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Autore: Becky2000GD    02/06/2015    5 recensioni
Huntington Beach, California. La città sembra il posto giusto per riprendersi dopo l'ennesima atrocità subita. Destiny, però, non ne è convinta. È persa nei suoi problemi, nei suoi pensieri... non è più in grado di dimenticare. La vita le ha giocato troppi brutti scherzi, ma quello che sta per succederle non è che la punta dell'iceberg. Potrà infatti ricostruire il puzzle e soprattutto raccogliere i cocci di se stessa e solo grazie all'aiuto di persone di cui, prima, non si sarebbe mai fidata.
Dal testo:
Sono troppo spaventata. Non ho ancora avuto nemmeno modo di spostare gli occhi sul viso dell'individuo davanti a me.
"Allora, ti vuoi sbrigare?! Muoviti!" grida ancora, spingendo la pistola più vicino al mio viso.
È in quel momento che, nonostante il terrore puro e una tempesta di pensieri in testa, riesco finalmente a guardarlo: passo gli occhi dalla mano che mi tiene un'arma puntata contro, in sù, lungo tutto il suo braccio e via via fino al viso. Così, mi ritrovo dinnanzi due grandi occhi color nocciola, coperti da un leggero strato di trucco.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Era solo il destino
 
 






 
"Speravo di svegliarmi. Invece era la mia vita"
P. Keller






 


Prologo



 
Una giornata calda e soleggiata. È estate e le strade sono popolate di turisti che si divertono. Girano con buste piene di cose appena comprate... sembrano apprezzare davvero tanto, la California. Molti di loro, probabilmente, non c'erano mai stati prima.  
Sorrido leggermente all'idea. È tardo pomeriggio, eppure potrei ancora fare tante cose. Potrei andare al mare, a qualche festa in spiaggia, potrei fare una passeggiata, potrei... e invece no.  
Mi ritrovo qui, nella BMW nuova della mia migliore amica, ad aspettarla. Lei è così: devi sempre aspettarla, se ha deciso di andar per negozi. In realtà mi aveva chiesto di accompagnarla ma ammetto che non avevo tanta voglia di farlo.  
Intanto, decido di guardarmi intorno, anche se so che non mi piace ciò che noterò. Insomma, è tutto è così squallido, in questo posto: il parcheggio di un centro commerciale, pieno di auto, di gente... corrono tutti, chi a destra e chi a sinistra.  
Sono così affannati, nel loro goffo modo di andare: tutti con le buste in mano, carrelli pieni di cose... cibo, oggetti. Persino cose inutili. Vedo genitori trascinare per mano bambini che altrimenti camminerebbero un po' troppo lenti. È così che vanno le cose, oggi... non c'è più tempo per niente. Quei bambini piccolissimi non se ne rendono conto ma nell'affanno generale di giornate come questa, stanno sprecando tempo. Il tempo della loro infanzia, quello che potrebbero usare per esser spensierati e giocare, quello che non ritorna più.  
Ora vanno tutti più in fretta che possono, sono troppo occupati da ciò che dovranno fare appena tornati a casa, gli adulti. Non si godono il presente, hanno lo sguardo fisso sul futuro, qualunque esso sia. E alla fine non vivono niente, né presente, né futuro.  
Dico io... e i ragazzini? Ai loro figli, chi ci pensa? Perché li trasportano nella loro routine, nello stesso inferno che si sono creati? Dovrebbero dargli tempo, invece che toglierglielo! Dovrebbero giocarci, con i bambini, parlarci, far in modo che osservino le cose, annusino l'aria, tocchino tutto, ascoltino i rumori della vita attorno che li circonda e che prende forma giorno dopo giorno.  
Deglutisco improvvisamente, mentre sento un nodo in gola. Questo avrebbero dovuto farlo anche i miei, di genitori... sì, se solo lo avessero fatto! Mi mancano, adesso.  
Se solo mi avessero dedicato più tempo, avrei tanti bei ricordi in più a cui ripensare, quando mi sento sola e sconfitta. 
È passato tanto, troppo tempo, dalla morte di mio padre a oggi. E ancora ci soffro, nonostante penso di non averlo mai conosciuto per davvero. 
 Era un giudice, molto serio nel suo lavoro: ci teneva tanto a ciò che faceva. Credeva fermamente nella disciplina, nel pentimento sincero. Secondo lui, chiunque poteva redimersi, dopo aver scontato una giusta pena ed essersi reso conto degli sbagli compiuti. Diceva che tutti, nella vita, meritano una seconda possibilità.  
Ma io non ci credo. Non posso più. Ho perso fiducia negli esseri umani, figuriamoci se ne ripongo, di fiducia, negli ex detenuti!  
Non penso qualcuno mi possa biasimare: quando gli scagnozzi dell'ormai ex-capo di una banda messicana entrarono in casa nostra e uccisero mio padre davanti agli occhi increduli miei e di mia madre, il mio mondo mi si frantumò addosso. Quegli uomini erano lì per vendicarsi di mio padre, che aveva mandato in prigione il loro capo. Eppure non risparmiarono neanche me e mia madre... ancora oggi porto addosso le cicatrici di quell'aggressione. Ero piccola, tuttavia loro non ebbero pietà. A mia madre andò peggio... non voglio pensarci. 
Deglutisco, per poi prendere dal sedile posteriore una bottiglietta d'acqua. Ne bevo un sorso, per poi tornare con gli occhi fissi fuori dal finestrino. Riprendo a ricordare... 
 Proprio quando stavano per farci fuori entrambe dopo circa quattro ore che erano lì, arrivò la polizia. Ci fu una sparatoria. Pensai che a quel punto fosse finita. Ricordo che chiusi gli occhi e mi tappai le orecchie con le mani, aspettando la fine. Dalle loro pistole esplodevano un colpo dopo l'altro: le finestre si frantumavano, il muro cadeva a pezzi dove veniva colpito. 
Non mi resi nemmeno conto di come accadde, ma miracolosamente ne uscimmo entrambe vive, io a mia madre. Uno degli uomini che ci avevano rinchiuso e torturate nella nostra stessa casa fu invece ferito. Però riuscirono a fuggire tutti e non vennero mai catturati. Un ghigno compare sul mio viso. Nessuno può nemmeno immaginare quanto mi renderebbe felice vederli dietro le sbarre, a scontare l'ergastolo.  
Quanto a me e a mia madre... da lì in poi entrammo nel nostro inferno personale. Sì, perché lei gradualmente impazzì. La sua mente cadeva a pezzi. Non riusciva più a vivere, la sua mente era sempre ferma a quella sera, a quello che entrambe vedemmo e subimmo. Così, non fu più in grado di uscirne e tre anni dopo fu internata nell'ospedale psichiatrico di Oakland.  
Mi ritrovai allora nei miei panni di 13enne, appena entrata nell'adolescenza e con fin troppi complessi in testa... completamente sola al mondo. Era rimasta solo mia nonna Jennifer per me, la madre di mia madre. Sì, da lì in poi ci pensò lei a me. Decise di non vendere la villa dove avevo vissuto fino ad allora con i miei, ha sempre avuto abbastanza soldi per mantenerla essendo ricca. Ma sa bene che non ho intenzione di tornarci... mi tornerebbero in mente troppe cose e non ho la forza di pensarci. Non adesso, almeno... magari un giorno le cose cambieranno. Non lo so.   
In ogni caso, fino al mese scorso le cose andavano bene. Avevo ricominciato ad avere una vita normale... ho compiuto 19 anni. Ho avuto tempo per riprendermi almeno un po', da quella tragica notte. Peccato mia madre, circa 35 giorni fa, abbia deciso di darmi un nuovo dolore: si è suicidata. Sì, le mie visite continue sembra non le bastassero più... così, ha pensato di salire sulla terrazza dell'ospedale psichiatrico e buttarsi giù. 15 piani... non c'erano speranze. Chi sarebbe sopravvissuto? 
Mi chiedo quindi ora che dovrei fare. Mi appoggio una mano su una delle tempie e comincio a massaggiarla. 
Da quando sono andata a studiare alla rinomata Università di Berkeley, ho affittato un appartamento e vivo sola. Mi spiace per mia nonna, ma è stata lei stessa a spingermi a farlo... dice che mi renderà indipendente. Non ho considerato nemmeno l'ipotesi di stare nel dormitorio, non voglio condividere il mio spazio vitale con qualche sconosciuta. No, proprio no. Sono timida e riservata. Sarebbe stato diverso se Sidney fosse venuta a studiare anche lei a Berkeley ma la mia migliore amica preferisce questo posto, Huntington Beach. Non c'era mai stata prima eppure le è sembrato il posto perfetto per lei ed è venuta a viverci. 
Così, quando mia madre è morta... Sid mi ha spinta a venire a stare qua da lei per un po'. E mia nonna era d'accordo... insomma, posso anche non seguire i corsi all'università, finché studio lo stesso.  
Però qui non mi sento a mio agio... mi sto pian piano abituando al dolore di questa nuova perdita, tuttavia 'sto posto non mi aiuta troppo. La mia città è diversa... ho tanti ricordi brutti a Oakland... ma è pur sempre il posto dove ho passato la mia vita intera.  
 
Uno sparo. Ecco cosa ho appena sentito. Tutto mi riporta a quella tragica notte... no, no, no! Non ora, non adesso!  
L'auto è parcheggiata con il cofano rivolto verso la strada, dunque mi guardo attorno. Tutti corrono, fuggono, c'è il panico. Altri spari... goodness me! 
Spero davvero Sidney stia bene! La cerco con lo sguardo in mezzo alla folla, mentre paralizzata non riesco a far altro che stringere le mani attorno al volante e guardar fuori le persone che fuggono.  
Che dovrei fare? Prendere il cellulare e chiamarla, sì. Ma dov'è finito?! Lo cerco con lo sguardo. Respiro affannosamente, mentre sento il cuore tamburellarmi sempre più forte nelle orecchie. Non riesco neanche più sentirmi pensare, cavolo! La gente fugge dalla strada verso il centro commerciale. Mi tranquillizzo per un attimo: calma. Vuol dire che là dentro tutto è sicuro, il problema è qui fuori. 
Continuo a sentire spari su spari, mentre so bene che dovrei scendere dall'auto e andare anche io verso l'edificio...  
Improvvisamente lo sportello del sedile del passeggero si apre. Mi volto di scatto, mentre un sorriso mi si dipinge sul viso: deve essere Sidney! 
No. All'istante rabbrividisco: davanti ai miei occhi c'è la canna di una pistola. Mi si blocca il respiro, mentre resto letteralmente a bocca aperta. Inizio a sudare freddo. 
 "Vai! Accendi questa maledetta macchina!" mi urla contro l'uomo.  
Io quasi non lo sento, sono troppo spaventata. Non ho ancora avuto nemmeno modo di spostare gli occhi sul viso dell'individuo davanti a me. 
 "Allora, ti vuoi sbrigare?! Muoviti!" grida ancora, spingendo la pistola più vicino al mio viso.  
È in quel momento che, nonostante il terrore puro e una tempesta di pensieri in testa, riesco finalmente a guardarlo: passo gli occhi dalla mano che mi tiene un'arma puntata contro su, lungo tutto il suo braccio e fino al viso. Così, mi ritrovo dinanzi a due occhi grandi color nocciola, coperti da un leggero strato di trucco.  
Nonostante la situazione non sia delle migliori, rimango comunque affascinata da questo spettacolo. Sì, perché questo ragazzo... sembra... un'opera d'arte. Ogni particolare... anche i capelli, il suo fisico... l'ho guardato frettolosamente, eppure me ne sono già resa conto. Però non è il caso di pensarci, non ora. E lo so bene anch’io. 
Tutto questo è successo in pochi secondi, ma il ragazzo ne è comunque infastidito. Sembra il tempo sia prezioso per lui, infatti sbuffando rumorosamente mi infila la canna dell'aggeggio metallico dritta tra le labbra e la spinge fin dentro la mia bocca. Si avvicina di più a me:"O metti in moto quest'affare e alla svelta...oppure..." non termina la frase, ma il suo tono minaccioso è più utile di mille parole per farmi intuire le conseguenze di un mio possibile rifiuto. Ma non intendo rifiutarmi. No, non ora.  
Spinge di più la pistola nella mia bocca, con forza, facendomi male. "Parti!" grida nuovamente.  
E stavolta non faccio altro che eseguire i suoi ordini, senza far storie di alcun genere. Sono spaventata a morte.  
È la fine? Seriamente? Devo morire così? Ci penserà questo ragazzo pieno di tatuaggi e con quei grandi occhi marroni a spedirmi dritta dritta all'inferno?  
No, accidenti, no! Devo fuggire... ma come se sono bloccata qui, sotto minaccia? 
 "Fa' in fretta. Rientra in strada e vai verso il centro...sbrigati!!" urla, dopo aver sfilato l'arma dalla mia bocca e avermela puntata alla testa.  
Per ora devo limitarmi a seguire gli ordini... non posso fare altrimenti. 
   
 
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