The 101 Canto
Chapter 1
Dear God
Pieces of a new life
23
Giugno 2007
Mi
rigiro nel mio letto, ancora e
ancora, cercando una posizione comoda. Ma so già che
è inutile: quando mi
capita di svegliarmi, così, all’improvviso, mi
è quasi impossibile rimettermi a
dormire.
Sarà
il caldo: passare l’estate a
Milano non è proprio il massimo, l’afa
è terribile, ogni giorno di più. Ho la
finestra spalancata, ma sembra che nemmeno un filo d’aria
abbia la compiacenza
di farmi una visita.
D’altra
parte, fin quando non avrò
terminato questo stupido esame di maturità non posso nemmeno
scapparmene al
lago. Per sfuggire al caldo sarei disposta anche ad accontentare
Arianna
e andare con lei al mare,
sebbene non lo ami proprio alla follia. Ma un bagno non sarebbe affatto
male in
questo momento.
E
invece no: con la solita fortuna, i
commissari d’esame hanno estratto la D, cosicchè
la cara Elisa Bonizzi sarà una
delle ultime maturande a sviscerare la sua tesina. Come poteva essere
altrimenti?
Pensare
alla maturità mi rimette lo
stomaco in subbuglio: la settimana scorsa ho terminato le prove
scritte, e tra
l’altro ho idea che il mio tema sul Decadentismo non sia
stato proprio un’opera
d’arte, ma, come si dice, è inutile piangere sul
latte versato.
Mi
rigiro per l’ennesima volta, a
pancia in su. Per evitare di pensare a tutta la roba che devo ancora
far
entrare a forza - e per forza - nella mia povera testa, concentro la
mia
attenzione sulle foto e i poster che ho attaccato sul mio soffitto.
Sì,
perché la mia stanza non è molto
grande, sarà forse qualche metro quadro in meno di quella di
Arianna, ma ogni
superficie piana è completamente sotterrata da quadri o
fotografie. C’è anche
qualche disegno, regalatomi da qualche amico, o fatto da Arianna. Gli
acquarelli sono la sua ultima passione. Il più bello di
tutti rappresenta la Uspensky
Cathedral di
Helsinki, con le sue guglie dorate e i riflessi
granata.
La
parete sud, quella sopra la
scrivania, è interamente dedicata alla Finlandia: ci ho
impiegato quasi un mese
per fare un collage con tutte le nostre foto e il risultato
è davvero
impressionante. Quando mi siedo al computer, ogni tanto sollevo lo
sguardo e mi
sembra di essere ancora lì, tra le strade illuminate o sulla
banchina del
porto, a guardare il mare.
La
mia foto preferita in assoluto
occupa il posto d’onore proprio al centro del muro ed
è anche molto più grande
delle altre, così da saltare subito agli occhi. Era stata
scattata proprio il
primo giorno, sull’immensa gradinata davanti alla Cattedrale:
c’è tutto il
gruppo, Dave, con la sua espressione sempre mezza addormentata, Andrea,
con il
suo dolcissimo sorriso, Luke, con la sua faccia da schiaffi e gli
occhiali da
sole, e naturalmente io e Arianna, in piedi alle loro spalle, in una
posa
decisamente assurda.
Ogni
volta che guardo quella foto non
posso fare a meno che sorridere, ripetendo a me stessa che prima o poi
quella
città meravigliosa e i suoi tranquillissimi abitanti
dovranno sopportare un
nuovo assalto della banda degli Svitati, al gran completo.
Nonostante
ciò che mi ero ripromessa,
non ho mai dovuto rimettere Arianna su un aereo diretto verso la
penisola
scandinava.
L’autunno
scorso infatti, la mia
amica ha trovato un posto come commessa nel nostro negozio di cd
preferito, uno
dei pochi negozi dove riusciamo a trovare musica davvero interessante.
Ricordo
come fosse ieri quel venerdì, uno dei primi di Ottobre,
quando Arianna tornò a
casa superesaltata, e, saltellando per la cucina dove io, invano, stavo
tentando di preparare la cena, mi aveva informato della
novità: “Visto che sei
sempre qui, potresti anche darci una mano in negozio” le
aveva proposto il
proprietario, un ragazzo vicino ai trenta, che, a mio parere, si
è preso anche
una bella sbandata per lei. Sebbene lei sembri non farci proprio caso.
Ama
quel lavoro: ama sistemare per
ore e ore la merce in un nuovo ordine, soprattutto i vinili, adora
ancor di più
consigliare i clienti, che ogni volta ritornano ringraziandola con il
cuore per
i suoi consigli.
E
poi è venuto il giorno, a Gennaio,
quando finalmente ha potuto posare sullo scaffale delle nuove uscite
anche il
primissimo cd degli ‘Unforgivable sinner’:
ritrovare il volto dei nostri
migliori amici sulla copertina di album, nei negozi, è
ancora uno shock, e
nonostante siano passati quasi sei mesi, non sono ancora riuscita ad
abituarmici.
La
band nel frattempo è tornata a
casa e comincia a godere dei primi frutti del suo successo:
naturalmente qui in
Italia non c’è stato un gran boom, ma in Finlandia
e in Germania hanno già
venduto moltissime copie.
Non
posso nemmeno esprimere a parole
quanto sia felice e fiera di loro, benché
l’improvvisa notorietà non abbia
giovato affatto sul già smisurato ego del loro frontman.
Quando
erano divisi, divisi da
chilometri e dal mare, sembrava che Arianna e Luke non potessero vivere
separati. Da quando vivono nella stessa città, la loro
relazione è un continuo
tira e molla.
Ogni
tanto ritrovo Arianna a parlare
da sola davanti allo specchio, o con una tazzina di caffè,
imprecando contro ogni
essere vivente e respirante e giurando a se stessa – e alla
tazzina di caffè –
che quella sarà stata l’ultima volta in cui si
è fatta fregare.
Naturalmente
fino a quando non lo
vede flirtare con un’altra ragazza; allora la situazione si
ribalta.
Immagino che l’espressione ‘come cane e
gatto’ sia il loro motto di vita:
d’altra parte conosco davvero poche persone così
indissolubilmente legate.
Per
quanto mi riguarda, rientrata dal
mio folle viaggio a Helsinki, sono tornata a scuola e, nonostante
avessi saltato
quasi due mesi di lezione, con molte preghiere e tanto, tanto lavoro,
sono
riuscita a non perdere l’anno. Gli esami di riparazione me li
sogno ancora di
notte, a volte: si può quasi dire che per me la
maturità sia un gioco da
ragazzi. Beh, quasi.
Certo
adesso ho dalla mia la simpatia
di quasi tutti i professori, mentre un anno fa…un anno fa le
cose era
completamente diverse.
Molte
erano le persone che non me
l’avrebbero fatta passare liscia volentieri, e se non fosse
stato per
l’intervento della prof di Matematica, l’unica che
credeva realmente nelle mie
possibilità e nella mia buona volontà,
probabilmente ora non sarei qui a due
passi dalla fine.
Così
mi hanno dato una seconda chance
ed io l’ho colta e sfruttata a pieno, dimostrando che la loro
fiducia non era
stata mal riposta.
Non
dico di essere diventata una
studentessa modello – certe abitudini sono dure a morire
– ma senza dubbio
quest’anno ho studiato come mai nella mia vita. E impegnarmi
seriamente in
qualcosa mi ha aiutato molto, a distrarmi, a tenere la mente occupata,
a
decidere cosa fare della mia vita, come una persona adulta.
Ritornate
in Italia, Arianna mi ha
ospitato a lungo nel suo vecchio appartamento. La situazione non era
proprio
delle più idilliache: il monolocale era piccolo, il mio
letto era una poltrona
alquanto scomoda, la convivenza a volte diventava un po’
difficile, soprattutto
quando Luke veniva a trovarla dalla Finlandia…
Ma
ha fatto tanti sacrifici per me,
non ha permesso che tornassi a vivere con quell’uomo.
Non
appena compiuti diciotto anni,
sono andata a cercarlo, per l’ultima volta. Senza scenate,
senza litigi, sono
riuscita a dirgli tutto quello che pensavo di lui e a informarlo che
sarebbe
stata l’ultima volta che mi avrebbe visto. Adesso sono
ufficialmente una donna
emancipata e sono contenta di esserlo.
Per
tutto l’anno io e Arianna abbiamo
lavorato duramente e forse il destino ha voluto ricompensarci. Ancora
non
riusciamo a credere alla fortuna che ci è capitata: verso la
fine di Marzo,
abbiamo trovato, quasi per caso, un appartamento di modeste dimensioni,
ma
addirittura con due camerette divise ed un terrazzino davvero
delizioso, di cui
ci siamo perdutamente innamorate a prima vista. Quando scoprimmo che
anche
l’affitto era decisamente abbordabile, abbiamo firmato il
contratto in un
attimo.
E’
anche piuttosto vicino al locale
dove lavoriamo entrambe la sera, come cameriere: un posto carino,
sempre
affollato. Certo, nulla in paragone del vecchio Midnight
Wish…
Ma
ogni tanto, quando mi sveglio di
notte e resto a fissare il soffitto, con gli occhi sbarrati, proprio
come
adesso, mi ripeto che il famoso Midnight Wish non era davvero reale:
faceva
parte di quel meraviglioso sogno che è durato fin troppo a
lungo, ma che, come
tutti i sogni, ha finito per infrangersi in mille minuscoli frammenti,
simile
ad un vaso di cristallo troppo fragile.
Pensavo
che tutti i pezzi fossero
stati portati via dal vento molto tempo fa: in realtà,
durante quest’anno, mi
sono resa conto che le schegge penetrate nel mio cuore non potranno mai
uscirne.
Quando
di notte mi sveglio e resto a
guardare il soffitto, non posso fare a meno di pensare a lui.
A dire il vero, ci penso molto più spesso, ma è
facile mentire
a me stessa quando il mondo intorno a me risuona dei suoi mille rumori
e la
voce delle persone – anche quella della scorbutica prof di
diritto – riesce a
carpire nuovamente la mia attenzione e a riportarmi alla
realtà.
Quando
però sono sola nella mia
stanza, nel profondo silenzio interrotto soltanto dallo sporadico
motore di una
macchina, in lontananza, nella strada deserta oltre la mia finestra,
non mi
resta nessun appiglio. Nessuna ancora di salvezza che possa salvarmi
dal mare
di ricordi nel quale inevitabilmente sprofondo ogni volta.
I
primi tempi è stato difficile.
Non
riuscivo più ad ascoltare la sua
musica: tutto riportava alla mia mente i momenti trascorsi insieme,
persino un
pezzo di pizza, un libro di poesie o un gatto nero. Sentire la sua voce
non era
nemmeno da prendere in considerazione.
Senza
contare poi che ho dovuto
eliminare internet dalla mia vita per qualche mese: proprio i primi
giorni da
quando ero tornata a casa infatti, mentre ero a casa di una mia
compagna di
scuola dalla quale ero andata ad elemosinare appunti e ad invocare un
po’ di
aiuto, mi imbattei per caso nelle mie foto in rete. Fu un duro,
durissimo
colpo.
Ancora
ringrazio che gli HIM in
Italia siano conosciuti ben poco; in caso contrario un bel mattino,
risvegliandomi, avrei probabilmente trovato una schiera di giornalisti
fuori
dalla mia porta.
Invece
ho dovuto convivere soltanto
con la curiosità di amici e conoscenti, i quali
però, dopo i miei continui e,
talvolta, scorbutici silenzi, hanno presto capito che non era il caso
di
insistere.
A
dire il vero mi capita ancora
qualche volta di essere fermata nei locali da qualche ragazzina con un
heartagram appeso al collo o un tatuaggio in bella vista, che mi
domanda, con
sguardo trasognato, se abbia davvero conosciuto Ville Valo.
Ma
adesso è diverso. Posso anche
parlarne. Un poco.
Le
ferite, non più fresche, bruciano
meno. E la dipendenza da quelle canzoni, che sono state per anni la
colonna
sonora della mia esistenza, è tornata a farsi sentire.
Quando
sono insieme ad Arianna o ad
altri amici, riesco anche a cantarle con un sorriso sulle labbra. Per
quanto
riguarda video e interviste, mi tengo ancora ad una distanza di
sicurezza. Ma è
più che altro una precauzione: non ho bisogno di foto o
filmati per ricordare
ogni particolare del suo volto.
Non
ho più voluto sapere nulla della
sua vita. Mi illudo che sia un capitolo chiuso, che le nostre strade si
siano
definitivamente divise, che i nostri mondi siano diventati estranei
l’uno
all’altro. Io sono la fan, lui il mio cantante preferito.
Fine della storia.
Dall’alto
del suo posticino sopra
l’armadio più alto, seminascosta dalla polvere,
una grande scatola nera mi
ricorda che le cose non stanno esattamente in questo modo. In quella
scatola ho
sepolto tutti i poster, tutte le maglie, la mia tazza preferita, tutto
ciò che
avevo della mia vecchia vita, legato agli HIM.
Ma
soprattutto in quella scatola sono
nascosti tutti i biglietti scritti di suo pugno, quei semplici pezzi di
carta,
macchiati della sua illeggibile calligrafia, che ho portato con me
dalla
Finlandia per uno stupido riflesso infantile e masochista, e dei quali
non sono
ancora riuscita a liberarmi.
Non
apro quella scatola da quasi due
mesi ormai; la sua presenza è tuttavia costante e talvolta
quasi opprimente in
quella stanza.
C’è
poi un altro piccolo particolare
che gioca contro di me e i miei patetici tentativi di
auto-convincimento: la
rosa che ho tatuata sul mio piede destro, con al centro il simbolo
della sua band. La rosa che lui ha disegnato per me, contornata
dalle parole di una sua canzone: ‘I’ll
be the thorns on every rose, you’ve been sent by
hope’
Sollevo
la gamba nuda e un sorriso
triste si dipinge sulle mie labbra, quasi inconsapevolmente, non appena
i miei
occhi ormai abituati all’oscurità si posano sul
ben noto tatuaggio. Oh, come
hai ragione Ville, penso ironicamente: le spine nascoste
nell’amore che mi hai
offerto non hanno ancora cessato di lacerare la mia carne.
Mi
lascio trasportare dall’onda dei
ricordi, ripensando a quel giorno. E’ strano pensare a quali
scherzi possa
giocare la memoria: quando sei davanti ad una cattedra non riesci a
riportare
alla mente quello stupido articolo tal dei tali nemmeno piangendo in
greco,
turco o macedone; eppure sei convinta di averlo ripetuto almeno un
centinaio di
volte la sera prima. E anche mentre intingevi i biscotti nel tuo
caffelatte.
Quando
si tratta però dei momenti
trascorsi insieme a lui, invece, sembra quasi un viaggio nel tempo:
ogni
particolare, ogni parola, ogni gesto è perfettamente chiaro
e limpido.
Immutato.
“Adesso
ci
sarà sempre qualcosa che ti appartiene intimamente a
ricordarti di me. Non ne
sei spaventata? E se col passare del tempo inizierai ad odiarmi? E se
un giorno
non vorrai più vedermi? Se dovesse succedere, cosa farai?”
“La
rosa è
passione, nel bene e nel male. Se un giorno le spine diventeranno
più forti e
feriranno la mia carne, non spegneranno comunque la passione.
L’odio è fuoco, e
non è poi tanto distante dall’amore. Per quanto
potrò mai odiarti o detestarti,
sarai sempre una parte importante della mia vita e non ne
sarò mai pentita”
Sfiorandomi
con le dita la caviglia,
seguendo il contorno dello stelo fitto di spine, mi accorgo che in
fondo,
sebbene abbia deciso di non vederlo più, sebbene mi abbia
fatto del male e mi
abbia ferito proprio quando avevo abbandonato ogni difesa, non sono mai
riuscita ad odiarlo. La passione però, quella continua a
pulsare ancora oggi
nelle mie vene, quasi fosse la linfa che tiene in vita una rosa che non
potrà
mai appassire.
Non
so se anche questo sia un
proverbio, o semplicemente sia una delle mie frasi inventate, ma penso
che i
ricordi siano come le ciliegie: uno richiama inevitabilmente gli altri,
in una
catena senza fine. E quando cedi al primo, è la fine.
“Ti
amo”
Perché,
anche nel ricordo, quelle
parole sono tanto dolci? Così forti e delicate insieme, come
la mano di un
amante. Così seducenti, così ammalianti, da
sembrare vere?
Quando
le sue parole tornano a
riempire le mie orecchie, non posso fare a meno di chiedermi se la mia
scelta
sia stata quella giusta e di desiderare di tornare indietro,
laggiù dove ho
lasciato il mio cuore e dove vorrei essere in ogni momento.
Un
altro sospiro fugge dalla mia
bocca, mentre sollevo il capo, appoggiandolo contro la mano, per poter
sbirciare l’orologio sul mio comodino.
Sono
passate da poco le quattro, ma è
inutile restare in questo letto; oramai il sonno è andato,
non c’è più speranza
di ricadere tra le braccia di Morfeo.
Mi
alzo lentamente e do uno sguardo
alla mia scrivania; cerco di appigliarmi all’unica
preoccupazione abbastanza
forte da scacciare, almeno momentaneamente, memorie decisamente troppo
vivide
per essere tollerate: la mia tesina.
Sto
per accendere la piccola ab
ajoure, e sedermi sulla mia sedia con le rotelle, ma poi ci ripenso:
quella
stanza ha un effetto troppo psichedelico sui miei nervi scoperti.
Prendo
il mio computer e mi dirigo in
cucina, facendo il minor rumore possibile. Passando davanti alla sua
porta, do
un’occhiata nella camera di Arianna: la rossa dorme
profondamente, i piedi
fuori dal letto, la testa appoggiato contro il materasso, qualche
centimetro
più sotto del cuscino. La osservo per qualche istante,
sollevando un
sopracciglio: un giorno o l’altro riuscirò a
carpire il suo segreto.
Quando
arrivo in cucina e accendo la
luce, scopro che c’è una sorpresa ad aspettarmi.
Proprio
al centro del tavolo c’è un
gigantesco biglietto e accanto un altro meraviglioso acquarello: il
disegno è
stato copiato da una fotografia scattata lo scorso Settembre sul lago e
rappresenta la sottoscritta, come al solito pallidissima, con un
costume da
bagno nero, un buffo cappello di paglia e un paio di occhiali da sole
verde
mela, dalle lenti spropositate.
Non
riesco a trattenere una piccola
risata, mentre ricordo ad alta voce alla mia cucina quanto odi quel
cappello.
In generale io odio tutti i cappelli.
Sistemo
il disegno sulla credenza, in
modo che sia ben visibile, e lascio sul tavolo un po’ di
spazio per Frankie, il
mio portatile.
Mentre
aspetto che Frankie, con i
suoi tempi, ricarichi i milioni di dati che lo ho costretto ha
memorizzare,
stringo ancora tra le mani il mio biglietto.
“Buon diciannovesimo compleanno
Elisa”
A lonely road, crossed another cold state line
Miles away from those I love purpose hard to find
While I recall all the words you spoke to me
Can't help but wish that I was there
Back where I'd love to be, oh yeah
***
La
mia Helsinki è sempre bellissima,
di notte come di giorno. E’ l’unica in grado di
confortarmi in ogni
circostanza, qualunque sia la mia pena.
Ora,
decidere se le quattro del
mattino di un giorno di fine Giugno, con tutta questa luce, siano da
considerarsi notte o giorno, è un altro paio di maniche.
Ma
in fondo non mi importa: continuo
a camminare, senza compagnia, senza una vera meta, soltanto per il
gusto di
farlo.
Questo
è decisamente il momento che
preferisco per errare da solo, perdendomi nei miei pensieri. I pub
hanno chiuso
da forse un’ora e i negozi non sono ancora aperti. Non
c’è nessuno per strada, la città
è
completamente addormentata e il silenzio culla ogni mio passo,
dolcemente.
Arrivo
fino alla baia meridionale,
vicino al porto: i miei piedi ormai, quasi inconsapevolmente, seguono
sempre lo
stesso percorso. Scendo lungo la scala di legno e roccia e mi accoccolo
sugli
scogli, a contemplare il sole che sorge oltre la linea
dell’orizzonte.
Sono
stato via solo qualche
settimana, per due o tre festival in Germania, ma la mia Helsinki mi
è mancata
tremendamente.
Forse
Migè non parla proprio a
vanvera quando, prendendomi in giro, mi fa notare che matrimoni tra
esseri
umani e città non sono ancora stati permessi dalla legge,
come il matrimonio
tra gay.
Ride
tanto, ma sono sicuro che anche
lui, ogni volta che partiamo per qualche data all’estero, non
desideri alto che
tornare a casa.
Soprattutto
adesso che ad aspettarlo
impaziente c’è Vedrana, la sua nuova compagna. I
due stanno insieme da neanche
un anno, ma sono una coppia talmente affiatata che sono sicuro che
è soltanto
questione di tempo prima che Mikko si decida a farle, finalmente, la
proposta.
Proprio
ieri l’ho beccato mentre
teneva troppo a lungo lo sguardo fisso sulla vetrina di una
gioielleria: quando
gli ho domandato, con un sorriso sardonico, se fosse interessato a
qualcosa in
particolare, lui è diventato tutto rosso e si è
allontanato il più velocemente
possibile, borbottando frasi incomprensibili.
E
così adesso Migè ha Vedrana, Lindzy
ha Manna e la piccola Olivia, che si fa ogni giorno che passa
più bella e
intelligente, Burton ha Luisa e da pochi mesi anche Heartta, la loro
dolcissima
figlia.
Persino
Gas ha abbandonato il Club
degli Scapoli, iniziando ad uscire con una strana ragazza dai capelli
color del
miele, un sorriso immenso di denti bianchissimi e gli occhi forse un
po’ troppo
vicini, che rendono il suo viso estremamente buffo, ma allo stesso
tempo
inguaribilmente simpatico.
“Ora
è il tuo turno, Ville!”
continuano a ripetere, con ammiccamenti vari ogni volta che, per un
motivo o
per l’altro, mi
ritrovo a parlare con
una bella donna.
Ma
non ho nessuna intenzione di
tradire la mia Helsinki: ho messo una pietra sopra il mondo femminile,
definitivamente.
Una
volta ero un uomo pieno d’amore e
cercavo disperatamente la persona giusta a cui donarlo: ho tentato e
ritentato,
affidando sempre il mio cuore nelle mani della persona sbagliata,
ricevendolo
indietro sempre più a pezzi, subendo una delusione dopo
l’altra, sentendomi
sempre più debole ad ogni pugnalata infertami
intenzionalmente o senza volerlo.
Poi,
quando finalmente ho trovato la
persona giusta, ho rovinato tutto per un errore: sono stato io a
spezzare il
suo cuore e l’ho perduta per sempre.
Non
potrò tornare ad amare altra
donna, perché ciò che restava del mio cuore
è rimasto con lei. Benché lei non
lo sappia, benché lei non abbia voluto ascoltare.
Non
ho bisogno di voltare il busto e
sollevare il capo per vedere la collina verde che sovrasta la baia,
alle mie
spalle. Essa è incisa nella mia mente, come anche quella
notte di Maggio, più
di un anno fa.
Su
quella collina, tra gli alberi
ancora bagnati di pioggia, è finito tutto.
Se
chiudo gli occhi, posso ascoltare
distintamente le sue ultime parole e rivedere il suo viso contrito
dalla
sofferenza, così come quel malinconico e sarcastico sorriso,
che mi aveva
ferito più di mille lacrime.
“Ciò
che c’è
stato fra noi è finito. Finito, Ville, capisci? Per
sempre”
“
Esprimi un
desiderio”
Oh
sì, io lo espressi il mio
desiderio Elisa, ma questo non si è avverato. Quel giorno
non ti sei più
voltata indietro, te ne sei andata via. Non era certo questo
ciò che bramavo.
Da
quella sera non l’ho più rivista.
Di
certo non mi diedi per vinto:
andai alla sua camera d’albergo, il giorno successivo e
iniziai a bussare
incessantemente alla sua porta, gridando disperatamente il suo nome.
Dopo
quelle che mi erano sembrate
ore, la porta finalmente si aprì, ma la persona che
uscì nel corridoio non era
la stessa che stavo aspettando. Arianna, la sua migliore amica,
cercò di
convincermi in tutti i modi ad andarmene, a lasciarla da sola,
dicendomi che se
davvero l’amavo come dicevo, dovevo rispettare la sua
decisione.
Ho
pianto a lungo davanti a quella
porta chiusa, non ascoltando la voce della rossa, volendo sentire anche
quelle
stesse parole così dolorose, ma almeno dalla sua
bocca.
Alla
fine mi lasciai persuadere e
tornai a casa mia. Passai tutta la notte e il giorno seguente
appollaiato sulla
finestra della mia torre, senza mangiare né bere, fumando
non so quanti
pacchetti di sigarette e guardando il mare.
La
sera infine, capii che non avrei
mai potuto mantenere la promessa. Presi la mia giacca e salii su un
taxi
diretto al Midnight Wish, il locale dove lavorava. Arrivai trafelato a
destinazione, per poi scoprire dal proprietario che la mia Elisa si era
licenziata il pomeriggio stesso e probabilmente era già in
volo verso casa.
Correre
all’aeroporto fu tutto in
utile: quando arrivai a ?, il suo aereo era già partito.
Quindi
era vero? Se ne era andata per
sempre, fuggendo da me, risolvendosi di abbandonare la sua nuova vita,
i suoi
amici, tutto pur di non incrociare più la sua strada con la
mia.
Fermo
in quell’aeroporto, guardando
il tabellone con gli annunci di aerei che non avrei mai preso, compresi
di
averla persa per sempre e che non era giusto provare a rincorrerla.
I
primi tempi furono difficili.
La
stampa mi continuava a tormentare,
bloccandomi alla prima occasione per estorcermi informazioni sulla
misteriosa
ragazza.
Era
inutile dire anche la verità: se avessi
detto che non sapevo più nulla di lei, che lei non ne voleva
più sapere nulla
di me, di certo non mi avrebbero creduto.
Con
il passare dei mesi però, senza
più alcuno scoop di cui nutrirsi, alla fine hanno lasciato
perdere. Soltanto
ogni tanto, quando qualche rivista si trova a corto di informazioni
succulente,
qualche giornalista riesuma la vecchia notizia, chiedendosi che fine
abbia
fatto l’oscura meteora ‘dalla
pelle pallida e i
capelli corvini’.
Per
quanto mi riguarda, per molto tempo non ho più
rilasciato interviste. Ho costretto la band ha cancellare tutte le date
previste, che per fortuna erano davvero poche, non ho più
scritto canzoni, ho
iniziato ad uscire di casa sempre più raramente, fin quasi a
diventare l’ombra
di me stesso.
Sono
ripiombato in quel circolo vizioso che è
l’alcol, dal quale ero riuscito così faticosamente
ad uscire nei mesi
precedenti, in gran parte grazie a lei, alla voglia di vivere che
riusciva a
trasmettermi con un solo e semplice sorriso.
Ormai
anche la mia salute fisica aveva toccato
livelli inammissibili. Mi stavo lasciando andare lentamente, ma non ero
sicuro
che me ne importasse qualcosa.
Poi,
è bastato un piccolo gesto per cambiare tutto.
Una
sera, mentre ero ubriaco e completamente fuori
di me, lanciai contro il muro il fermaglio a forma di farfalla che un
tempo le
era appartenuto, uno dei pochissimi ricordi tangibili del suo passaggio
nella
mia vita. Quando il giorno dopo sono tornato in possesso delle mie
facoltà, ho
ritrovato il fragile oggetto, distrutto. Ho versato lacrime amare,
rendendomi
conto dell’uomo che ero diventato, una larva capace soltanto
di lasciare
sgretolare tutto fra le sue stesse dita, impotente.
Mentre
cercavo disperatamente, nel guazzabuglio che
era diventato la mia casa, un qualunque mezzo per riparare il
fermaglio,
ritrovai per caso un foglio sgualcito dal tempo e
dall’abbandono.
Sbigottito,
riscoprii il testo di quella canzone
che avevo scritto per lei, insieme a lei.
E
tornai quasi inconsapevolmente a sorridere.
Fu
come una lampadina, accesa dal destino o chi per
esso.
In
quel momento mi resi conto che l’unico modo per
sopravvivere sarebbe stato continuare a scrivere canzoni e a cantarle,
sempre
per lei. Illudendomi forse che un giorno sarebbe tornata da me, grazie
a quelle
stesse canzoni che l’avevano avvicinata la prima volta.
Lei
non è tornata, ma io, almeno, ho ricominciato a
vivere nel suo ricordo.
Lentamente,
mi sono risollevato dal baratro in cui
ero sprofondato e ho ripreso le redini della mia vecchia esistenza. Con
qualche
miglioramento.
Alla
fine ho accettato l’aiuto e i consigli di
amici e parenti, e mi sono disintossicato completamente. Sono sobrio
esattamente da quattro mesi e diciassette giorni, e sono contento di
esserlo.
Ogni
tanto, quando mi ritrovo in un pub con i
ragazzi, o alle feste dopo i concerti, mi piacerebbe cedere alla
tentazione. Ma
la memoria del male sopportato è un buon deterrente.
Senza
contare che quando sono ubriaco non riesco a
ricordare ogni particolare del suo volto, ogni smorfia o
l’intonazione della sua
voce. Ed è qualcosa che non voglio mai dimenticare.
Ho
ripreso in mano anche la mia chitarra e
ricominciato a scrivere, mettendo a posto un po’ di idee che
frullavano da
tempo nella mia testa.
Il
nuovo album è pronto: gli altri membri della
band ne sono rimasti entusiasti; è forse un po’
più cupo degli altri, ma, come
dice Gas, finalmente sembriamo un vero gruppo metal.
Abbiamo
completato le registrazioni in tempi
brevissimi e abbiamo stabilito il rilascio per Settembre.
Ho in
mente tuttavia di presentare qualche brano al
Ruisrock, tra due settimane o poco più.
Mentre
guardo i riflessi dorati del sole sulle
acque tranquille, ripenso a quanto Elisa e tutto ciò che mi
ha insegnato
abbiano influenzato questo album, anche tralasciando le due canzoni che
ho scritto
su di lei e rivolgendomi a lei sola.
Scegliere
il titolo, per una volta, non è stato
affatto complesso: Venus Doom. Per la mia dea, la mia Venere.
Getto
un sasso nel mare e mi domando quale mai
potrebbe essere il suo giudizio. Oh cosa darei per sapere cosa ne
pensa, quale
effetto suscitano quelle parole nel suo cuore!
Ma da
lei, di certo, non lo potrò mai sapere.
Quando
è partita ho provato a lungo a chiamarla, a
lasciare messaggi nella sua segreteria, sono arrivato addirittura a
mandarle
degli sms. Lei non ha mai risposto. Credo che abbia anche cambiato
numero
adesso.
Sono
rimasto in contatto con Arianna e con altri
dei loro amici italiani. Ci sentiamo spesso, io e la rossa.
E’ lei a
raccontarmi come prosegua la loro vita, tra alti e bassi.
Non mi
sono perso nulla, nessuna novità, dalla
riammissione a scuola con ottimi risultati, all’emancipazione
dal padre, i
lavori temporanei, il corso avanzato di chitarra, il nuovo
appartamento. Ho
seguito il suo percorso di riavvicinamento alla nostra musica. Ho
gioito
insieme ad Arianna quando il sorriso è tornato a risplendere
sul suo volto.
Mi ha
raccontato un sacco di piccoli avvenimenti ed
io, ogni volta, ascolto avidamente, per timore di non cogliere qualche
cambiamento. Anche gli eventi che appaiono insignificanti riescono a
riempire
la mia vita.
Alla
fine di ogni conversazione arrivano poi le due
domande che ho sempre paura di porle. E’ passato
più di un anno da quando Elisa
mi ha lasciato, e da allora le risposte sono continuamente le medesime.
Eppure,
l’angoscia e la speranza non mi abbandonano mai.
Anche
ieri pomeriggio, quando ho chiamato Arianna,
la nostra scenetta si è ripetuta immutata.
“E’
davvero
intrattabile” mi ha confidato in un sospiro “E sta
uscendo di testa oltretutto:
questa mattina ha iniziato ad urlare in giro per casa che Mussolini
doveva
ringraziare di essere già morto, perché se avesse
potuto mettergli le mani
addosso lei non se la sarebbe cavata con una fucilata. Sei fortunato a
non
essere qui”
Ho
riso: ormai sono diventato un vero esperto del
primo dopoguerra e di tutte le dittature che sono state instaurate in
Europa
negli anni ’30. Ho cercato così di dissimulare la
tempesta che quella piccola
frase aveva scatenato nel mio petto.
Ma
Arianna, che non è affatto stupida, ha compreso
subito la sua gaffe: “Mi dispiace, io non
intendevo…”
“Non
ti preoccupare” le ho detto dolcemente,
frenando i suoi sensi di colpa “So cosa intendevi”
“Scusami
comunque” ha aggiunto, realmente
dispiaciuta.
Poi il
silenzio è caduto sulla conversazione. Le
parole premevano nella mia gola, contro le mie labbra, ma non riuscivo
a
lasciarle uscire.
La
rossa ha atteso ancora qualche istante, poi,
abituata, ha risposto con tenerezza alla mia domanda silenziosa.
“No
Ville, non c’è nessun’altro”
Non ho
potuto fare a meno di sospirare di sollievo,
pentendomene subito dopo amaramente. Ciò che desidero
più al mondo è che lei
sia felice, e se questo significa doverla sapere con un altro ragazzo,
sono
disposto a sopportarlo. Egoisticamente però, e forse anche
presuntuosamente,
non so smettere di ripetermi che nessun’altro
potrà mai amarla nel modo in cui
io la amo.
“Oh”
ho bisbigliato, inghiottendo a fatica
“E…”
Ancora
una volta mi ha anticipato, con un tono,
però, più triste: “E no, non ha parlato
di te”
“Meglio”
ho risposto, non so neanche per quale
motivo.
“Scusa
Ville, devo riattaccare: è appena arrivato
il suo autobus” mi informa, e nella sua voce il timore di
essere scoperta.
“Certo
vai” mi sono affrettato a replicare “Stalle
vicino anche da parte mia. Soprattutto domani”
“Lo
farò. Un bacio, Ville”
“Un
bacio”
Tiro
fuori il portafogli dalla tasca dei jeans e ne
estraggo una fotografia un po’ sgualcita: sorrido, mentre i
miei occhi si
posano sull’immagine scattata in un freddissimo giorno di
Maggio, presso una
pista sciistica qualche miglia a nord di Helsinki. In primo piano
c’è la mia
piccola Elisa, stretta nel suo cappotto nero, con
un’espressione a metà tra il
tenero e l’imbronciato, probabilmente a causa di quel
ridicolo cappello che
l’avevo costretta ad indossare. Alle sue spalle, con il
medesimo berretto e le
braccia avvolte intorno alla sua vita, ci sono io. Ricordo
distintamente le
scene per fare quella fotografia: Elisa continuava a ripetere di non
volerla
scattare e di essere la persona meno fotogenica della terra.
Scruto
il pezzo di carta lucida con occhio critico:
a me non sembra proprio, è bellissima, come sempre, o forse
mi sembra ancora
più bella, perché la vedo lì, tra le
mie braccia. Solo mia.
Questa
è l’unica fotografia che ho di lei. Certo,
ci sono quelle degli articoli di giornale, ma non è la
stessa cosa. Quelle foto
sono state rubate, e sono state sotto gli occhi di tutti per
così tanto tempo
che adesso mi sembrano quasi violate.
Vorrei
poterla vedere adesso. Vedere se è cambiata
o se è sempre la stessa. Vedere se quelle adorabili fossette
incorniciano
ancora il suo viso ogni volta che sorride. Vedere se i suoi occhi
conservano
ancora i riflessi violacei di un mare di petrolio.
Ma
soprattutto continuo a desiderare che un giorno,
anche lontano, lei voglia ascoltare la verità su quella
dannata notte che ci ha
separato per sempre.
Le ho
scritto un mucchio di lettere. Mai spedite
naturalmente.
Questa
notte le manderò la mia prima lettera.
Affidandola alle onde del mio fedele amico, il mare.
Mi
alzo in piedi, con in mano la bottiglia di vetro
che ho portato con me. Nella bottiglia c’è uno dei
tanti messaggi che ho
scritto, insieme ad un biglietto.
Prima
di scagliarla il più lontano possibile, alzo
gli occhi al cielo, e quasi mi pare di scorgere una luce più
intensa, oltre le
nuvole lontane. Uno spicchio di cielo un po’ più
azzurro.
Non
sono cresciuto in una famiglia credente e non
mai confidato nell’esistenza di un dio.
Ma se
mi fossi sbagliato, se tu, Dio, esisti
davvero, c’è soltanto una cosa che ti chiedo:
proteggila,
e veglia sempre su di lei, al mio
posto. Falla sentire sicura e difesa, stretta in un abbraccio, adesso
che io
sono impotente, adesso che sono così lontano.
Prendo
un poco di rincorsa e lancio la bottiglia,
guardandola perdersi tra i flutti scuri.
“Happy
ninteenth birthday, my sweet wildcat”
There's nothing here for me on this barren road
There's no one here while the city sleeps
and all the shops are closed
Can't help but think of the times I've had with you
Pictures and some memories will have to help me through, oh yeah
Dear God the only thing I ask of you is
to hold her when I'm not around
when I'm much too far away
***
Senza
staccare gli occhi dallo schermo di Frankie,
porto la tazza alle labbra; mi accorgo però che la mia
seconda migliore amica
ha deciso di tradirmi: la mia tazza sbeccata, quella di Jack,
è completamente e
irrimediabilmente vuota.
Sbuffo
sonoramente, posandola sul tavolo con un
tonfo sordo.
Odio
quando succede.
Mi
alzo dalla sedia, ripetendo mentalmente i
pilastro fondamentali dell’economia dell’Italia
neofascista, e mi avvicino al
termos. Troppo impegnata a snocciolare senza tregua date ed eventi, non
mi
rendo conto che la caraffa è fin troppo leggera.
Quasi
mi escono gli occhi dalle orbite quando,
tentando di versare il magico liquido nero, mi ritrovo a capovolgere il
recipiente a testa in giù, senza che ne esca una sola,
misera goccia.
Il mio
Caffè dello Studente è esaurito. Finito.
Caput.
Guardo
Frankie e i sogni di gloria del regime
fascista decadono in un colpo solo. No coffee, no party.
Il
sole è ormai sorto da un pezzo oltre i tetti
delle case e filtra indisturbato nella stanza attraverso la finestra
aperta:
posso chiudere la mia sessione notturna di studio senza rimpianti e
cominciare
una nuova giornata con una bella tazza di caffèlatte.
Sì,
sono decisamente diventata una
caffeina-dipendente: già mi piaceva prima, adesso che ho
iniziato anche a
studiare seriamente non posso più farne a meno. In compenso
è da un sacco di
tempo che non tocco più una goccia d’alcol.
A
giudicare dai rumori che fa il mio stomaco, anche
ad un bel piatto di biscotti integrali non direi di no.
Esco
qualche istante sul terrazzo, per prendere una
boccata d’aria e salutare le mie piante – o meglio,
le piante di Arianna -.
Dopo
essermi assicurata una decina di volte di aver
salvato le modifiche fatte al file della tesina, do la buonanotte a
Frankie e
spengo anche l’mp3, che nelle ultime quattro ore non ha fatto
altro che
ripropormi il cd di The poison a ripetizione. Per qualche strano
meccanismo
chimico del mio cervello, Bullet For My Valentine ed Economia vanno
d’accordo
alla perfezione. Un po’ come Storia e Sonata Arctica. Se
qualcuno volesse
chiedermene un giorno la spiegazione, non saprei proprio cosa dire.
Io e
la musica abbiamo uno strano, stranissimo
rapporto. Penso che sia molto più di una droga per me. Non
potrei vivere senza.
La
musica è stata per anni il mio unico porto
sicuro, in una realtà che non riuscivo a sopportare. Grazie
alla musica ho
conosciuto le persone più importanti della mia vita.
La
musica mi ha aiutato a tirare avanti, in ogni
momento.
E
adesso ho scoperto che, a seconda dei gruppi che
ascolto, anche le mie abilità di studio possono essere
notevolmente migliorate.
Cosa posso chiedere di più?
Per
quanto riguarda le canzoni, ho anche qualche
mania un po’ ossessiva e preoccupante, nonché
scomoda per gli individui che mi
stanno intorno: mi capita spesso infatti che una sola canzone diventi
il mio
chiodo fisso per giorni interi, talvolta anche per una settimana e
forse più. E
per tutto il tempo non faccio altro che canticchiare e ascoltare quella
canzone, o a scribacchiarne il testo su ogni superficie piana
disponibile.
Proprio quando le altre persone stanno per perdere la testa e ricercano
esasperate il numero di una clinica psichiatrica nell’elenco
delle pagine
bianche, ecco che, puff, l’ossessione sparisce. E la canzone
finisce, insieme
alle altre, sulla mia playlist chilometrica. Mantenendo comunque un
posto
speciale nel mio cuore.
Questa
volta, però, ho superato me stessa.
Mentre
aspetto che il pentolino del latte si
scaldi, non prima di essermi assicurata che la porta della camera di
Arianna
sia ben chiusa, faccio partire lo stereo, play e subito dopo repeat.
Traccia
numero 10.
Il cd
è sempre lo stesso da un mese, non c’è
pericolo di sbagliare. Da quando Arianna mi ha portato a casa
l’ultimo cd degli
Avenged Sevenfold, il mio amore per la band californiana è
cresciuto a
dismisura. Ho imparato in neanche una settimana tutti i testi, ho anche
tentato
di emulare Synister Gates con la mia chitarra. Tralasciando i miei
risultati
discutibili, ‘Avenged Sevenfold’ è
diventato un interessante diversivo per
staccare dalle ore di studio.
Poi,
un mattino, è scattata la scintilla. E’
esattamente da diciannove giorni e forse un’ora che, appena
sono da sola, le
note di Dear God invadono le mie orecchie, la mia testa e il mio cuore.
Cullando
dolcemente la testa e battendo a terra il
piede, a tempo con la musica, verso il latte nella tazza e, recuperati
il
sacchetto di biscotti dalla credenza, mi lascio cadere mollemente sulla
sedia.
Giro
svogliatamente il cucchiaino, avanti e
indietro, ma ormai ho perso la cognizione di ogni mio gesto, troppo
immersa ad
ascoltare con attenzione le parole, once again.
We all need the person who can be true to you
I left her when I found her
And now I wish I'd stayed
Ritrovare
in una canzone il riflesso
della tua vita è una delle esperienze più
catartiche che abbia mai provato. Per
questo, ogni volta che mi imbatto in una canzone di questo genere, non
riesco a
smettere di ascoltarla.
E’
un modo, forse un po’ infantile,
per affrontare il problema da un'altra angolatura.
Se
qualcuno ascoltasse tutte le bugie
che ho rifilato ai miei amici e alla parte più razionale di
me stessa, potrebbe
pensare che questa canzone abbia ben poco a che fare con la mia vita.
Ma
forse nessuno è tanto stolto da
lasciarsi ingannare.
Ho
paura. Ho una paura tremenda di
aver trovato l’unica persona giusta per me e di essermela
lasciata sfuggire,
come sabbia tra le dita.
Voler
cambiare il passato è un
desiderio inutile, quanto doloroso. I rimpianti non servono a nulla, se
non ha
rovinare il presente.
Senza
quasi accorgermene, ho
abbandonato il cucchiaino nella tazza, mentre quelle frasi tanto vere
si sono
fatte strada dal mio cuore alle mie labbra.
“Some search, never finding a way
Before long, they waste away”
Il
grande amore si ritrova sulle
pagine dei libri, ma nella vita reale non è altrettanto
semplice: c’è chi,
cinico, si convince che non esista proprio, per mettersi
l’anima in pace. C’è
chi invece, inguaribile romantico, continua la sua ricerca senza mai
darsi per
vinto.
Ma
la maggior parte delle ricerche
non porta ad alcun risultato, se non a qualche falsa pista: prima
ancora che un
sentimento sincero possa nascere, tutto è finito.
“I found you, something told me to
stay
I gave in, to selfish ways”
Prima
ancora che potessi rendermene
conto, il destino ha tracciato la mia strada. Mi sono innamorata.
Innamorata
davvero. E in qualche modo ho sentito che la mia ricerca era finita.
Quando
mi ha spezzato il cuore, sono
fuggita via, coprendo con il pianto e mille ragioni quella voce che mi
gridava
di restare.
Nonostante
i suoi tentativi di
parlarmi e spiegarmi cosa fosse successo, non ho mai voluto ascoltare.
Mi sono
convinta di non averne bisogno. Orgogliosa, ero convinta di sapere
tutto.
Egoista,
ho scelto la soluzione più
facile. E ho rinunciato.
“And how I miss someone to hold
when hope begins to fade...”
Quando
alzo gli occhi umidi dalla mia
tazza, mi accorgo che una silenziosa spettatrice mi osserva
concentrata, dal
muro opposto. Un’espressione piena di tristezza e
comprensione deforma i tratti
dolci del suo viso.
Sussulto
e, portando rapidamente una
mano agli occhi per controllare che le lacrime non abbiano trovato una
via di fuga,
le regalo il mio miglior sorriso di scuse.
“Mi
dispiace, non volevo svegliarti”
“Non
è stata colpa tua” mi rassicura,
facendo qualche passo nella stanza, fino a raggiungermi. Mi accarezza
piano i
capelli, prendendo un biscotto con l’altra mano “Mi
sono svegliata da sola”
Decido
di crederle e do un po’ di
tregua ai sensi di colpa, già tirati troppo spesso in ballo.
“Ancora
questa canzone?” domanda con
un finto broncio esasperato.
Alzo
le spalle, mentre lei prende
posto sulla sua sedia, alla mia destra.
“Quando
mai ti ho portato quel cd”
sospira, alzando gli occhi al cielo, prima di frugare nuovamente nel
sacchetto
dei biscotti.
“Sai
benissimo che non sarebbe
cambiato nulla: la canzone avrebbe trovato un altro modo per trovarmi
e…Hey!”
esclamo arrabbiata, tirando uno schiaffo contro il palmo della sua
mano, mentre
la mia amica intinge il biscotto nel mio caffelatte
“Giù le mani”
Con
aria di sfida, Arianna mette in
bocca il frollino inzuppato. Ci fissiamo in cagnesco per un istante o
due; poi
scoppiamo entrambe a ridere come due sciocche.
Lei
però ritorna subito seria:
“Eli…”
Scuoto
energicamente la testa,
cercando di non badare al groppo alla gola che mi ha appena colto:
“No, non c’è
bisogno di parlarne”
“Sei
sicura? Lo sai che io…”
La
guardo dritta negli occhi per
qualche istante, sperando che il mio sguardo sia meno tremulo e
più convincente
della mia voce: “Lo so. Ma non ce n’è
bisogno.”
Voglio
ancora illudermi che chi mi
sta intorno non possa guardare oltre la ragnatela di bugie che mi
avvolge:
parlarne anche solo con la mia migliore amica distruggerebbe
l’incantesimo.
Ancora
una volta Arianna sceglie di
non insistere: annuisce lentamente e poi mi abbraccia, stringendomi
forte:
“Buon compleanno tesoro” esclama esaltata.
Quando
rincontro i suoi occhi, malinconia
e preoccupazione sembrano scomparsi.
Accolgo
di buon grado il mutamento
repentino e mi lascio sopraffare dalla sua allegria.
Piano
piano, tutto ritorna alla
normalità e i miei dubbi finiscono nuovamente sepolti sotto
un velo di menzogne
ben costruite.
Non
posso tornare indietro. Quel che
fatto è fatto.
Di
certo non rinnegherò il passato:
questa storia mi ha fatto crescere, maturare, mi ha reso la donna che
sono
oggi. E di questo sarò grata per sempre.
Ma
è illudersi è inutile.
Sono più forte.
Forse.
'Cause I'm lonely and I'm tired
I'm missing you again
Oh
no,
Once again¹
Note:
¹
‘Dear God’, Avenged Sevenfold
________________________________________________________________________________
Ed eccomi qui,
come promesso!
Naturalmente non
potevo lasciare i miei due personaggi preferiti in pace per molto tempo
xD
Spero che
continuiate a seguire anche il seguito! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Personalmente questo capitolo mi piace tanto (uno dei pochi che mi
piace anzi
xD), forse per la canzone che l’ha ispirato che è
stata la colonna sonora della
mia estate.
Aspetto
fiduciosa i commentini! Soprattutto delle mie lettrici preferite!
Buona befana in
ritardo!xD
Baci
FallenAngel aka
Mossi