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Autore: ellephedre    03/06/2015    7 recensioni
Makoto Kino è innamorata. Gen Masashi la segue a ruota.
Con una relazione nata nella battaglia, non hanno più segreti tra loro, eppure hanno ancora molto da scoprire l'uno sull'altro. E non vedono l'ora di farlo.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Makoto/Morea, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga'
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corrente naturale 9

 

 

 

Corrente naturale

di ellephedre

 

 

 

Maggio 1997 - Nostalgia

 

A tavola suo padre rideva. Era sempre lui a scherzare in famiglia, rendendo allegre le loro riunioni. Di fianco a lui il viso di sua madre era acceso, quello delle sue sorelle estasiato. Amavano tutti ascoltarlo. Poi era Gen a parlare della sua giornata. Suo padre gli prestava attenzione mentre mangiava, così come sua madre, Shori e Miki. Ridacchiavano per una battuta che era riuscito a fare, si scambiavano racconti personali. Era bello cenare insieme.

Poi Gen sbatteva gli occhi e suo padre era sparito dal proprio posto. Non era più a tavola, se n’era andato.

Perché? Dentro di sé lo sapeva, lo temeva.

Aprì gli occhi. Al buio, capì di essere nella realtà di un lungo incubo: suo padre era morto l’estate scorsa.

Ebbe voglia di scendere al piano di sotto, per controllare che lui davvero non fosse più nella sua stanza, a dormire con sua madre. Era stupido, illogico: si trovava a casa di Makoto.

Era passato tanto tempo da quando suo padre se n’era andato per sempre.

Nella sua testa erano recenti il sogno, i ricordi.

Solo ieri avevano cenato tutti e cinque a tavola, con sua madre e le sue sorelle. Solo ieri era andato da suo padre quando aveva voluto approvazione per qualcosa. Gli aveva raccontato dei suoi progetti all’università, di come andavano bene. Suo padre annuiva, lo spronava come al solito. Tra loro, ogni tanto, si prendevano una birra e parlavano sul patio, tra uomini. I loro sport preferiti erano la boxe e il baseball. Ne parlavano solo loro due, tranquilli, le domeniche o le sere davanti alla tv.

Gen voleva farlo ancora. Ma era impossibile, non aveva più un padre.

Un groppo gli attanagliò la gola. Accanto a lui, sul letto, Makoto dormiva. Sentiva il respiro di lei, la sua presenza.

Scivolò di fianco e la strinse. Lo fece stare meglio avere il suo corpo contro il petto, persino udire il mormorio di protesta.

Ricordarsi che era passato tanto tempo - tutti i mesi in cui l’aveva conosciuta - non cambiò nulla nella sua testa. Sembrava ancora solo ieri che poteva dire ‘papà’ e avere una risposta.

Non voleva sentirsi così. Non voleva stare male.

Affondò la testa contro il collo di Makoto, provando a riempirsi il naso del suo profumo. C’era, era un odore caldo e buono, così vivo.

Lo baciò. Fammi dimenticare.

Non resistette, dovette esagerare e scendere. Dimenticava meglio con i seni di lei premuti sulla faccia, ma non abbastanza. Era come un bambino che si rifugiava, si nascondeva. E singhiozzava, dannazione.

No.

Prese un capezzolo di lei in bocca, provando ad eccitarsi. Sentì il corpo di Makoto che si tendeva, una mano che si muoveva confusa sulla sua spalla. Udì un suono - un lamento eccitato - e tra le labbra ebbe un nocciolo che si induriva. Era rosso nella sua mente, turgido, saporito contro la sua lingua.

Questo, pensò, e portò la mano sull’altro seno di lei, per non smettere. Usò il pollice e l'indice sull’altra punta, stimolando allo spasimo anche quella.

Ecco l’oblio, la normalità. L'essere vivo.

Makoto sollevava il bacino, dimenandosi piano nel suo abbraccio. La mano di lei si era svegliata tra i suoi capelli.

«Gen…» Fu un gemito e una richiesta - anche di parole.

Lui non voleva dirne nessuna, non voleva pensare.

Scese lungo lo stomaco di lei, baciò. Quella di Makoto era una pelle paradisiaca, quasi salata, talmente ricettiva… Le infilò la lingua nell'ombelico, giocandoci. Ottenne una serie di meravigliosi brividi, tutto il ventre di lei che si sollevava contro la sua bocca. Tenerle le braccia ferme con le mani era giusto, era uno scambio. Dovevano perdersi insieme nelle sensazioni invece di combatterle.

Di più, vero?

Si spinse oltre sotto le coperte; sentì che gli mancava l’aria, ma non ci badò. Makoto provò a spostarsi con le gambe, ma lui sistemò la testa tra le sue cosce. Tenendole aperte leccò - peli, la prima volta, ma sentirli ruvidi sulla lingua, intrisi di sapore, lo portò solo ad abbassarsi di più col naso, per trovare la carne morbida e liscia. Il secondo assaggio fu centrato: scivolò tra tante piccole pieghe umide. Sobbalzando, Makoto emise un suono di involontario godimento.

Il suo odore era diverso dal solito, molto più intenso. Erano l'aroma e il sapore pungenti del sesso che avevano fatto prima di dormire - col fluido di lei che ancora non si era seccato sulla sua carne. Gli venne da ridere alla possibilità di stare assaggiando anche se stesso, ma si limitò a non scendere oltre e non smise di premere la lingua contro il bottoncino duro che aveva trovato. Le era venuto dentro, perciò là fuori c’era solo Makoto, solo lei e il modo in cui stava agitando piano le ànche contro la sua bocca, sempre più a ritmo.

Così, pensò lui, sentendo dentro di sé il tremore che le provocava con un movimento giusto della punta della lingua, il dondolio trattenuto del bacino contratto e smanioso-

Makoto trafficò veloce con le mani, buttando via le coperte e permettendogli di respirare. Disse il suo nome due volte, in ansiti consecutivi, veloci, prima di afferrargli la testa con tutto un palmo e iniziare a ondeggiare al ritmo delle sue leccate, senza più ordine. Sobbalzò all'improvviso e in quell'orgasmo si perse anche lui. Si inebriò della sua voce spezzata, femminile e deliziosa, e del pulsare lieve che sentiva sotto le labbra.

Lei era così giusta - perfetta da amare, la persona migliore in cui perdersi.

Appoggiò il viso contro il suo ventre e per un attimo respirò.

Volevo così tanto che lo conoscessi anche tu.

Sentì di nuovo il petto che si stringeva. Non lo sopportò. Sollevò il torso e nel buio, con la mano, allineò la propria erezione all’entrata di lei, senza aspettare. Affondò.

Makoto gli afferrò i polsi. «Gen!» Non cercò di spostarsi, ma bloccata com’era non avrebbe potuto.

Non dirmi di smettere, per favore.

Cercò di trattenersi dall’assecondare la forza della stretta scivolosa di lei. Riuscì a stare fermo.

Makoto smise di tenergli forte le mani. Spinse di rimando contro il suo bacino - un tentativo la prima volta, una scelta la seconda.

Senza fiato, lui la prese per la vita. Da seduto iniziò a spingere ed ebbe tutto il controllo che lei gli aveva dato. Privo di ostacoli, cominciò a premere con sempre maggior intento.

Sentì come Makoto gli rispondeva e si lasciava andare. Con l'intero corpo lei divenne un concentrato di istinto - allargò le gambe, inarcò la schiena per favorire gli affondi, graffiandogli i gomiti.

Lui abbandonò i pensieri. Si riempì del piacere di entrare nel suo ventre, tenendola bloccata, controllata.

Poteva farle tutto quello che voleva, al ritmo da lui deciso, con la forza che più gli andava - la soddisfazione più grande sapere che lei lo desiderava quanto lui e con ogni movimento lo incitava, godeva.

Lo spasmo con cui iniziò a liberarsi nel suo corpo lo fece diventare rigido su tutta la schiena. Fu talmente forte e intenso che… Non controllò le ultime spinte, furono loro a comandarlo.

Infine, sentì un indolenzimento alle mani quando allargò le dita, per la forza con cui aveva tenuto contratti i muscoli.

Si preoccupò, massaggiando la pelle che aveva afferrato, in cerca di reazioni di dolore. Ma Makoto gli trovò le mani con le sue, le chiuse nelle proprie. Prese lei il comando, costringendolo con gran facilità a sdraiarsi sul suo corpo, poi su un fianco. Tenne il volto contro il suo collo. Non stava cercando conforto, voleva offrirlo. Gli accarezzò la schiena, ascoltando il respiro che lui non riusciva a calmare.

«Cosa c’è?» gli domandò.

Lui non trovò la forza di stare zitto. «Mi manca mio padre.»

Non lo infastidì il sussulto, il silenzio.

«… hai fatto un sogno?»

Gen annuì al nulla, contro la testa di lei.

Makoto tremò e lo strinse forte. Soffrì con lui.

Contro i suoi capelli Gen provò a trattenersi.

«Fa male, hm? Farà sempre male.»

Già. Perché suo padre non sarebbe mai più tornato.

Ansimò, iniziò a piangere. Si vergognò.

A denti stretti odiò la sofferenza, la nostalgia. Quando Makoto gli accarezzò la nuca piano, come se fosse piccolo e solo, odiò solamente che suo padre non ci fosse più.

Avevo ancora bisogno di te.

Non glielo avrebbe mai detto se fosse stato vivo, non lo avrebbe mai pensato. Ma avrebbe avuto bisogno di lui tra dieci anni, tra trent’anni. 

… gli sarebbe mancato per il resto della sua esistenza.

Rassegnato, pianse ancora un po’, fino al silenzio. Sentendo le lacrime calde di Makoto contro la guancia, si sentì meno solo e si addormentò. 

  

Maggio 1997 - Nostalgia - FINE

 


NdA: ... ho pensato che uno come Gen verrebbe invaso da queste idee, di tanto in tanto. Suo padre era molto importante per lui.

Vedevo Gen che reagiva nel modo che ho descritto, cercando di dimenticare in una maniera fisica, per spazzare via il dolore rimpiazzandolo con sensazioni che più di tutte, nella sua testa, gli danno l'idea di essere vivo, acceso. Gli si è ritorto contro? Non proprio. Aveva davvero bisogno di lasciarsi andare ancora, anche se riteneva insensato che la nostalgia fosse ancora così forte dopo tanto tempo.

Niente, spero di aver reso bene ciò che volevo trasmettere con questa storia.

Elle

   
 
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