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Autore: Kerri    04/06/2015    7 recensioni
[CaptainSwan: AU] [Accenni Rumbelle, Snowing, OutlawQueen]
Emma Swan si è trasferita a New York a 17 anni, accettando una borsa di studio che le avrebbe cambiato la vita, lasciandosi alle spalle un'infanzia difficile, Storybrooke e il suo migliore amico. Ma ha dovuto vedere tutti i suoi sogni frantumarsi, schiacciati dalla consapevolezza di aspettare un figlio.
Adesso la sua vita si è stabilizzata, ha Henry, gestisce un negozio di antiquariato e non sa che la sua vita sta per cambiare drasticamente, riportando a galla i più nascosti fantasmi del suo passato.
Killian Jones ha un'unica regola nella sua nuova vita: basta impegnarsi. È uno degli architetti più promettenti di New York e un giorno, riceverà una proposta che potrebbe dare una svolta alla sua carriera. Ma per farlo, dovrà collaborare con una sua vecchia conoscenza, riaprendo ferite mai rimarginate.
Il destino, continuerà a prendersi gioco di loro e dei loro amici, tra incontri, scontri e colpi di scena. Ma riusciranno Emma e Killian a perdonarsi e a ricominciare? Riusciranno, insieme, a riscrivere il loro destino? E se questo non fosse stato ancora scritto?
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Things change

 
Di cosa siamo capaci, pensò.
 Crescere, amare, fare figli, invecchiare -
e tutto questo mentre anche siamo altrove,
nel tempo lungo di una risposta mai arrivata,
o di un gesto non finito.
̴A. Baricco
 
 
Il giorno dopo Emma vagava per la casa come un’ossessa, raccogliendo vestiti, spazzando i pavimenti e spolverando i mobili.
Henry non ricordò di averla mai vista così in forma, soprattutto di domenica mattina.
La verità era che Emma non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, la sua mente si rifiutava di lasciarla riposare in pace, ricordava, ripassava ogni piccolo dettaglio.
La cicatrice, i suoi occhi cupi, la barba incolta, la cravatta, il suo sorriso stanco, la sua voce.
Dannazione!
Lo odiava, sì lo odiava con tutta se stessa.
«Mamma, tutto bene?»
La voce di Henry la riportò alla realtà.
No Henry, non c’è niente che vada bene.
«Certo tesoro, perché me lo chiedi?» chiese con un tono tranquillo che stupì lei stessa.
«Be’ perché è domenica, sono le nove e tu stai facendo le pulizie!»
«Qualcuno dovrà pur farle…» rispose la donna, dirigendosi in cucina.
Tenersi impegnata la aiutava a non pensare, perché sapeva che se avesse lasciato liberi i propri pensieri, essi l’avrebbero portata di nuovo alla sera precedente.
Le sue parole le rimbombarono nella mente.
Voglio che tu te ne vada.
Dopotutto, forse se l’era meritato. Anzi, se l’era sicuramente meritato.
Il bambino sbuffò e la seguì, aprì il frigorifero e si versò un po’ di latte in una tazza.
«Com’è andata ieri?»
Eccola, la domanda che temeva più di tutte.
Cosa avrebbe dovuto fare? Raccontargli tutto?
Era solo un bambino e per quanto fosse intelligente non poteva certo dirgli “Tutto bene, ho solo incontrato un mio vecchio amico che probabilmente ho fatto soffrire come un cane e mi ha fatto sentire di merda, come è giusto che sia…vuoi dei cereali?”
Henry non sapeva dell’esistenza di Killian, così come Killian non sapeva dell’esistenza del bambino.
Emma non gliene aveva mai parlato, non perché non si fosse presentata l’occasione, semplicemente perché non amava parlare della sua infanzia.
Erano ferite che ancora non si erano rimarginate, ferite che Killian aveva riaperto con sei parole.
«Tutto bene, il signor Gold è un tipo strano e dovrò collaborare con qualcuno…»
«Chi?» chiese il bambino, versando un po’ di cereali nella tazza.
«Un architetto»
Già, un architetto.
Tra tutti i lavori esistenti al mondo, non avrebbe mai pensato che Killian Jones sarebbe diventato un architetto.
«Fico! E com’è?»
«Mmm…»
Il bambino alzò un sopracciglio. Non era certo stupido: le pulizie, quel tono vago ed evasivo. Aveva capito che sua madre gli stava nascondendo qualcosa, qualcosa accaduta la sera prima e di cui non aveva nessuna intenzione di parlargli. Il suo compito era scoprire cosa fosse quel qualcosa.
In quel preciso istante il campanello suonò. Emma sussultò, chissà per quale motivo, si aspettava un uomo dai capelli corvini e gli occhi color del mare. Andò ad aprire titubante e tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che era soltanto la sua amica.
Aspetta, e adesso? Cosa avrebbe dovuto raccontare a Regina?
«Swan! Già sveglia? Mi stupisci, non sei mai stata così mattiniera!»
Emma sbuffò, alzando gli occhi al cielo e si scostò per lasciarla entrare. La donna si recò immediatamente in cucina e salutò Henry con un bacio sui capelli.
«Allora, come è andata?» chiese, dopo essersi tolta il solito cappotto nero.
«Bene…»
«Mamma ha detto che lavorerà con qualcuno! Un architetto!» si intromise Henry. Emma avrebbe voluto fulminarlo con lo sguardo, ma si contenne.
Regina la fissò, inarcando un sopracciglio. Aspettò che Emma si spiegasse, ma quando notò che la sua amica non accennava ad aprir bocca, insisté.
«Che vuoi che ti dica, Regina? Sì, dovrò collaborare con qualcuno…»
La donna dai capelli neri capì subito che qualcosa non quadrava. Di solito Emma non si faceva molti problemi, anzi. In varie occasioni aveva dimostrato di essere perfettamente capace di adattarsi a qualsiasi situazione.
Ma questa volta, nel suo tono stanco, nei suoi occhi spenti, Regina notò qualcosa di strano, di diverso.
«Henry, va’ di sopra a prepararti così poi usciamo!»
Il ragazzino annuì, capì subito al volo e scomparve di sopra in pochi secondi.
Emma prese il posto di suo figlio, si accasciò sullo sgabello e sospirò.
«Allora? Che diavolo è successo Emma?»
«Un casino, Regina! Un enorme e gigante casino!» sbottò la donna, prendendosi la testa tra le mani.
«È successo qualcosa con Gold? Con Belle?»
«No no, Belle è fantastica e il signor Gold, be’ è il signor Gold, penso tu sappia di chi stiamo parlando…»
La donna annuì.
«Allora cosa c’è? Parla dannazione, prima che decida di strapparti la lingua!»
«L’architetto»
Di nuovo quella strana sensazione si impossessò di lei. Perché era così strano definirlo come tale?
«Cosa ha fatto?»
«Non cosa ha fatto, la vera domanda che devi pormi è un’altra…»
«Emma, ti giuro che sto per perdere la pazienza! E lo sai cosa accade, quando perdo la pazienza! Smettila con questi giri di parole e parla, maledizione!»
«Killian Jones»
Un solo nome. Un nome e Regina capì tutto. La sua mente la riportò alle lunghe chiacchierate in camera di Emma, qualche mese dopo essersi conosciute. La riportò a quella ragazzina un po’ impaurita che si era lasciata alle spalle la sua vecchia vita, per cominciarne un’altra. E in quei discorsi, un nome veniva ripetuto in continuazione. Un nome che non aveva mai avuto un volto definito, un nome a cui erano legati molti rimpianti.
Dopo la nascita di Henry, dopo Neal, non ne avevano parlato più. E adesso si ripresentava prepotentemente nelle loro vite, nei loro discorsi.
Eppure, Regina non mostrò alcun segno di sorpresa, non restò sbigottita, non curvò le labbra, chiuse soltanto gli occhi per qualche istante e poi, lentamente, li riaprì.
«Oh…quel Killian Jones?»
Emma annuì.
«Perché non mi sembri così sorpresa?»
Regina abbassò lo sguardo e si attorcigliò le mani.
«Sapevi qualcosa? Regina, sapevi qualcosa?» urlò Emma, alzando di un’ottava il suo normale tono di voce.
«Certo che no, Swan! Come ti salta in mente?»
«E allora che c’è?»
«Io, be’ sapevo che si era trasferito da queste parti!»
«Cosa?! E perché non me lo hai detto?» esclamò Emma, sentendosi di colpo arrabbiata, frustrata.
«E che diavolo avresti fatto Emma? Ti saresti presentata alla sua porta con un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini e un biglietto con su scritto “Scusa se ti ho abbandonato nel cuore della notte non ho mai più risposto alle tue chiamate?!” Cosa, Emma?!»
La donna restò in silenzio, guardando torva di fronte a sé. Sì, forse l’avrebbe fatto o chissà, forse no. Forse non l’avrebbe mai incontrato, dopotutto New York non è certo Storybrooke. Ma forse sarebbe stata più preparata all’incontro della sera precedente.
«Non volevo provocarti ulteriori grattacapi Emma! Mi sembrava inutile che tu lo sapessi, tutto qui! L’ho fatto solo per il tuo bene…»
Lo sapeva, Emma lo sapeva.
Ma per una qualche ragione sfogare la sua rabbia su Regina era un buon modo per alleviarla, per non pensare a colui che l’aveva effettivamente provocata.
«Domani dobbiamo vederci» mormorò, quasi volesse convincere se stessa più che riferirlo a Regina.
La donna non replicò. Sentirono i passi di Henry scendere le scale e per tutto il resto della giornata, né Emma, né Regina ritornarono sull’argomento.
 
 
La domenica trascorse lentamente e prima che Killian potesse rendersene conto, la sveglia suonò ricordandogli che il suo primo giorno di lavoro con Emma Swan, stava per cominciare.
Si tirò giù dal letto di malavoglia, si trascinò in bagno e si fece una doccia bollente. Poi si recò di nuovo in camera e optò per un abbigliamento un po’ più sportivo: dei jeans scuri e un maglione grigio. Sì, sicuramente si sentiva più a suo agio in quella tenuta.
Raccolse le sue cose, i suoi appunti e la sua cartellina e si chiuse la porta di casa alle spalle.
Quel giorno, il cielo di New York era completamente grigio. Non si distingueva né una nuvola, né un piccolo pezzettino di cielo.
Prima di dirigersi a casa Gold, si fermò a comprare un caffè e chissà perché, gli venne la malsana idea di comprarne uno anche a lei, insieme ad una brioche alla cannella.
Si diede dello stupido mentre porgeva i soldi alla cameriera che l’aveva servito, chiedendosi perché l’avesse fatto. Ma dopotutto, avrebbero dovuto lavorare e quel caffè sarebbe stata un’offerta di pace, considerando che il loro rapporto non era ricominciato nel migliore dei modi.
Ne aveva parlato con David il giorno precedente. Alla fine aveva scelto di dirgli tutto, ovviamente tralasciando i dettagli più imbarazzanti. L’uomo era rimasto sorpreso tanto quanto lui, esclamando “Diavolo amico! Tra tutti gli abitanti di New York! La sfiga è tua amica!” e poi aveva cominciato a blaterare qualcosa sul “Destino” o una cosa del genere; alla fine, gli aveva consigliato di andare avanti, di ricominciare senza curarsi dei vecchi rancori. Killian gli aveva dato ragione, sapeva che aveva ragione ma non poteva assecondarlo. Non poteva vivere la restante parte della sua vita affogando nei dubbi.
Rientrò in macchina e si diresse verso il suo nuovo posto di lavoro.
 
 
Quando arrivò di fronte alla casa dei futuri coniugi Gold, parcheggiò accanto ad un maggiolino giallo. Scese dall’auto, con la strana sensazione di averlo già visto. Ma viveva a New York, in una delle città più grandi del mondo, probabilmente ce n’erano a dozzine di macchine simili.
Suonò il campanello e una donnina dai grandi occhi neri, venne ad aprirgli.
«Oh, lei deve essere il signor Jones! Prego, la sua collega è già arrivata!»
Killian le sorrise e seguì la donna. Sentì uno strano prurito alle mani, pian piano che si avvicinavano al piano superiore, piano in cui molto probabilmente si trovava Emma. Era così agitato che non sentì neanche il nome della gentile domestica. Si limitò a sorridere ed annuire, dandosi dell’idiota da solo.
Stringeva tra le mani il caffè e la brioche, mentre sotto il braccio aveva la sua fidata cartellina di pelle.
Alla luce del sole, la casa sembrava molto più spaziosa e ariosa. Il legno dei mobili e del parquet sembrava quasi splendesse. Killian ne restò affascinato.
«Bene, la signorina ha deciso di cominciare da questa stanza! Vi lascio, ho così tante cose da sbrigare! Se avete bisogno di qualcosa, urlate!»
Killian sorrise ancora a quella donna dalle maniere un po’ buffe e la vide incamminarsi di nuovo verso il pian terreno.
Prese un profondo respiro ed entrò nella prima stanza di cui, lui ed Emma si sarebbero occupati.
«Sei in ritardo»
Emma era di spalle, al centro della stanza, di fronte alla finestra e si guardava intorno, scarabocchiando qualcosa sul suo block notes.
«Forse sei tu ad essere in anticipo» disse grattandosi la nuca.
La ragazza non replicò.
«Ti ho portato qualcosa» continuò Killian, posizionandosi affianco a lei e porgendole il sacchetto e il bicchiere di caffè.
Emma lo guardò sospettosa, fissando prima il suo volto e poi ciò che le sue mani stringevano.
«Un caffè e una brioche non riusciranno a farti perdonare così velocemente, Jones»
L’uomo sorrise, una scintilla gli illuminò lo sguardo.
«La brioche è alla cannella…»
Emma abbandonò per una frazione di secondo l’espressione da dura che si era ripromessa di mantenere, schiudendo le sue labbra in un sorriso.
«Cominciamo a ragionare!» mormorò afferrando il bicchiere e ingoiando un po’ di quel liquido bollente. Quel giorno, come del resto tutti gli altri, non era riuscita a fare colazione. Doveva ammettere che era leggermente agitata al solo pensiero di dover rivedere il suo vecchio amico di infanzia e nonostante si fosse svegliata prima del dovuto, non era riuscita a mangiar nulla. Così accettò di buon grado la colazione offertale da Killian.
«Sei qui da molto?» chiese Killian, sorseggiando a sua volta un po’ del suo caffè latte.
«Abbastanza da avere già qualche idea su come sistemare questo posto…» esclamò la donna, addentando un altro morso della brioche, stando ben attenta a non fare troppe briciole.
Killian alzò un sopracciglio. Forse Emma aveva dimenticato il significato della parola “Collaborare”.
«Ah sì? Non mi dire…»
La donna gli lanciò un’occhiataccia poco amichevole e si accovacciò proprio al centro della stanza, continuando a scarabocchiare sul suo quaderno.
Killian sorrise.
«Secondo i miei appunti, questa dovrebbe essere una delle due camere da letto, giusto?»
Emma lo ignorò e continuò a scrivere e sorseggiare il caffè.
Killian vagò per la stanza, tastando i muri, affacciandosi alla finestra, misurando quanti passi fosse larga. Emma faceva finta di ignorarlo, continuava a scribacchiare qualche appunto sulla sua agenda, ma di tanto in tanto, si concedeva una piccola sbirciatina. Aveva uno strano metodo, sembrava quasi buffo. Si accovacciava, toccava gli angoli e batteva sul parquet e contava. Non aveva mai visto un architetto all’opera ma era piuttosto sicura che non tutti agissero in quel modo. Anzi, quasi nessuno.
Dopo quasi un quarto d’ora di misurazione e prove tecniche si alzò di scatto e si avviò verso di lei a grandi falcate.
«Bene, ho finito! Possiamo andare!» disse, posizionandosi di fronte a lei e con le braccia sui fianchi, coprendole tutta la visuale.
Sembrava piuttosto imponente visto dal basso.
«Swan, non puoi continuare ad ignorarmi. Forse dovrei ricordarti che sono io quello che dovrebbe essere arrabbiato!»
Emma sbuffando si alzò, incrociò le braccia al petto e spostò il peso sulla gamba destra.
«E si può sapere dove vorresti andare, di grazia?»
Killian le riservò uno dei sorrisi più veri dacché si erano ritrovati, un sorriso da mascalzone che celava una fila di denti perfetti. Un sorriso che inevitabilmente, riportò Emma ai pomeriggi passati insieme, sgranocchiando popcorn sul divano.
«Ovviamente al tuo negozio, no?» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Emma fu colta alla sprovvista. Di certo non avrebbe dovuto stupirla quell’affermazione, prima o poi ci sarebbe andato, però non pensava così presto. Andare lì, significava rendere la collaborazione ufficiale, farlo entrare nel suo mondo, nella sua vita.
«Se non so cosa abbiamo a disposizione, non potrò progettare un bel niente, non credi?» disse Killian, notando il volto spaesato di Emma. La donna annuì.
Killian raccolse i suoi appunti, la cartellina e i due bicchieri ormai vuoti.
Emma lo seguì in silenzio, lanciò un’ultima occhiata alla stanza e poi si chiuse la porta alle spalle.
«Dovremo dire a Mrs Bric che ce ne stiamo andando…» pensò Emma ad alta voce.
Oh, allora era quello il nome della donnina!
Emma vide il capo di Killian annuire e un attimo dopo, scomparve di sotto.
«Fatto, le ho detto che forse ritornavamo più tardi…Fai strada, collega» disse, aprendole la porta e facendosi da parte.
Buffone.
Emma si diresse verso il suo maggiolino giallo, il suo amato e fidato maggiolino giallo. Ormai ne era affezionata e non l’avrebbe cambiato per nulla al mondo. Ne aveva passate tante eppure continuava a scarrozzarla in giro per la città, come se gli anni non pesassero anche su di lui.
Sentì una risata dietro di lei e si girò di scatto, portando le mani sui fianchi.
«Che c’è da ridere?» chiese acidamente.
«È tua? Sul serio?» disse l’uomo, trattenendo a stento le risate. Aveva pensato appartenesse a Belle o a Mrs Bric. Emma era sicuramente l’ultima candidata nella sua lista.
«Non capisco perché ti stupisca così tanto…» disse la donna, ricordando le sue parole di qualche giorno prima. «È ridicola!» si limitò a rispondere, come se stesse appurando una verità ovvia a tutti.
«Non-osare-parlare-male-della-mia-macchina!» tuonò la giovane.
Killian trattenne un’ulteriore risata di fronte alla reazione esagerata di Emma.
«Ok, tigre. Scusa, non volevo offenderla! Poverina, spero non si sia arrabbiata con me…» disse ironicamente, battendo il pugno sul cofano della macchina.
Emma gli lanciò un’occhiataccia, probabilmente la decima anche se aveva perso il conto.
Entrò in auto e accese il motore.
Sentì qualcuno bussare al finestrino.
Ma perché era così insistente? Così irritante? Così…
«Swan, non fare la bambina! Non so dove sia il tuo negozio, vieni con me!»
Scocciata abbassò il vetro.
«Segui questa ridicola auto, Jones!»
 
 
Tutto filò liscio, fortunatamente. Emma sapeva che la sfortuna ormai l’aveva presa in simpatia quindi, quando arrivò di fronte al suo piccolo negozio, tirò un sospiro di sollievo.
Nessuna ruota bucata, nessun incidente stradale, nessun guasto al motore.
Bene.
Controllò che Jones parcheggiasse il suo bolide da qualche parte, poi uscì all’aria aperta del mattino. Controllò il piccolo orologio che aveva al polso. Erano già le undici e mezza.
Si avvicinò alla piccola vetrina e aspettò che Killian la raggiungesse. Lo fissò camminare disinvolto verso di lei, gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole e la sicurezza di chi è conscio delle sue qualità.
Non riusciva più a capirlo come qualche tempo prima, doveva ammetterlo. Avrebbe giurato che, se l’avesse anche solo incontrata, le avrebbe puntato una pistola alla tempia o l’avrebbe rapita, desiderando porgerle quelle domande alle quali lei, molto tempo prima, si era rifiutata di rispondere.
Sì, forse stava un po’ esagerando. Forse l’avrebbe soltanto ignorata, se il destino non si fosse messo in mezzo e avesse deciso di intrecciare ancora le loro strade, forse non avrebbe più sentito parlare di Killian Jones per il resto della sua vita, lui non avrebbe mai più interferito.
Eppure…
Eppure era delusa. Una piccola parte del suo cuore, la più remota, la più isolata, credeva davvero che Killian Jones, a dispetto di tutto, non se ne sarebbe mai andato, che l’avrebbe sempre aspettata a braccia aperte, con una scatola di ciambelle e un rimprovero per averlo fatto aspettare così tanto.
Prima non ci pensava, viveva nel dubbio. Adesso che ce l’aveva davanti, aveva potuto constatare lei stessa che lui era riuscito ad andare avanti con la sua vita, a diventare quella persona che lei gli aveva augurato che fosse. Era un brillante architetto, un uomo avvenente che di sicuro non aveva nessun problema con le donne e stava per concludere l’affare più importante della sua vita. All’apparenza, Killian Jones sembrava essere perfettamente riuscito ad ottenere ciò che chiunque desiderasse dalla vita.
E forse era questo che le faceva più male, perché lei, al contrario, aveva sempre conservato il suo ricordo, aveva sempre accarezzato l’idea, in una piccola e remota parte del suo cuore, di ritrovarlo, di chiedergli scusa, di riabbracciarlo. Ma se ne rendeva conto soltanto adesso, purtroppo.
Non sapeva quanto si sbagliava.
«Once Upon A Time…?! Non ti facevo così poetica, Swan!» scherzò l’uomo, leggendo l’insegna di legno che spiccava sulla porta del negozio e interrompendo i suoi pensieri.
«Non l’ho scelto io, è stata un’idea di Henry…» rispose la donna seccata, mentre infilava le chiavi nella serratura.
Killian non rispose. La porta cigolò un po’ quando Emma la spalancò. La giovane andò ad aprire le altre finestre, così che la luce potesse filtrare liberamente e illuminare quel piccolo posticino.
Lo sguardo dell’uomo vagava per la stanza e sì, doveva ammettere che Swan ci sapeva fare. Sebbene la camera in cui si trovava non fosse grande, ogni angolo era pieno zeppo di oggetti di ogni tipo: da antichi comodini a quadri moderni, da piccole bambole di porcellana a fotografie in bianco e nero.
«Devo ammetterlo Emma, sono piuttosto stupito!»
La donna alzò gli occhi al cielo. Certo, la descrizione del signor Gold non aveva lasciato molto spazio all’immaginazione quindi Killian aveva tutte le ragioni del mondo per essere sorpreso. 
«Quello che vedi non è neanche la metà di ciò che vendiamo!» disse la donna, spostandosi verso il bancone al lato sinistro della stanza, esattamente di fronte alla porta di ingresso.
«Ah no?!» chiese, seriamente interessato.
«Sorprendimi!» mormorò, sfoderando un altro dei suoi sorrisi mozzafiato.
Emma si accomodò sullo sgabello, fece scrocchiare le ossa delle dita e accese il computer.
«Una settimana fa, abbiamo trovato un vero tesoro!» disse, aprendo le foto che avevano scattato nella casa dei Darling e facendo segno a Killian di avvicinarsi.
«È un’antica casa vittoriana che i proprietari vogliono ristrutturare o vendere, non ho capito bene…comunque ci hanno ingaggiato per raccogliere tutti gli oggetti, i mobili, i quadri, le foto, i pomelli e rivenderli! Io ed Henry siamo riusciti a trasportare soltanto quattro scatole ma c’era ancora dell’altro, per non parlare dei letti a baldacchino e del pianoforte a corda…»
«Come farai a trasportare un pianoforte a coda?» chiese l’uomo piuttosto incuriosito e divertito.
«Non ne ho la più pallida idea!» rise la donna.
E Killian la sentì ridere per la prima volta dacché si erano ritrovati e vide di nuovo quelle piccole fossette agli angoli delle labbra e suoi occhi verdi come l’erba diventare più piccoli.
E rise anche lui, contagiato dalla risata cristallina della donna al suo fianco. Rise dimenticandosi che quella era Emma Swan, la donna che l’aveva fatto soffrire più di chiunque altro essere umano al mondo, dimenticandosi che non l’aveva ancora perdonata e probabilmente non l’avrebbe mai fatto, se non avesse sentito prima le sue motivazioni. Rise, come ridono un uomo e una donna qualunque, in un negozio d’antiquariato qualunque e con un lavoro qualunque.
«Se vuoi, possiamo andarci insieme…» si sentì pronunciare, non appena si furono un po’ calmati. Vide la sorpresa nel volto di Emma.
«Il mio amico David ha un furgoncino che utilizzava prima per lavoro…posso chiedere se può prestarcelo! Di certo sarebbe molto più utile della tua macchina!» si affrettò a spiegare.
Emma alzò un sopracciglio.
«Intendo che ci entrerebbe sicuramente più roba!» disse alzando le braccia, in segno di innocenza.
La donna sorrise.
«Certo, se ti va, possiamo andarci domani! Così vediamo se riesci a trovare qualcosa per casa Gold!»
Killian annuì.
Per secondi che sembrarono interminabili, regnò il silenzio. Non riuscivano a staccarsi gli occhi di dosso, aspettando che fosse l’altro a fare la prima mossa, a parlare per primo, a ripescare vecchie ferite del passato. Ma nessuno dei due lo fece.
Killian stava per aprire la bocca, quando sentì un tintinnio familiare. Entrambi spostarono lo sguardo verso la porta. Un bambino di circa dieci anni o poco più, aveva fatto il suo ingresso.
«Ciao mamma!»
«Henry! Che ci fai qui? Non dovresti essere a scuola?!» chiese la donna, sgranando gli occhi alla vista del suo piccolo ometto.
Il tono di voce di Emma era alquanto stridulo, allarmato e sorpreso. Sbirciò in direzione dell’uomo accanto a lei, avrebbe voluto che le “presentazioni ufficiali” avvenissero in maniera differente, ma la fortuna, ancora una volta, non era dalla sua parte.
Killian era sconvolto. Il ragazzino che aveva davanti era… be’ era un ragazzino! Non un neonato, men che meno un bambino! Era un ragazzino, doveva avere all’incirca dieci, dodici anni, il che voleva dire che o Emma l’aveva adottato, oppure era rimasta incinta qualche mese dopo averlo lasciato.
Di chi? Perché se ci pensava, una strana sensazione si insinuava in lui? Emma, la ragazzina sognatrice che aveva scelto la danza al posto della sua amicizia, aveva avuto un figlio. Perché non gliel’aveva mai detto? Ah, giusto. Niente contatti. Che stupidità.
Probabilmente la sua espressione era piuttosto sconvolta.
«Mamma, te l’ho detto oggi a colazione! Tra due settimane c’è lo spettacolo del corso di teatro e oggi pomeriggio dobbiamo provare! Così, prima di andare a teatro, sono passato di qui! È lui l’architetto?» disse, addentando una mela che aveva estratto dallo zaino e spostando il suo interesse verso l’uomo.
Killian si riscosse alla parola “architetto”. Stava parlando di lui no? Non poteva essere altrimenti, era l’unico architetto presente in quella stanza! A meno che, anche il padre del ragazzino era un architetto e questo spiegherebbe come mai Swan, da ballerina si era ritrovata in quel negozietto. Ma dov’era il padre del ragazzo?
«Sì, Henry vorrei presentarti Killian Jones! Killian, questo è Henry, mio figlio!»
La voce di Emma lo riportò alla realtà e porse, in tempo, la mano al ragazzo che gliela strinse con un sorriso. I suoi occhi divennero piccoli, come lo diventavano quelli della madre quando rideva.
Forse stava esagerando.
«Forte! Killian, come il pirata delle tue storie mamma!»
Emma avrebbe preferito che un fulmine la colpisse in pieno, piuttosto che dover sopportare quel momento così imbarazzante. Avrebbe voluto sotterrare la testa sotto terra come gli struzzi ed evitare di fornire a Killian un ulteriore motivo per prenderla in giro e farle ammettere la verità.
Aveva sperato, a quanto pare inutilmente, che suo figlio non ricordasse quel piccolo particolare, ma l’aveva sottovalutato ancora una volta. Non a caso era l’unico a sapere a memoria tutto il copione dello spettacolo.
Killian inarcò un sopracciglio. Pirata?! Questa era davvero buona… cercò di trattenere il sorriso che stava nascendo sul suo volto.
Henry notando l’espressione sorpresa dell’uomo si affrettò a spiegare che sua madre, quando era piccolo, gli raccontava le avventure di un coraggioso pirata, capitano di una nave pirata e degli altri marinai, tutti pirati.
Ho già detto che era un pirata?
«Ti piacciono ancora i pirati, Swan?» chiese divertito.
«Sì, be’…» cominciò Emma, cercando di inventarsi qualcosa.
«Ancora?! Vi conoscevate già?!» esclamò Henry, sorpreso. Fu più una constatazione logica che una domanda. Il bambino aveva già la risposta e cominciava a capire perché sua madre si comportava in modo strano in quei giorni.
«Io e tua madre eravamo vecchi amici…» rispose Killian, appoggiandosi ad una libreria e incrociando le gambe, ripetendo quanto aveva già ammesso il primo giorno in cui l’aveva rincontrata.
«Super fantastico! Allora sarà più facile, vero ma’?!»
«Già, sì, più facile, come no…» annuì la donna, poco convinta.
Killian sorrise ancora. Gli piaceva quella versione di Emma, meno scontrosa e più imbarazzata.
Henry diede l’ultimo morso alla mela e gettò il torsolo nel cestino, sotto il bancone.
«Bene, adesso devo andare! Ci vediamo stasera mamma!» disse, schioccandole un bacio sulla guancia.
Poi si rivolse a Killian.
«È stato un piacere conoscerla, signor Killian! Perché non viene da noi a cena una di queste sere?!»
«Se tua madre è d’accordo…» disse l’uomo cautamente. Una cena, a casa di Emma Swan. Se qualcuno gliel’avesse detto qualche settimana prima, gli avrebbe riso in faccia.
«Sì, certo! La mamma è d’accordo, non vede l’ora di potersi vantare delle sue doti culinarie!»
«HENRY!» urlò Emma, ormai rossa dall’imbarazzo.
«Che c’è? Sei brava a cucinare, no?» disse il bambino, alzando le spalle. Strizzò un occhio a Killian e poi si precipitò fuori dal locale.
Killian ed Emma lo seguirono con lo sguardo. Quando scese in metropolitana, Killian spezzò il silenzio.
«Davvero sai cucinare?»
Emma sospirò, cercando di sembrare scocciata ma nascondendo un sorriso.
«Già. Le cose cambiano, Killian! Anche quando noi non ce ne accorgiamo…»
 
 
 
 
 
 
 
 
Salvee a tutti! :)
Come avrete potuto notare, sono tornata! Questo è probabilmente uno dei capitoli più lunghi di questa storiae spero davvero che vi sia piaciuto! Emma e Killian devono cominciare a lavorare insieme! Killian stava per parlare, per chiederle qualcosa ma sono stati interrotti da… Henry!! Ahahah povero Killian, vedendolo gli sarà venuto un infarto!! xD
Il prossimo capitolo è già in stesura, quasi pronto!! Vedremo come si evolveranno le cose, se finalmente riusciranno a mettere una pietra sopra il loro passato e ricominciare.
Ovviamente, nel mio angolino, non posso non ringraziare tutti voi che siete arrivati fin qui, spendendo un po’ del vostro tempo per la mia storia! Davvero, so che sto diventando logorroica, ma G R A Z I E!
Grazie a tutte voi che mi lasciate una recensione, spingendomi sempre a dare il massimo, grazie a voi che inserite la storia nelle varie categorie e grazie anche a chi legge solamente!
La storia è anche vostra!
Adesso mi dissolvo,
ho ricominciato a vedere OUAT quindi vado a vedere qualche puntata! Giusto per alleviare un po’ l’attesa xD
Un bacione,
Kerri :*
 
   
 
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