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Autore: Alexiel Mihawk    04/06/2015    3 recensioni
La follia era esplosa il quinto giorno.
L’epidemia si era diffusa a macchia d’olio, rapidamente, senza lasciare via di scampo a chi, ignaro di quanto stesse avvenendo, aveva tentato di bloccare o aiutare gli infetti.
Ancora oggi, a distanza di mesi, Nami si domanda come sia stato possibile che nessuno fosse stato in grado di evitare una simile catastrofe, ma in fondo era del tutto impossibile prevedere un disastro di tali proporzioni.

(Zoro/Nami, Zombie!AU)
**Fanfiction partecipante alla settimana Zonami indetta dal Midori Mikan**
Genere: Dark, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Molti anni fa nel paese di Wa no Kuni viveva un bellissimo samurai dai capelli verdi. Era forte e valoroso, il miglior spadaccino di tutto il regno. Il samurai era innamorato della meravigliosa principessa Namizo, figlia del re del paese, e lei contraccambiava. Questo amore li consumava, perché entrambi sapevano che non potevano avere futuro data la differenza di rango…
- Ma che razza di storia è mai questa, Nami?! Ti avevo chiesto un racconto sui samurai, non una storia piena di sentimentalismi come piace a voi donne!-
- Questa è la storia di un samurai! E non interrompere sul più bello, buzzurro che non sei altro! Vogliamo tutti sapere come finisce la storia fra il samurai e la bella principessa!-
- Tutti chi?!-
- I lettori, no? Sì, dico proprio a voi che avete appena letto l’inizio di questo appassionante racconto. Volete sapere come continua? Allora andate sul Midori Mikan!-





Autrice:
Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo: the end of the world as we know it
Fandom: One Piece
Coppia: Zoro/Nami
Rating: sfw / giallo
Warning: modern!AU, zombie!AU, estabilished relationship, post-apocalyptic! AU
Genere: catastrofico, generale, introspettivo, one shot
Parole: 1093
Note: scritta per la ZoNami week indetta dal Midori Mikan. Questa storia, come tutte le altre è una AU, solo che a differenza delle altre è una zombie!AU, perché io amo gli zombie e amo gli scenari apocalittici. Premessa: Zoro e Nami qui hanno una relazione e si comportano come due persone che effettivamente stanno insieme. Non vedrete mai nelle mie storie Zoro e Nami che litigano a casaccio, che si riprendono questo sì, ma che litigano o si odiano, no. Semplicemente perché Zoro e Nami che si odiano, per me, è una delle rappresentazioni OOC peggiori in un manga la cui storia verte completamente attorno al rapporto di fiducia, lealtà, affetto, idea di famiglia tra nakama. Detto ciò, due cose e vi lascio alla storia:
- il campo si chiama Melville, perché è il campo di Edward Newgate aka Barbabianca, Barbabianca ha una nave che si chiama Moby Dick, e Moby Dick è un romanzo di Melville. Such associazione di idee.
- sono di fretta quindi non ho riletto come mio solito, se trovate errori o imprecisioni vi chiedo di segnalarmeli, così che possa correggerli!
 
 
The end of the world as we know it
 
 
La follia era esplosa il quinto giorno.
L’epidemia si era diffusa a macchia d’olio, rapidamente, senza lasciare via di scampo a chi, ignaro di quanto stesse avvenendo, aveva tentato di bloccare o aiutare gli infetti.
Ancora oggi, a distanza di mesi, Nami si domanda come sia stato possibile che nessuno fosse stato in grado di evitare una simile catastrofe, ma in fondo era del tutto impossibile prevedere un disastro di tali proporzioni.
Si stringe nelle spalle, lasciandosi scivolare contro il muro di quella casa vuota in cui sono entrati qualche ora prima; sospira e rimane a fissare le mattonelle colorate della parete di fronte, la vasca impolverata e lo specchio rotto. Chissà chi ci viveva in quella casa e chissà quale sorte ha atteso i suoi sventurati abitanti. Il mondo non gira più come prima, si dice sopprimendo un brivido e stringendosi le ginocchia al petto, ogni cosa sta andando in frantumi.
I suoi vestiti e le sue mani sono sporchi di sangue, ma oramai è la norma; questa volta, però, c’è mancato davvero poco perché finisse tutto e lei ha temuto, per qualche istante, che sarebbe morta. Era stata una disattenzione all’apparenza insignificante, ma nella pratica quasi disastrosa: attraversando la piazza principale della città, non si erano accorti che l’accesso alla fognatura era stato divelto. Non ci era voluto molto perché si ritrovassero circondati su tutti i lati da un’orda di zombie e, se non fosse stato per un rifugio di emergenza che erano riusciti a trovare (che poi non era altro che un grosso tir rovesciato, che forniva loro una posizione sopraelevata) non sarebbero riusciti a sopravvivere. Nami sentiva ancora la mano fredda e putrefatta dell’infetto che le aveva afferrato la gamba trascinandola verso il basso, riusciva a vedere la spada di Zoro che gli penetrava il cranio per poi reciderlo dal resto del corpo e tirarla verso di sé. Si era aggrappata a lui e aveva cominciato a sparare, cercando di mantenere l’autocontrollo che andava sempre più esaurendosi, trasformandosi in un grido roco che premeva per uscirle dalla gola. Insensatamente, chiaro, perché i rumori forti non facevano altro che attirare ulteriori zombie.
Erano riusciti ad avere la meglio e a fuggire, senza vittime, e Nami era sempre più convinta che da qualche parte ci fosse qualcuno che vegliava su di loro, perché non poteva spiegarsi altrimenti tutta la loro fortuna. Il contatto freddo con la parete alle sue spalle, in quella casa sicura che sono miracolosamente riusciti a trovare, le congela la schiena, è una sensazione spiacevole tanto quanto rassicurante, perché le comunica che è ancora viva per percepirla.
La porta si apre cigolando, con un movimento lento, e una testa dalla zazzera verde si affaccia nel bagno.
«Oi, Nami, hai bisogno di qualcos- Non avevi detto che volevi lavarti? Ti sembra il caso di metterti a riposare qui? E poi dici a me!»
Solleva lo sguardo verso il giovane e gli lancia un’occhiataccia, cercando allo stesso tempo di ricacciare indietro le lacrime che, come ogni volta che si ritrova a vagare in una casa distrutta, che reca ancora traccia di chi l’abitava, minacciano di uscire (o almeno così si dice, non volendo ammettere che gli eventi della giornata l’abbiano scossa a tal punto).
«Ti pare che entri senza bussare, troglodita?! E se fossi stata nuda?!»
«Niente che non abbia già visto» replica Zoro sollevando le spalle ed entrando nella stanza per poi chiudere con delicatezza la porta dietro di sé «Stai bene?»
Nami si rialza piano e gli si avvicina, appoggiando il capo contro la sua spalla e chiudendo gli occhi, le mani strette contro un’arma da cui ultimamente fatica a separarsi.
«Sto bene» borbotta piano lasciando che l’uomo le accarezzi la schiena «Vorrei solo trovare quel benedetto campo e riprendere a respirare».
È un mese oramai, da quando quel gruppo sgangherato si è formato, che stanno cercando di raggiungere la base Melville; secondo Rufy là ci sono dei sopravvissuti che sono stati in grado di costruirsi una vita e arginare l’epidemia. Apparentemente è una notizia giunta via radio da suo fratello e quindi probabilmente attendibile; il capo della base, un tale di nome Newgate, ha radunato tutti i superstiti possibili e corre voce che stia lavorando a una cura.
Per loro significherebbe tornare a vivere una vita quasi normale e Nami non riesce a fare meno di desiderarlo con tutta sé stessa, soprattutto perché l’alternativa non è per niente allettante.
«Andrà tutto bene» mormora Zoro, affondando il viso nei suoi capelli. Anche se non ne è troppo convinto nemmeno lui, anche se il mondo non è più quello che ricordava e ogni cosa gli sembra fredda ed estranea. Allunga le mani e scioglie con delicatezza la presa di Nami, afferrando saldamente il calcio della pistola e portandosela alla cinta.
«Questa non ti serve ora».
«E se dovesse entrare qualcosa?» borbotta la ragazza avvicinandosi alla vasca.
«Vuoi che chiami Robin? Che rimanga qui mentre ti lavi? Anche se, cazzo, quando mai si è avvicinato qualcosa a più di venti metri quando c’era qualcuno di guardia?»
Si sente tirare leggermente per una manica, mentre le dita pallide e sporche di sangue di Nami si piegano sul tessuto della sua felpa impolverata.
«Resta» mormora piano.
E Zoro resta. Rimane lì, seduto contro la vasca a osservare le piastrelle, mentre alle sue spalle Nami la ripulisce, la riempie di acqua calda e vi si immerge completamente trovando ristoro nel tepore che la circonda.
La testa verde di Roronoa, le sue spalle larghe chiuse nel chiodo di pelle, sono una presenza rassicurante, e la ragazza china il capo, appoggiandosi contro di lui; gocce d’acqua tiepida gli scivolano sul collo e gli bagnano gli indumenti, mentre una ciocca arancione gli solletica una guancia. A Zoro, però, non sembra importare e non le intima di spostarsi, né le fa notare che così lo sta inzuppando, si limita ad allungare un braccio dietro di sé e ad accarezzarle con gentilezza i capelli.
Si gira leggermente e le deposita un bacio leggero a fior di labbra, sentendola appoggiare la sua fronte contro la propria.
«Meglio?»
La ragazza annuisce piano, e se non fosse che la conosce oramai così bene forse nemmeno si accorgerebbe di quel gesto.
Le accarezza ancora il capo e le spalle bagnate, infischiandosene dell’acqua che gli inumidisce gli indumenti e la pelle.
«Andrà tutto bene, Nami. Te lo prometto».
La rossa stringe i denti e cerca di dimenticare gli orrori che li attendono all’esterno.
E, con gli occhi chiusi e il calore di quel corpo noto contro di sé, prega che Zoro abbia ragione.






   
 
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