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Autore: Camelia_blu    05/06/2015    3 recensioni
Con questa storia ho immaginato la prima sera di Severus Piton alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. C'è stato lo Smistamento, che lo ha separato da Lily, ed ora Severus sta affrontando il banchetto di inizio anno con la delusione nel cuore. Ricordi di Spinner's End, dei suoi genitori, dei suoi primi incontri con Lily -in breve, squarci della sua vita prima di Hogwarts- si alternano nella sua mente mentre muove i primi passi nella scuola e conosce i nuovi compagni di Serpeverde, in particolare Avery e Mulciber, ricchi, purosangue e pieni delle idee razziste e pericolose dei rispettivi padri. Severus si sentirà a disagio nella sua condizione di mezzosangue. Qualcosa di lui colpirà i compagni? E il pensiero della separazione da Lily gli rovinerà i primi momenti a Hogwarts, tanto attesi?
La storia si sviluppa in 10 capitoli.
DISCLAIMER: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Avery, Lily Evans, Mulciber, Severus Piton, Tobias Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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“Certo che non sei un gran chiacchierone, eh?” proclamò Avery.
“Severus, yu-uhhh!”
Mulciber si sporse dalla sua poltrona e agitò il palmo della mano davanti alla faccia di Piton, sogghignando.

Severus si sentì strappare via dal calore di una splendida giornata estiva e precipitò in un’atmosfera più buia, più fredda. Non c’era nessuno che rideva in un’esplosione di gioia, non c’erano colori; tutto era fermo, racchiuso entro quattro mura di pietra.
Si accorse di stringere fortissimo la mano… sul niente.
Lily non c’era.

Quei due bambini avevano appena interrotto il suo ricordo più bello, ma fece uno sforzo immenso per non darlo a vedere. I suoi occhi seri guardarono ora l’uno ora l’altro compagno, in silenzio; per un momento il suo respiro si fece irregolare e gli parve di sentire qualcosa incastrato in gola. Se fosse stato da solo, sarebbe uscito di corsa dalla sala comune per andare a cercare i dormitori di Grifondoro, anche col rischio di farsi beccare, di prendersi una punizione a poche ore dal suo arrivo a Hogwarts, a costo di vagare tutta la notte per il castello e…
Ma che idea stupida.
Si impose un maggiore controllo, Lily era da qualche parte e forse stava già dormendo, l’avrebbe vista l’indomani, di sicuro, era impossibile il contrario.

Per la prima volta in vita sua, immaginò Lily dormire: nelle sue fantasie la bambina era sempre ben sveglia, spesso in frenetico movimento, e rideva, rideva moltissimo.
Altre volte invece stava ferma e immersa in chissà quali riflessioni che la portavano altrove, lontano dal presente e dal suo stesso corpo. Lily era speciale in quei momenti, si lasciava trascinare via in un altro mondo e Severus si incantava a guardarle gli occhi verdi aperti su immagini a lui precluse.

Ma una volta aveva visto qualcosa.

Aveva visto se stesso avvicinarsi a Lily con dei fili d’erba in mano che poi si erano avvolti morbidamente attorno al suo polso.
Era stata una visione fugace, niente più che un lampo, sparito prima ancora di poter essere focalizzato. Aveva sussultato, incredulo.
Lily quasi nello stesso istante aveva ripreso a vedere e aveva sorriso, come faceva sempre, guardando il volto dell’amico che la fissava sbalordito.
“Che c’è?” aveva chiesto.
“N… niente.”
Piton aveva immediatamente guardato altrove. “Giochiamo?”
Non capiva bene cos’era successo e anche se temeva di aver fatto qualcosa che non doveva, di aver invaso un territorio che non gli apparteneva, se ne sentiva inebriato. Quella sera avrebbe ripensato a lungo agli occhi aperti di Lily.

Chissà com’era vederla dormire…
Severus, che ora osservava sulla parete uno stendardo di Serpeverde che prima non aveva notato nella penombra, immaginò i suoi bei capelli sparsi sul cuscino, le palpebre chiuse e un’espressione di totale pace sul viso.
“Uhh, sei davvero un tipo silenzioso” insisté Mulciber.
Piton sobbalzò, era incredibile come i suoi pensieri continuassero a scivolare su Lily.
Mulciber fece uno sbadiglio colossale, stirando le braccia, poi smosse alcuni ciocchi di legno nel camino con uno dei ferri scuri appesi lì vicino e il fuoco si ravvivò crepitando.

“Beh, meglio che parlare a vanvera come Silente stasera, ma l’avete sentito?” sentenziò Avery storcendo la bocca “Gli ippogrifi… ma per favore. A tavola ho sentito Malfoy dire che Silente è completamente fuori di testa.”
Severus ripensò al ragazzo biondo che lo aveva accolto con grandi pacche sulla spalla quando il Cappello Parlante l’aveva smistato a Serpeverde: quanto gli sarebbe importato che suo padre fosse un babbano?
In sala comune non aveva mostrato attenzione nei suoi confronti; una volta compiuti i suoi doveri di prefetto, si era rivolto a Mulciber ed Avery, di cui conosceva i genitori purosangue, e poi si era accomodato in poltrona accanto a quella ragazza dall’aria fredda, senza aggiungere altro, con un distacco totale da quanto gli capitava intorno.

“… Narcissa è una Black, è cugina di quel Sirius che è finito a Grifondoro” stava dicendo Avery, continuando l’ennesimo discorso sulle famiglie con l’amico.
Una linea si disegnò sulla fronte di Severus quando sentì il nome di Sirius.
“Sua sorella Bellatrix ha sposato da poco Rodolphus Lestrange, mio padre lo conosce, erano a scuola insieme.”
“Se finiranno per sposarsi anche loro due non potrebbe esserci matrimonio migliore! Black e Malfoy, pensa che roba! Avranno una discendenza coi fiocchi.”

Piton era un po’ sconcertato dall’insistenza sull’argomento. Non sapevano discutere d’altro quei due? O gli dava fastidio perché condivideva le loro idee, ma ne era inesorabilmente escluso? Tornò a sentirsi a disagio e comunque, parlare di matrimonio… erano solo bambini!
“Già. Fa schifo che non tutti la pensino così, non so come fanno certi purosangue a sposare dei babba…”
Avery stavolta si rese conto di aver completamente sbagliato.
S’interruppe mentre Mulciber gli dava una gomitata e guardò Severus con un’occhiata sghemba, in apprensione, ma lui fece finta di essere ancora perso nei suoi pensieri e di non aver sentito una parola.
Gli altri due rimasero zitti qualche momento, poi ripresero forzatamente a parlare di Silente, delle lezioni che sarebbero iniziate il giorno dopo, ma senza troppa convinzione e alla fine non seppero come continuare.
Si stiracchiarono e si alzarono dalle poltrone.
“Ehi, mezzo Prince, non pensi che sia ora di andare a dormire?” fece Mulciber.
Severus piegò l’angolo della bocca, considerando con amara soddisfazione il tentativo di Mulciber di rimediare all’errore dell’amico; mugugnò un suono inarticolato, guardandolo appena, e annuì velocemente col capo, tornando a fissare il fuoco mentre si passava un dito sulle labbra, pensoso.

Non sarebbe mai stato accettato a “scatola chiusa”.

Era un’eventualità a cui non aveva mai pensato, come l’idea di non finire a Serpeverde.
Avrebbe dovuto prevederlo, ma il fatto di provare insofferenza per i babbani e odio per suo padre lo avevano sempre fatto sentire a posto e aveva ritenuto che sarebbe bastato mettere piede a Hogwarts per cancellare tutto ciò che non gli piaceva della sua vita, perché ne sarebbe cominciata un’altra.
Ora invece comprendeva una verità inaspettata, capiva che non bastava questo, che non era neppure lontanamente sufficiente e che la sua esistenza passata gli restava indissolubilmente legata addosso.
Anche se aveva guadagnato il rispetto dei compagni di stanza, sapeva che da quel momento in poi, avrebbe dovuto farlo ogni giorno, avrebbe dovuto provare costantemente di essere un "mezzo Prince", perché ci sarebbe sempre stato qualche altro Avery o Mulciber cui dimostrare la nulla importanza del cognome che mai come ora sentiva pesargli addosso come una maledizione.

Ma adesso sapeva cosa doveva fare e l’avrebbe fatto, ogni giorno.
Presa questa risoluzione, si alzò, determinato, facendo leva con le mani sui braccioli e si diresse verso il proprio letto. Mentre si sfilava la divisa, scorse i due compagni osservarlo per un momento e poi riprendere a sistemare le proprie cose.
Infilò in fretta il pigiama e fece calare le pesanti tende del baldacchino che frusciarono giù dondolando per qualche attimo.
Sistemò la divisa sul baule e mentre la lisciava con le mani, sentì sotto le dita la bacchetta nella tasca interna; la prese e se la rigirò tra le mani, compiaciuto, sentendosi improvvisamente potente.
Poi, allungando il braccio in mezzo alle tende tirate, la posò delicatamente sul cuscino.

“’Notte Severus!” disse esitante Mulciber.
“’Notte” gli fece eco Avery, con tono più squillante.
Piton girò attorno al letto per prendere una candela dal proprio tavolo, la accese e si voltò a guardare gli altri due, i capelli che gli ricadevano in avanti nascondendogli gran parte del viso.
Qualcosa nel suo sguardo in cui si rifletteva la fiammella gialla della candela fece ammutolire i compagni.
“Beh… a domani”, dichiarò ancora Avery, intimorito e con una sfumatura gentile nella voce.
“Buonanotte.”
Severus parlò lentamente guardando prima Avery, poi Mulciber. Poi scivolò nel rifugio sicuro del suo letto, posando cautamente la candela sulla spessa testata di legno.

Finalmente isolato, il sollievo calò su di lui come una coperta leggera e si sentì tranquillo entro le mura di velluto di quello spazio tutto suo. La fugace visione della sua misera stanza a Spinner’s End gli attraversò la memoria dissolvendosi nello spesso velluto verde che lo circondava.
Prese la bacchetta e per un po’ rimase seduto sul copriletto, a gambe incrociate, con le braccia pigramente abbandonate sopra e le mani inerti; era molto stanco, ma qualcosa lo agitava. Piegò all’indietro il collo, fissando sul baldacchino sopra di sé un’altra riproduzione dello stemma di Serpeverde; la luce fievole della candela ne faceva baluginare i profili argentati.
Ora che finalmente era calmo e solo, gli pareva di essere al riparo da tutto.

Che giornata.
L’aveva fortissimamente attesa per tutta la vita, come un assetato nel deserto che non vede l’ora di raggiungere l’oasi, e… beh, non era andata esattamente secondo i piani.
Era finito a Serpeverde, va bene, ma solo per scoprire che questo non sarebbe stato un riscatto, bensì una strada tutta in salita.
No, non era un problema in fondo, rifletté con la fronte aggrottata, rigirandosi la bacchetta in mano; era un imprevisto, ma non lo spaventava affatto, anzi si sentiva stimolato nel voler far riconoscere il proprio valore. E aveva l’impressione che se l’indomani avesse convinto Malfoy di essere alla pari degli altri, tutto sarebbe stato più semplice.
Sbadigliò, sentendo la spossatezza rendergli le palpebre pesanti.

Ma poi... lui non voleva essere alla pari di nessuno, rimuginò, abbassando il capo e fissando le mani che stringevano la bacchetta.
La fece ruotare e ne osservò le venature alla luce tremula della fiammella; la accarezzò come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Probabilmente lo era, aspettava solo di essere usata per le grandi magie che meritava di compiere, stava a lui, solo a lui, renderlo possibile.
Lenti rivoli biancastri gocciolavano lungo la candela sempre più corta e l’odore della cera sciolta aveva riempito l’aria.
Severus si sollevò leggermente e soffiò per spegnere il mozzicone, poi mormorò “Lumos!”.

Nell’attimo di buio che precedette l’incantesimo vide il volto di Lily.

Alla luce che illuminò la punta della bacchetta osservò il denso filo grigio di fumo che si levava sottile dallo stoppino nero, salendo in alto e disperdendosi in volute irregolari, fino a finire assorbito dai tendaggi.
Lily.
Ecco cos’era davvero andato storto in quel giorno tanto atteso e desiderato.
Adesso che era da solo e lontano dagli sguardi indiscreti di Avery e Mulciber, avrebbe potuto lasciarsi andare alla disperazione acuta che sentiva premergli dentro dal momento in cui il Cappello Parlante, posato su una chioma rosso scuro, aveva emesso un verdetto inaccettabile.
Lily.
Era come se avessero separato i loro destini. Tremò, portandosi le mani al volto. Stava per fare una cosa che non faceva da tempo, lo sentiva. Lottò per resistere.

Lily a Grifondoro… non poteva succedere cosa peggiore. Pensando alla Casa che odiava, sentì un sentimento di rabbia montare in lui e fu con stizza che scalciò nel vuoto; si concentrò con forza sul ragazzino borioso con gli occhiali e i capelli spettinati e su Sirius Black, il perfetto imbecille, nonché traditore della sua nobile famiglia purosangue.
Pensando al proprio padre babbano, Severus provò un senso perverso di rivalsa nei confronti di quel ragazzo insolente, come se gli avesse soffiato da sotto il naso il posto che doveva spettare a lui, a Serpeverde.
Lo rivide seduto nello scompartimento del treno, scomposto e sfrontato, sentì di nuovo le sue parole di scherno, udì la sua risata beffarda, lo vide schiamazzare con l’occhialuto Potter, lo ricordò seduto a cena accanto a lei… No!!!!

Esalando un respiro affannoso, si infilò in fretta sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa. Stringeva ancora la bacchetta accesa, la cui luce era resa verdognola dal copriletto.
Il cuore gli martellava contro le costole, lo sentiva tuonare dentro le orecchie come i passi di un gigante.
Lo Smistamento aveva cancellato tutte le fantasticherie sul tempo che avrebbe trascorso con Lily in sala comune, ogni sera; su come sarebbe stato bello parlare delle lezioni, fare i compiti assieme o chiacchierare semplicemente, accomodati davanti al camino; su come sarebbe stato bello dirsi “buonanotte” sulla porta dei dormitori e aspettarsi lì al mattino per darsi il buongiorno, prima di salire assieme a fare colazione in Sala Grande.

Si calmò, cercando di dominare la disperazione che lo investiva a ondate, e abbassò le lenzuola dalla testa, che sentiva pesante e intontita per il sonno. Distese il suo corpo magro rannicchiato e rimase a pancia in su.
Vide lo stemma di Serpeverde sopra di sé e tirato fuori il braccio vi puntò contro la bacchetta dalla punta illuminata; seguì con la luce le linee sinuose del serpente facendo brillare l’argento.
Non doveva andare così.
Qualcosa gli offuscò la vista, qualcosa di molto caldo, e l’immagine del serpente si appannò.

NO, non avrebbe pianto.

Strinse forte la bacchetta sentendo la pelle tendersi sulle nocche, spalancò gli occhi con rabbia e il riflesso del serpente cadde dentro due profondi pozzi neri che sembravano non avere fine.
Lily, Lily, Lily…

Si sentì sprofondare nel cuscino e udì delle voci intorno al suo letto, voci che si muovevano in tutte le direzioni, ora soffocate ora forti… maledizione, perché Avery e Mulciber non si mettevano semplicemente a dormire?
Dei passi attutiti dai tappeti si rincorrevano nella camera, sembrava ci fosse qualcuno che chiamava, ma non riusciva a distinguere bene le parole, un brusìo crescente e indistinto aveva preso ad avvolgere tutto e sentì qualcosa che somigliava al fischio di un treno e allo sbuffare del vapore di una locomotiva.
Poi una voce fonda lo chiamò “Severus!” e lui balzò a sedere sul materasso morbido, la bacchetta in mano, guardando in su, perché quella che sembrava la voce di Hagrid pareva sgorgare da sopra il suo letto, dal soffitto. Con i piedi separò la cortina verde del baldacchino e si aprì un varco, scivolando fuori dal letto.
Come toccò il tappeto con i piedi scalzi, ogni rumore svanì, inghiottito dal nulla.

Rimase in piedi, rabbrividendo un po’ dopo essere uscito dal calore delle coperte, anche se il fuoco nel camino lì a fianco era ancora acceso. Come dal niente lo udì di nuovo crepitare. Nessuno parlava, nessuno correva.
Girò attorno al letto e intuì le sagome addormentare dei suoi compagni di stanza, che non avevano tirato le tende. I loro respiri erano regolari e profondi.
Tese le orecchie e udì di nuovo un rumore di passi, stavolta fuori dalla stanza.
In punta di piedi, si avvicinò alla porta e la aprì lentamente, illuminando con la bacchetta una piccola porzione di corridoio. Vi si affacciò e guardò prima a sinistra, poi a destra, ma ogni rumore era svanito nel momento stesso in cui aveva schiuso l’uscio.
Indeciso, girò indietro la testa e osservò Avery e Mulciber immobili nei propri letti.

Tornò a guardare fuori e stavolta udì delle voci provenire da oltre la porta del corridoio, dalla sala comune: ascoltando con attenzione gli parvero più delle risate, come se ci fossero delle persone che si stavano divertendo incuranti che fosse notte fonda e che tutta la Casa stava dormendo. Uscì, e mentre era voltato a chiudere piano la porta della sua stanza, gli parve di riconoscere quelle due voci, erano i due ragazzi del treno, quegli insopportabili Grifondoro, cosa ci facevano nella SUA sala comune? Voltò di scatto la testa verso la porta alla fine del corridoio, ma non c’era più.
Una luce forte proveniva dalla sala comune, abbagliandolo, tanto che non riusciva a distinguere nulla al di là.

Qualcosa però era appeso e dondolava avanti e indietro, dalla sala al corridoio, e schermandosi gli occhi con la mano Severus riconobbe un’altalena con qualcuno seduto sopra. Nell’attimo in cui lo capì, una risata argentina gli riempì le orecchie… e il cuore.
Lily dondolava sull’altalena, in archi sempre più ampi, anche se non riusciva a vederla bene, ora nel buio del corridoio, ora nella luce della sala comune. Ma poi… era la sala comune quella?
Un’altra risata.

Era lei, era la risata di Lily, l’avrebbe riconosciuta tra un milione!
Il cuore gli sobbalzò nel petto.
Felice, Severus fece per correre verso di lei, ma i suoi piedi scalzi sprofondarono nell’acqua fino alle caviglie. Il corridoio era allagato, Severus abbassò lo sguardo e vide la luce della sua bacchetta riflettersi e muoversi ondeggiando sulle increspature che i suoi movimenti avevano provocato nell’acqua.
Lily continuava a ridere dandosi lo slancio sull’altalena e Piton sentì l’esuberanza di una splendida giornata di sole fiorire attorno a lui. Guardò la bambina oscillare avanti e indietro e “Severus, vieni anche tu!”, si sentì invitare.
Mosse un passo e vide qualcosa spuntare dall’acqua quando Lily arrivò nel punto più basso della sua traiettoria, un tentacolo che sembrava volerla afferrare anche se lei non se ne curava minimamente e continuava a dondolare lieta, sempre più allegra.

“Lily!”
Angosciato, Severus prese a correre, incurante degli schizzi d’acqua che sollevava infradiciandosi il pigiama.
Guardava verso Lily che però gli parve più lontana, come se il corridoio si fosse allungato. La sua voce cristallina si allontanava e Piton corse più veloce, percependo appena al suo fianco lo scorrere di due file di ritratti in grandi cornici dorate.

Oltre la porta dei dormitori, dietro Lily, improvvisamente vide Malfoy.
Rigidamente in piedi al centro della sala comune, il ragazzo guardava Lily con un’espressione dura in volto e una mano posata su una poltrona verde da cui spuntava una nuca di lisci capelli biondi. Severus si spaventò moltissimo: Lily era di Grifondoro, non doveva stare lì, cosa avrebbe detto Malfoy, era anche un prefetto! Doveva assolutamente raggiungerlo e spiegargli… spiegargli che lei era una sua amica, che non stava facendo nulla di male.
Mentre Severus correva nell’acqua, Lily continuava a dondolare, ignara, come se appartenesse a un altro tempo. Ora la vedeva bene in viso e poteva leggervi tutta la felicità del mondo. Barcollò a quella vista e cadde in avanti con le mani nell’acqua, bagnando tutta la bacchetta che si spense. Aveva il fiatone.

Alzò lo sguardo e si accorse che la persona seduta sulla poltrona di fianco a Malfoy indossava il Cappello Parlante.

Lily rise forte: “Dai, Severus! È bellissimo!” e si abbandonò con la testa all’indietro, beandosi della carezza del vento che le scompigliava i capelli in un morbido groviglio rosso.
Malfoy, alle spalle di Lily, mosse un passo e chiese a voce alta e chiara: “È così? Sei il figlio dei Piton?”
Il Cappello Parlante oscillò, come se chi lo indossava stesse piangendo. O ridendo. Vide una treccia biondo cenere spuntare da sotto la stoffa macchiata e rappezzata.
Severus si sentì gelare e si sollevò da terra di scatto, gocciolando, impaurito, con i capelli appiccicati alle guance.
“Io…” la sua voce tradiva tutta la sua esitazione.
Malfoy strinse le labbra e sollevò un sopracciglio.
“Severus, andiamo a cercare gli ippogrifi?” Lily continuava a ridere, come se non capisse il pericolo che stava correndo.
Severus ansimò, disperato.
“Lily…”, cominciò, ma un forte rumore metallico lo fece sobbalzare.
Guardò oltre il varco di accesso del dormitorio, oltre lei, e vide la sala comune: non c’era nessuno, era buia e il rumore sembrava quello della porta in fondo che si chiudeva. Severus strinse gli occhi per scrutare bene nell’oscurità che avvolgeva la lunga stanza. Sì, la sala comune era vuota.

“È una babbana?” sussurrò all’improvviso la voce di Lucius Malfoy alle sue spalle, soffiandogli nell’orecchio.
Severus si voltò di scatto, trattenendo fragorosamente il respiro e sentendo il proprio cuore rimbombare per tutto il corridoio.
Ma un sollievo immenso lo invase quando scoprì di essere solo.
Si girò per andare da Lily, tranquillizzato, ma lei non c’era più. Non c’era neppure l’altalena e la porta dei dormitori era chiusa e muta.
Tutto il corridoio era silenzioso e buio.

Lumos” mormorò Severus.
Vide una lunga fila di tappeti allineati per terra perdersi nell’oscurità e ne sentì uno sotto i suoi piedi scalzi. Asciutti.
Si sentì improvvisamente piccolissimo e, infreddolito e impaurito, fu scosso da brividi violenti. Si strinse nelle braccia magre, spossato, si guardò intorno girando disperatamente su se stesso più volte e bisbigliò piano, come una preghiera, come una supplica, “Lily?...”

L’eco di una risata gentile gli risuonò in testa.

Abbattuto, sentendo sulle spalle un peso che quasi lo schiacciava sul pavimento, Severus si voltò per tornare in camera sua e vide un ritratto alla parete.
Vi si avvicinò, e la bacchetta ne illuminò per prima cosa la piccola targa. “Tobias Piton”.
Con gli occhi spalancati dal terrore, guardò la figura dipinta e vide suo padre fissarlo malevolo. Con un ghigno sul viso, l’uomo sollevò le mani che reggevano qualcosa di sottile e con uno schianto spezzò la bacchetta di Eileen davanti ai suoi occhi. Allungò un braccio e Severus fece d’istinto un passo indietro, stringendo forte la propria bacchetta, mentre Tobias prendeva a ridere sguaiatamente, sempre più forte, una risata sonora, insopportabile e volgare.
Avrebbe svegliato tutti… Severus guardò con apprensione le porte chiuse lungo i due lati del corridoio, sentendo il respiro mozzarsi in gola.

“Smettila!” urlò, sentendo bruciare la gola, con l’odio che gli infiammava gli occhi scuri e i pugni stretti tanto da fargli male.
Un bagliore improvviso lo accecò, nascondendo ogni cosa alla vista, e quando il corridoio tornò buio e l’unica luce rimasta era quella della sua bacchetta, vide che il ritratto era vuoto, la tela bucata e accartocciata, nera, come bruciata.
Scorse la punta di una bacchetta muoversi con precisione sulla targa, con piccolissimi movimenti e guardò il nome di Tobias cancellarsi, sparire, progressivamente occultato sotto sottili e precisi graffi sul metallo.

Non vide chi stava compiendo quel lavoro certosino perché, anche se lo percepiva accanto a sé, il buio sembrava essersi fatto denso, coprendo ogni cosa e dilatando lo spazio.
Severus si sforzò di distinguere qualcosa, ma vide solo il fugace brillìo di un anello con un pietra nera e poi due fulminei bagliori rossi, che perforarono il buio e i suoi occhi per sparire subito com’erano apparsi.
Turbato, prese fiato per fare una domanda, ma anche l’aria si era fatta densa. Una strana inquietudine lo pervase.

Provò a guardare meglio, alzando la bacchetta.
Una macchia rossa saltò giù da un’altalena e un attimo dopo la sua bacchetta illuminava il volto vispo di Lily. Due occhi verde chiaro lo guardavano sereni e furono come un balsamo per lui che sorrise e sentì la tensione scivolargli di dosso.
Improvvisamente si sentì più stanco di quanto non fosse stato quella sera e si stropicciò gli occhi, sollevato. Allungò la mano libera per prendere quella di Lily, ma la sentì muoversi nel vuoto. Rialzò il capo e si ritrovò davanti alla porta della sua camera.

“Lily!”
Nessuno rispose.
Di nuovo prese a correre avanti e indietro chiamandola piano, i suoi passi come piccoli tonfi sui tappeti.
Infine, deluso, rimase a lungo immobile davanti alla porta della camera, le braccia lungo i fianchi, la bacchetta che gli illuminava i piedi. Con un ultimo sguardo al corridoio entrò nella stanza, a capo chino, avvilito. Lo accolsero i respiri dei suoi compagni e lo scoppiettìo del fuoco, che si era notevolmente ridotto.
Si trascinò verso il suo letto, entrando nelle tende e infilandosi sotto le coperte, sfinito, crollando sul cuscino con un gemito.

Si sarebbe svegliato solo il mattino dopo, aprendo lentamente le palpebre e mettendo a fuoco come prima cosa il serpente dello stemma della sua Casa sopra di sé.
Qualcosa nella notte era scivolato dagli angoli dei suoi occhi, lasciando due leggere tracce bianche.
   
 
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