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Autore: _Aly95    03/06/2015    1 recensioni
(REVISIONE in corso capitoli)
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"Durante quel racconto aveva ricordato ciò che il corpo non aveva mai dimenticato: la sua pelle, le sue mani fredde, che si infilavano sotto la propria carne, quel suo sangue di ghiaccio, da predatore paziente e calcolatore, implacabile. E quel suo senso di superiorità e di potere che sprigionava con ogni parte del suo essere, la sua natura possessiva e misteriosa: sbagliato, forse morboso, ma era ugualmente eccitante. [...] Era rabbrividita, con un certo timore: un essere del genere, avrebbe mai trovato la pace, in particolare nella sua folle vendetta..?
Si stava sciogliendo. Sciogliendo tra la neve."
[Pre-Thor] / [Post-Avengers] - [Thor: The Dark World] - [Post- Thor: The Dark World]
Il destino mescola le carte e noi giochiamo _ Arthur Schopenhauer
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Appena scomposto sulla sedia d'oro squadrata, gli occhi sul focolare acceso per riscaldare una notte di ghiaccio che riflettevano, d'un azzurro lucente, le fiamme vive e calde, Thor si era chiuso nel silenzio di chi attende la visita certa del fato. Ogni lingua di fuoco si muoveva sinuosa ed ubriaca, movimenti scomposti e sbagliati, mai uguali a se stessi, che si confondevano sovente con i particolari, persone ed oggetti, di quei ricordi e di quelle immagini di cui prendevano tremuli la forma. Il dio rievocava il passato in ogni freddo sorriso, in ogni occhiata infastidita e seccata; vedeva adesso un paio di sottili labbra incurvate non per atona educazione o per mera ipocrisia, ma mosse da vero, cristallino, affetto.Lo stesso focolare aveva assistito all'inconscio piacere che un principe eterno provava in compagnia di un'effimera mortale, a quelle risate adesso innocue e pure dinanzi ad un comportamento o un'osservazione ritenuti buffi e goffi, adorabili: ella gonfiava le guance, metteva un finto broncio sulle labbra piene mentre i lunghi capelli le ricadevano sulla schiena in voluttuose onde brune.
Fratello, perché non provi a insegnarle qualcosa della tua magia? Le farebbe piacere”
Quelle iridi verdi scivolavano su di lei di nuovo - al solito: a volte limitandosi ad una breve e curiosa occhiata, quando non scettica o di sufficienza, a volte seguendo le tenere curve di quei capelli così scuri, quasi amassero posarsi su di lei, a più riprese; come un contrasto di colori complementari, era poi sorto un ghigno derisorio.
Non ha costanza né pazienza: non ne sarebbe capace”
Per non essere un'eterna è molto brava. Perché ti ostini a non riconoscerle alcun merito..?”
Aveva levato lo sguardo su di lui, serio e sprezzante.
E' in realtà mediocre.. cosa ci trovi di tanto interessante in una mortale così tediosa..?”
Il Thor presente alzò le sopracciglia chiare. Probabilmente, il Dio degli Inganni aveva trovato da solo risposta a tale domanda: ma all'epoca, stava forse mentendo a se stesso, cercando di porre una barriera, cercando di rivestire quel continuo posarsi su di lei con sofisticata bugia, pomposo ed ostentato disprezzo?
E poi, per quel che poteva oramai importare, sapevano, entrambi, di cercarsi prima ancora di cedere alle proprie palpitazioni, quella calamita che chiedeva continuamente di guardarsi per trovarsi?
Il passato acquistava adesso un senso nuovo, squarciando quel velo di innocente ingenuità che aveva adombrato da secoli i suoi occhi celesti.
«Avrebbe avuto il coraggio di ucciderlo?»
Fandral aveva gettato una domanda improvvisa su quella stanza riscaldata da un focolare freddo e silenzioso come la notte, intanto sorseggiava il vino rosso di Asgard da un boccale pregiato; dondolava il piede, mentre lo sguardo tutt'altro che da fesso tagliava l'aria in cerca della reazione delle loro espressioni.
Intervenne la dea a spezzare il silenzio. «Ha tentato di assoggettare un regno neutrale e indifeso, mietendo vittime altrettanto innocenti, e incapaci di rispondere ai suoi attacchi»
Lo spadaccino alzò le spalle, giocando distrattamente col bordo del boccale, gli occhi persi nel fondo probabilmente vuoto. «Era sotto l'influsso dello scettro.. A proposito, sarà sicuro lasciarlo nelle mani dei Midgardiani?»
Lo scettro. Gli occhi tendenti all'azzurro, dimentichi del vecchio smeraldo, dimentichi della sua vita passata, dalla stessa intensità dell'energia che pompava nel cuore dello scettro, quel colore che tardava ad andarsene anche dopo i violenti colpi alla testa e al corpo.*
«Era sua intenzione commettere un genocidio nei confronti della gente di Jötunheim». Il silenzio si distese attorno le loro figure, quasi gelò ulteriormente lo scoppiettio muto delle fiamme che disperdevano il freddo della sera: nessuno aveva niente da ribadire.
Il Dio del Tuono tirò più verso sé un lembo della mantella marrone, un brivido gli aveva percorso funesto il bicipite per poi risalire verso la spalla. Non aveva voglia di dire nulla, né alcuna consolazione avrebbe potuto distogliere la sua attenzione dai pensieri che lo bollivano dentro.
Domani Padre ti mostrerà l'amore che prova per il suo caro figlioccio.
In quei momenti, la voce di Loki si faceva pressante.
«Thor?»
Sif accompagnò il richiamo sedendosi accanto a lui, le gambe incrociate e la schiena dritta, le mani intrecciate sulle ginocchia. Osservò il suo blu deciso e fermo, la cascata nera in una elegante e semplice pettinatura.
Sif sapeva, ne era certo; o quantomeno aveva già fiutato l'odore della verità a suo tempo: non c'era niente che potesse sfuggirle, nessuno poteva battere quegli occhi da aquila, se non un paio di lenti feline e verdi. Espirò profondamente, portandosi il pollice alla bocca e mordendosi pelle e unghia.
«La realtà che ho vissuto è solo una menzogna» osservò con la voce bassa e gli occhi incollati sulle fiamme che danzavano scompostamente. Si chiese se Loki non avesse provato tutto quel dolore e quel turbamento, sebbene in maniera di gran lunga peggiore.
Scoprire le sue vere origini, scoprire un'appartenenza che lo lasciava in balia di un'identità vissuta a mezzo, il crollo di tutte le sue certezze, la scoperta di essere veramente ciò che più si è temuto e si è sempre odiato. Non a caso il dio doveva aver sfiorato la pazzia più volte.
«Non tutti ti hanno mentito» replicò con stizza severa lei, allentando la tensione delle spalle con un respiro. Seguì la direzione del suo sguardo, che si infranse anch'esso tra le fiamme silenziose «Non siamo tutti dei vili menzogneri.»
Poteva essere vero, ma solitamente il sordo non ammette di non sentire alcunché. Thor levò le ciglia su una fiamma che si era eretta più alta di tutte, per un vano e brevissimo momento.
«Ammetto che nessuno di noi possa vantare di aver sempre agito in maniera corretta o giusta.. ma eravamo sempre mossi da una giusta intenzione. Thor» cercò di richiamare la sua attenzione, e non senza sforzo il dio si voltò verso il suo bel viso. «Ogni volta che lui è coinvolto, qualcuno è costretto ad abbassarsi al suo livello, che sia per salvarlo o meno, costringendolo a diventare come lui. E' così. Tu non hai nessuna colpa per i suoi comportamenti: le sue scelte gli appartengono».
La donna non aveva per niente torto; Loki era bravo a imporre una scelta difficile alla sua vittima, che finiva sempre per affrontare il proprio lato oscuro, come ad esempio arrivare a tradire Padre Tutto pur di liberarlo.
Ma come vedi, mio caro fratellino, se cado io, cadi anche tu, con me.
Udì lo scatto che la dea fece per alzarsi, non gli sfuggì lo sguardo di ammonimento che scoccò agli altri, prima di voltarsi di nuovo verso di lui. Un lieve sorriso le increspava le labbra: uno di quei sorrisi che l'orgoglio le impediva di mostrare scoperchiando completamente i denti, ma che nondimeno dimostrava la sua dolce fierezza.
«Tu sei Thor»
Thor.
Il potente Thor.
Il figlio dei fulmini temuto da tutti i nemici, il guerriero amato dal popolo, il principe d'oro e rosso, colui che impugnava il mitico Frantumatore.
Già, quell'ingenuo Thor che è soltanto una menzogna.
Lasciò cadere violentemente il profilo della mano sul bracciolo,portando immediato silenzio nella stanza, mentre la bocca disegnava una smorfia di disappunto.
Lo stavano fissando.
No.
Stavano fissando il vecchio uomo che credevano ancora di vedere.

 

 

 

Sospirò guardando la buia notte di Asgard, illuminata in remote parti del cielo da nebulose rosse e verdi, a tratti violacee o anche azzurre. I suoi occhi, però, si perdevano sulla città illuminata da piccole torce occupate in alto da lievi fiamme.
Si sentiva terribilmente scoperta: aveva una sola certezza che stava, se non era già successo – grazie alla propria mente sciocca e lenta - , perdendo.
Era Loki, la sua sola certezza: a lui appartenevano le braccia in cui desiderava essere avvolta, una spessa coperta, un paio d'ali in cui trovava sempre un rifugio sicuro dal mondo. Il punto sicuro da cui partire per fermare il vortice in cui era finita, per recuperare i pezzi confusi e sbattuti di qua e di là di se stessa.
Con la punta del dito seguì la cornice della finestra ad arco del corridoio, lentamente, sognando la notte in cui si era sentita interamente libera e tranquilla dai propri pensieri; ed era lui ad assecondare i lineamenti del suo volto, mentre ella chiudeva gli occhi e respirava con un filo d'aria.
Tuttavia era stata una notte fragile quella, che si era infranta ai primi bagliori dell'alba, per colpa sua, che non era riuscita a contenere quel passo indietro di paura e riflessione, che non era riuscita a dire “Tu sei mio, e non ti abbandonerò più.”.
Ho perso le mie ali una volta e, chissà, quante altre ancora senza che me ne accorgessi.
Il polpastrello si fermò, mentre il petto si alzava per raccogliere più capiente l'aria serale. Nell'ennesimo tentativo di ferirsi, aveva invece ferito lui.
Non poteva dimenticare l'immagine che aveva di Loki all'interno del Bifröst, Loki che, voltandosi, l'aveva notata subito, le labbra schiuse in parole gelate dalla sua vista.
Non poteva sapere, il dio, che ella stesse piangendo dentro, che le lacrime non le rigavano le guance, bensì sembravano al contrario colarle dietro gli occhi, scivolare lungo la gola, mentre in quegli smeraldi che la fissavano seri leggeva il lamento ferito di cui lei stessa era stata l'artefice.
Mi hai fatto male al cuore.”
E il suo, di cuore, si era spezzato in minuscole briciole vane, una lama era intanto affondata nel petto per affettare il nulla non appena ne aveva scorto il sorriso rassegnato di cui si macchiavano le labbra sottili.
Credevi che finisse in altro modo..? Credevi che avresti avuto tutto il tempo del mondo per dirmi quello che non mi hai detto in tempo?
Udì il rumore metallico della giuntura di un'armatura.
Una delle due guardie che la seguivano si era mossa lievemente. Forse era il caso di rientrare in camera, riposare in attesa di un'alba terribile.
Si voltò, con una mano che massaggiava la spalla destra nel tentativo di rilassarsi, e guardò il corridoio davanti a sé.
Prese un respiro, finendo in apnea: una figura slanciata e dalle forme tutt'altro che spigolose, i capelli raccolti appena dietro la nuca, stava camminando verso di lei con passo da soldato.
Si trattava di lady Sif.
Premette maggiormente le dita sulla carne della spalla, indecisa se richiamare la sua attenzione o meno. Onestamente, temeva e non aveva voglia di parlare con lei, in particolar modo dal momento che percepiva un certo grado di antipatia nei propri confronti. Le aveva sempre riservato occhiate taglienti divenute oramai familiari.
Anche Sif si accorse della sua presenza – probabilmente finse di accorgersene soltanto in quel momento – e rallentò l'andatura fino a fronteggiarla con quegli stupendi occhi blu che Anirei si era ritrovata spesso ad invidiare.
Non che ci fosse poco da ammirare a tutte le dee che passavano per i corridoi del castello con i loro fluenti capelli e gli occhi chiari e stupendi, comunque. E non si distinguevano da moltissime donne mortali solo a livello fisico, esse si portavano dietro una scia carica di fascino che le conferiva quell'aspetto e quell'attribuzione di “divino”.
L'autostima scendeva a vista d'occhio, ogni volta.
Sif la osservò a lungo, col suo sguardo tagliente e indagatore, poi portò gli specchi sulle guardie che Anirei teneva alle calcagna.
Storse una caviglia nervosamente: già i silenzi la mettevano a disagio, figurarsi i silenzi con quella dea guerriera seria e fiera. Cercò di sciogliere voce e tensione. «E' successo qualcosa?»
Ricevette un'occhiata in tralice, e una semplice spiegazione. «L'accesso alle prigioni è negato».
Immaginò il motivo che la spingesse in quella direzione.
Loki.
C'entrava sempre.
La udì imprecare sottovoce, scoperchiare i denti per la collera, i pensieri talmente forti da fuoriuscire con smorfie aggressive e violente. «... Perché Thor non comprende che quel vile sta solo manipolando la sua mente?».
Credette di cogliere una nota venata di sofferenza e dolore, in quelle parole così cariche di collera.
Di fatto, i ricordi legati ad un vecchio libro, e scene di cui era stata muta osservatrice, riaffiorarono.
Sif teneva veramente al Dio del Tuono.
Ma taceva, con quell'amore silente e un'afflizione altrettanto silenziosa, assistendo alla successione di secoli dove riusciva a farsi bastare la compagnia del dio tanto amato. Dava sempre l'impressione di essere sicura di sé, Sif, una donna che si era fatta un nome tra gli uomini guerrieri, che ancora, a volte, non veniva presa sul serio per il suo sesso: tuttavia continuava a combattere per la strada che aveva scelto, e che appagava la sua identità ma non il suo cuore.
Probabilmente, immaginava Anirei, Sif, pur non ammettendolo mai, neanche a se stessa, invidiava la vicinanza che la mortale di Thor aveva col dio: non una vicinanza di tipo fisico, quella di cui ella beneficiava ogni giorno dell'anno, ma una vicinanza di cuore, che non aveva una distanza misurabile, perché i due petti erano un tutt'uno.
Chissà che non avesse mai fantasticato di vestire in maniera più femminile, esattamente come faceva la dolce Jane.
Si morse il labbro; provava un certo desiderio di solidarietà e di comprensione nei suoi confronti, ma immaginava che la dea non avrebbe gradito svestire il suo orgoglio e mostrare le debolezze, né mai avrebbe voluto farsi consolare da lei.
Si limitò a sospirare. «Non credo che Loki potrebbe fare qualcosa a tal merito»
Anzi, immagino che non gli farebbe altro che piacere, se lo venisse a sapere.
Sif incollò il blu sul pavimento, intanto cercava di ricomporsi. Con un dito si lisciò velocemente una ciglia; ad Anirei parve di cogliere un bagliore luminescente a contrasto con la luce delle torce ingabbiate sulle pareti dei corridoi.
«Non mi arrendo né mi rassegno. Non posso tollerare che si prenda gioco di lui»
Beata tu che disponi di così tanta volontà e fiducia in te stessa..
Anirei aspettò ancora un momento, poi diede la buonanotte e si voltò. Parlare di Loki faceva male, la faceva sentire ancora più in colpa, le metteva più angoscia di quanto le sue viscere potessero contenere per la mattina sempre più vicina.
Non a caso Odino aveva scelto l'alba: era il momento in cui le tenebre si diradavano, l'inizio di un nuovo giorno. Eppure, la cosa non faceva che rabbrividire la sua carne di preoccupazione e timore.
«Sai di non piacermi, ma non è per ciò che credi tu.».
La fanciulla si voltò sorpresa verso di lei, meravigliata dall'improvvisa schiettezza con cui le stava parlando.
«A me non interessa chi sia il destinatario del tuo cuore, né ti voglio giudicare per aver giocato con il cuore di Thor.». Poggiò la mano sullo stipite della finestra ad arco, perdendo il blu nel nero della notte gelata. Prese un respiro, le scoccò un altra occhiata severa e sprezzante. «Mi urta la tua mancanza di volontà, lo spreco deliberato che fai delle tue capacità e la fragilità che ti coglie quando si presenta davanti una situazione che richieda una ferma, a volte difficile e sofferta, decisione»
Allora siamo in due.
Anirei provò la stessa sensazione della lama che affonda in uno dei fianchi scoperti.
L'adrenalina aumentò: che bisogno c'era di rinfacciarle in quel momento ciò che non le serviva di sentirsi ripetere da una voce esterna, quando era ovvio che stesse soffrendo, quando era ovvio che stesse cercando di tenersi aggrappata ad un filo di coscienza? Non aveva forse evitato di approfondire l'argomento che sicuramente avrebbe infastidito lei, invece?
Cercò di trattenersi e di non sparare parole avventate, che sapeva essere esagerate ed inventate dall'impetuosità del momento, usò tutto lo sforzo necessario; ma qualcosa trapelò comunque.
«Non sono come te, Sif, e immagino che tu ne sia felice. Ma ricorda che ognuno ha i propri difetti, e dimostra di crescere nel momento in cui li riconosce. Laddove io provo a limare per quanto sia possibile un atteggiamento a me profondamente nocivo, tu, al contrario, fingi di non vedere i tuoi o, addirittura, credi di trattarli da pregi. Buona fortuna e buonanotte.» tagliò corto andandosene prima di combinare un pasticcio.
Anche se la buonanotte, quella sera, non sembrava giungere per nessuno.

 

 

 

«Pensieri malinconici prima dell'alta sentenza?»
Fece un cenno distratto della testa, un cenno di diniego. «Se soltanto di tristezza fossero ricolmi, li accoglierei con ben altra gioia»
Heimdall continuò ad osservare la volta celeste, scura di un regno che dormiva nell'inconsapevole ingenuità del mattino successivo.
«Sta bene» sorrise il guardiano guardando un punto indefinibile dell'universo, un punto che il Dio del Tuono credeva di aver individuato e cui si voltava spesso, anche inconsciamente, quando lo coglieva lo sconforto di decisioni troppo pesanti. «E' una donna molto forte»
Stirò le labbra. «Sì. Ha avuto problemi con lo SHIELD?»
Si era affidato alle abilità e alle risorse di Erik Selvig per proteggere Jane nella peggiore delle eventualità: l'organizzazione non avrebbe preso bene la fuga di una pedina tanto preziosa, e l'astrofisica sarebbe anche potuta incorrere nell'arresto di tale crimine.
L'uomo sbatté le palpebre. «No. Ma non la faranno allontanare fino a quando non deciderai di tornare. Hanno riunito tutti i tuoi compagni midgardiani»
Sospirò, sempre un mezzo sorriso: Nick Fury non si sarebbe mai fermato, era un uomo caratterizzato da una volontà e da una determinazione fuori del comune.
«Tornerò non appena sarà tutto concluso»
Fu il Dio Bianco** questa volta, a sorridere. «Non sottovalutarla, è in grado di cavarsela da sola. Per esempio, ha barattato le sue conoscenze sul cielo per collaborare nella ricerca dei Nove Regni»
Per quanto cercherai di scappare nel cielo, io ti troverò. Sempre”
Dolcissime e timide parole che gli aveva sussurrato all'orecchio prima di baciarlo, di sfiorargli la barba sfatta con le labbra, i capelli, e le lenzuola che li coprivano dalle incombenze del mondo esterno. Quell'immagine intima e domestica, quasi anormale in un mondo oramai sconvolto da guerre, tradimenti e vari livelli di instabilità, lo distendeva in una pace tranquilla, come un guerriero in battaglia che sogna la sicurezza e la felicità di casa.
«Ogni essere vivente pare ricoprire un ruolo, figlio di Odino; sovente viene confuso il personaggio con l'attore»
Thor rimase in silenzio, accarezzando uno dei giganteschi ingranaggi che ricoprivano la volta del Bifröst. Intuiva ciò che Heimdall intendesse, ma non riusciva pienamente a comprenderne il significato.
Distolse gli occhi azzurri dalle pareti per dirigerli in quelli del guardiano, quasi un bambino che cerca la risposta negli occhi di un adulto, ma bensì, al contrario, venne accolto con stupore da un'ulteriore domanda.
«Chi sei tu
L'azzurro nel miele, il silenzio era calato e volava come una brezza leggera all'interno dell'abitacolo. Il rumoreggiare delle onde rilassava i timpani feriti nei suoni stordenti delle battaglie.

Chi sei tu?

 

 

                                                                                                                                 ***

 

 

«Ho finito, mia lady. C'è altro?»
Respirò appena profondamente, esitò mentre si osservava le occhiaie coperte da una crema di colore naturale. Infine annuì, tentando di vedere riflessa allo specchio la donna che tanto sarebbe voluta essere: forte, decisa, indipendente.
Le fece un lieve cenno, accarezzò con attenzione i capelli ben ondulati per l'occasione, un'eleganza che quasi la faceva ridere dalla disperazione. Nel cuore, nel frattempo, teneva paura e impazienza che si scontravano come due onde costrette ad infrangersi l'una sull'altra.
La ragazzetta si soffermò sulla porta, mettendo una mano sulla maniglia e indugiando. Anirei la fissò riflessa sullo specchio per un momento, prima di voltarsi nella sua direzione.
Anch'ella girò il piccolo volto dalla pelle brillante, ma non alzò per educazione gli occhioni. «Non abbiate paura. Sono sicura che la vostra innocenza verrà riconosciuta anche da Padre Tutto»
Alla parola “innocenza” percepì il corpo affondare sempre più nel morbido cuscino dello sgabello; sospirò appena, rispondendo sinceramente «Non credo di essere in grado di mostrarmi più forte di quello che sono». Era lei, adesso, a contare le mattonelle del pavimento.
«Voi siete forte. Vi ho scorto una volta mentre vi allenavate all'arena»
Stirò le labbra. «Non parlo di quel tipo di forza..»
Ella le si avvicinò, inginocchiandosi e prendendole le mani; Anirei la lasciò fare, sentiva di avere bisogno di un contatto o un gesto d'affetto.
«Io vi ho scorto. Eravate bella e fiera, forte e felice. Dovete soltanto convincervene»
Il punto è proprio questo..
Ritrovare la fiducia in se stessa era un bel problema da cui ne dipendevano tanti altri.
Le parole della ragazzina, la stessa che si era occupata di lei il giorno in cui si era risvegliata ad Asgard tanto tempo prima, e in tante altre occasioni, le facevano vibrare le corde dell'anima.
Le cadde una lacrima, e poi due. Inavvertite, e cristalline come uno specchio d'argento.
«Ma voi..»
Tante volte invano le aveva detto di smetterla di appellarla con quel “voi”, oltre a non riuscire ad abituarsi, non credeva di avere nemmeno un valido motivo per cui dovessero rivolgersi con tanta deferenza.
«Va tutto bene..». Le sorrise, cercando di asciugarsi le guance. «Era mia madre, solitamente, a dirmi queste cose belle. Mi manca tanto»
Tutti le mancavano. Abriyl con cui amava distrarsi dalla vita con tante risate, suo padre che adorava intrattenere la famiglia, lui che, prima di tornare via per sempre, sembrava aver captato finalmente la sua sofferenza interiore, benché non fosse nella sua natura comprendere le cose sensibili dell'animo. Per quel che aveva provato a fare, apprezzava tantissimo i suoi sforzi.
E poi sua madre, con cui sovente aveva litigato per tutta la vita, ma che dava sempre il suo tempo per consolarla e capirla; era rimasta offesa dalla sua decisione di andarsene, era scettica, e certamente non aveva approvato la motivazione di cuore. Però, sapeva, prima o poi, col tempo, che quello spillo fastidioso per cui si era vista un po' tradire, sarebbe stato messo da parte per l'amore provato verso la figlia.
Tutti loro non hanno mai smesso di avere fiducia in me.
Eppure, non posso fare a meno di avvertire quella sensazione che mi fa credere di averli feriti, così come per ogni mia decisione.
«Mi mancano tutti»
Il loro desiderio più grande è che torni ad avere fiducia in me, che torni ad essere felice, e trovi la mia strada.
«Vedrete, dopo l'alta sentenza tutto tornerà a suo posto»
Anirei chiuse gli occhi, le sopracciglia si inclinarono: la sua carne tremò di nuovo, mentre l'istinto era consapevole del cambiamento radicale che quella sentenza avrebbe portato.
La ragazzina che teneva le mani nelle sue era stupenda, aveva il cuore d'oro, Anirei amava parlare con lei: purtroppo, ella non vedeva Loki con gli occhi dell'amore, anzi, odiava il dio senza averlo mai conosciuto veramente. Come la maggior parte degli esseri viventi, purtroppo.
Sospirò, cercò di rilassare la schiena, spostò i gomiti che le puntellavano le ginocchia per essersi sporta verso l'ancella.
Prima di tutto, se voleva liberarsi del proprio atteggiamento, se voleva fare del bene a se stessa e agli altri, doveva raccattare i cocci dei propri errori. E Loki, purtroppo, si era schiantato in mezzo a tutte le altre cose.
In silenzio, osservò la luce fioca dell'alba, i colori freddi del cielo: in lontananza, la superficie mossa dell'oceano rifletteva i raggi con uno specchio color argento.
Era ora di andare.
Fu accompagnata sino alla porta, scortata gentilmente col braccio sulla schiena.
«Grazie» le sussurrò riconoscente prima di muovere un passo verso il corridoio, con le mani sul grembo e la schiena dritta. Scoccò un'occhiata prima a destra e poi a sinistra, verso le guardie che l'attendevano sempre ai due lati della porta; un cenno, e la seguirono a due passi di distanza.
La fortezza era silenziosa come non lo era mai stata, e mentre percorreva la strada che l'avrebbe condotta alla Sala del Trono, udiva l'eco dei propri passi e di quelli delle guardie, mentre gli occhi tradivano la paura di quell'ambiente deserto.
Non era mai un buon segno.
Udì un fruscio, che non fu solo un'impressione: anche le guardie sguainarono le proprie armi, guardandosi intorno circospette.
«C'è qualcosa che non va?»
Attese che esse si tranquillizzassero, e che rinfoderassero le armi. Scossero la testa e la invitarono a proseguire. Anirei non era molto rassicurata dagli sguardi che mandavano da una parte e dall'altra.
Tuttavia non fece altre domande e svoltò l'angolo, la scalinata che conduceva ad Odino si distendeva davanti a lei come un torrente che va dalla fonte fino alla foce.
Deglutì.
Thor si trovava già lì, davanti alle grandi porte, come molto tempo prima.
Sì, era lì, ma i suoi occhi dal color del cielo non si accendevano più per lei, il dio non sorrideva di una gioia radiosa, alla sua vista; l'espressione di quella mattina, solo l'espressione era rimasta pressoché identica, guardinga e sospettosa, seria, su un volto oramai indurito dal tempo.
Scese i primi scalini, cercando di non curarsi degli zaffiri che la fissavano con attenzione.
Ma era orribilmente difficile.
Difficile camminare col senso di colpa che ti guarda da davanti.
E'.. è successo. Siamo stati travolti entrambi, Thor”
Ed era vero. Dio, quanto era vero.
Cosa si crede di ottenere se si aizza un drago? Fuoco e cenere.
Ed ella era andata ad aizzare il Dio dell'Inganno per ricevere proprio quel fuoco e proprio quella cenere, svelando il desiderio inconscio di voler essere sua.
Solo la razionalità era giunta prima della fine per dirle che ciò che stavano per fare era sbagliato nei confronti del dio che adesso le stava davanti: ma la flebile opposizione era stata più ipocrita che altro: non aveva mai provato a liberarsi, era rimasta immobile come un manichino, scissa tra il desiderio di essere sua e la dolorosa consapevolezza di star facendo la cosa sbagliata.
E nella sua indecisione, era riuscita a ferire se stessa e i due principi divini.
Complimenti, Anirei, sei proprio un'idiota.
Si osservarono a lungo, fino a quando ella, non riuscendo a non provare una profonda e giusta colpevolezza, non abbassò le proprie ciglia, impossibilitata a resistere oltre, ferma da ore sul solito scalino.
Come posso chiederti di perdonarmi, Thor? Sarebbe soltanto una presa in giro.
Ma credimi, avrei voluto tanto dirtelo.
E se soltanto potessi, tornerei indietro e cancellerei un passato che ferisce tutti noi.
Aprì gli occhi, lentamente: aveva udito rumore di passi; il nocciola dei suoi specchi scuri si infranse contro la mano che il dio, più in basso di qualche scalino, le stava porgendo.
Di nuovo, percepì gli occhi umidi, ma per il bene e l'orgoglio di Thor, si impedì di versarne anche una sola goccia.
«Non sei obbligato..». La voce le era uscita tremula e roca, spezzata come se stesse piangendo. Si diede della stupida.
Thor strinse le labbra. I ciuffi di capelli biondi scappavano dalla scompigliata coda che teneva uniti gli altri, andando a cascargli sulle spalle. «No, non lo sono»
Anirei non esitò ulteriormente, e afferrò quella mano come si trattasse dell'unica boa in un mare in tempesta.
Il Dio del Tuono non li aveva perdonati, di questo era sicura. Thor le porgeva quella stessa mano che tempo prima lei aveva afferrato di propria iniziativa, per consolarlo, quando il suo cuore era colmo di dolore per la morte della Madre degli Dèi, spezzato, e le labbra non avevano parole da comunicare. Adesso era lei a trovarsi in quello stesso stato.
Quasi tirò su col naso: il dio era sempre così buono e gentile, con lei, non abbandonava mai nessuno nelle sabbie mobili della propria anima.
Grazie.
Glielo disse con gli occhi, ed egli parve comprendere.
Fu scortata fino ai piedi delle scale, affrontava ogni scalino con la propria mano nella sua, li scendeva uno per uno più rassicurata. L'accompagnò davanti alle grandi porte: ora non rimaneva che aspettare.
Impegnò la mano libera sul vestito che indossava, un modo per impedire l'evidente stato di tremolio che le pervadeva i muscoli. Risistemò gli orli del corsetto decorato a fiori d'oro, il profilo sinuoso con cui si diramava sul suo corpo. Lisciò poi la lunga gonna a pieghe, di un verde scuro e lucente.
«Qualunque cosa accada, non interferire con l'alta sentenza»
Le parole scesero come ghiaccio vivo sulla schiena, fermandole il respiro.
Poi, finalmente, senza alcun tipo di cigolio, le grandi porte si aprirono, con lentezza inarrestabile.
Entrarono.
La prima cosa che colpì Anirei, fu la diversa capienza della stanza: non ampia come la ricordava, ma molto più stretta.
In realtà, si rese subito conto che si trattava di un effetto ottico, di una svista, a causa della moltitudine di gente che attendeva ai lati dell'enorme sala, lasciando libero un ampio passaggio centrale che conduceva direttamente all'alto scranno. Dopodiché, fu colpita dalle due file di soldati, una per parte, che dividevano il passaggio libero dalla folla che tratteneva il fiato nel mentre li osservava – li giudicava, in particolare lei – camminare a schiena dritta e mano nell'altra. Infine, vide Odino, testa di quel corpo che gettava occhiate di fermo disprezzo da una parte all'altra, quell'occhio azzurro che riusciva a compensarne due, che li attendeva in silenzio. In mano, aveva l'alabarda che aveva scorto nelle stanze di Loki, posata con delicatezza su un tavolino di marmo.
Fu una fortuna, per lei, che le scale inferiori finalmente giungessero: se fosse stata costretta a fare un altro passo, sarebbe ceduta alla tensione.
Si inchinarono al cospetto del re, attendendo le sue parole.
«Figlio di Odino, Dio del Tuono, protettore dei Nove regni, e promessa sposa di Balder, Dio della Luce, rappresentante di coloro che sono stati colpiti da una crudeltà scempia ed ingiustificata». Anirei udì chiaramente un sommesso mormorio di sottofondo. «Siete qui oggi per presenziare alla sentenza degli Dèi. Che possiate assistere ad una decisione giusta»
«Sì, Padre.»
Presero posto sulla scalinata, su due parti opposte, Thor più in alto di qualche gradino.
Ora che non aveva più la mano nella sua, era completamente sola.
Sola con se stessa davanti alla più rappresentativa delle decisioni di tutta la sua intera vita.
«Che venga fatto entrare il prigioniero Dio dell'Inganno e del Caos, colpevole della perpetrazione di dolore e morte, raggiro, omicidio e spergiuro. Che venga fatto entrare Loki, figlio di Odino»

 


 

Prese un respiro, stizzito.
Non sarebbe stato più giusto e lungimirante parlare invece di “figlio di Laufey”? Chiamarlo con l'appellativo di serpe, o di lingua d'argento, oppure limitarsi ad un tanto più accetto e gradito “Loki, da Asgard”?
Perché continuava a tormentarlo con quelle ignobili bugie con cui era stato nutrito sin dalla nascita: una volta scoperti gli altari, non era meno vile lasciar perdere le apparenze?
No, evidentemente no. Per Odino contava ancora di più l'immagine che l'effettiva verità.
Era sempre stato così.
Un passo, e poi l'altro.
Dopo un po' ci si abituava a camminare con le catene, in particolar modo la carne dei polsi che si faceva via via più sottile e marcia: così facendo, sarebbe stato un gioco da ragazzi liberarsi di quelle manette dai buchi oramai troppo grossi.
Un altro passo e.. oh.
Questa volta sembrava voler fare sul serio; questa volta non c'era l'amore di una donna dai capelli d'oro a frapporsi e a salvarlo dall'umiliazione pubblica.
Studiò ogni volto presente, conosciuto o perlomeno incontrato nella maggior parte dei casi, tutti quegli sguardi che lo disprezzavano con la bocca di smorfia, e lo temevano con mani tremanti.
Forse nemmeno così tante persone erano accorse per assistere a quella, mai più realizzatasi, incoronazione del maggiore dei principi di Asgard.
Visto, Thor..? Sono più amato di te..!
Uno sguardo perforante, intanto, tentava di inchiodarlo sulla parete del corridoio antistante la sala.
Odino, non c'erano dubbi.
Se ne stava ritto in piedi di fronte a quel trono su cui lui, travestito in panni non suoi, si era tante volte seduto, sotto il naso di tutti i presenti. Osservò per un attimo lo zaffiro severo e freddo, per poi voltare subito gli occhi in direzione dell'ampia stanza d'oro.
Era inutile che lo fissasse in quel modo, se non era morto, lo doveva semplicemente a quello stupido letargo che lo aveva fatto assopire prima che il mancamento lo uccidesse.
Spaziò, e spaziò ancora, col rumore assordante delle manette che tintinnavano verso il collo, lo strascichio imperterrito di quelle troppo lente, cui le guardie tenevano un'estremità, sul pavimento decorato in millenarie forme geometriche; perlomeno, non strattonavano più.
Giunse ai piedi delle scalinate inferiori, sul volto un'espressione tranquilla e sofisticata.
Thor, alla destra di Odino, lo aveva atteso col viso non ancora del tutto ripreso dallo scontro subito: ancora, una ferita si intravedeva sulla guancia, in mezzo alla barba ispida.
Che sciocco.
Se avesse saputo che il suo vero avversario era un altro, un guerriero indebolito nei suoi poteri occulti, ma beneficiato ancora da una forza sovrumana, probabilmente sarebbe sceso velocemente dalle scale, Mjölnir in mano, e avrebbe finalmente messo fine a quella vita che sembrava uno scherzo.
Invece, non sarebbe successo: il guerriero non aveva perso i poteri, il portale non era stato creato, i fulmini del Frantumatore non avevano toccato l'Aether.
Si pentiva profondamente di aver boicottato il suo stesso piano.
Si puntellò il labbro inferiore con gli incisivi, nascose un gemito quando le catene scivolarono su un punto non rimarginato della pelle del polso.
Continuò a spostare le iridi di smeraldo sui presenti, evitando accuratamente di guardarla: percepiva il suo sguardo, avvertiva il suo dolore e le lacrime che le scendevano dentro. La avvertiva; la viveva, quasi. Ma non si sognò di cederle il proprio sguardo.
Era bellissima anche con le occhiaie che cercava di nascondere sotto il trucco, con quel vestito verde scuro che le lasciava scoperte, quasi un errore di sartoria, due sottili strisce laterali sulla vita. Per non parlare dello scollo lieve ma profondo che metteva in luce la sua candida carne, o dei capelli scuri scuri che scendevano ad ondate.
Era talmente bella da fare male.
La voce del vecchio, il suo occhio non sostenibile da nessuno sguardo alcuno, lo accolse quasi come un chiodo nel piede.
«Detieni almeno la consapevolezza di ciò che hai provocato?»
Sorrise, passandosi appena la lingua sulla parte interna delle labbra. «Di ciò che ho provocato, Padre degli Dèi, o di ciò che sono?»
Neanche tu desideri che sappiano, o sbaglio?
Il lembo di carne azzurro che gli macchiava la pelle era rimasto celato sotto la morsa d'acciaio delle manette.
Purtroppo, ne erano sorti altri, in punti adesso coperti dalle vesti marroni e beige, ma che, sapeva, non avrebbe potuto nascondere in alcun modo se si fossero presentate sul viso o su altre parti del corpo scoperte e ben visibili.
All'orbo non bastava averlo sottoposto a quell'odiosa punizione, fatta di consumazione di carne sotto l'acido, la rabbia e l'invidia come veleno turpe di serpente.***
Voleva farlo impazzire ulteriormente con quell'angoscia dal colore bluastro.
«Si diventa veramente uomini quando si ha la responsabilità di comprendere i propri errori. Credevo lo sapessi. Sei o non sei un uomo d'ingegno?» pronunciò con un filo di voce dura. Avanti, Odino non riusciva ad essere più persuasivo di così?
Gorgogliò.
«Vedi, la questione è molto semplice: quelli che voi appellate col nome di “errore” io li chiamo in altro modo: “giustizia”. Non vedo quindi come dovrei pentirmi di una decisione ritenuta giusta, Padre»
Storpiò appositamente le ultime sillabe, quella menzogna che superava tutte, quell'appartenenza che non era vera. E Odino, non credeva di aver fatto la cosa giusta mentendogli per oltre un millennio? I rimproveri che gli stava facendo doveva anzi volgerli a se stesso.
Nato nella menzogna e nell'odio, come posso bramare alla sincerità e all'amore?
Mi hai riempito la testa di assurdità fittizie, quando voi tutti mi avete costretto a nutrirmi del marcio della terra per sopravvivere.
Egli prese un respiro, serrò più saldamente la presa su Gungnir. La bocca era piegata lungo una linea rigida, incorniciata dalla folta barba bianca che aveva sempre adorato, da bambino, che spesso si confondeva con la chioma altrettanto candida.
«Cos'è che cerchi, Loki? Un trono non era forse abbastanza per te?»
Rimase quasi interdetto. Al Padre degli Dèi non era possibile nascondere nulla che i suoi corvi non gli comunicassero, nulla che quell'occhio non comprendesse da sé. Sospettava, presagiva quella sensazione di solitudine, la contemplazione improvvisa sull'effimero della vita dei mortali, pensieri amari che gli facevano cambiare continuamente posizione di seduta.
Alzò comunque le sopracciglia, allungò il sorriso. «La giustizia, semmai, non era forse abbastanza. Il trono non è solo un fine, ma anche un mezzo col quale adempiere alle più alte delle leggi divine: non sei forse d'accordo, giudice di noi viventi? E' ciò che fai tu ogni giorno della tua vita, se non erro».
Nella Sala, nel frattempo, un mormorio scettico e sottomesso aumentava di intensità. La maestosità dell'alto scranno che aveva davanti agli occhi, la ricchezza di particolari cui col tempo infinito si era abituato ad assistere, non lo colpivano minimamente, così come non lo impensierivano affatto la voce o lo sguardo tagliente ed impassibile del re.
Alcuni muscoli vicino al ginocchio tremarono comunque.
«E' forse giustizia uccidere un uomo innocente? E' forse giusto togliere la vita a creature altrettanto innocenti?» parlava prendendo aria con affanno, come se il recente sonno avesse sortito meno effetto di quanto solitamente avrebbe fatto; forse stava perdendo d'efficacia. Forse la mela non riusciva più a rimanere attaccata all'albero.
«Beh, bisogna sempre contestualizzare. Bisogna chiedersi se esista un disegno più grande ch-»
«Confondi il delirio con la ragione, stupido ragazzo, investi di false insegne i tuoi moventi..!» sbraitò quasi sputando il vecchio, una mano inguantata sembrava sorreggere il petto. Ansimava, ma se soffriva per un male sotto la gabbia toracica, non lo dava a vedere. «Pensavo di aver cresciuto un uomo d'intelletto, non un bambino capriccioso mosso dalla cecità della vendetta!»
Loki fu colto da uno spasmo di collera feroce, tutto il rancore che aveva provato per lui sembrò depositarsi sulla lingua. Gridò anche lui, preso da un tremore rabbioso che lo scuoteva dentro. «Io, sono forse io il più grande spergiuratore che i Nove Regni abbiano mai conosciuto?! Sono forse io colui che lascia affondare nella fossa della morte un regno che governa da cinque millenni?! Chiamami pure calamità dell'esistenza, fammi appartenere ogni male di questo mondo, puniscimi pure per questo..! Ma poi dimmi, dimmi sommo Odino» strattonò le catene, ma le guardie non si fecero sorprendere «dopo che avrai gettato su di me la colpa di ogni lacrima che si versa in questo mondo, con quale scusa ancora ingannerai i tuoi sudditi? Come potrai spiegare loro che sono in realtà colpevoli di un crimine che qualcun altro ha deciso per loro?».
Finalmente, dopo tanto tempo, smeraldi e zaffiro si incontravano, l'intensità del verde straripava nell'azzurro di ghiaccio. Se gli avessero chiesto che cosa avesse mai ripreso da lui, quella freddezza negli occhi sarebbe stata forse l'unica risposta possibile. Perché mi hai sempre messo da parte? Perché prima mi ritieni inutile di ogni attenzione, e poi, al contrario, mi credi colpevole di ogni sofferenza?.«Perché non racconti il reale motivo dietro l'amore tra la donna qui presente e un dio che non parlerà mai più, una ragione che supera il buon senso di unire una non eterna e un eterno..?»
Aveva digrignato i denti, aveva assottigliato la lingua che vibrava come il sibilo di un serpente. I polmoni cercavano una riserva d'aria continua.
Perché se tutti sbagliano, devo essere io il capro espiatorio da punire?
Un ginocchio cedette, il dio si riprese in tempo prima di cadere sul pavimento.
No, il tempo indefinibile trascorso in quella cella non gli aveva fatto per nulla bene. Era debole, debole psicologicamente, le lame verbali di Odino affondavano e facevano male, le sue non rispondevano in maniera altrettanto sagace. Sarebbe potuto essere stato più chiaro ed esplicito, avrebbe potuto tenere quel vecchio in pugno per tutto il giorno.
Ma la mente era diventata incommensurabilmente fragile, e la maschera era ceduta rivelando tutta la sua frustrazione. Sentiva lo sguardo di Thor, su di sé, un silenzio rassegnato, lo osservava come un automa.
Finalmente, finalmente mi guardi senza quella tua fastidiosa innocenza. Finalmente sembri vedermi, Thor.
Tuttavia, non si sentiva così appagato come aveva creduto; se possibile, anzi, stava peggio di prima, quando almeno, nonostante tutto, quel dio grosso e forte, quei muscoli che i coetanei invidiavano, quegli occhi e quei capelli d'oro per cui stravedevano tutte le fanciulle del regno, aveva la candidezza di sorridergli.
Falso, ingenuo, forse di circostanza. Eppure..
Bravo, fratellino. Sei riuscito a mettere in fuga quei cinghiali!”
Lasciarsi andare totalmente a quell'abbraccio oscuro, eliminare infine ogni parvenza di luce, non sembrava migliorare la sua sofferenza interna.
Prese un respiro, cercando di calmarsi, incurvò arrogantemente le labbra verso l'espressione afflitta e severa del re. «Sono il frutto dei tuoi insegnamenti».
Prenditi le responsabilità delle tue decisioni.
«No» lo fissò il vecchio «Mio figlio pare essere morto caduto dal Ponte, e parte di me assieme a lui»
Quella frase lo scosse da cima a fondo, cristallizzò per un attimo la sua espressione beffarda. Il labbro superiore si mosse appena, quello inferiore tremò; le palpebre trattennero il dolore solo per un mero e fortuito caso.
No, Loki”
Perché..?! Perché non mi hai fermato..?!
Gungnir sbatté sul piano d'oro, Odino prese un sospiro di rassegnazione.
«Portatemi lo scrigno»
Da una delle due porte laterali giunse un servo recante in mano uno scatola di pietra dal colorito nerastro, decorato con elementi geometrici e scritte impossibili da decifrare da quella lontananza.
Strizzando le palpebre, d'altronde, Loki riuscì a scorgere una sola parola tra le tante.
Gáfa. ****
Odino scostò il coperchio con molta lentezza, ne estrasse una lunga riga d'oro, che luccicava contro la tenera luce dell'alba. Rigirò la stretta punta tra l'indice e il pollice, ma la lama non cambiava forma né dimensione.
Il sangue gli si gelò nelle vene.
Non era una lama.
E non si trattava di un semplice ago.
Era il nál che le Norne avevano regalato ad Odino, l'unica azione, l'unico gesto, che gli era stato donato affinché potesse porre una cucitura in quella tela che era il fato: una sola possibilità che lo elevava per un breve momento a Dio assoluto.
L'assaggio di un attimo per un evento che sarebbe rimasto per l'eternità.
Deglutì, incapace di emettere alcun suono.
«Il mezzo che indulge lo spergiuro e la menzogna sia arginato; la serpe che striscia sulle terre fertili tentando e ingannando sia inchiodata e cucita sul suolo che calpesta».

 

 

 

Non sapeva da quanto stesse gridando.
Ancora ricordava la sensazione della carne indifesa che non oppone resistenza alla punta dorata. Era affondato, quel minuscolo spillo, come un fil di ferro nel terreno inumidito dalla pioggia.
Subito aveva avvertito in bocca quel familiare gusto di ferro che gli istigava l'urto del vomito; lo sentiva calare sulla carne del mento, gli scendeva sul collo o si gettava direttamente sui suoi abiti, petto, addome, ginocchia.
Non era tanto il bruciore della punta a devastarlo, a renderlo inerme e indifeso: a scuoterlo come una convulsione era il filo che passava, tramite immenso e doloroso attrito, nel mezzo del lungo buco che gli aveva perforato la carne.
Una volta finito di ritirare la fibra di seta nera, ecco che l'ago era pronto a perforargli il labbro opposto.
Gridare non serviva a niente, se non ad umiliarlo più di quanto non fosse già stato fatto.
La morte non sarebbe stata forse un migliore porto da raggiungere..?
Quante volte, prima e dopo le torture infernali cui era stato sottoposto per essere addomesticato dal suo burattinaio e rivelare tutti i segreti di Asgard e dei Nove Mondi, di quelle stupide pietre di cui chiedeva e chiedeva informazioni a riguardo quasi le avesse nascoste lui per un vano spregio, aveva desiderato morire sotto a quel Ponte?
Le sue preghiere, purtroppo, non venivano ascoltate.
Non erano mai state ascoltate da nessuno.
Gridò ancora più brutalmente.
Questa volta l'ago aveva trovato più resistenza, quel sangue copioso e quella purulenza che le precedenti perforazioni avevano causato ostacolavano l'impassibile lavoro dell'arma letale.
Più che cucirgli la bocca, avrebbe potuto tagliargli la lingua.
Basta..! Basta..
Le lacrime di dolore fisico e psicologico si impastavano al sangue raffermo, al corpo già devastato per le ferite che si era procurato, autolesionista, in quella cella da manicomio.
Si stava umiliando anche da solo.
Dov'è la luce, quando la chiedi? Dov'è la Luna che brilla nel mio cielo di tenebre?
E di nuovo dolore, un altro strappo della carne che gli serrava le iridi verdi, chiuse per l'immane sofferenza.
Cosa ne rimarrà del Dio dell'Inganno se anche la lingua d'argento viene tolta?
Cosa ne rimarrà di Loki?
Cosa ne rimarrà, di me?

 

 

 

 

 

 

 

 

*: coloro che venivano controllati dal potere dello scettro acquisivano un colorito azzurro dell'iride, così come Loki ha subito più o meno passivamente lo stesso influsso (personalmente, mi pare che i suoi occhi fossero più azzurri che verdi rispetto agli altri due film). Dopo un violento trauma cranico (vedete Clint Barton/ Occhio di falco o il professor Erik Selvig) le vittime tornavano legittimi padroni della propria coscienza. Ora, siccome Loki è stato sottoposto alla forza bruta di Hulk, sarebbe dovuto tornare “normale”, ma poiché egli è l'unico ad essere stato a stretto contatto con lo scettro e ne ha subito l'influsso in maniera prolungata, ho creduto che l'effetto svanisse completamente dopo un tempo molto più lungo. Ovviamente, prendete le mie parole per vere solo nella dimensione della mia storia, al solito questo è quello che mi è arrivato dal film, quindi potrei benissimo sbagliarmi.

 

 

**: appellativo di Heimdall

 

 

***: nella mitologia, la punizione di Loki per l'uccisione di Balder consiste nel venire legato ad una roccia e soffrire per il veleno di una serpe che si erge su di essa (oltre all'assistere allo sbranamento reciproco dei propri figli). Io ho simbolicamente rappresentato questa punizione nella scena della cella: Loki soffre per il proprio veleno (d'altronde, uno dei suoi appellativi è quello di serpe) che gli viene rimandato sotto forma di suo riflesso; è inoltre inerme in una cella a lui così ostile, e non può liberarsi.

 

 

****: nell'antico norreno significa “Dono”. L'ago (nál) donato dalle Norne ad Odino è di mia invenzione. La punizione, al contrario, che consiste nel cucire la bocca del dio, l'ho ripresa dal fumetto comics (come se non bastasse, in giro, ci sono moltissime immagini di Loki con la bocca cucita). Non ho idea del motivo originario di tale punizione – non sono riuscita a trovarlo, perdonatemi.









**********
Ehm... salve... sì, sono io, l'autrice.
Prima che mi impaliate su un lampione (?) dico a mio difesa che ho aggioranto tardi a causa di eventi fuori dal mio controllo: e, sì, mi si è rotto il computer; spero sia una motivazione abbastanza valida.;)
Comunque, vi ringrazio di aver letto questo capitolo (leggermente più lungo, tanto per farmi perdonare, spero che gradiate) e spero anche che vi sia piaciuto.
Non so quante storie ci siano a giro che parlano di questa punizione di Loki (parlo della bocca cucita) ma credo comunque di non aver plagiato nessuno, anche perché mi sa che sia un'immagine abbastanza popolare (e io non ho resistito, il mio cuore si è sciolto dinanzi a quelle immagini drammatiche e toccanti). Per il resto, beh, ho anche inserito due parole della lingua norrena (anche qui, non ho resistito) e posso essere abbastanza sicura che la descrizione della punizione non violi il rating (anzi, mi sa che è molto al di sotto dell'arancione, poi non so voi come e quanto siate sensibili a queste immagini).
Ci tenevo a precisare la questione degli occhi di Loki (li avevo descritti molti capitoli fa) perché non ero sicura che si capisse - anche perché ci sta che sia tutto un'invenzione del mio caro cervellino.
Nulla, vi ringrazio molto, e ripeto che sono ben accette le recensioni, magari avvertitemi pure se trovate una svista o un'incongruenza qualunque.
Per la revisione sono ancora indietro, appena ho potuto mi sono buttata sul capitolo nuovo.
Ciao, al prossimo,
la vostra Ali
   
 
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