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Autore: Yasha 26    03/06/2015    9 recensioni
Ancora sorrideva ripensando alla strana conversazione avuta col fratello anni prima.
All’epoca viveva ancora a New York, dove si era trasferito per intraprendere la professione di architetto. Quella chiamata si rivelò essere come il vaso di Pandora, che dopo essere stato scoperchiato, riversò sul loro mondo tutti i mali contenuti al suo interno.
Non che le fossero dispiaciuti poi molto quei “mali”, poiché le avevano riportato il fratello, restituito un’amica felice e dato a lei l’uomo che amava, ma che prima di allora doveva tenere nascosto.
Una semplice chiamata, a volte, può davvero cambiare la vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, izayoi, Kagome, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Kagome Higurashi era sempre stata una ragazza dal carattere sensibile, dolce e affabile. Non si sarebbe mai definita una persona dal carattere forte, sebbene avesse superato molti dolori e difficoltà nella sua così breve vita.
Il suo cuore aveva sempre sofferto l’abbandono, più o meno voluto, da parte delle persone che amava. Sua madre era venuta a mancare quando lei aveva solo undici anni. Soffriva di profonde crisi depressive che la portavano a fare uso di psicofarmaci. E di questo era morta, intossicazione da barbiturici. "Un incidente", avevano detto i parenti ma Kagome aveva capito che non era andata davvero così. Era convinta che non si fosse trattato di un errore nel dosaggio ma che la madre avesse proprio deciso di suicidarsi. Il perché, però, non lo sapeva. Era troppo piccola per capire. Un po' l'aveva odiata per questo perché tante volte, soprattutto quella volta, avrebbe avuto bisogno del suo aiuto e dei suoi consigli. Invece si era ritrovata da sola.
Sperava di aver trovato amore e conforto nell’uomo di cui si era innamorata, ma sfortunatamente anche lui l’aveva abbandonata, uscendo dalla sua vita improvvisamente e lasciandola con mille problemi da risolvere.
E di problemi Kagome ne aveva affrontati davvero molti, riuscendo a superarli tutti con sforzo e sacrificio. Tuttavia, nessuno era stato tanto assurdo quanto quello che si trovava ad affrontare adesso e che le provocava terribili emicranie. Per questo, si diceva, non c'era nessun rimedio!
- E’ terribile! E’ terribile! - continuava a urlare il suo wedding planner Takuya, spaccandole i timpani.
Un uomo dall’aria fin troppo effeminata, il cui vestiario sfiorava il ridicolo con camicie dai colori sgargianti, quasi fosforescenti e dal dubbio gusto, abbinati a dei pantaloni altrettanto ambigui quanto orrendi.
- Non è una cosa tanto grave. Basterà noleggiare un’altra auto. - provò a calmarlo.
- Invece no! Avevo espressamente chiesto una Rolls Royce Silver Cloude 1 bianca del ’57 e loro mi presentano una Rolls Royce Silver Wraith  Mulliner del ’54. Non ci siamo proprio! -
- Scusi, ma cosa cambia? Sono Silver entrambe, no? - chiese stremata la giovane.
- Cambia che la prima è bianca con interni beige e l’altra è grigia e nera con interni grigio/perla! Non si abbinerà per nulla al suo abito! -
- Andrà benissimo lo stesso. L’importante è che funzioni. Non devo certo sposarmi la macchina. – ridacchiò la ragazza, venendo però investita da uno sguardo inceneritore dell’uomo, che non trovò per nulla divertente la battuta della futura sposa.
- Assolutamente no! Avevamo concordato per la Cloude bianca del ’57. Se proprio devono rifilarci un’altra versione, pretendo un forte sconto o disdico del tutto il noleggio e gli affari con la loro azienda! - continuava a cianciare lui.
Non le interessavano per nulla quei futili dettagli. La scelta di auto, fiori, location, fotografo, ricevimento e altri stupidi fronzoli, che dovevano agghindare un qualcosa di cui nemmeno le importava, le creava solamente un terribile mal di testa. Non vedeva l’ora di sposarsi, così da poter ritornare alla sua vita tranquilla, lontana da negozi, liste nuziali, abiti da cerimonia e… lui, l’organizzatore del matrimonio! Lo detestava! Era più forte di lei. Era una delle persone più esasperanti che conoscesse, sempre pronta a fare un dramma per ogni cosa. L’esatto opposto del suo promesso sposo.
Aveva conosciuto Akitoki Hojo due anni prima. I loro padri erano vecchi amici e proprio su richiesta insistente del padre, aveva iniziato a frequentare Aki. Doveva ammettere che non fosse il massimo del divertimento, però non era male come fidanzato. Sempre dolce e premuroso, attento alle sue esigenze e alla sua salute. Era un bravo ragazzo in fin dei conti, ed era sicura che insieme a lui non avrebbe sofferto.
Non lo avrebbe mai amato, di questo era certa, però provava un grande affetto per lui, tanto da accettare anche di sposarlo, nonostante all’inizio non fosse esattamente d’accordo. Da sola o in compagnia, pensò, non faceva differenza per lei, perché non avrebbe mai amato più nessuno, quindi accontentare il padre e farlo morire sereno non le pesava più di tanto. Anzi, magari si sarebbe trovata davvero bene con Aki e avrebbe anche formato quella famiglia che tanto desiderava.
- E quindi direi di risolvere così il tutto. Che ne dice? - blaterava ancora il wedding planner, che lei aveva smesso d’ascoltare da una buona mezz’ora.
- Sì sì, per me va bene. Lascio tutto nelle sue mani quindi, mi raccomando. Buon lavoro! - lo salutò sbrigativa, liberandosi finalmente da quella tortura.
- Che palleeee! Ma quanto diamine parla quella bocca? – sbottò stremata, appena fuori dall’ufficio dell’uomo.
Quando l’aveva mandata a chiamare per una “questione di vitale importanza”, credeva ci fossero problemi con la data del matrimonio, con la Chiesa sconsacrata in cui si sarebbe tenuto il rito, come da moderna tradizione giapponese, o che fosse esplosa una bomba chissà dove. Era stato così serio e disperato al telefono, che immaginava chissà quale dramma, invece… era la macchina! Il problema era solamente il colore di una stupidissima macchina d’epoca che non sapeva nemmeno come fosse fatta.
A passo spedito, si diresse verso la casa della sua migliore amica Rin. Aveva bisogno di una bella chiacchierata davanti una tazza del suo thè caldo preferito alla fragola. Appena arrivata, però, notò qualcosa di diverso dal solito; un taxi era fermo davanti alla villa della sua amica e il tassista portava dentro delle valigie. Quando ne vide il proprietario, le si mozzò il fiato in gola.
- InuYasha... - sussurrò impercettibilmente, ma lui, col suo finissimo udito, si voltò nella sua direzione, puntando i suoi profondi occhi ambrati in quelli nocciola della ragazza, che lo osservava ancora incredula.
Non si vedevano da otto lunghi anni e InuYasha non poté non ammettere che la ragazzina minuta, dai lunghissimi capelli neri, sempre legati in una treccia laterale, si era trasformata in una donna bellissima, dal fisico decisamente più florido, il viso più maturo e finemente truccato. I capelli erano molto più corti, arrivavano appena alle spalle e le donavano un aspetto più sbarazzino. Ne aveva anche cambiato il colore in un castano più chiaro. Era davvero bellissima.
Kagome si sentì osservata fin dentro l’anima da quegli occhi che la squadravano pezzo dopo pezzo. Abbassò lo sguardo, incapace di articolare anche un semplice “ciao”. Era stata colta alla sprovvista. Rin non le aveva detto che suo fratello sarebbe ritornato a far visita alla sua famiglia, o come ogni volta che accadeva, si sarebbe rintanata in casa, con la scusa di aver preso l’influenza.
In effetti, pensò, erano parecchi anni che InuYasha non si faceva vedere. Credeva si fosse sistemato con una newyorkese e magari aveva anche una bella famiglia, per questo non tornava da un po’. A Rin non osava chiedere e cercava di cambiare argomento se l’amica ne parlava.
Un fulmine la colpì in pieno petto a quel pensiero.
E se fosse arrivato con la sua dolce metà? Gliel’avrebbe presentata? Avrebbe dovuto assistere alla loro riunione di famiglia? No, pensò, questo era troppo. Non poteva e non voleva assistere a tutto ciò, non lei, non con lui e soprattutto… non con dei bambini di mezzo! Doveva andarsene da lì subito.
- Kagome… ciao. - si avvicinò, cogliendola di sorpresa. Non si era minimamente accorta della sua vicinanza, immersa nei suoi pensieri.
- Ci… ciao InuYasha. Non sapevo fossi tornato. - disse la ragazza, provando a essere più naturale possibile.
- L’ho deciso all’ultimo momento. Come… come stai? - le chiese, con un tono che lui stesso si accorse essere malfermo. Anche per lui era stata una sorpresa trovarsela davanti così, all’improvviso.
- Benissimo! Tu? - rispose con troppa enfasi, cercando di ingoiare la vera risposta che avrebbe voluto urlargli contro.
- Potrebbe andar meglio. Vuoi entrare? Rin è al telefono. - le spiegò, facendole cenno di entrare.
- No, ti ringrazio. Ritornerò in un altro momento. Vi lascio tranquilli. Salutami Rin. - replicò sbrigativa, dandogli le spalle per andarsene, ma una mano la fermò, impedendole la fuga.
- Aspetta... per favore. - la pregò, facendola voltare.
- Che… che c’è? - chiese tesa, sottraendosi subito al tocco infuocato dell’uomo di fronte a sé.
Anche se erano passati otto anni, il suo tocco le dava ancora strane sensazioni.
- Devo parlarti. Se non ti avessi incontrato adesso, sarei venuto a cercarti a casa tua. Possiamo vederci più tardi? -
- Parlarmi di cosa? -
- Di noi. - rispose, teso quanto lei.
- Non esiste nessun Noi, InuYasha. Non è mai esistito! - precisò infastidita.
- Invece è esistito e lo sai meglio di me. Dobbiamo parlare! – insistette il ragazzo.
- Non ho nulla di cui discutere con te. Ciò che è esistito in passato è morto e sepolto ormai. - in tutti i sensi del termine, avrebbe voluto aggiungere, visto che qualcosa per lei era morto davvero.
- So che ce l’hai con me, ma dobbiamo parlare di come sono andate davvero le cose. Lo so che mi ami ancora, non puoi negarlo. Quindi ascoltami, ti prego. - chiese accorato, andando subito al punto. Non serviva aggirare le cose e perdere prezioso tempo in chiacchiere.
- Io ti amerei ancora? Ma sei impazzito? Ci rivediamo dopo otto anni di assoluto silenzio e pretendi di conoscere i miei sentimenti per te? Invece che architetto sei diventato un indovino a New York? - ribatté furente.
- Non faccio l’indovino. Ricordo solo le tue parole. Quando ti ho lasciato, hai detto che mi avresti amato per sempre e non ti ho mai ritenuto una bugiarda. -
- Le cose cambiano, InuYasha. -
- Per me non è cambiato nulla. E sono sicuro che nemmeno per te lo sia! - insistette deciso.
- Insomma, mi dici che accidenti vuoi dopo otto anni? O vuoi farmi credere di essere ancora pazzamente innamorato di me? Se è così, ti avverto già da ora che non ci credo! Anzi, sai che ti dico? Non m’interessa cos’hai da dirmi, quindi ti saluto! Ho da organizzare il mio matrimonio con qualcuno che non scapperà a New York dopo avermi scopata. Addio! - urlò furiosa, allontanandosi velocemente e lasciandolo lì, imbambolato sul marciapiede, mentre la guardava andare via.
Aveva detto che stava per sposarsi con qualcuno che non l’avrebbe lasciata dopo aver approfittato di lei. Era questo che credeva fosse accaduto? O era questo che le aveva inculcato il padre? Qualunque idea si fosse creata Kagome, doveva essere smontata. Doveva parlarle, ora più che mai, prima che buttasse la sua felicità sposando qualcuno che non amava; perché lo sentiva, anche senza conferma della sorella: Kagome lo amava ancora. Lo dimostravano le sue parole piene di rabbia e le sue lacrime. Ne aveva sentito l’odore, anche se si era allontanata correndo.
- Mi spieghi che accidenti è appena successo? - chiese Rin, apparendo alle sue spalle con un’espressione scura in volto. Doveva aver sentito tutto.
- Vieni, ne parliamo dentro. - rispose stanco, rientrando in casa.
 
- Eri tu, non è così? L’uomo più grande di cui si era innamorata eri tu InuYasha? –
- Sì Rin. Ero io. - confermò il ragazzo, sedendosi sul divano e osservando il nulla di fronte a sé, mentre i suoi pensieri ritornavano ai giorni in cui tutto era finito.
- Prima che ti strozzi, spiegami perché l’hai lasciata! Perché le sue parole erano chiare “l’hai lasciata dopo averla scopata”. Che significa? - chiese con astio. Amava il fratello ma voleva bene anche alla sua amica tanto quanto a una sorella. E sapere che la fonte del suo dolore altri non era che il fratello, la ferì molto.
- Le cose non sono certo andate così. Questo è quello che ha creduto lei in questi anni. Se l’ho lasciata, è stato solo per il suo bene. – sospirò il giovane, passandosi stancamente una mano a massaggiarsi il viso.
- Non mi sembra tu le abbia fatto del bene! Cos’è successo? - domandò arrabbiata. Possibile che fosse così stupida da non aver mai capito nulla? Come le era potuta sfuggire una cosa tanto importante? Era furiosa, ma non con l’amica o il fratello, lo era con se stessa, per essere stata così cieca.
- Otto anni fa, più precisamente nel periodo in cui notavi il vostro professore di storia avere atteggiamenti strani verso Kagome, mi sono innamorato di lei. Non la credevo una cosa possibile; lei aveva appena sedici anni ed io quasi ventiquattro. Ma non era solo la differenza d’età a rendere la cosa più assurda. La consideravo come una seconda sorella. L’avevo tutti i giorni tra i piedi da che ne avevo memoria. Eravate sempre insieme a giocare, fin da piccole. -
- Ma lei non è tua sorella. L’hai solamente vista crescere. Non puoi paragonarci! - precisò Rin, sostituendosi inconsciamente con Kagome, nella storia raccontata dal fratello.
Ogni volta che si parlava di legami fraterni, non poteva fare a meno di pensare alla sua situazione con Sesshomaru. Amava un uomo che non poteva amare, eppure non vi erano legami tra di loro, né sanguigni né anagrafici. Erano figli di genitori diversi e portavano cognomi diversi.  L’unico legame che li legava era InuYasha, fratello di entrambi, però, erano da tutti visti come fratello e sorella.
Il padre di Sesshomaru, Tetsuo, restò vedovo troppo presto e con un bambino piccolo da crescere. Qualche anno dopo incontrò Izayoi, la loro madre, con la quale si sposò e formò una nuova famiglia. Poco dopo la nascita di InuYasha, però, anche Tetsuo morì, lasciando Izayoi con due bambini da crescere. Sette anni più tardi nacque Rin da una relazione finita male. Lei non aveva grandi ricordi del padre, il quale abbandonò Izayoi senza farsi mai più vedere.
Per uno scherzo del destino, la donna si trovò a crescere così un figlio demone, un mezzodemone e lei che era umana. La loro famiglia non era vista di buon occhio dal vicinato per quella mescolanza di razza e anche a scuola non era diverso. Solo Kagome e la sua defunta madre non avevano pregiudizi, frequentando casa Taisho tranquillamente, nonostante le reticenze del signor Higurashi. In tutto questo, Sesshomaru, più grande di lei di ben undici anni, aveva deciso di intraprendere gli studi di medicina a Londra, ritornando solo quando lei era ormai una diciassettenne. I due non erano neppure cresciuti insieme. Si vedevano per pochissimi giorni l’anno quando lui tornava per le vacanze natalizie. Erano quasi due estranei, almeno fino al giorno in cui lui ritornò a casa, poco prima della partenza di InuYasha.
Sesshomaru era stato il suo primo uomo, e tuttora lo era. Stavano insieme da circa sette anni e in tutto quel tempo non erano ancora riusciti a rivelare alla madre e al fratello la loro relazione. Ci avevano provato, ma non c’erano mai riusciti. Solo Kagome conosceva la verità.
A quel pensiero, iniziò a chiedersi se il motivo per cui non si fosse mai accorta del dolore dell’amica, fosse dovuto alla felicità che invece riempiva lei, impegnata com’era a godersi quel sentimento appena sbocciato. Con molta probabilità, Kagome non le aveva mai parlato di quell’amore non corrisposto perché il protagonista delle sue sofferenze era InuYasha. Cominciò a sentirsi in colpa per non aver mai veramente compreso la sua amica, che per anni aveva sofferto in silenzio pur di non ferire lei.
- Non è mia sorella, è vero, però era strano ugualmente. L’ho vista crescere, ho osservato il suo corpo di bambina cambiare, il carattere formarsi. Non so esattamente com'è successo, però, iniziavo a pensare a lei in modo diverso. Credo che sia iniziato tutto il giorno in cui l'ho trovata in lacrime per colpa delle avance di quel porco del vostro professore. Era così indifesa e spaventata che avrei voluto tenerla stretta a me per tutta la vita. Però aveva sedici anni, era ancora una ragazzina. Avrei dovuto tenere a freno gli istinti, invece ho commesso non uno ma due grandi errori: il primo è stato innamorarmi, il secondo… -
- Fare l’amore con lei. - terminò Rin per lui, che iniziava a comprendere i tormenti del fratello. Lui aveva ventiquattro anni e lei sedici. Un adulto con una minorenne, questo sarebbero stati di fronte al mondo.
- Già. Avevamo iniziato una relazione pericolosa, lo sapevamo entrambi, ma cercavamo di non farci scoprire. Però siamo stati insieme pochissimi mesi perché, non so come, suo padre scoprì tutto. - si fermò, chiudendo gli occhi e stringendo i pugni al pensiero di quel giorno.
- Che ha fatto? - incalzò Rin, notando il silenzio del fratello.
- Non vedeva di buon occhio un misero mezzodemone con la sua bambina, così minacciò di denunciarmi per aver violentato Kagome. Ma non è stato questo a farmi andare via… -
- E cosa? -
- Se avessi provato ad oppormi, avrebbe fatto rinchiudere la figlia in una clinica psichiatrica, con la scusa di una profonda depressione causata all’abuso subito da me. - rivelò il giovane, togliendosi un gran peso dal cuore.
Gli era costato molto tenersi tutto dentro. Amava Kagome e l’ultima cosa che avrebbe voluto era lasciarla, ma per il suo bene fu costretto a farlo, pur sapendo che lei lo avrebbe odiato.
Il sol pensiero lo aveva devastato ma non aveva altra scelta.
- Incredibile! E’ davvero arrivato a tanto? - chiese incredula Rin, che non aveva mai apprezzato le manipolazioni di quell’uomo sull’amica. Adesso lo detestava profondamente. Il signor Higurashi non aveva mai visto di buon occhio i demoni. Aveva concesso alla figlia di frequentare lei come amica perché era umana.
- Purtroppo sì. Fosse stato per me, staremmo ancora insieme, ma ho preferito farmi da parte, nella speranza che riuscisse a dimenticarmi e a rifarsi una vita. -
- Invece ti ama ancora. -
- Lei sostiene di no. L'hai sentita. - sospirò sconfortato.
- Sono sicura l’abbia detto per non darti soddisfazione. Lo avrei fatto anch’io al posto suo. -
- Lo so, ma devo trovare un modo per parlarle. Deve sapere che non l’ho lasciata perché volevo farlo! - disse il ragazzo, prendendosi disperato la testa tra le mani.
- E’ per questo che sei tornato così improvvisamente? Per quello che ci siamo detti cinque giorni fa al telefono? - chiese la giovane, dando finalmente un senso all’interrogatorio del fratello sulla sua amica.
- Già. Io la amo ancora, non ho mai smesso di farlo. Sapere che anche lei mi ama, mi ha spinto a tornare. Ormai è maggiorenne e può decidere della sua vita. Suo padre non è più un problema. -
- Ricordati che è malato, almeno così dice, perché a guardarlo sembra stare meglio di me. Se anche Kagome accettasse di ritornare con te, suo padre farà leva sul matrimonio per via della sua malattia. - sostenne Rin, disgustata da quell’uomo.
- Se lo scopo di quel matrimonio è sapere la figlia al sicuro anche dopo la sua morte, non dovrebbe avere problemi ad accettare me come genero e non quel tipo lì. Domani andrò a parlarle di fronte al padre, voglio proprio vedere se negherà le mie accuse. - dichiarò risoluto, alzandosi e dirigendosi con le valigie verso la sua stanza.
- Secondo me negherà fino all’ultimo. E poi non dimenticare che odia i demoni. – gli ricordò la sorella, seguendolo nella sua camera.
- Vedremo. Spero solo che lei voglia ascoltarmi e darmi un’altra possibilità. -
- Certo che immaginarvi insieme è una cosa strana, ma spero che lei accetti, così sarà davvero come mia sorella! - dichiarò allegra, immaginando già che il matrimonio cui avrebbe fatto da testimone a Kagome, fosse quello col fratello e non con Hojo, divertente tanto quanto piantarsi uno spillo sotto un’unghia.
- Frena la fantasia, sorellina. Se ti conosco, e ti conosco bene, stai già pensando a che abito comprare per il mio matrimonio. - la riprese divertito.
- Antipatico! - replicò lei, facendogli una linguaccia. Era stata colta sul fatto.
- Mamma dov’è? - chiese l'han’yō con più calma, notando l’assenza della donna.
- A fare la spesa. Dovrebbe essere qui tra un po’. Le verrà un infarto quando ti vedrà. -
- Allora dobbiamo chiamare Sesshomaru e giocare d’anticipo. - ribatté lui divertito.
- Sesshomaru è uno psichiatra. Dubito saprebbe cosa fare in caso d’infarto. -
- Meglio che nulla. - scherzò, iniziando a ridere e contagiando la sorella.
Gli era mancata la sua casa. Si trovava bene a New York, ma come dice la piccola Dorothy in Il mago di Oz: “Nessun posto è bello come casa mia!”
 
Quella stessa frase di Dorothy non si addiceva alla povera Kagome, che appena rientrata in casa fu accolta dal padre alquanto furioso. Il suo fidanzato, invece, sembrava quasi assente.
- Si può sapere cos’è successo oggi con Takuya? Mi ha chiamato dicendo che te n’eri andata senza finire di ascoltarlo. - la rimproverò l'uomo.
- L’ho ascoltato invece. Ha detto che al posto di una stupidissima macchina ne avevano dato un’altra e che per questo “terribile ed imperdonabile affronto” avrebbe richiesto uno sconto. Gli ho detto che per me andava bene. Che altro avrei dovuto aggiungere? - chiese risentita. Aveva ventiquattro anni adesso, non più sedici. Detestava il modo in cui la trattava suo padre ogni volta, considerandola ancora una bambina.
- Se fossi stata quantomeno educata e avessi finito di ascoltare ciò che Takuya diceva, avresti sentito che c’era da scegliere il tessuto per le tovaglie. -
- Ma cosa m’importa del tessuto? Sempre tovaglie restano! - replicò nervosa.
- Non alzare la voce con me, signorina! Chiama Takuya e digli di che tessuto devono essere quelle dannate tovaglie! – ordinò perentorio, sotto lo sguardo del suo fidanzato che nemmeno fiatava. Non le sarebbe certo spiaciuto se avesse preso le sue parti.
- Va bene, va bene! Che sarà mai uno stupido tessuto! – si lamentò, dirigendosi in camera sua per chiamare il wedding planner, accordandosi per dei tessuti in fiandra.
Non vedeva l’ora che tutta quella storia finisse. Era stanca di tutto e tutti. E come ciliegina sulla torta, mancava il ritorno di InuYasha per rovinarle quell’apparente tranquillità che aveva ottenuto con fatica.
Dopo averlo incontrato, aveva addirittura spento il cellulare, perché temeva che Rin gli desse il suo numero per chiamarla. Non voleva né vederlo né sentirlo.
Le era costata fatica dimenticare il dolore provato otto anni prima. Dolore e sensi di colpa, legati insieme a doppio filo, che ancora faticavano a sparire. Ancora oggi, se ci ripensava, non si dava pace. Se solo fosse stata più coraggiosa e non avesse dato retta al padre... E adesso era lì, a stringere tra le mani l’unica cosa rimasta di quell’amore smisurato.
No, la colpa non era di suo padre. Lui, in fondo, voleva solo aiutarla, per garantirle una vita normale, come tutte le altre adolescenti della sua età. La colpa era di InuYasha, solo sua, che se n’era andato via, rinfacciandole di essere ancora una bambinetta rispetto a lui, accusandola d’immaturità quando lo implorò di non lasciarla, gettandosi quasi ai suoi piedi. Sì, era tutta colpa sua e di nessun altro; di questo si era convinta.
Ripose l’oggetto dentro il portagioie, non prima d’averlo nuovamente sfiorato con le labbra umide di pianto, come faceva ogni volta che lo tirava fuori. Si asciugò gli occhi e scese al piano inferiore, salutando il padre e uscendo con il fidanzato.
La vita andava comunque avanti.
 
 
 
 


 
 
Ed eccovi il secondo capitolo che spero dato risposta a molte delle vostre domande ^_^
Separati dal padre di Kagome, ma perché?
E cosa sarà custodito nel suo portagioie? Un anello? Un ciondolo? Un regalo di InuYasha? Chissà ^_^
Rin e Sesshomaru… non so perché ho avuto voglia di metterli un po’ più in primo piano stavolta, cosa che non faccio mai.
Stranamente non ho trovato nessuno spazio per Miroku e Sango, per questo non ci sono.
La storia si è scritta così ^^ eh già, non l’ho scritta io, si è praticamente scritta da sola, io l’ho solo modificata e migliorata più che ho potuto. Ammetto che per questa ragione mi sono trovata in difficoltà perché ho buttato giù le prime 15 pagine in poche ore, senza quasi vedere cosa scrivevo, ma non mi piacevano, non mi dicevano nulla, non le sentivo mie. Forse non capirete cosa sto dicendo (nemmeno io mi capisco in effetti XD) ma mi sono sentita come se non l’avessi scritta io, come se fosse stata una cosa “meccanica”…strana sensazione giuro XD avrei voluto dargli fuoco :D
Poi seguendo i consigli delle mie amiche autrici l’ho messa da parte, in attesa di capire cosa esattamente non mi convincesse e quando l’ho capito l’ho ripresa ^_^ spero che possa piacervi ^_^
Ci leggiamo al prossimo capitolo se vorrete ^_^
Baci baci Faby <3 <3 <3 <3
   
 
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