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Autore: Yasha 26    01/06/2015    8 recensioni
Ancora sorrideva ripensando alla strana conversazione avuta col fratello anni prima.
All’epoca viveva ancora a New York, dove si era trasferito per intraprendere la professione di architetto. Quella chiamata si rivelò essere come il vaso di Pandora, che dopo essere stato scoperchiato, riversò sul loro mondo tutti i mali contenuti al suo interno.
Non che le fossero dispiaciuti poi molto quei “mali”, poiché le avevano riportato il fratello, restituito un’amica felice e dato a lei l’uomo che amava, ma che prima di allora doveva tenere nascosto.
Una semplice chiamata, a volte, può davvero cambiare la vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, izayoi, Kagome, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Marmocchia pestifera! - sbuffò irritato un giovane han’yō, tentando di sottrarre dalle grinfie della bambina che aveva in braccio, la sua lunga chioma argentea.
- InuYasha, non chiamare mia figlia marmocchia pestifera! - lo riprese la madre della piccola, appena rientrata in casa.
- Tua figlia “è” una marmocchia pestifera! Guarda i miei capelli, accidenti! – le mostrò, indignato, la treccia scomposta e fatta di nodi appena realizzata dalla piccola.
- Potevi pensarci prima di lasciarla libera di giocarci, non credi? -
- Non pensavo tua figlia avesse manie da parrucchiera psicopatica! -
- InuYasha! –
- E’ la verità. Sembra avere la mania di toccare i capelli di tutti. - borbottò infastidito.
- E’ interessata solamente ai capelli argentei come quelli del padre, che può farci? -
- Non tormentare i miei, ad esempio! -
- Oh santa pazienza! Un uomo grande e grosso come te che se la prende con una bambina di due anni. Sei ridicolo! -
- Tsè! Me ne vado a casa. Comprerò una bambola con i capelli bianchi a quella peste, così la pianta di sciupare i miei ogni volta che me la molli per uscire con le tue amiche! - iniziò a brontolare, prendendo le chiavi dell’auto e salutando con un gesto la sorella, che lo guardò rassegnata.
- Che zio burbero che hai, piccola Yura. Mi chiedo come riesca a sopportarlo la zia senza impazzire. - ridacchiò la ragazza, accarezzando la figlia, intenta a giocare adesso col suo peluche preferito.
 
Ancora sorrideva ripensando alla strana conversazione avuta col fratello anni prima. All’epoca viveva ancora a New York, dove si era trasferito per intraprendere la professione di architetto. Quella chiamata si rivelò essere come il vaso di Pandora, che dopo essere stato scoperchiato, riversò sul loro mondo tutti i mali contenuti al suo interno.
Non che le fossero dispiaciuti poi molto quei “mali”, poiché le avevano riportato il fratello, restituito un’amica felice e dato a lei l’uomo che amava, ma che prima di allora doveva tenere nascosto.
Una semplice chiamata, a volte, può davvero cambiare la vita.
 

 
 
New York City, uffici della Skidmore, Owings and Merrill, tre anni prima.
 
InuYasha No Taisho, uno dei più giovani architetti assunti alla SOM, leader mondiale nel campo dell’architettura, si trovava nel suo ufficio, intento a leggere alcuni fascicoli riguardanti la nuova opera da poco realizzata: il Baccarat Hotel & Residences, un’imponente torre di vetro realizzata col prezioso cristallo da cui prendeva il nome. Il lussuoso hotel era motivo d’orgoglio per InuYasha, poiché buona parte dell’edificio era stata progettata da lui. C’erano voluti quasi due anni, ore di estenuante lavoro e numerose notti insonni, ma alla fine il progetto era stato consegnato e realizzato e ora si stagliava in tutta la sua brillante bellezza al centro di Manhattan.
Si era trasferito negli USA da quasi otto anni. Ne aveva fatta di strada da quando, appena laureato, decise di approdare nella Grande Mela in cerca di fortuna. All’inizio non fu facile per lui. Gli han’yō non erano ben visti né da umani né da demoni. Venivano considerati come esseri inferiori e senza intelletto. Troppo spesso si tendeva a dimenticare, o a non voler ricordare, che buona parte dei famosi luminari che avevano contribuito allo sviluppo di vari paesi, grazie alle loro scoperte ed invenzioni, erano proprio degli han’yō.
Aveva fatto parecchia gavetta prima di essere assunto dalla SOM, che aveva deciso di dargli una possibilità nonostante la sua natura. Possibilità che lui non si fece certo sfuggire, lavorando sodo e diventando, in breve tempo, uno degli architetti più conosciuti della grande metropoli.
Essere conosciuti, però, non gli bastava. Ciò che sognava maggiormente era realizzare un progetto tutto suo, di cui prendersi interamente il merito. Voleva mettersi in proprio e aprire una sua impresa, anche piccola all’inizio, voleva gettare le fondamenta per realizzare quel sogno che celava da anni, ovvero diventare qualcuno in quel mondo in cui un han’yō non contava nulla.  E magari perché no, assumere solamente mezzosangue, per dar loro quelle possibilità che nessuno voleva concedere a esseri come lui.
Il bussare alla sua porta lo distrasse dai suoi pensieri.
- Avanti. -
- Signor No Taisho, questi sono i documenti che mi aveva chiesto. – disse la sua segretaria, porgendogli una cartellina di documenti riguardanti un vecchio palazzo da ristrutturare e su cui aveva messo gli occhi già da un po’. Quello era il trampolino di lancio che aspettava.
- Grazie signora Woods. -
- Capo, perché non approfitta delle vacanze che le hanno dato come extra per tornare dalla sua famiglia? Non torna in Giappone da tre anni. - gli propose la donna, rammentandogli il regalo fattogli dall’azienda per l’ottimo lavoro svolto.
- Perché ho parecchio lavoro da fare nonostante il Baccarat Hotel sia terminato. Non ho tempo da perdere ascoltando le chiacchiere di mia sorella e mia madre. - ribatté il ragazzo, non staccando gli occhi dai documenti appena ricevuti.
- Ma è pur sempre la sua famiglia. - tentò ancora la segretaria, che ben conosceva l’affetto che lo legava alla famiglia. In quei duri anni di lavoro, buona parte dei soldi guadagnati li spediva a loro, perché vivessero nell’agio.
- Al momento ho altri progetti. Comunque grazie per l’interessamento. - rispose InuYasha, alzando finalmente il naso dai fogli tra le mani e sorridendo grato alla donna. Ma non poteva proprio allontanarsi in quel momento.
- Allora chiami almeno sua sorella. L’ha già cercata due volte questa settimana. -
- Di sicuro non era nulla d’importante, o mi avrebbe chiamato al cellulare. - replicò sicuro, guardando poi l’orologio al polso. A Tokyo dovevano essere le otto del mattino.  - Tuttavia potrei chiamarla adesso, dovrebbe essere già sveglia. Può andare signora Woods, ancora grazie per i documenti. - la congedò, iniziando già a comporre il numero.
Al terzo squillo…
- Inuuuu! Finalmente ti fai vivo. Razza di rincitrullito! - rispose allegra e pimpante la ragazza, segno che fosse fin troppo sveglia.
- Rin non gridare, ti sento benissimo! - sbuffò il ragazzo, allontanando la cornetta dal delicato orecchio.
- Sono due settimane che chiedo di te ma ti fai negare sempre! Che razza di fratello maggiore sei? -
- Ho avuto da fare, non mi sono fatto negare. Comunque, che volevi? -
- Sapere come stai, ovvio no? Fosse per te, non chiameresti mai. -
- Il lavoro mi tiene impegnato, lo sai. Come stai? Mamma e Sesshomaru? -
- Stiamo tutti bene. Lì da te? Dovrebbe essere sera. Quando diamine ci vai a casa? -
- Sono appena le 18:35 qui, ne ho ancora da lavorare. Come procede con il libro? – le chiese interessato. La sorella era diventata una scrittrice di gialli e anche se non era molto famosa, le vendite non mancavano, garantendole un buon guadagno. Aveva cominciato per gioco quando era una ragazzina, scribacchiando storielle da far leggere alle amiche e adesso lo faceva per mestiere.
- Benissimo! Sono a buon punto. Purtroppo in questo periodo ho davvero poco tempo per scrivere e spero di non ritardare la consegna, altrimenti chi lo sente l’editore! -
- E questa perdita di tempo ha per caso un nome? - chiese lui, con il solito tono geloso e possessivo da fratello maggiore.
- Sì, si chiama Kagome e prima che mi raccomandi di stare attenta, ti anticipo che mi piacciono gli uomini, ma se così non fosse, non mi metterei mai tra lei e il futuro marito, quindi tranquillo. - rise lei, ignara di aver appena lanciato una bomba contro il fratello.
- Che… che hai detto? Kagome… si sposa?  - balbettò il ragazzo, incredulo.
- Ma sì, te ne avevo parlato… o forse no? – si chiese la ragazza, rimuginandoci sopra, non del tutto convinta se lo avesse detto o no.
- Non mi hai detto un bel niente! Non sapevo neppure che Kagome fosse fidanzata! - si alterò, stupendo non poco la sorella.
- Mi sarà passato di mente. Perché te la prendi tanto, scusa? -
- Eh? No no, e chi se la prende! Solo che, essendo la tua migliore amica, pensavo me ne parlassi, tutto qui. Quando si sposa? - sviò il ragazzo, per nulla intenzionato a subire un terzo grado dalla sorella.
- Tra due mesi. Fra un’oretta andiamo a scegliere i vestiti per le damigelle. Io sarò una dei testimoni invece. T’immagini? Non mi aspettavo lo chiedesse a me! - esultò euforica, non prestando attenzione al cambiamento d’umore del fratello.
- Già, che bello. E questo ragazzo… che tipo è? - domando lui, iniziando a giocherellare nervosamente con la matita su uno dei fogli che ritraevano la struttura del vecchio edificio che voleva ristrutturare.
- L’essere più palloso dell’intero sistema solare! Cielo, che tipo noioso! Davvero non capisco come lei lo sopporti, soprattutto non amandolo. Proprio non me lo spiego. -
- Perché dici che non lo ama? - si fece più attento il giovane.
- Me l’ha confessato lei. – spiegò la sorella, con un velo di rammarico nella voce.
- E perché diavolo lo sposa allora? -
- E’ stato suo padre a organizzare tutto, sia il fidanzamento sia l’imminente matrimonio. Kagome non era d’accordo all’inizio ma ha dovuto cedere alle pressioni del padre. -
- Assurdo! Non è più una bambina, ha ventiquattro anni adesso. Può scegliere da sola chi sposare e frequentare! - si agitò nuovamente, alzando la voce.
In quegli anni, pensò, pareva non essere cambiato assolutamente nulla in quella famiglia.
- E’ quello che penso anch’io, ma suo padre gliel’ha chiesto come favore. E’ malato e non vuole lasciare la figlia da sola. Io non avrei accettato comunque. O sposo chi amo io o non mi sposo con nessuno. - proferì seria, ripensando anche alla sua situazione. Era innamorata di qualcuno che non avrebbe dovuto amare. Ma si sa, il cuore non conosce regole e costrizioni di alcun genere.
- Non è comunque una valida ragione per sposarsi! Se s’innamorerà di qualcuno, come farà se è sposata con un altro? E’ proprio una stupida! – disse adirato. Non riusciva proprio a credere che Kagome avesse accettato una cosa tanto seria come il matrimonio solamente per accontentare quello stronzo del padre. O almeno tale lo definiva lui.
- Sai che le ho detto la stessa cosa? Ma lei mi ha risposto in un modo che mi ha un po’ ferita. -
- Che ti ha detto? -
- Che è già stata innamorata di qualcuno, parecchi anni fa, ma lui non ne ha voluto sapere nulla perché era più grande di lei. Dice che non le importa con chi si sposa, perché l’unico uomo che ha amato l’ha perso. Siamo amiche da tantissimo, siamo cresciute insieme, però non mi ha mai parlato di quest’uomo. Ci sono rimasta davvero male. - ammise ferita la giovane, che credeva di condividere con l’amica anche il più stupido dei segreti.
- Un uomo… più grande di lei… - ripeté InuYasha, pensieroso.
- Già. E credo anche di sapere chi è, anche se lei non ha né ammesso né negato.-
- E chi è? - chiese il ragazzo, curioso di conoscere la risposta della sorella.
- Sicuramente sarà il professore di storia che avevamo al liceo. Lo notavo spesso lanciarle occhiate strane. La chiamava spesso nel suo ufficio e una volta li ho perfino sentiti litigare. Quando le chiedevo il perché, lei rispondeva che il professore la rimproverava per via del poco impegno che metteva nello studio. Ora invece, capisco di cosa “discutessero” quando lei andava nel suo ufficio. - spiegò Rin, rabbrividendo al pensiero della sua amica tra le braccia del loro ex professore, di circa trent’anni più vecchio di lei.
Anche il pensiero di InuYasha tornò a quel vecchiaccio. Come poteva dimenticare quel porco? Ricordava perfettamente il giorno in cui trovò Kagome in lacrime, nel giardino vicino casa sua. Quando le chiese il perché, lei gli raccontò che il suo professore di storia aveva provato a baciarla e che erano settimane che la perseguitava. Il primo pensiero del giovane fu di denunciarlo ma Kagome non voleva che la gente iniziasse a parlar male di lei, credendola responsabile, perché era così che si sentiva: colpevole di averlo involontariamente provocato. Pur non essendo d’accordo con quella stupida scelta decise di accettare comunque, ma a patto che potesse fare una “visita di cortesia” a quel maniaco, premurandosi di fargliela ricordare a vita. E così fu per il professore, che dopo una settimana di ricovero in prognosi riservata, diede le dimissioni dall’istituto.
- Hai sentito che ho detto? - lo richiamò la sorella, notandolo come assente.
- Eh? No scusa, mi ero distratto. Che hai detto? -
- Ho detto che quel depravato deve averne approfittato solo per portarsela a letto, o non mi spiego perché lasciarla. Di certo non ne era innamorato, al contrario di Kagome. Quella stupida! Come accidenti fa a esserne ancora innamorata dopo come l’ha trattata? -
- Tu non sai come sono andate le cose tra di loro. Non puoi giudicare, Rin. -
- Invece giudico, visto che invece che un matrimonio stia per celebrare il compleanno del gatto! Entusiasmo zero e non è così che dovrebbe essere! - sbuffò contrariata. La sua amica stava buttando via la vita e questo non lo sopportava.
- Non la costringe nessuno! - grugnì il fratello, infastidito dal poco carattere della ragazza in questione.
- Allora non conosci bene il signor Higurashi. E’ un ottimo manipolatore. L’ho visto rigirarsi la figlia come un calzino con la scusa della malattia. Comunque, a meno che questo fantomatico uomo di cui è innamorata non le faccia cambiare idea, il matrimonio si terrà, quindi devo andare a prepararmi. Tra un po’ viene a prendermi per andare a scegliere quei benedetti abiti da damigella. Ti saluto fratellino. E vedi di chiamarmi con Skype la prossima volta; preferisco guardarti quando parliamo. -
- Non uso il computer dell’ufficio per questioni personali. – le ricordò per la milionesima volta.
- Che bacchettone! Che cosa vuoi che sia! Non la pagano certo i tuoi capi la chiamata. Va beh, ti chiamo io la prossima volta, se rispondi. Ciao fratellino, bacini! - lo salutò, chiudendo subito la conversazione.
- Che sorella matta che ho. Non mi ha nemmeno fatto rispondere.  – si lamentó, scuotendo il capo rassegnato e posando il telefono.
 
Passarono tre giorni da quella conversazione con la sorella, ma l’animo del giovane era ancora fortemente turbato dalle notizie ricevute. Lei si sposava.
Si era trasferito per gettarsi tutto alle spalle, per rifarsi una nuova vita, eppure non c’era riuscito. Non aveva avuto nemmeno una fidanzata da quando stava lì, solo storielle passeggere e niente più; semplice ed appagante sesso insomma.
Il suo animo non poteva ospitare amore per nessun’altra. I ricordi lo colmavano fino ad esplodere.
Cercò di non pensarci, buttandosi sul lavoro e sul nuovo progetto, ma la concentrazione non voleva proprio saperne di arrivare, portandolo spesso a sbuffare contrariato da se stesso.
Si alzò dalla poltrona, dirigendosi verso le ampie vetrate dell’ufficio, guardando la neve che placidamente cadeva fitta, coprendo tutte le superfici di un candido manto bianco.
Era buio già da qualche ora, ma le luci abbaglianti di negozi e edifici rendevano la città sempre illuminata a giorno, un po’ come Tokyo, sempre viva e in movimento anche nelle ore notturne. Erano due città molto simili. Ma se Tokyo era un luogo sicuro anche in piena notte, lo stesso non si poteva dire di New York. Se in Giappone era ritenuto sconveniente anche solo camminare abbracciati, in America era una consuetudine. Nei paesi nipponici non si mangiava per strada, in quelli americani era quasi d’obbligo il cibo di strada. Chi perdeva le chiavi di casa a New York doveva cambiare subito la serratura, a Tokyo, invece, bastava attendere che qualcuno le trovasse e restituisse. Due culture diverse, due modi di pensare differenti. Uno il giorno e l’altro la notte. Eppure lui le amava entrambe.
Ciononostante, era più legato alla sua città natale, non perché vi fosse cresciuto, ma perché lì viveva il suo cuore. Lo aveva lasciato in quel luogo otto anni prima e, miracolosamente, ancora lo attendeva.
Nel suo animo iniziarono ad agitarsi sentimenti contrastanti, tenuti in silenzio per troppo tempo. Il primo a troneggiare sugli altri era: la Consapevolezza.
Anni a domandarsi come sarebbe andata se non fosse partito. Interminabili mesi a chiedersi se avesse preso la scelta più giusta. Ora, aveva la risposta: aveva fatto male; decisamente male ad andarsene!
Insieme alla consapevolezza dei suoi errori, però, vi era anche un altro sentimento a tormentarlo: la Paura, paura del rifiuto.
Guardò a lungo quella che era stata la sua seconda casa in quegli anni, pensando che, forse, sarebbe stata l’ultima volta che la vedeva.
Ritornò a sedersi, prendendo in mano i fogli del vecchio edificio. Lo osservò a lungo, girandolo e rigirandolo più volte tra le mani, prima di decidersi a farne tante striscioline nel suo distruggidocumenti. Era sì il suo ambizioso progetto, ma non il più importante.
Osservò infine il telefono del suo ufficio, alzando la cornetta e premendo uno dei pulsanti, non prima d’aver preso un respiro d’incoraggiamento. Non poteva più vivere così.
- Mi dica capo. – rispose la segretaria dall’ufficio adiacente al suo.
- Signora Woods, mi prenoti un posto sul primo volo diretto a Tokyo. Ritorno a casa! –
 
 







 
Ehm… cucù ^^’ salve Inuyashetti belli ^_^   *prova a fare la ruffiana*
Lo so che ho 4875970 storie da aggiornare ma… questa premeva per essere pubblicata ^^’ ci lavoravo già da un po’ ed è in dirittura d’arrivo, così ho deciso di iniziare a pubblicare il primo capitolo. Era nata come one shot ma allunga qui e aggiungi là, è finita col diventare una mini storia ^^’
Ed ora l’angolo delle spiegazioni.    
In questa storia non sentirete parlare della longevità dei demoni, semplicemente perché anche loro invecchieranno esattamente come gli umani. Mi girava così XD A tal proposito vi informo anche non ci saranno Miroku e Sango ^_^
Parliamo ora della SOM. La Skidmore, Owings and Merrill, esiste davvero. E’ uno studio di architettura nato nel 1936 e porta il nome dei tre proprietari che l’hanno fondata. All’inizio la SOM era specializzata nella costruzione di grattacieli di lusso, ma si è ingrandita negli anni aprendo succursali in tutto il mondo.
Il Baccarat Hotel & Residences è una delle loro opere ed è stato realizzato (come spiegato prima) con il pregiato cristallo di Baccarat (che prende il nome dalla località francese dove è nata la vetreria che lo produceva, attorno al 1764)
Se volete vedere l’hotel eccovi una bella panoramica direttamente dal sito della SOM ^_^ QUI
 
Bene, vi saluto e ci si rilegge al prossimo aggiornamento se vorrete ^_^
Baci Faby <3 <3 <3 <3
 
P.S:  Il titolo nasce dal ritornello di Without You scritta nel 1970 dai Badfinger, ma la canzone viene ricordata per la famosa cover di Mariah Carey del 1993 ^_^ che potete ascoltare con traduzione  QUI  
   
 
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