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Autore: httpjohnlock    02/06/2015    1 recensioni
«When it will snow again.»
//I capitoli di questa raccolta sono stati scritti insieme a Miketta99 (tranne Snow). :)
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note:
Parole: 5399;
Rating: Rosso;

Snow - sequel



«Allora... beh, a-a pres-» Le parole gli si fermarono in gola. Si ritrovò improvvisamente ad esplorare quella bocca di cui conosceva ogni millimetro ma che non si stancava mai di ispezionare.
Il sapore della bocca di Marco era così buono, così forte che Michael sentì la testa scoppiare in quella combinazione paradisiaca composta da respiri, baci, tocchi e... neve, tanta neve. Quella neve che non smetteva mai di accompagnare i due ragazzi.


I due in più di due anni non si incontrarono spesso, anzi, circa una decina di volte.
Durante quell'arco di tempo tantissime cose successero: Mika pubblicò il suo secondo album ma soprattutto, Marco diventò un cantante, o meglio, cantante come professione, perché quella sua meravigliosa voce c'era sempre stata.
Nell'inverno del 2009 uscì vincitore dalla terza edizione di X Factor, così pubblicò il suo primo EP: Dove si vola mentre nel febbraio del 2010 arrivò terzo al festival di Sanremo e in quei giorni uscì il suo secondo EP: Re matto.
Le vite dei rispettivi ragazzi subirono un susseguirsi di cambiamenti radicali che li costrinsero, involontariamente, a separarsi per lunghi periodi che parevano infiniti.
Il giovane Marco fu bruscamente infilato in una vita fatta di orgoglio ma anche di stress, paure, dubbi e preoccupazioni.
All'inizio si lasciò trasportare quasi passivamente dalla sua manager e dalla casa discografica; per lui l'importante era vivere di musica e successe tutto così in fretta che non si rese conto di ciò che gli stava accadendo.
Partì tutto da un ingenuo: “Dai, proviamo e vediamo come va” prima di iscriversi al talent show.
Sballottato tra un'intervista e un'ospitata in qualche programma tv, non ebbe neanche il tempo di mettersi davanti ad uno specchio e cercare di mettere a fuoco la sua nuova vita.
Sveglia.
Intervista in radio.
Pranzo.
Intervista in tv.
Cena.
Telefonata di Michael.
E così si ripeteva lo scorrere delle giornate, anche se, l'ultima cosa, da qualche mese non si ripeteva più.
Era vero, Marco non aveva molto tempo per sé o per chi voleva bene, ma certe notti, quando era solo tra le coperte, l'unica cosa che desiderava era del calore.
Magari generato da un corpo umano.
Magari di un uomo.
Magari di Michael.
Sentiva la sua mancanza lacerargli ogni giorno fin dentro le ossa.
Quel maledetto cellulare sempre sul comodino che quando squillava faceva perdere dieci battiti al ragazzo nel vedere dei messaggi o delle chiamate ricevute, per poi restarne deluso nel vedere che chi lo cercava era sempre la sua famiglia o chi lavorava con lui. Voleva chiamare il ricciolino, ma nella sua mente era inchiodato il pensiero che l'avesse usato solo per fotterselo a dovere per poi quando, stanco, abbandonato.
Gli aveva donato tutto sé stesso, tutto l'amore che aveva bisogno di esternare; era stato il suo primo tutto: il primo vero amore, la prima relazione con un uomo.
Per Marco, Michael era il pezzo mancante di un puzzle; come poteva esser completo senza quel pezzo?


Circa un anno prima, Marco e Michael si incontrarono per la prima volta sotto i riflettori.
Il piccolo Marco era insieme ai concorrenti della terza edizione italiana di X Factor: Sofia, Damiano, Silver, Chiara, Mario, Luana, Mattia, Francesca, Niccolò, Yavanna, Giulio e Davide, i quali aspettavano impazienti il cantautore libanese che presto sarebbe arrivato: Mika.
Fu la prima volta che i due ragazzi si ritrovarono in una situazione del genere: il cantante al centro dell'attenzione di tutti era il compagno di uno di loro e nessuno ne era a conoscenza.
Era una situazione così folle ma divertente.
Appena Luca Tommassini e Mika fecero capolinea nella stanza tutti i ragazzi gli si accerchiarono come soldatini.
Tutti gli aspiranti cantanti fecero domande al ragazzo sulla sua carriera e perfino sulle sue scarpe, mentre Marco rimase tutto il tempo a mordicchiarsi le labbra e le unghie, in piedi accanto a Damiano. Ogni tanto ridacchiava o sorrideva, ma Mika si accorse che quei sorrisi erano solo una copertura per mascherare il nervosismo.
Marco ricordò i tempi della scuola: i suoi compagni avevano sempre la mano alzata per ricevere il permesso di parlare, anticipavano le risposte facendo bella figura con l'insegnante, mentre Marco era chino sul suo banco a scarabocchiare; lui le cose le sapeva, il necessario ma studiava, è che era troppo timido e aveva sempre paura di commettere un qualsiasi errore.
Mika, invece, parve molto rilassato e sereno.
Marco e Michael erano gli opposti, ma forse questo era uno degli aspetti più belli della loro relazione, no?
Tutti i bambini, in un certo momento dicono «Da grande sarò come Batman!» e anche Marco era uno di questi; a ventuno anni, però, pensò di voler “rubare” alcune cose da Mika: ammirava il suo coraggio, la sua forza, il suo talento e la sua umiltà così tanto.
Michael non era un personaggio dei fumetti, ma in fondo, era il suo eroe.

La mano destra del libanese indirizzata verso Marco lo riportò alla realtà. Fu così preso dall'osservare il suo ragazzo e a riflettere che non si accorse di ciò che succedeva intorno a lui.
Marco assunse un'espressione talmente sorpresa che Mika dovette trattenersi per non scoppiare a ridere.
«Marco» pronunciò e gli strinse la mano.
«Nice to meet you.» disse Mika. A stento lo guardò; sapeva che se avesse incrociato i suoi occhi ci sarebbe affogato, e in quel momento non poteva permettersi distrazioni o sguardi troppo evidenti.

«Ragazzi, io ve lo devo portare via a meno che non vogliate dirgli...» iniziò Tommassini, dopo qualche minuto. Marco raccolse tutto il suo coraggio e fece dei gesti per farsi notare. «Marco, che vuoi dirgli?»
«Voglio l'autografo!» esclamò indicando il blocchetto di post-it e una penna che aveva tra le mani.
Mika porse delle domande ai ragazzi e nel mentre, Marco fece dei disegnini sul foglietto giallo per poi porgerlo al cantante.
«Per Marco, da Mika» Scrisse e lo diede a Marco, il quale, incapace di spicciare parola, mimò un «Thank you» con le labbra.


La voce della signorina risuonava meccanica facendo svegliare il ventisettenne.
«Atterraggio a Fiumicino».
Michael sorrise e si alzò dal suo posto.
Quando gli annunciarono che sarebbe dovuto andare a Milano per le prove della prima tappa del tour di The boy who knew too much, quasi si strozzò con la sua stessa saliva.
Dopo sei mesi stava per rivedere l'uomo che amava più della sua stessa vita e per poco non cadde pensando al dolce visino di Marco illuminato dal suo bianco e perfetto sorriso.
Il 21 aprile ci sarebbe stato un concerto del libanese ad Assago, ma il cantautore non poté aspettare oltre, perciò decise di passare per Roma prima di andare a Milano.
Aveva un urgente bisogno di abbracciare il suo ragazzo e ne aveva bisogno ora.


Arrivato all'appartamento in via Livilla, aprì il cancelletto con il doppione di chiavi che gli diede Marco e superò frettolosamente la rampa di scale.
Raggiunta la porta di legno, il suo cuore prese a pompare più aggressivamente del normale.
Poggiò l'indice sul citofono ed esercitò una leggera pressione.
«Marco!» esclamò con un ampio sorriso appena la porta si aprì. Quel sorriso però si dissolse ben presto.
Davanti a lui non apparve il ragazzino ma una ragazza che ipotizzò fosse una sua amica o cugina.
«Buongiorno. Uhm, ci è Marco?» domandò grattandosi la testa.
Marco in quegli anni gli insegnò un po' d'italiano, anche se ogni lezione veniva spesso interrotta da risate, scherzi e baci.
«Marco? E chi è?» A quella risposta il ricciolino inclinò la testa, confuso.
«Marco... Marco Mengoni»
«Quello di Sanremo? Ma tu stai fuori» disse con una risatina fastidiosa per poi chiudere la porta.
Il ragazzo rimase attonito a fissare il marrone della porta.
Quando si svegliò da quella specie di trance, prese il cellulare e compose quel numero che ormai conosceva a memoria.
“Il numero da lei chiamato è inesistente”
Michael aggrottò la fronte e richiamò il numero altre tre volte credendo di sbagliarlo.
«Marco, where are you» sussurrò, sconvolto, per poi raggiungere la casa della proprietaria dell'appartamento.

«Michael! Da quanto tempo» La signora Clara conosceva bene sia Marco che Michael. Li invitava spesso a casa sua perché “Siete due ragazzi in gamba. Mi ricordate i miei nipotini... sapete, uno vive a Madrid e un altro a Venezia”. Ovviamente non sapeva della relazione dei due che ormai raggiunse i due anni.
«Buongiorno, Clara» salutò Mika abbracciando l'anziana.
«Giusto in tempo! Vuoi entrare? Ho fatto la crostata che piace a te» annunciò sorridendo dolcemente.
«You know che me piacerebe, ma ho fretta; sono pasato per chiedere una cosa»
«Certo, dimmi»
«Sono venuto qui per vedere Marco, ma...» A quelle parole la signora si coprì la bocca con le mani e il suo voltò assunse un'espressione tra il dispiaciuto e il sorpreso.
«Marco non te l'ha detto?»
«What? Cosa deveva dirmi?» Michael quasi fu sull'orlo di una crisi. Voleva solo riabbracciare il suo ragazzo e farsi perdonare per tutto il tempo in cui non gli era stato accanto.
«È quasi un mese che Marcolino si è trasferito» Il volto del cantante diventò violaceo.
«W-what?»
«Entra che ne parliamo».

«Mi spiace che non te l'abbia detto... che strano. Eppure eravate come fratelli: sempre insieme e così allegri! Dovevi vedere quando tu non c'eri... Marco era così cupo.» Il riccioluto sorrise appena e si alzò dal divano color panna.
«Clara, grazie per tuto, davero. Siete come nonna e sicuramente la vienò a trovare presto» Gli occhi dell'anziana diventarono lucidi e sorrise come se il ragazzo che aveva di fronte fosse davvero suo nipote. Michael ridacchiò e si abbassò per riuscire a stringere la signora tra le braccia.

Uscì come un razzo da quella casa.
Destinazione?
Milano.


«You can't!».
«I'm Marco Mengoni!»

Il cantautore si accomodò malamente sulla sedia viola e ravvivò i boccoli castani madidi di sudore.
Era stanchissimo ma felice e pieno d'orgoglio per il concerto che andò benissimo: si divertì e fece divertire il suo pubblico. Ci furono tantissime persone: adolescenti, bambini, ragazzi, e persino genitori, ma purtroppo Lui non fu tra questi. Michael sbirciò così tante volte tra la gente sperando di intravedere quel volto ma niente.
Affranto, decise di godersi il concerto anche se facile non fu... “E' in ogni dannata canzone” pensò svariate volte.

«MMika» una voce conosciuta lo chiamò. «There is a person who wants to see you»
«Who is?»
«He says he i-» L'uomo non finì di parlare che venne sorpassato da una figura di cui Michael conosceva ogni millimetro.
«Oh, e spostati, carciofone» esclamò evidentemente irritato.
Appena questo incontrò lo sguardo del riccio si sentì il cuore in gola.
«Go away!» disse l'uomo-armadio, bloccando le braccia del ragazzo dietro la schiena.
«C-Chris, leav-ves him a-and go o-o-out.» balbettò Mika, tremando ma senza mai staccare gli occhi dal ragazzino.
L'omone lasciò il moretto e uscì, accigliato, per poi chiudere la porta.
Così, i due ragazzi si ritrovarono da soli in quel piccolo stanzino, faccia a faccia dopo tanto tempo.
L'uno negli occhi dell'altro.
Marco abbassò lo sguardo stringendosi nelle spalle, ma appena lo rialzò, l'istinto di Michael prese il sopravvento.
«You are a fucking idiot» mugugnò attirando il ragazzino a sé prendendolo per le spalle. Le braccia si chiusero poi intorno al suo corpo magro.
Serrò le palpebre e affondò il volto nell'incavo di quel collo perfetto e subito un profumo di “maschio” gli penetrò nelle narici.
Marco assunse un'espressione sorpresa quando sentì l'uomo sussultare ritmicamente tra le sue braccia. Quest'ultimo gli strinse improvvisamente la felpa azzurra e iniziò a dargli dei leggeri colpetti, mentre la vista gli si annebbiava dalle lacrime che pregarono di esser liberate.
Bruciarono come lame taglienti.
«Why non mi h-hai deto nothing? Ho girato Milano tutta per cercarte» La voce spezzata, il tono deluso.
Non era una bugia: Michael cercò il ragazzo in quasi ogni angolo della grande città.
Marco a quel puntò si allontanò di qualche passo e Michael capì quanto gli fosse mancato: si sentì di nuovo vuoto, un puzzle incompleto.
«I-Io credevo che per te fossi una... da una scopata e b-basta» rispose osservandosi le vans.
«Sei un coglione» Il libanese afferrò un lembo della sua felpa e avvicinò di nuovo il ragazzo a sé imprigionandolo tra le braccia. Nel colpo, i loro petti sbatterono l'uno contro l'altro e Michael riuscì a percepire la velocità con cui il cuore dell'altro batteva.
Quando il piò piccolo alzò la testa poggiò la fronte su quella del riccio.
Si ritrovarono entrambi con il fiatone come se avessero partecipato ad una corsa ad ostacoli... che, in fondo, più o meno era così.
«M-Michael» Il suo respiro sfiorò la pelle del ragazzo. Dal tono traspariva come un timore.
«Ssh, ora che ho ritrovato te non te lascerò più andare» disse accarezzando con una mano la guancia destra del ventiduenne. «Ora sei mio, again.» continuò, e con il pollice gli sfiorò il labbro inferiore, sorridendo flebilmente.
Il moro rabbrividì sotto quel tocco.
«Michael... non c-ce la faccio più...» sussurrò quasi disperato e Michael sollevò le sopracciglia con sguardo interrogativo. «B-Baciami.»
Strabuzzò gli occhi.
«R-repeat it.»
«Baciami, Michael. Toglimi il respiro. Portami dove si vola... no?» Il ventisettenne spinse con una mano la sua schiena verso di sé, ritrovandosi il ragazzo ad una distanza... pericolosa.
Riuscì a percepire le sue ciglia sulle proprie guance.
Smise di pensarci; era la cosa giusta. Lui era quello giusto.
Incastonò le labbra alle sue unendole nel più disperato dei baci. Si avventò con foga e avidità, mordendo e succhiando quella tenera pelle che per mesi aveva bramato.
I due si sentirono improvvisamente leggeri come foglie... come se stessero davvero volando.
Desideravano l'uno le labbra dell'altro come si desidera una cosa di cui si è stati privati per troppo tempo, con lo stesso tormento.
Dal labbro inferiore di Michael uscì un rivoletto di sangue per un morso un po' troppo azzardato di Marco.
Era affamato.
L'italiano lo leccò con la punta della lingua e... Dio, era erotismo puro; erotismo innocente e sconvolgente come lui.
La schiena di Michael andò a scontrarsi contro la parete fredda e Marco ne approfittò per poggiarsi sul suo corpo e strusciarcisi come un gatto.
Agli occhi del libanese, quel ragazzino timido e insicuro diventato così intraprendente, era perfetto; anche se ai suoi occhi, Marco, perfetto, lo era sempre stato.
Una mano di quest'ultimo gli sfiorò il busto sodo, iniziando a giochicchiare con gli ultimi bottoni della camicia, indeciso se osare o no.
«Marco» sussurrò Michael in un momento di lucidità. Staccò le labbra dalle sue con uno schiocco rumoroso tenendole semiaperte per recuperare ossigeno.
Possibile che sentiva già la mancanza di quella «presenza» sulla bocca?
«Marco... no possiamo.» A quella frase l'altro alzò la testa e Michael intravide un senso di confusione.
«No?»
«Cioè, no qui...»
Sorrisero complici.
Marco si alzò sulle punte e sfiorò l'orecchio di Mika con le labbra per sussurrargli qualcosa. Cercò di stuzzicarlo -e diciamocelo, ci riusciva perfettamente- ma la sua personalità timida ed impacciata non spariva mai, e questa cosa faceva impazzire Michael.
Marco non era una sfumatura ma un forte contrasto, un estremo che riusciva a fottergli il cervello.
Ebbe un brivido dalla punta dei capelli riccioluti fino ai piedi.
«Esci prima tu senza fare vedere. Se chiedono a te qualcosa devi dire che sei mio fan. Fuori c'è una street scura, fermati che ti vado tra due minuti.» Marco annuì e fece per voltarsi, ma Michael gli afferrò un polso.
«Viene qui» disse sorridendogli teneramente e lasciandolo.
«Mh?» Marco si avvicinò a lui in attesa di una sua mossa.
Il più grande guardò gli occhi color caffè del ragazzo, in quel momento lucidi.
Ci trovò la vita.
Ci trovò tutto ciò che di bello, puro e innocente c'è al mondo.
Ci trovò casa.
Ci trovò la felicità.
Accolse il suo viso tra le mani e posò le proprie labbra sulle sue in un bacio casto, ingenuo, ma che bastò per far tremare Marco su quelle labbra sottili.
Michael scoppiò a ridere appena si staccò.
«Ehi! Perché ridi?» gli chiese Marco, facendo un finto broncio e dandogli una pacca sul petto.
«Nothing. I'm happy.» esclamò con il volto sorridente.
In quel momento a sorridere non era soltanto la bocca ma anche gli occhi, e Marco lo giurò: non esisteva cosa più bella.
«Cosa c'è?» gli domandò il ventisettenne vedendo il ragazzo sorridere.
«Nothing. I'm happy.» lo copiò facendogli l'occhiolino e poi si voltò. «A dopo.»
Quando si chiuse la porta alle spalle, Michael si lasciò cadere sulla sedia, scuotendo la testa ma con un sorriso che sul suo volto non compariva da tempo.
«Sempre solito idiota.»

Michael aspettò cinque minuti per essere sicuro che le persone venute al concerto se ne fossero completamente andate e si cambiò d'abito, sostituendo un paio di pantaloni verde chiaro ad uno bianco e la maglietta con una felpa di cotone marrone.
Marco, nel frattempo, si infilò nel bagno di un bar per sciacquarsi il viso arrossato per via della temperatura del camerino dov'era poco prima, ma soprattutto per le sensazioni che il suo ragazzo gli aveva riservato.
Si guardò al piccolo specchio posto sopra il lavandino e si aggiustò con le dita il ciuffo spettinato.
Si mordicchiò il labbro inferiore e percepì il sapore di dentifricio della bocca di Michael. Il calore prese ad irradiargli le gote, che quasi pensò gli stesse andando a fuoco la barba che portava corta.
Sorrise.
“Sembro un ragazzino alla sua prima cotta” pensò ridacchiando.
Come lo faceva star bene Michael non ci riusciva niente e nessuno.
Gli bastarono quei baci e quegli sguardi per capire che il ricciolino era innamorato di lui.
Niente più dubbi, niente più domande, solo risposte; lui era la risposta.
Era la risposta al dolore, alla paura, alla solitudine quando fa male.
 
Quando Marco fu pronto uscì dal bagno cercando di non farsi riconoscere per non creare scompiglio e raggiunse il luogo d'incontro che aveva stabilito il libanese: un vicolo non illuminato dalla luce dei lampioni.
Iniziò a camminare freneticamente avanti e indietro attendendo il suo ragazzo che, fortunatamente, non lo fece aspettare tanto.
«Marco? Pss, tu sei qui?» Appena sentì quell'inconfondibile voce raggiunse la figura slanciata.
«Ehi» lo salutò iniziando a mangiucchiarsi l'unghia del pollice. Si sentì improvvisamente imbarazzato.
«Tutto ok?» gli domandò il riccio.
«C-certo. Tu?» Abbozzò un sorriso.
«Yes.» disse, per poi perdersi nelle sue iridi.
Gli occhi di Michael erano color nocciola con delle pagliuzze verdi, ma in quel momento erano estremamente verdi; un verde chiaro, pastello.
Verde nel cioccolato.
Cioccolato nel verde.
Un clacson li distrasse.
«Allora, uhm, andiamo a casa mia?» Michael annuì e sorrise.
Marco si avviò verso la sua moto e indossarono entrambi il casco nero per poi sfrecciare dritto.

Per tutto il tragitto Michael non fece altro che provocarlo e dedicargli attenzioni: gli pizzicava i fianchi, lo faceva ridere, gli soffiava sul collo, gli cingeva la vita perché «Tu brum brum tropo veloce e io ha paura» e il povero Marco ce la mise tutta per non fare una brutta fine.
Arrivati a casa, Marco prese la chiave e cercò di aprire la porta nonostante Michael lo continuasse a stuzzicare.
Dopo aver consumato una buona dose di autocontrollo ed essere entrati in casa, Marco prese per mano il suo ragazzo e chiuse la porta.
Lo sbatté alla parete prendendo possesso delle sue labbra perfettamente a cuoricino e assaporandone il gusto e la consistenza soffice.
Sorrise su quelle labbra.
Le dita affusolate di Marco si attorcigliarono nel cespuglio riccioluto di Michael approfondendo il contatto delle loro bocche; lui amava questo gesto e Marco amava farlo.
Il libanese aprì leggermente la bocca per recuperare ossigeno ma Marco ne approfittò per intrufolarci la lingua; si accarezzarono, si rincorsero, si abbracciarono, fecero l'amore.
La bocca del più grande si spostò sul collo teso dell'altro lasciando baci lascivi e umidi.
Ormai Marco era tutto un fremito e inclinò il capo da un lato per dare spazio a Michael di continuare quell'eccitante tortura.
Dio, come gli era mancato tutto quello.

Ben presto si ritrovarono sul materasso con solo i boxer addosso che oramai coprivano ben poco.
Erano bisognosi ingordamente l'uno dell'altro.
Il libanese sentì il bisogno di essere ancora una volta del ragazzo di cui era innamorato. Il suo corpo era completamente di Marco e non aveva intenzione di essere di nessun altro.
Mordicchiò e succhiò con bramosia la pelle del busto allenato di Marco, mentre con una mano gli accarezzava con una lentezza straziante il petto, i fianchi e qualsiasi parte gli capitasse sotto i polpastrelli.
Sotto il suo tocco ogni forma di quel corpo risultò perfetta e deliziosa.
Era bello, Marco. Era più bello di un dio greco, di qualsiasi modello, più bello di quegli attori le cui foto vengono appiccicate sui diari delle ragazzine, più bello di chiunque altro, e il fatto che quell'uomo fosse solamente suo faceva perdere la testa a Michael.
Il ragazzino si contorse sotto il suo corpo e inevitabilmente fece scontrare le loro intimità già pulsanti portando entrambi all'esasperazione.
Il ventitreenne si morse il labbro inferiore e strinse le palpebre per trattenere un gemito: stava impazzendo.
«Dio, Michael!» quasi urlò non appena il libanese stuzzicò il suo membro con le dita fredde.
«Io deve smettere?» chiese con fare malizioso e incrociando i suoi occhi ma continuando con il suo lento supplizio.
Con un colpo secco gli sfilò i boxer bianchi, scoprendo il membro perfettamente eretto. Sorrise soddisfatto e percorse con un dito le vene che sporgevano per tutta la lunghezza. Ne evidenziò il profilo con la punta della lingua mentre Marco si inarcò verso lui, implorandolo di sbrigarsi.
Il ragazzo riccio inglobò in un caldo abbraccio la sua intimità che sembrò ingrossarsi, ancor di più, nella sua bocca.
Il ragazzino non vedette l'ora che quei gesti diabolici finissero, ma contemporaneamente volle che il suo ragazzo gli donasse quelle sensazioni per ore e ore, fino a far male, fino a non poterne più.
«M-Michael» ansimò e Michael lasciò il suo membro a contatto con l'aria fredda, il quale si poggiò sul ventre.
Il libanese risalì con un sorriso sul volto fino a ricongiungere le proprie labbra su quelle dell'altro con la delicatezza di una piuma.
«I love you» sussurrò sorridendo, appena si fu staccato. Sul volto di Marco comparve un sorriso che sembrò troppo bello per esistere davvero, e Michael si fece mentalmente una promessa: avrebbe sempre cercato di far sorridere e rendere felice Marco; quel ragazzo era troppo prezioso per avere un cuore spento.
«And you? Do you love me?» Marco distese ancor di più le labbra e annuì con un cenno del capo, intrappolando il labbro inferiore di Michael tra i denti.
Il più piccolo invertì le posizioni poggiandosi sul corpo magro ma sodo dell'altro.
I suoi occhi brillarono: quell'uomo era uno spettacolo.
Gli mordicchiò sensualmente il lobo dell'orecchio sinistro e ridacchiò nel sentire il ragazzo rabbrividire.
Amava stuzzicarlo, fargli provare almeno un quarto di ciò che gli faceva provare lui.
«Che succede?» chiese Marco vedendo le mani di Michael tremolare leggermente. Quest'ultimo scosse la testa sorridendo.
Marco ridacchiò sulle sue labbra, intreccio tra la sua la mano destra del ragazzo e la poggiò sul proprio petto.
Iniziò un percorso fatto di baci dalla tempia destra fino alle clavicole per poi scendere sempre più giù sentendo i sospiri di piacere di Michael farsi sempre più frequenti.
Baciò leggermente la parte superiore all'elastico dei boxer grigi mentre gli accarezzava una gamba.
«Marco, please...» lo pregò Michael al limite della sopportazione.
«Cosa c'è?» chiese Marco con una falsa ingenuità e fermandosi.
«You know.» Sul volto di Michael era stampata un'espressione mista al divertito e il malizioso.
«Oh, no. Dimmi, Michael, cosa c'è?»
«Piccolo Marco, non fare me dire questo...»
«Se mi dici ciò che vuoi potrei aiutarti.» disse per poi inumidirsi le labbra con la lingua.
«Oh God. T-touch me, Marco» Finalmente confessò e i suoi zigomi diventarono dei pomelli color ciliegia.
Marco non trattenne un sorriso e gli sfilò i boxer che fasciavano un rigonfiamento ben evidente, facendo attenzione a sfiorare ogni centimetro di pelle.
Sussurrò un «Oh...» sorpreso nel vedere quel membro teso al limite, e sapere che fu stato lui a renderlo così gli fece perdere quell'ultimo briciolo di lucidità.
Un gemito sfuggì dalla gola di Michael appena il ragazzo soffiò sulla punta gonfia e ci poggiò le labbra. Ingoiò la sua erezione come il più gustoso dei gelati cercando di inglobare ogni centimetro.
Le sue labbra accarezzarono seducenti la pelle sensibile e le dita stimolarono la base mentre Michael, dal canto suo, artigliò le lenzuola, muovendo il bacino a ritmo. Si sentì quasi male dal piacere; Marco sapeva fin troppo bene quali parti sfiorare per farlo impazzire.
Appena Marco lasciò la sua intimità, il ricciolino alzò improvvisamente il busto e afferrò il volto del ragazzo tra le mani, baciandolo con tutta la dolcezza del mondo.
«Sei sicuro?» Marco gli faceva sempre quella domanda prima di fare “l'ultimo passo”.
Michael gli accarezzò una guancia con il tocco vellutato di un dito.
«Mai stato sicuro di più». Sorrise e si lasciò cadere con la schiena sul materasso.
Amavano farlo in quella posizione: affogare l'uno negli occhi dell'altro, osservare minuziosamente ogni più piccola espressione.
«Oh, shit» urlò Michael appena sentì quel senso di pienezza invaderlo facendogli irrigidire il corpo e battere, ancor più forte, forte il cuore.
Una lacrima gli rigò il viso e a quel punto Marco si fermò.
«S-se vuoi s-s-smetto» balbettò visibilmente preoccupato.
«No» Gli afferrò un polso, «No, Marco... I need you.» e sorrise flebilmente.
Il tuffo al cuore che provò Marco quando quella frase gli arrivò nelle orecchie fu indescrivibile.
Lo amava.
Ne ebbe l'ennesima conferma.
Marco si mosse in lui inizialmente con delicatezza per farlo abituare a quella presenza ingombrante; l'unica cosa che voleva era farlo soffrire.
Fargli arrivare tutto l'amore che provava: fu quello il suo intento.
La successiva velocità incalzante delle spinte fece svanire il dolore provato prima, sostituendosi ad un piacere sfrenato per troppo tempo rinchiuso. Piacere che si riversò del tempo dopo, contemporaneamente all'altro.
Marco venne dentro di lui con un urlo strozzato, stringendo le palpebre e buttando all'indietro la testa. Il labbro inferiore stretto sotto gli incisivi bianchi, le vene del collo evidenti, l'espressione trasudata di piacere... a Michael quella vista non fu indifferente.
Il ragazzo si sfilò dal libanese, per poi accasciarsi sfinito ma estremamente appagato, sul materasso.
Restarono inermi l'uno accanto all'altro, sorridendosi ogni tanto.
Quella stanza era ormai avvolta da un alone di amore e l'unica cosa che si udiva erano i sospiri dei ragazzi.
«Oh, love» sussurrò Michael, avvicinandosi al compagno, «I love you so much, Marco».


La mattina dopo Michael fu il primo a svegliarsi.
Aprì gli occhi e sussultò lievemente nel vedere quell'angelo accoccolato come un neonato al suo petto.
Inclinò la testa di lato per guardare quel volto che tanto amava: Marco aveva le palpebre serrate, la bocca leggermente aperta che assomigliava vagamente ad un sorriso, la guancia schiacciata sul petto nudo del libanese e i capelli sparati ovunque.
Parve un bambino indifeso e ciò fece sorridere il ventisettenne.
Ebbe l'impulso di svegliarlo, di dirgli che lo amava più di ogni altra cosa al mondo e quanto fu meravigliosa la notte precedente... ma non lo fece; era troppo bello e innocente per essere strappato bruscamente dal mondo dei sogni.
Sentì il bisogno di sgranchirsi le gambe, perciò Michael, prestando molta attenzione, sgattaiolò da sotto il corpo del ragazzo e dalla coperta blu.
Marco assunse una faccia imbronciata accompagnata da un verso assonnato e poi abbracciò un cuscino.
Il ragazzo riccio ridacchiò e gli rimboccò le coperte per assicurarsi che stesse al caldo. Nella stanza la temperatura era molto bassa, così il ragazzo pensò di indossare almeno i pantaloni che... beh, bisognava soltanto trovare.
Sul pavimento? Le loro maglie.
Sotto il letto? Tre (tre?) calzini.
Michael alzò un lembo della coperta e intravide della stoffa bianca. Recuperato il suo pantalone, lo indossò e sbadigliando spostò la tenda che copriva una finestra.
Non aveva con sé un orologio digitale, quindi non aveva idea di che ore fossero, ma una palla rosso fuoco spuntò tra due colline: era l'alba e ipotizzò fossero le sei/sette.
Rimase così incantato a guardare quello spettacolo mattutino che la natura donava che non si accorse dei continui richiami di Marco finché quest'ultimo non gli circondò il busto con le braccia e adottò la sua schiena come cuscino umano.
«Ehi, amore» sussurrò l'italiano, assonnato, soffiando sulla sua pelle.
Michael venne percorso da una scarica elettrica e chiuse gli occhi per un istante.
«Goodm-no, no, buongiorna» esclamò. Ci teneva ad imparare quella lingua.
Marco scoppiò a ridere.
«Non imparerai mai... buongiorno anche a te» rispose divertito stringendo ancor di più il ragazzo a sé.
Ormai i loro corpi aderivano perfettamente e Marco, respirando, indirizzava il fiato freddo sulla spina dorsale di Michael, il quale rabbrividiva ogni santa volta.
«Marco, please, stop it» Gemette dopo che il moretto gli diede un bacio; quella pelle era così attraente che le labbra si mossero autonome. Marco percepì la sua reazione e mentalmente ridacchiò soddisfatto.
«Vuoi che vada via?»
Mika si voltò di scatto facendo quasi perdere l'equilibrio al ragazzino e lo avvolse tra le braccia.
«Mai, ma tu provoca povero Mika» disse sporgendo il labbruccio inferiore a cui Marco non poté resistere dal baciarlo.
Nel bacio, Michael aprì gli occhi per un istante ed ebbe la sensazione che il cuore ben presto sarebbe scoppiato nella gabbia toracica, quando vide le labbra dell'altro stese in un sorriso e piccole rughe d'espressione accanto agli occhi.
Gli prese il volto tra le mani e premette le proprie labbra sulle sue.
Quanto fu bello ill turbine di sensazioni che si sfogarono alla bocca dello stomaco che lo fecero, semplicemente, sentire vivo.
Quando i due ragazzi si staccarono, Michael abbassò il capo e sentì il sangue andargli alla testa.
Come se non l'avesse mai visto come mamma l'ha fatto...
«Marco, coprito» disse, sfregandogli le mani sulle spalle; indossava solo i boxer e si sarebbe ben presto trasformato in un ghiacciolo se avesse indossato qualcosa.
Marco non disse nulla, non andò a vestirsi... semplicemente spalancò le braccia.
«Oh God» sussurrò il libanese, sorridendo.
«Amore, guarda this» pronunciò dopo qualche secondo di silenzio, ricordandosi dell'alba.
Si posizionò dietro di lui e, dopo averlo intrappolato tra le braccia, poggiò il mento sulla spalla destra.
Marco rimase folgorato da quel mix di colori vivaci.
«È bellissimo» esordì con voce trasognata.
«Come te» disse il riccio, strofinando la punta del naso sul suo collo.
«Ami farmi impazzire, vè?»
«Oh yeah» Risero.
Il cielo era davvero splendido: un'enorme chiazza azzurra, macchiata da striature arancione che in alcuni punti sfumavano.

«Amore...» iniziò Marco, per poi zittirsi per qualche secondo come per trovare le giuste parole. «Mi sei mancato.»
«Anche tu... and your kiss...» sussurrò le ultime tre parole per poi stampargli un bacio sulla base del collo. «And your hug, your laugh, your voice, your modo de fare l'a-amore» terminò stringendolo a sé.
Marco sussultò e una vampata di calore lo invase.
Come poteva lasciare andare quel meraviglioso uomo?
Forse, semplicemente, non poteva.
Certe persone non possiamo lasciarle.
Certe persone abbiamo bisogno di averle continuamente accanto.
Certe persone sono la corda che ci sorregge dal cadere nei vortici bui.
«Tu andare away ancora?» Ecco...
«No, ma solo perché il tuo italiano è peggiorato.»
«Ehi! Ricorda mio maestro sei tu» ribatté divertito.
Restarono per un po' così, nel calore di un abbraccio, in silenzio.
C'erano tante cose da dire: “Come va il disco?”, “Quando riparti?”, “Il tour come va?”, ma preferirono usare la bocca solamente per baciarsi di tanto in tanto.
Parlarono a gesti.
Una stretta più forte e dopo un sorriso? “Non mi lasciare”, “Mai”.
Una carezza? “Stai tranquillo”, “Finché tu sei con me, sì”.
Un bacio dato a tradimento e poi ricambiato? “Ti amo”, “Ti amo anch'io”.


«Pronto?»
«Marco! Hi, come tu sta?»
«Bene anche se mi manchi tanto. Tu?»
«Bien ma anche tu manca a me, piccolo»
«Che fai di bello?»
«Sono chiuso in bathroom perché devo darte una notizia ma no voleva dartela davanti a persone»
«Quale? Quale? Parlaaa, voglio sapere»
«Te va de venire a Dublino with me per X Factor?»
«...i-io...»
«Se tu no vuole io può invitare un altro persona perché cioè io voleva te because tu mio ragazzo e-»
«Zitto. Muto. Non dire una parola. Sì. Mi va. Mi va di venire a Dublino con te.»
«Oh picolo Marco... io è folemente innamorato di te.»


Abbelli de nonno!
Inizio col chiedervi scusa perché sono più di tre mesi che non mi faccio vivo ma ho avuto un blocco.
Inizialmente
“snow” non doveva avere un sequel, ma me lo hanno chiesto quindi boh.
Eccolo qui.
Spero vi piaccia c:

- Per chi non ha letto la prima parte, basta cliccare qui:
Amore dato, amore preso, amore mai reso
Alla prossima!

 
  
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