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Autore: Bloody_Schutzengel    01/06/2015    1 recensioni
[Primo capitolo della serie: Sotto mille ciliegi]
Anno ****, mese di Agosto, quindicesimo giorno.
Lo stato di Kintou viene stravolto da un violento colpo di stato da parte di estremisti detti Rivoluzionari, che attuano un macabro e violento regime di ferro nella parte orientale del paese. La parte occidentale, invece, è popolata ancora da creature magiche, sacerdotesse e dalla natura. E' chiamata Terra Pura ed è sotto tiro dal generale salito al potere che vuole emulare violentemente i costumi delle popolazioni d'Oltremare, industrializzate e moderne all'esterno ma sanguinose e ingiuste all'interno.
Yoko è una semplice ragazza di Kintou Shuto, la capitale di Kintou Est, che a causa di vari eventi, si troverà ad entrare nell'esercito della morte della città, pur di sfuggire all'esecuzione pubblica. Tra le file, Yoko dovrà affrontare i suoi compagni, tutti uomini, le battaglie, le campagne militari ma soprattutto il vero e proprio generale, del quale è oggetto di desideri perversi e omicidi allo stesso tempo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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• Capitolo 21 •
Nel Tempio della Letteratura

 


“Questo non è un vecchio tempio di pietra, Yoko. Questo è il Tempio della Letteratura della Terra Pura.”
La ragazza rimase allibita: aveva appena messo piede col corpo e con l’anima in uno degli scenari delle storie che suo cugino le raccontava, dipingendo attorno ogni paesaggio un alone di magica che in quel momento, Yoko poteva sentire più che bene. Si sentiva parte di una leggenda, parte di una storia importante, di un intrigo, di un mistero. Come un attore che viene illuminato, sul palco, da una luce fin troppo luminosa, da farlo sentire a tre passi dal paradiso. Non poteva crederci: aveva toccato con mano e aveva letto uno dei sacri volumi del tempio.
“Stai scappando? Perché sei qui?” Yoko non rispondeva. “Tutto bene?” Tohma si avvicinò a lei, un po’ preoccupato dal momento che l’amica sembrava in stato di trans. Lei si riprese e sorrise, invasa da tanta emozione quanta non ne aveva mai provata.
“Sì, sto bene… è che… come ti sentiresti se stessi toccando davvero le mura di quello che per te è stato sempre dipinto come un paradiso? Come se stessi vedendo… non te lo so spiegare…” E intanto lei girava su sé stessa, ammirando ripetutamente lo squarcio nel tetto che aveva già visto e i vari scaffali bui che adesso le sembravano tanto luminosi da accecarla. Quel buio tempio distrutto, adesso per lei era diventato uno dei suoi sogni più grandi. Tohma, d’altra parte, s’era perso nei giri di parole che gli avevano appena attraversato le orecchie. Cercava di comprendere quello che gli era stato detto, ma, gira e rigira, tornava sempre alla conclusione che lui non avrebbe mai capito quelle parole. “Vorrei tanto capire quello che hai detto…” Si fece scappare una risata sconsolata, “Ma l’importante non è che io capisca, basta che tu stia bene. A proposito, volevo…” Si fermò, ancor prima di iniziare quella frase: Yoko sembrava triste, anzi, non triste, ma malinconica. Un’espressione di nostalgia e di compassione, verso quelle quattro mura sacre che continuavano ad essere fissate da lei. “…Cos’hai?”
“Come ha fatto ad essere ridotto in questo modo…?” sussurrò tra sé e sé, accarezzando il polveroso scaffale di libri e guardando per terra, nel vuoto: le assi di legno ogni tanto apparivano rotte e distrutte, lasciando che pezzi di terreno potessero essere intravisti e che l’erba potesse crescere indisturbata.
“Che cosa-“
“Chi ha distrutto questo Tempio?!” continuava a guardare, stavolta verso l’alto, nel vuoto, aspettando che qualcosa o qualcuno le rispondesse. “Non credo abbia fatto niente di male… Questa Terra non ha fatto niente di male… perché volerla distruggere?” In quel momento, nella sua mente apparvero immagini terrificanti, le stesse, pressappoco, di quando Tohma non si era ancora mostrato a lei. Soldati, in fila, vestiti di nero su uno sfondo oscuro, coi volti tutti uguali e con gli occhi oscurati dalla visiera dei cappelli. Si muovevano all’unisono, gridavano di adempire agli ordini. Ordini di chi, poi?
Il generale.
Non si sentì in grado di poter dire più nulla.
“L’ha distrutto il generale.” Yoko ebbe un sussulto al cuore e non seppe neanche perché.
“Non è possibile.”
“Perché? La gente come lui, la gente come quel mostro ha distrutto questo posto. La sua gente vuole distruggere la Terra Pura, l’hai dimenticato, Yoko?!” Tohma alzò leggermente il volume della voce, ma non volle rimproverare l’amica, soltanto farle rendere conto di cosa stesse dicendo: quella non era Yoko.
“Queste mura saranno state abbattute anni e anni fa! Come avrebbe potuto un bambino fare tutto questo?!” Si voltò disperata verso Tohma, con gli occhi pieni di rabbia, una rabbia immotivata che nascondeva la voglia di essere capita, di ottenere una risposta a tutto quello che stava succedendo.
“Stai delirando, Yoko. Che cosa ti succede?!” Le si avvicinò di scatto, facendo volare lo yukata invisibile dietro la sua schiena. Le fiammelle blu illuminavano il volto dell’amica. “Quelle persone non hanno un’anima, lo capisci, vero?” Il tono della sua voce si fece preoccupato.
“Hai ragione, ma…” Tohma era impietrito: stava esitando. Per cosa, poi? Cosa stava cercando di dirgli con quel tono ch’era tutt’altro che sicuro di ciò che voleva dire? Non stava mica per diventare come… come loro?
“Yoko, ti prego, ascoltami…” Il ragazzo si fece sempre più serio, ma veniva costantemente interrotto da quella piccola ragazza che stava perdendo il senno.
“No, io… io ho visto una piccola luce nei suoi occhi, io lo so che c’è qualcosa di buono in fondo a quell’abisso… io-“ Yoko continuava a chiudere ed aprire gli occhi, a portarti le mani alla testa, a guardarsi intorno, in cerca di un aiuto. Peccato che le mani volatili dell’amico avessero potuto fare ben poco, passandole attraverso le spalle.
“Di chi stai parlando?”
“Io…” Non rispose, cominciando a calmarsi e a chiudersi a riccio dentro sé stessa. Prese un respiro profondo, mentre il silenzio divorò quella stanza e gli occhi di Tohma si arrendevano passo per passo a quella situazione di impotenza di fronte a tanta confusione. “Io vorrei tanto capire… Ci sono tante cose che non riesco a capire. Mi sento inutile. L’uomo che ha cercato di uccidermi quella notte: chi era? Perché sono stata avvelenata? Perché-“
“Sei stata avvelenata?!” Gli occhi di Tohma si accesero di una nuova luce, una luce di rabbia e di vendetta.
“Io… così diceva il generale. Mi ha salvato.”
“Non riesco a capire.” Quelle pupille nere si fecero vuote, impassibili e confuse. La serietà coprì il volto calmo di Tohma.
“Te lo giuro, quando mi sono svegliata, ho avuto paura che fosse lui ad avermi fatto del male, ma poi mi sono ricordata che era stato lo stesso uomo che ha cercato di violentarmi la prima notte. Ne sono sicura: io l’ho visto!” Yoko cominciò ad allarmarsi sempre di più, vedendo che il volto dell’amico non accennava a dare segni di calma e comprensione. Non stava capendo le sue parole, non ci stava neanche provando: perché nessuno mai crederebbe che il lupo cattivo possa essere anche l’eroe della piccola Cappuccetto Rosso?
“Stai delirando.”
“No, Tohma, credimi, non è come credi! Mi ha salvato la vita: se non mi avesse fatto sputare quei biscotti avvelenati io non sarei qui a parlare con te! Credimi, è la verità!” Il tono della voce si faceva sempre più alto, nella speranza che quelle parole, urlate con tutto il dolore che celavano ,avessero potuto colpire il cuore di Tohma.
“Come posso crederti? Capisci che mi stai chiedendo di credere che colui che mi ha ucciso ti ha salvato la vita?! Lo capisci?!” Adesso in quella c’era rabbia, rancore, ferocia. C’era lo stesso alone di rimpianto e di angoscia di chi parla come se lo avessero abbandonato. Tohma di sentiva abbandonato: Yoko l’aveva capito.
“Io non volevo dire questo, io…”
“Ti rendi conto che stai credendo più alle sue parole che alle mie che ti ho salvato la vita e non ti ho costretto ad essere torturata o altro?!” Con tutta la forza che ci mise nell’urlare quelle cose, Tohma si ricordò, però, che in fondo, se in quel momento avesse ucciso il generale, da vero eroe, adesso non sarebbero stati lì a pugnalarsi a vicenda con parole amare ed affilate.
“Ti chiedo solo di provare a guardare alla situazione da un lato diverso…”
“E da quale? Dal suo? Dal lato di chi ha ucciso migliaia di persone? Da lato di chi sta facendo patire la fame a tutta Kintou Shuto? Dal lato di chi ti ha costretto a vivere questa tortura e che ti ha salvato la vita? O da che altro lato? Stai difendendo un mostro senza rendertene conto! Ti userà ancora di più se continui a farti abbindolare con questi suoi giochetti perversi! Cosa ha fatto di buono per te questo mostro? Cosa?!” Continuava a inveire lui, in tono di sfida, quasi.
“Non ho detto che non sia un mostro!” un urlo. Era un urlo che proveniva dal più profondo luogo della sua anima. Un urlo nero, un grido disperato in cerca di ascolto. In cerca di un briciolo di attenzione. Appena notò lo sgomento di Tohma per quel grido, non ci pensò due volte ad investirlo con le sue parole. “Non ho detto che non mi ha fatto passare l’inferno! Non ho detto che le sue mani non siano sporche del sangue innocente di mille e mille persone e non ho neanche detto che non mi abbia fatto del male! Ha cercato di approfittarsi di me, lo sai? Ed è normale, perché io non ho detto che non sia una bestia assetata di sangue! Lo è! E’ una delle persone più terribili e disgustose di questo mondo: questo lo so! Ti sto solo dicendo di provare a guardarlo con i miei occhi, perché nonostante io stia passando un inferno per colpa sua e per colpa di questo dannato regime, posso capire, voglio poterlo fare. Io ho visto una luce dentro quegli occhi. E’ un’anima disperata: cerca qualcuno che sia disposto ad attraversare rovi dalle spine lunghe centimetri, burroni, fiamme, sangue e meandri bui della sua mente per poterlo capire. E’ difficile raccogliere un fiore dalle mani di un famigerato assassino coi vestiti e le mani sporche di sangue, ma se anche l’assassino ha avuto il permesso di toccare una cosa così delicata senza essere punito, vuol dire che, in fondo, possiede un cuore: deve solo essere liberato dai rovi.” Respiri affannati e delicati riempirono la stanza, mentre gli occhi della ragazza guardarono prima a terra, poi si alzarono e si rivolsero a quelli di Tohma. La sua voce si calmò e smise di urlare, ritornando a parlare come si parla ad un caro amico. “Alla cerimonia per inaugurare la partenza per questa spedizione, mi aveva ordinato di non farmi vedere perché sarei stata un motivo di scherno per l’esercito, perché sono una donna. Poi, però, è entrato in camera mia e mi ha porto un vestito bellissimo, bianco e rosso, con dei gioielli e mi ha detto di scendere giù alla cerimonia. Non ho capito cosa volesse dire o da dove avesse preso quel vestito, ma… nella sua voce non c’era odio e non c’era la violenza con cui tutti, me compresa, l’abbiamo sempre ritratto. Mi ha detto di fare finta di essere la sua dama per quel ballo. So che l’aveva detto perché non ne aveva una, so che ero un semplice rimpiazzo, ma il modo in cui sentivo che si comportava in quel momento… era del tutto diverso da come si comporterebbe un mostro. Forse era una maschera, forse era una semplice luce nera che mi ha abbagliato e mi ha fatto diventare pazza tanto da dirti queste cose, ma, credimi: qualcosa è cambiato in quel lupo, e sta ancora cambiando.” Il silenzio pervase di nuovo il Tempio, mentre tutti e due erano in apnea: Tohma, da una parte, stava sospeso, aspettando il momento giusto per poter parlare, una volta sedato quel fuoco ch’era nato dentro la sua amica. Dall’altro lato, Yoko sperava che l’amico avesse capito quello che aveva appena detto: non era pazza.

O forse… sì?

Il ragazzo fantasma si voltò, dirigendosi in silenzio verso uno degli enormi mobili, guardando velocemente le iscrizioni sul dorso di ogni libro. Scaffale dopo scaffale, passò all’altro mobile, insoddisfatto della propria ricerca, e così fece per tutto il tempio, tanto veloce che Yoko, per poter stare al suo passo, dovette cominciare a rincorrerlo. I suoi piedi si muovevano, senza fare domande, incespicando nelle travi di legno rotte. Gli occhi della ragazza si serravano ogni tanto, colpiti dai fiochi raggi di luce lunare che ora illuminavano il cielo: era ormai sera. Avrebbe fatto bene a tornare all’accampamento… Mentre pensava a questo, fece un passo falso ed inciampò, cadendo sulle ruvide travi di legno miste a chiazze di terreno, una volta passata attraverso lo yurei. Il suo volto era sporco di polvere e di terra e le sue mani non riuscirono a pulirlo del tutto, una volta rialzatasi. Si voltò verso l’amico, che, fermo aspettava che lo facesse. Una volta che i loro occhi si incontrarono, il fantasma si voltò verso gli scaffali.
“Prendi un libro, leggilo e poi vienimi a raccontare le stesse cose che mi hai detto prima. Uno qualsiasi di questi andrà bene: quelli di questo mobile raccontano della strage che la Terra Pura subì durante la prima invasione da parte di Kintou Shuto. Leggine uno, leggi del sangue e del dolore di questa gente e poi abbi il coraggio di dirmi che quella gente ha un’anima. Fallo, Yoko.” Yoko si alzò e, seguendo il dito dello yurei che indicava svariati volumi, ne prese uno  tra le sue mani: non era molto grande, né troppo vecchio e malridotto, anzi: il titolo sulla copertina bianca, un po’ polverosa ma non troppo, era ben leggibile, adornato con disegni di fiori di ciliegio fatti a mano, evidentemente con un pennello ed inchiostro: “Sotto Mille Ciliegi”. Decise che sarebbe andato bene, nonostante fosse diverso dagli altri, sporchi e polverosi. Quello era pulito e puro: che avesse sbagliato a scegliere libro? Eppure, si trovava sullo stesso scaffale…
Il tempo di girarsi verso l’amico per chiedere consigli e spiegazioni e lui era già svanito nel nulla, abbandonando con rancore Yoko con un altro punto interrogativo tra le mani.
Tic Tac.
Il ticchettio dell’orologio da taschino le fece ricordare ancora una volta che doveva tornare all’accampamento, così, dopo averlo fissato malinconica per qualche secondo, alzò il suo sguardo e vide una luce: una porta. Nel buio, inciampando e trascinando a fatica i piedi, ancora avvolta dalla tristezza per aver litigato con Tohma, Yoko si trovò davanti al vero ingresso del Tempio: un portico di pietra di apriva davanti a lei, dove, più avanti, spuntava imponente un Torii con dei fili decorativi con sopra attaccati dei bigliettini ingialliti. Sembravano liane della giungla. Purtroppo, non potette godersi quel paesaggio, avvolta dalla malinconia e dai sensi di colpa per aver volutamente preferito un mostro al suo migliore amico fino ad allora. Si sentiva terribilmente in colpa, però, dentro di lei, sapeva di aver ragione, sapeva di essere nel giusto, anche solo un po’.
Tutto il tragitto fu muto, triste e dedicato a fissare la terra che veniva calpestata dai piedi delicati della ragazza. Il libricino gracile (rispetto agli altri che c’erano nel Tempio) era avvolto tra le sue braccia, in una stretta nostalgica che richiedeva solamente un corpo da abbracciare. Yoko voleva un abbraccio, voleva essere compresa. Non essere capita da nessuno in quel momento era doloroso, era una spinosa sensazione di sofferenza come se il suo cuore e il suo stomaco fossero precipitati in un pozzo pieno di rovi e stessero scivolando pian piano tra quelli, lasciando che le spine appuntite li falciano e li feriscano. Quel tipo di dolore: un dolore lancinante per cui non poteva farci niente. Non poteva cercare Tohma e non poteva chiedergli scusa: sapeva che avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa. Nessuno le avrebbe creduto: forse era per questo che il generale le aveva fatto capire di non parlare dell’accaduto dei biscotti con nessuno. La sua fama macchiata di sangue, Yoko ne era sicura, precedeva, purtroppo, quello che realmente pensava quello che tutti chiamavano “mostro”. Allora, si domandava, perché dare corda a questi individui? Perché non riscattarsi per farsi conoscere come una persona migliore? Forse Tohma aveva ragione: forse lui era davvero una bestia senz’anima che la stava ingannando. Come fare a scoprirlo, però? Forse, quella notte, a mezzanotte, l’avrebbe capito. Intanto, aveva timore di aprire quel libro, perché sapeva che le avrebbe mostrato cose che non avrebbe voluto vedere. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: non è forse così? Tanto valeva continuare a stringerlo al petto, senza sfogliarne le pagine insanguinate. Ma, dopotutto: erano davvero insanguinate le pagine di quel piccolo volume che risplendeva di bianco tra gli altri neri e scuri che riempivano quel mobile?
Yoko si fermò: non era il momento. Si voltò e velocemente, ripercorse tutta la strada che aveva fatto fino a ritornare sul sentiero di partenza, per ritornare al Tempio e posare quel maledetto libro che non meritava ancora di leggere: non meritava di sapere la verità. Una volta riposto tra gli altri, nel buco da cui era stato prelevato, uscì finalmente da quel Tempio e corse dritta all’accampamento.
Sto arrivando.
 
 
I meandri di quella sala da teatro odoravano di passione malata. Chissà cosa fosse successo tra quei tavolini e su quel palco… Tian Liang vagava in quella sala vuota con aria disgustata e sospettosa…
Lo ricordava benissimo: era notte, non aveva sonno…
 
Era uscito dalla sua camera per farsi un giro, dato che non sopportava troppo quell’atmosfera di morte e di violenza. Era in camicia da notte, ma si rimise addosso l’uniforme per lasciare momentaneamente il palazzo. Una volta uscito dalla propria camera ed una volta superate le scale del salone non prima di interminabili corridoi, li vide: il generale ed Heizo erano ancora svegli e stavano entrando in una stanza nascosta, sotto le scale del salone. Al loro seguito, c’erano altri signori importanti o soldati, che come loro ridevano e avanzavano verso quella porta che gli era sempre stata ignota fino ad allora. Sapeva che l’avevano visto, quindi si avvicinò con calma, guardandoli negli occhi e cercando di farsi notare.
“Signor generale, dove state andando?” Li fermò prima che potessero sparire ignorandolo.
“Tian Liang, non dovresti riposare a quest’ora?” Il generale lo “salutò”, dicendo con un gesto agli altri di proseguire, finché non si ritrovarono soli nel salone d’entrata.
“E’ la stessa cosa che chiederei a voi, mio signore.”
“Cerca di non fare l’impertinente. Ricorda che sei sempre un vice e io sono il tuo capo.” Gli ringhiò sibilando. “E comunque ti è proibito varcare quella porta. Pensa solo a provarci e sei morto.” Prima che potesse dire qualche altra cosa, il generale scomparve dietro quella porta proibita e Tian Liang pensò che sarebbe stato meglio non mettersi nei guai.
 
La faccenda era proseguita in quel modo per quel paio d’anni, fino a che finalmente non ebbe la possibilità di vedere cosa ci fosse dentro quella stanza da cui era stato tenuto lontano così ferocemente.
Fino ad allora, nulla di strano, a parte quella sensazione di lussuria e di perversione che lo pervasero appena ci mise piede. A parte quello, tutto normale: solo un’enorme teatro deserto pieno di polvere. Guardandosi attorno, non vedeva nulla di sospetto, anche se sentiva che ci doveva essere qualcosa che non andava: doveva.
Improvvisamente quell’odore acre e orripilante gli pervenne di nuovo alle narici, costringendolo ad una smorfia di disgusto. Era più ferroso e definito stavolta e Liang Tian non potette pensare che fosse qualcosa di diverso da sangue. Era sangue vecchio, c’era odore di cadavere, ma del morto neanche l’ombra. Era del tutto vuoto, quel teatro: dove avrebbe potuto trovarsi un corpo? A prima vista, non c’erano nemmeno porte. Come un segugio, Liang Tian decise di seguire quell’odore ferroso, per vedere dove l’avesse portato. Immediatamente i suoi piedi si mossero sempre più velocemente, gli occhi sottili si chiusero e l’uomo si concentrò per scoprire il mistero di quella stanza. Andò avanti e indietro, salì sul palco e guardò dietro le quinte, ma macchie di sangue sparse per terra impregnavano tutta l’aria e non l’avrebbero mai portato ad una conclusione. Digrignò i denti, innervosito dalla situazione e facendo uno strappo alla sua regola di comportamento che prevedeva l’essere sempre calmi e pacifici anche in quelle situazioni.
Doveva concentrarsi: c’era un cadavere da trovare e probabilmente, dietro di esso, un’intera faccenda tanto intricata da poterlo far perdere. Aveva deciso di rischiare: o allora o mai più. Del resto, era lui che voleva porre fine a tutto quello spargimento inutile di sangue, no?
Scese dal palcoscenico, inciampando tra i chiodi ch’erano per terra che si incastravano tra le fessure delle suole degli stivali. Odiava vestiti tanto stretti: non lo facevano respirare quasi. Gli mancavano così tanto quegli abiti larghi e colorati della sua terra, quei pantaloni a sbuffo e quelle casacche comode da contadino, con quelle scarpe morbide e semplici.
Appena alzò lo sguardo, intravide un qualcosa di interessante: di fianco al palcoscenico, in un angolo ben nascosto, c’era una porta. Avvicinandovisi, l’odore del sangue aumentava sempre di più: era sulla strada giusta.
Varcata la soglia di quello che sembrava un nascondiglio, davanti a lui si spianò un lungo corridoio buio, freddo dall’aria strana. Era angusto e scomodo e man mano che andava avanti, Tian Liang poteva vedere che diventava più tortuoso. A destra, a sinistra? Dove andare? Sinuosamente, l’uomo imboccò le vie che più gli andavano bene, ad ogni bivio che gli si presentava. Furono quattro o cinque: ormai non li contava più. Quel sotterraneo era stato appositamente costruito per far confondere la gente, vero? Dopo un percorso indefinito e vago, Tian Liang arrivò a quello che sembrava l’ultimo bivio: da una parte, un gigante quadro che sembrava potesse essere rimosso per scorgere un passaggio segreto, dall’altro lato un corridoio stretto e totalmente nero. Era piuttosto inquietante, a dir la verità. Era come trovarsi in un libro dell’orrore: mentre si vuole andare verso il quadro, questo prende vita e si fa spuntare centinaia di lunghi per divorarti. Se vai dall’altra parte, ti perdi in un corridoio infinito senza via di ritorno, finché non comincerai a crederti pazzo. Ma, nonostante questi pensieri, l’uomo decise di farsi avanti e di dirigersi verso quel corridoio buio, sperando l’avesse portato da qualche parte.
Intanto, l’odore di sangue si faceva sempre più forte…
Sempre più forte come se il suo cervello fosse stato lì per scoppiare. Stava per rinunciarci, l’odore di morte era troppo imponente, troppo forte per essere sopportato ancora per molto. Gli penetrava le narici, lo stava facendo impazzire come se fosse stato per trasformarsi in un mostro. Era davvero questo quello che provano gli assassini ad assaporare il loro operato?
Se così fosse, pensò lui, non ci sarebbe stato alcun dubbio sul fatto che non sarebbe mai stato un pazzo omicida.
Nel perdersi nei propri pensieri, Tian Liang urtò nel buio contro una porta di legno. Al contatto doloroso con la fronte, per via delle schegge, notò che non era affatto curata. Era una semplice tavola di legno marcio e grezzo messa lì con un paio di elementi di ferro per farla fungere da porta. Sarebbe potuta venir giù a momenti, rivelando ciò che nessuno avrebbe voluto vedere, tantomeno quell’uomo tanto sensibile. Si fece coraggio, la mano si poggiò sulla porta e spinse. Un lungo ed inquietate squittio, un cigolio da libro dell’orrore, poi quella tavola marcia si spostò: un conato di vomito ed un urlo straziato non fecero tardi ad arrivare…
 

 
 

• Note dell’autrice •
 

Sto limitando al minimo l’uso delle note in giapponese! @.@” Erano fastidiose da leggere, lo riconosco. Sto facendo di tutto per aggiornare il più presto possibile e dedicare più tempo a voi lettori che mi rendete troppo felice apprezzando questa storia. Il fatto che sia nata come un lampo di genio ascoltando una semplice canzone, mi fa davvero… non saprei dire… mi rende davvero sorpresa davanti ai risultati che mi sta via via portando quanto scrivo. Davvero, vi ringrazio sempre di seguire “Sotto Mille Ciliegi”! E poi-
 
-Smettila, sei noiosa. Sembri una lagna, e sciogliti!-
 
Ti ho interpellato per caso?!
 
-No, ma so che i tuoi lettori sentono la mia mancanza. La mancanza della meraviglios—
 
Taci! *Le tappa la bocca*. Ci vediamo al prossimo capitolo, ragazzi! Lasciate una recensione e fatemi sapere cosa ne pensate! Se la storia vi piace inseritela tra le seguite o tra le preferite, se vi va. Non so che dirvi: siete meravigliosi.
 
-Bloody Schutzengel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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