»

I due Saggi strabuzzarono gli occhi, si adombrarono ancor più in viso e Mimir, torvo, replicò: «Gli Asi sono scomparsi da tempo immemore, né più né meno dei Vani, e questo dovreste saperlo. I nostri genitori svanirono poco dopo la nostra venuta qui su Manaheimr, e lo sapete.»

«Vero, ma gli spiriti divini perdurano all’interno di Yggdrasil in attesa di poter rinascere nei corpi umani, e io ho conosciuto colei che detiene l’anima immortale del dio-lupo.»

Senza dar loro il tempo di digerire la notizia, parlai loro di Brianna.

Dissi loro ciò che aveva fatto per unificare i clan, e di come fosse venuta a patti anche con gli uomini-orso, legati al potente dio Odino.

Narrai di come i licantropi, nel corso dei millenni, furono costretti a fondere il loro sangue con quello degli umani, per sopravvivere, e di come la loro cultura si fosse fusa con quella di altri esseri viventi.

Spiegai come questo avesse sì, in parte, diminuito i loro poteri, ma di come avesse però permesso loro di vivere a dispetto del tempo e dello spazio.

O dei loro nemici.

«Non si sono limitati ad arroccarsi sulle loro convinzioni, hanno tentato, e hanno vinto. Certo, il progresso non è stato scevro di errori, o di perdite, e tutt’ora adesso la convivenza non è del tutto semplice. Ma hanno rinnovato loro stessi

I due Saggi reclinarono i rispettivi volti, ora evidentemente pensierosi.

Fu a quel punto che Ciara parlò per la prima volta, contravvenendo a una delle tante regole che volevo infrangere.

Nessuno, tra le classi inferiori della nobiltà, poteva rivolgere la parola a uno dei Saggi.

«Fenrir e il suo popolo hanno accordato il loro appoggio e la loro amicizia a Stheta come uomo, non perché principe dei fomoriani. E’ l’uomo, non il principe, ad aver ottenuto questo. E tutto ciò perché si è messo in gioco, ha provato a se stesso di poter cambiare, e questo lo ha portato dove ora siamo. Dinanzi a voi, non postulanti, ma con il cuore in una mano e la spada nell’altra.»

Hœnir la guardò con estrema sorpresa, forse stupito dalla forza insita nelle sue parole, o per il fatto stesso che si fosse arrischiata a parlare.

«E voi sareste la spada o il cuore, giovane guerriera?» le domandò con curiosità.

«L’uno o l’altra, pari è, nobile Saggio. Così lui è per me l’uno o l’altra. Siamo paritari, le due entità di una stessa Singolarità.»

Mimir sorrise bonario, e mormorò: «E immagino che Savarnhe ne sia già al corrente. So che passate molto tempo con lui, principe, e dubito non lo abbiate già informato dei vostri propositi.»

«Conosce e approva le mie idee, nobile Saggio, pur se ancora non sa di Ciara. Non intendiamo scardinare il tessuto stesso del nostro popolo, ma far sì che inizi a scorgere un nuovo orizzonte. Nel bene e nel male, i cambiamenti devono avvenire, o rischieremo di avvizzire su noi stessi. Non desidero che ciò accada. Amo il mio popolo, ma ne vedo anche i difetti. Così come i pregi.»

«Desiderate, perciò, che scrutiamo per voi nel futuro, per sapere se la vostra scelta è giusta?» domandò Hœnir, scrutandomi e soppesandomi al tempo stesso.

«No. Né desidero lo facciate mai più. Siate consiglieri, poiché la vostra mente è assai più sottile e articolata di altre. Questo sarà per il nostro popolo dono più grande di una divinazione.»

Mimir e Hœnir tornarono a guardarci, soppesarono le nostre parole, e infine ci congedarono per parlare liberamente tra loro, lontano dalle nostre orecchie.

Nell’uscire dalla villa ancora in subbuglio, Ciara mi prese per mano e, con un mezzo sorriso carico di ansia, mormorò: «Pensi abbia esagerato?»

«Sei stata perfetta. La regina che voglio tu sia. Dovrai sempre esprimere il tuo parere, non tacerlo mai, anche quando differisce dal mio.»

Le sorrisi, lasciando che le nostre mani si dividessero non appena abbandonammo la tenuta dei due Saggi.

Non era ancora il tempo, ma ci stavamo avvicinando.

Presto, Mag Mell avrebbe scorto altri orizzonti oltre a quello che, per millenni, era stato propinato loro per comodità e sordida sonnolenza.

 
***

Ronhyn strabuzzò gli occhi, alla notizia di quanto avevamo appena fatto io e Ciara, ma ci guardò con estremo orgoglio, e io ne fui compiaciuto.

Sheridan, appoggiata al divano dove era accomodato il marito, le braccia conserte e l’aria truffaldina, ghignò all’indirizzo dell’amica e chiosò: «Ti sei scelta una bella gatta da pelare, eh?»

«Se sono facili, non le vogliamo» replicò lei, scrollando le spalle.

L’influenza di Sheridan, nel suo modo di esprimersi, si stava già facendo sentire.

Ancora un po’, e l’avrei sentita anche imprecare.

Tornata seria, mia cognata comunque disse: «Non me ne intendo di golpe pacifici, Stheta, ma ammiro molto ciò che intendi fare. Va da sé che, se dovessero rompervi le scatole all’inverosimile, la porta di casa nostra è sempre aperta, per te, Krilash, Lithar e, ovviamente, Ciara.»

La ringraziai con un cenno del capo, ma replicai: «Rimarremo per lottare per quello in cui crediamo, ma grazie per il sostegno, cognata. Sapere che ci sostieni è importante.»

«Anche se sono una semplice umana?» mi irrise, ammiccando, e ricordandomi quando le avevo rinfacciato le sue origini.

Arrossii mio malgrado.

Sheridan scrollò le spalle, ridacchiò e, nel sollevarsi dalla sua posizione rilassata, aggirò il divano e mi si avvicinò.

Io la guardai dal basso all’alto, e lei si chinò per darmi un bacio sulla guancia, mormorando: «Me l’hai riportato, Stheta, e questo è per me il dono più grande di tutti. Mi avrai sempre al tuo fianco, anche come semplice mortale.»

«Ho imparato sulla pelle quanto poco siate semplici, o anche solo indifesi.»

Rhonyn sorrise, e mi parve di avvertire provenire da lui un’ondata calda, piacevole, dirompente.

«Quando intendete affrontare Tethra e Muath?» ci domandò, lasciando che quell’onda calda dilavasse fino a scomparire.

«Dopo averne parlato anche con Krilash e Lithar. Non abbiamo idea di cosa abbiano deciso di fare i due Saggi, ma ormai è tempo di mettere fine a un po’ di cose, perché altre possano prendere il via.»

Ciara mi strinse con convinzione la mano, e ancora Rhonyn annuì.

Sheridan mi diede una pacca sulla spalla e, con allegria mista a una buona dose di grinta tutta sua, esclamò: «Dobbiamo festeggiare! Al nuovo re e alla nuova regina!»

Ciara rise, e si levò dal divano per raggiungerla.

In barba alle sue antiche paure e ritrosie, avvolse la vita di Sheridan con un braccio e, insieme, si diressero verso la cucina.

Rimasto solo con mio fratello, mormorai: «Desidero questo, per Krilash, Lithar… il nostro popolo tutto. E’ così sbagliato?»

Rhonyn scosse il capo e, adombrandosi in viso, asserì: «E’ così dannatamente giusto che in molti tenteranno di fermarti, nostro padre compreso. Lo sai che l’immobilità è più facilmente gestibile.»

«Tu non lo sei mai stato e per questo, più di altri, sai con certezza a cosa sto andando incontro. Eppure, non sembri tentato dal fermarmi.»

Sogghignò al mio dire, e annuì.

«Non è un caso, se nostro padre ha cercato tante volte di tarparmi le ali. Sono un’incognita impazzita, per lui. E forse, dopotutto, non gli dispiace neppure tanto, che io sia scappato da Mag Mell. Così, non potrò più dargli noia. Perciò sì, so a cosa stai andando incontro e no, non ti dirò di fermarti. Hai ragione, e avrai il mio appoggio.»

Non avvertii dispiacere nelle sue parole, perché nella sua mente scorsi un’altra figura, al posto di nostro padre Tethra.

Cormac MacHugh, il suo vecchio amico, l’umano che più di tutti era stato un vero padre per lui, avrebbe sopperito ai vuoti lasciati da quello di sangue.

No, Rhonyn non aveva alcun rimpianto.

E neppure io li avrei avuti, anche grazie al suo esempio.

Sarei stato anch’io un’incognita impazzita, ma avrei scardinato le leggi del mio popolo, non mi sarei limitato ad allontanarmene.






Note: Freya, oltre a essere la capostipite dei fomoriani assieme al fratello Freyr, è la dea della lussuria e della guerra, nel mito nordico. Per questo, Stheta sottolinea come solo una via è stata seguita, e non entrambe quelle percorse dalla loro dea e Madre. Negando il lato "carnale" della dea, hanno trattenuto solo la sua sete di sangue in guerra, e questo ha reso freddi i fomoriani, quasi mutilati nella loro discendenza. Stheta non vuole negare la passione (a cui sono connessi i sentimenti più forti come l'amore, l'amicizia e sì, anche l'odio), vuole reintrodurla, ma non certo a scapito dell'abilità in battaglia o del culto dell'intelletto. Esse posso convivere pacificamente, così come era stato all'inizio. Prevede errori, ma solo chi è immobile non ne commette. E l'immobilità è noiosa, ammettiamolo.
  
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