Capitolo 2 – Avventura sull’isola
dei giardini
-
Calare
l’ancora!
-
Ancora
calata. Siamo fermi.
-
Perfetto,
gente. Scendiamo a terra. Zoro, la passerella per Nami, disgraziato!
-
Lascia, Sanji, faccio da sola. Posso anche saltare giù.
-
Non
se ne parla! Sei stanchissima di sicuro! Piuttosto ti porto in braccio io!
-
E
piantala, cuoco. Sei una piattola, lo sai?
-
Zoro, non osare…!
-
Ragazzi,
smettetela. Mi date il mal di testa.
-
Smetto
subito! Subitissimo! All’istante! Non temere, che…
-
Sanji?
-
Sì,
mia adorata?
-
Basta.
-
…
-
Bene,
siamo a terra. Ora non ci resta che trovare il legname per le riparazioni.
-
Sì,
beh…
L’intero equipaggio tacque per un lungo momento, mentre
ciascuno osservava il paesaggio da un lato all’altro. Era facile vedere anche
punti molto distanti, perché tutto il terreno era perfettamente pianeggiante.
In lontananza sembrava salire con una pendenza abbastanza ripida, ma non si
vedeva altro, perché l’intero orizzonte era bloccato da una qualche specie di
cortina, forse artificiale, come un muro che attraversava da parte a parte
l’isola. Quel che era possibile vedere, però, era sufficiente a sconfortare
tutti. Erano attraccati a cercare alberi da abbattere per procurarsi legname…
…su un’isola completamente spoglia.
-
Non
c’è che dire. – commentò sarcastico Usopp
– Lassù qualcuno ci odia.
-
Eneru, probabilmente. – suggerì Zoro.
Sanji fece una smorfia.
-
Risparmiati
le scemenze, spadaccino. Ora come facciamo?
Il terreno era arido e sembrava non conoscere acqua da
secoli. Si spaccava in zolle, le crepe lo solcavano fin dove era possibile
vedere e il vento lo scavava. Usopp si chinò a
tastarlo e scosse la testa.
-
Qualche
alberello c’è. Qua e là. – osservò Nami, aguzzando la
vista.
-
Sì,
ma sono piccoli e secchi. Non ci faccio niente, non è legno adatto ai lavori
che dobbiamo fare. E mi sa che su questo terreno non
crescerà niente di meglio.
Tirò un calcio di rabbia al suolo. La terra si alzò in una
nuvola di polvere.
-
E questa è la fine della nostra carriera di pirati. – commentò.
-
Usopp, non dirlo nemmeno per scherzo.
-
Piantala, Sanji. Non prendiamoci in giro.
Siamo inchiodati qui. Senza nave. E soprattutto senza…
-
USOPP!
-
…senza
capitano. – concluse il cecchino, lanciando uno
sguardo amareggiato al cuoco.
Sanji lo afferrò per il colletto,
gridando fuori di sé:
-
USOPP,
BASTA COSI’! Luffy è vivo. E
anche Chopper e Robin.
-
E questo chi te lo ha detto? – sibilò l’altro.
-
Dobbiamo
avere fiducia in loro. E per non deludere la fiducia che loro avranno in noi,
bisogna che facciamo il nostro dovere e ripariamo la
nave. Per poter ripartire tutti insieme.
-
Sono
d’accordo. – intervenne Zoro – Basta liti e discussioni. Andiamo a cercare legname.
Usopp sospirò e assentì. Cercò di
concentrarsi solo sul pensiero della Merry e di come
rimetterla a nuovo.
-
Allora
dividiamoci. – suggerì – L’obiettivo principale è trovare qualche albero ancora
verde, che abbia del legno sufficientemente elastico
da poter essere usato. Ne bastano tre o quattro, ma anche uno solo sarebbe
d’aiuto, quindi chi lo trova lo taglia e lo porta qui.
Come obiettivo secondario – continuò – mi pare di
vedere laggiù un villaggio. Casomai non trovassimo
nulla ci dirigeremo lì e vedremo se hanno del legname. Sarebbe
meglio non spendere per questo parte dell’oro di Skypiea,
ma…
-
…potremmo
non avere scelta. – concluse Sanji.
-
Infatti.
-
Va
bene. Andiamo.
Si allontanarono dalla nave. Nami
e Zoro partirono in direzioni opposte, lungo i due
lati della costa, mentre Usopp e Sanji
si diressero nell’entroterra. Dopo qualche minuto erano già lontanissimi l’uno
dall’altro, eppure Sanji aveva la sensazione di non essersi mosso affatto. Insomma, quella dannata isola era
così monotona! Sassi e zolle, zolle e sassi, e qua e
là solo qualche stecco buono sì e no per fare il fuoco. Non c’erano
nemmeno dei punti di riferimento decenti con cui orientarsi. E
neanche un rumore, o il verso di un animale. Magari stava camminando in
cerchio.
-
Qui
non combino niente. – si disse a voce alta, giusto per dimostrarsi che i suoni
esistevano ancora.
E poi lo vide, e fu come una
rivelazione, o un’oasi in mezzo al deserto. Un albero vivo, rigoglioso,
bellissimo! Un po’ basso, a dire il vero, era alto più o meno
quanto una persona, ma con foglie, corteccia, e persino frutti che scendevano
dalle sue fronde e dondolavano al vento! Sanji non
credeva ai propri occhi. Scattò in una corsa a perdifiato per raggiungerlo
subito, temendo che fosse un miraggio – ma,
decisamente, non lo era. Però, più lo vedeva da
vicino, più quell’albero gli pareva alquanto anomalo. Aveva solo due rami,
tanto per cominciare, messi da lati diametralmente opposti del tronco. Poi
aveva delle forme piuttosto strane. Insomma, il tronco era tutto curvo, e
all’altezza dei rami, da un lato, si rigonfiava, aveva come dei bozzi. Ma non proprio dei bozzi. Ricordavano piuttosto
qualcos’altro. Ma, insomma, era proprio assurdo. Però…
-
Per
essere un albero, sei sexy, tu! – esclamò Sanji, ridendo.
Ad ogni modo, decise di liquidare quel fenomeno come una
semplice stranezza della natura. In altre circostanze avrebbe potuto anche
mostrare cortesia a quel vegetale dalle sembianze tanto femminili, ma non era il momento di fare lo schizzinoso e, anche di fronte
alla sua perfetta galanteria, un albero era pur sempre un albero. Sollevò una
gamba preparando un calcio da mollare alla base del tronco per spezzarlo di
netto.
-
Scusami,
bellezza. – disse con un ghigno.
Tirò il calcio. E, quando colpì il
legno, avvenne qualcosa di assolutamente incredibile.
-
Niente
da fare, non ho trovato nessun albero decente, e sono
esausta. – annunciò Nami, tornando al luogo
dell’incontro con i compagni, che già la attendevano da qualche minuto.
-
Nemmeno
io ho trovato alberi buoni. – disse Zoro – E devo ammettere che anch’io sono un po’ stanco.
-
Io
ho trovato un esercito di diecimila uomini che mi ha sfidato, li ho sconfitti tutti in pochi minuti e sono ancora fresco come
una rosa! – esclamò Usopp.
Gli altri due gli lanciarono un’occhiataccia.
-
Ma
di alberi verdi nemmeno l’ombra. – concluse
timidamente.
I tre si gettarono a terra, sospirando all’unisono. Restarono
a lungo in silenzio, sdraiati al suolo, con gli occhi verso il cielo. Adesso
bisognava solo sperare che Sanji avesse avuto più
fortuna.
-
C’è
una nuvola di polvere che si avvicina. – osservò Usopp.
In effetti, all’orizzonte si era formato una specie di
tornado. Una furia che avanzava verso di loro a velocità impensabile.
-
Magari
dovremmo spostarci. – suggerì Nami.
-
Magari
no. – le rispose Zoro, poi
fece uno sbadiglio e si addormentò.
La nuvola era sempre più vicina: ma, a ben guardare, c’era
qualcosa di dorato, come una chioma bionda, che scintillava al suo interno, e
in più urlava, e la voce sembrava quella di…
-
Sanji?
-
Ragazzi
ascoltate mi è successa una cosa incredibile ho appena
incontrato UN ALBERO CHE PARLA! – esclamò tutto d’un
fiato il cuoco, arrestando la propria corsa folle.
Nami restò ammutolita. Usopp invece sbottò, sinceramente indignato:
-
E che cavolo, Sanji! Ti sembra una bella cosa
rubarmi il mestiere?
-
Un
albero incredibile! – continuò ad urlare l’altro, imperterrito – Era verde, volevo tagliarlo, gli ho mollato un calcio che avrebbe
abbattuto un palazzo e quello non solo non ha fatto una piega, ma s’è pure
messo a gridare! Ahia, fa male, diceva!
-
Che traditore. – commentò Usopp con disprezzo – Cioè, ci pensi a come ti sentiresti tu se io andassi in giro
a cucinare e a dar calci alla gente?
-
Ma non è una bugia, Usopp! E’ tutto vero!
-
Sanji, un momento. – intervenne Nami, cercando di
dare un senso alla discussione – Mi stai dicendo che
vorresti farci credere di aver davvero
incontrato un albero parlante?
Il cuoco annuì, ansimando per riprendere fiato dopo la corsa.
Gli altri gli si strinsero intorno, compreso Zoro,
che si era svegliato all’istante. Un buon samurai dorme con un occhio solo:
l’altro gli serve per cogliere l’attimo nel caso si
presentasse l’occasione di sfottere un certo cuoco-damerino-sopracciglia-a-tortiglione
di sua conoscenza.
-
E
quante fatine variopinte svolazzavano, intorno a questo albero?
– chiese con un sorrisone a trentadue denti.
Il calcio che stava per fargliene saltare via
alcuni venne però bloccato a mezz’aria dall’improvviso arrivo di una timida voce
femminile:
-
Ehm,
scusatemi, ma mi sa proprio che il vostro amico dice
la verità.
Dalla stessa direzione da cui era arrivato correndo Sanji si stava avvicinando adesso
una ragazza sui vent’anni, dall’aspetto piuttosto
trasandato. Aveva capelli castani scarmigliati in mezzo a cui si intrecciavano qua e là dei fili d’erba e delle foglioline
strappate, come se si fosse appena alzata dopo aver dormito con la testa
appoggiata ad un prato; occhi larghi e verdi, carnagione scura. La cosa più
curiosa era però il suo abbigliamento: indossava una camicetta rozza, tagliata
in tessuto di juta, e stretta alla vita magra aveva una gonnellina di lunghe
foglie intrecciate che le arrivava fino alle ginocchia. Portava a tracolla, con
una cinghia che le passava sopra la spalla destra, una grossa anguria
trasformata in borraccia e tappata con un turacciolo di sughero. Altre
borracce, queste erano noci di cocco, le teneva alla
cintola. Le volava intorno un grosso pappagallo verde,
che a un certo punto si appollaiò sulla sua spalla. Gli sguardi di tutti si
posarono su di lei, che parve piuttosto imbarazzata.
-
Ciao.
– disse con un cenno leggero della mano – Ehm, io sarei
Flea. Ma mi chiamano anche
“la ragazza-albero”.
All’istante le comparve davanti un cartellino della dimensione
di un piccolo quaderno con su scritto:
Abitante dell’isola di Eden
FLEA
La ragazza-albero
-
Che roba è? – fece lei, tastando l’apparizione incuriosita. Il cartello, al
tocco, si dissolse in una nuvoletta.
-
Non
farci caso. Ci succede sempre quando
incontriamo gente nuova. – spiegò noncurante Usopp –
Dopo un po’ ci si fa l’abitudine, e alla fin fine è
anche comodo. Aiuta a rompere il ghiaccio e sveltisce le presentazioni.
Sanji, dal canto suo, era impallidito
all’improvviso. Sudava
freddo.
-
La
ragazza-albero? – balbettò – Vuoi dire che l’albero…
parlante… quello che io…
-
Sì,
beh, mi hai fatto un po’ male, sai? – disse Flea – Guarda qua, zoppico
ancora. Mi sa che mi verrà un bel livido alla caviglia. Ehi, non ti
preoccupare, non è niente. Ma che…?
L’altro non la ascoltava nemmeno più. Era in preda al
delirio più completo. Ora piangeva ora rideva istericamente;
si mordeva il colletto della camicia; saltava e correva tutt’intorno.
-
Ho
dato un calcio a una donna! Ho dato un calcio a una donna! – ripeteva come un ossesso –
ODDIO, VOGLIO MORIRE! HO DATO UN CALCIO A UNA
DONNA!
-
Non…
non credevo che… - fece Flea,
imbarazzata.
Nami scosse la testa e sbuffò.
-
Lascia perdere, non è colpa tua. Quando fa così,
bisogna ignorarlo per un po’. Alla fine smette.
Il pappagallo sulla spalla di Flea
prese a sbattere le ali, attirando l’attenzione di Usopp:
-
Che bell’animale! E dice
qualcosa?
-
Prova
a chiederglielo. – fece Flea, con un sorrisino.
-
Ciao,
pappagallo. Lo dici il mio nome? Mi chiamo Usopp. Usopp. Ripeti, dai!
-
NON
SO PARLARE! NON SO PARLARE! – starnazzò l’uccello, così forte da far cadere a
terra l’altro per lo spavento. Flea scoppiò a ridere.
-
Dice
solo questo. – spiegò – Buffo, vero? Si chiama Paradosso, ce
l’ha scritto su una targhetta appesa al collo. Deve essere scappato dal
suo padrone, perché l’ho trovato qualche giorno fa che svolazzava davanti a
casa mia. Mi ci sono subito affezionata.
-
Molto
buffo. – confermò Usopp che, ancora con gli occhi
strabuzzati, cercava di farsi rientrare il cuore in petto.
-
Potresti
dirci qualcosa di questo posto? - chiese Nami - Noi
siamo approdati qui per caso, cercando legname per riparare la nostra nave, e
non ne sappiamo nulla.
-
Hm.
– Flea si fece sospettosa e squadrò Nami con uno sguardo obliquo – Navigate,
eh? Su quest’isola approdano solo due tipi di
persone: i mercanti e i pirati. Voi cosa siete?
Nami, Usopp e Zoro si guardarono. Avevano vestiti stracciati, cicatrici,
tatuaggi, bandane, armi varie e una bandiera con tanto di teschio sull’albero
maestro. Non avrebbero comunque potuto mentire a
lungo: meglio dire subito la verità, anche se poteva essere sgradita.
-
Pirati.
– ammise Nami.
-
Meno
male! Odio i mercanti. Sono dei tali ladri! – rise Flea, sollevata – Allora, ora vi do il benvenuto
ufficiale. Signori pirati, siete appena approdati ad Eden, l’isola dei
giardini, l’angolo più florido, lussureggiante e ridente del Grande Blu!
Il vento soffiò trasportando una palla di sterpi tra la
polvere e i sassi. Da qualche parte, un ramo secco schioccò spezzandosi sotto
il peso della sabbia che vi si era accumulata sopra. L’unica cosa ridente, in
tutto il panorama, erano i teschi degli animali che mostravano le bocche
spalancate in macabri sorrisi.
-
E questo nome ve lo siete inventato per attirare i turisti, o cosa? –
chiese Usopp.
-
No,
no! – si affrettò a spiegare Flea –
Questo è il lato arido dell’isola. Ascoltate, vedete
quel villaggio laggiù? E quello che sembra un muro,
oltre il villaggio, che attraversa tutta l’isola?
-
Sì,
certo.
-
Bene, oltre quel muro c’è il nostro meraviglioso Giardino. Eden è un’isola con poca acqua e
clima desertico. Il Giardino fu realizzato da un re del passato, nessuno più
ricorda nemmeno quando, ed è stato tenuto in vita per
molti secoli dedicando la maggior parte della nostra acqua alla sua
irrigazione. E’ un luogo meraviglioso, popolato da tutte le specie di piante
del mondo, che sono state coltivate in una
disposizione particolare, formando un labirinto di alberi e siepi. Per tutelare
questa meraviglia, alcuni anni gli abitanti sono arrivati addirittura a importare acqua con navi cisterna da altre isole,
spendendo montagne di soldi. Questo non era mai stato un grave problema,
perché, fino a quando ero una bambina, l’isola era molto ricca, e poteva
permettersi questi lussi. A quell’epoca anche questa metà di Eden
in cui ci troviamo ora era abbastanza verde, anche se non bella come il
Giardino. Circa vent’anni fa, però, sembra sia
cominciata una grave crisi. Non ne so molto, a parte che l’isola è piombata in
una grande povertà. Da allora sacrifichiamo ogni
goccia d’acqua per mantenere in vita il nostro orgoglio, il Giardino, e questa
metà è stata abbandonata. Ricordo che quando ero ragazzina
c’erano ancora degli alberi verdi. Ora è soltanto un deserto.
-
Capisco.
– commentò Nami – Però, se avete tanta scarsità
d’acqua, come mai tu ne hai tanta dietro in quelle
borracce?
-
Queste?
– Flea sollevò leggermente una delle noci di cocco
alla cintola. Sembrò vergognarsi – Io devo bere sempre
molto. E’ come una malattia: se non lo faccio mi si rinsecchisce tutta la pelle
e rischio di morire in poche ore. Per fortuna mio padre è un uomo importante e
abbastanza ricco, spende un sacco di soldi per comprarmi quest’acqua.
-
Strano
fenomeno. Forse è colpa del Frutto del Diavolo. – mugugnò tra sé e sé Usopp.
Flea lo guardò stranita:
-
Come
hai detto?
-
Il
Frutto, no? Il Frutto del Diavolo. Ti trasformi in albero, immagino tu ne abbia mangiato uno. – disse il cecchino – Magari si
chiamerà “Frutto di Woo Woo”, o una cosa simile.
-
No,
scusa. – replicò la ragazza, quasi piccata – Cosa credi, che sia una bambina?
Non esiste una cosa come i Frutti del Diavolo, e certo io non ne ho mangiato uno. Sono così di natura, tutto qua.
-
Di
natura? – Nami era piuttosto perplessa.
-
Beh,
sì. Esistono i giganti, esistono gli uomini-pesce e le
sirene. Che c’è di strano in una ragazza-albero?
Non faceva una grinza.
-
Però, scusa, i Frutti del Diavolo esistono eccome. – intervenne
Usopp – Nel nostro equipaggio noi avevamo…
Urlò di dolore quando Zoro gli pestò con violenza il piede.
-
…dicevo,
noi abbiamo
ben tre compagni che li hanno mangiati. E abbiamo
combattuto un sacco di nemici con quei poteri.
-
Davvero?
Beh, dovreste raccontarmi la vostra storia, allora! Sembra interessante. Ma io non li ho mangiati, vi ripeto. Mio padre me lo avrebbe
detto di sicuro. E invece…
-
Flea! Gnarr! Razza di sfaticata! Dove ti sei
cacciata, gnarr?
Il vecchio sembrò apparire dal nulla, tanto correva veloce;
ma si fece notare subito travolgendo l’unico arbusto mezzo rinsecchito nel
raggio di un chilometro, inciampandoci e sradicandolo, mentre le spine dei rami
gli stracciavano la camicia di tela. Rotolò a terra per
qualche metro, quindi si rialzò come niente fosse, furibondo come prima.
Il suo passaggio era tanto rovinoso che, anche se quelle terre erano già
desolate di loro, dove lui metteva piede lo diventavano un po’ di più, e faceva
un tale chiasso che istintivamente tutti i pirati si misero sulla difensiva,
impugnando chi la fionda, chi il bastone, chi le spade, pronti a fronteggiare
l’attacco di quello che si sarebbe detto un intero esercito di feroci scimmie
urlatrici. Flea si coprì gli occhi con una mano e
scosse la testa.
-
Vi
presento mio padre Madera. – disse sconsolata.
-
Flea! Gnarr! Chi è quella gente, gnarr! E che è sta roba, adesso?
La roba in questione era il solito cartellino. Gli si
materializzò proprio davanti, con la scritta:
Abitante dell’isola di Eden
MADERA
Padre di Flea
Con un poderoso “gnarr”, Madera
inciampò contro il cartello, lo fece praticamente
esplodere, finì nuovamente a terra e scivolò fino a fermarsi con la punta del
naso quasi sui piedi della figlia. Si rialzò e si spazzò via la polvere con
gesti confusi. Fece un paio di giri su sé stesso per
raggiungere un rametto secco che gli si era impigliato nel retro della camicia
e toglierselo. Infine fronteggiò Flea.
-
Flea, dove accidenti ti eri cacciata, gnarr? Ho
bisogno di te al cantiere!
-
Scusami,
papà. Avevo messo radici e penso di essermi
addormentata. Uno di questi ragazzi mi ha trovata ed ha cercato di abbattermi,
così mi sono svegliata.
-
Addormentata!
Puah! Gnarr! Che roba! Fila e vieni con me, avanti! Mi serve del legname!
A queste parole, Nami drizzò le
orecchie: ma Madera aveva già afferrato la figlia per il braccio e ora la
strattonava trascinandosela dietro verso l’entroterra. Corse a fermarlo.
-
Mi
scusi! Del legname serve anche a noi! Come lo troviamo?
Il vecchio la guardò di sbieco. Stette un po’ a pensarci su.
-
Si
compra. – sbottò.
-
Hm.
– Nami restò piuttosto indisposta al sentire quella
risposta. Avvertiva già lievi fitte all’altezza del portafoglio – E quanto ci costerebbe, più o meno?
-
Non
si regala, gnarr! Almeno diecimila Beli a tavola, tavole da mezzo metro per tre!
La navigatrice fu quasi stroncata da un infarto; cadde
all’indietro, e solo il sostegno di Zoro la salvò
dall’impatto col suolo. Nella difficile trattativa subentrò Usopp:
-
Però,
signore, noi ne abbiamo davvero bisogno. E non potrebbe aiutarci sua figlia?
Flea fece per scattare in avanti, ma il
padre la trattenne e la zittì sibilando uno “gnarr”
minaccioso. Squadrò il suo interlocutore con le palpebre strette:
-
E com’è che mia figlia dovrebbe aiutarvi, gnarr?
-
Ha
detto di aver bisogno di lei per il legname. – osservò Usopp
– Immagino che sia capace di crearlo lei, grazie al
potere del suo Frutto del Diavolo, quindi potrebbe…
-
Ancora
con questa storia! – saltò su Flea, inviperita – Che
testardo! Ti ho detto che non ho mangiato un Frutto!
Ma Madera si agitò molto più di lei:
-
Infatti! Che storie devo sentire! Gnarr! Gnarr! Frutti del Diavolo!
Assurdo! A mia figlia, gnarr! Sapete che vi dico? Se volete comprarlo, il legname, adesso sono trentamila Beli
a tavola. Gnarr!
-
Questo
no! Quando è troppo è troppo! – gridò Nami, riavutasi dal malore.
Afferrò Madera per il colletto e i due cominciarono a
strattonarsi, gridandosi in faccia numeri e percentuali
carichi di una ferocia inaudita. Venticinquemila, ventinovemila; toglimi
il venti per cento, no il dieci, almeno il quindici
vecchio rimbambito, non più del dodici, strega pirata. Le contrattazioni
cominciarono a farsi molto fisiche quando dai semplici
strattoni si passò a qualche cazzotto. Flea, Usopp e Zoro assistevano allibiti
alla scena, uniti dal terribile imbarazzo di fronte al disdicevole comportamento
dei propri rispettivi parenti e compagni di equipaggio.
-
Sentite
– chiese Flea a un certo
punto, distogliendo lo sguardo da quello spettacolo poco dignitoso – Ma a voi
serve davvero, questo legname?
-
Senza,
non possiamo riparare la nave. – spiegò Usopp –
Quindi siamo bloccati qui.
-
Capisco.
Ascolta, anche se ti sbagli sulla storia del Frutto, io in
effetti il legno posso crearlo davvero. Vedrò di darvi una mano di
nascosto, d’accordo?
-
E con tuo padre come ci mettiamo?
In quel momento, la lotta aveva raggiunto il suo apice. Si
udì un crepitare di scariche elettriche mentre Nami urlava “Fulmine Tenpo!”.
Madera aveva messo mano a martello e sega estratti dalla sua borsa e li
mulinava in aria con la grazia di un gorilla che abbia appena
deciso di costruire un armadio.
-
Sarà
meglio che lui non sospetti assolutamente nulla. – concluse Flea.
-
Meglio.
– confermò Usopp, sudando freddo.
-
UCCIDIMI!
Quest’ultima voce, disperata, straziante,
era quella di Sanji, appena tornato dal suo confuso
vagare alla ricerca di occasioni suicide. Purtroppo,
l’isola era perfettamente piatta, priva di burroni o anfratti, gli occasionali
alberelli secchi e rincagnati non erano adatti per una buona impiccagione
più di quanto non lo fossero per la carpenteria navale e le bestie più feroci a
cui ci si poteva gettare in pasto erano delle misere lucertoline.
-
UCCIDIMI
TU, ZORO! – urlò Sanji, piangendo – HO DATO UN CALCIO
A UNA DONNA! SFODERA
-
Piantala, cuoco. – disse l’altro – Nulla potrebbe mai convincermi a
fare una cosa del genere a un mio compagno.
-
UCCIDIMI,
CAPELLI AD ALGA!
-
E va bene… - sospirò Zoro, iniziando ad
estrarre una delle sue katane.
Flea lo fermò con un gesto della mano,
come a dire “a lui ci penso io”. Si avvicinò lentamente e si chinò accanto a
quello che ormai non era niente più che un relitto d’uomo.
-
Ascolta
– disse – quel calcio nemmeno lo sento più, davvero. Guarda, sto anche meglio. Proprio quella
caviglia me l’ero lussata qualche tempo fa, e mi doleva di continuo. E invece ora niente! Mi sa che me l’hai rimessa a posto tu,
sai?
-
Lo
dici solo per farmi piacere. – mugolò Sanji, tirando
su col naso.
-
Ma no, sono sincera! E poi, senti, non devi
buttarti giù così. Diciamo che ti perdonerò, ma tu
devi essere un po’ gentile con me. Mi stai facendo sentire in colpa.
-
Questo
mai. – bisbigliò l’altro, e si asciugò le lacrime.
-
Ecco,
vedi? Sei più bello così. Guarda, ti dirò un’altra
cosa: tu sei uno che ha stile. Quel calcio, wow, non solo era fortissimo, ma
l’hai dato molto bene. Un movimento perfetto. Sul serio, tutto
sommato, se proprio dovevo prendere un calcio, mi ha fatto piacere
prenderlo da te.
Gli occhi di Sanji si illuminarono. Li sollevò e incontrò quelli verdi,
profondi, di Flea.
-
Da
me? Solo da me? Non avresti voluto prenderlo da nessun altro? – mormorò,
rapito.
-
Da
nessun altro. – confermò Flea, con sicurezza.
Il cuoco si rialzò, cancellò ogni traccia di pianto dal suo
volto e si risistemò la giacca nera, tornando ad essere un uomo con una certa
dignità. Nel frattempo, Flea aveva avuto
un’intuizione:
-
Ho
trovato! Perché non vieni tu, domani, al cantiere? Mio
padre non ti ha visto e quindi non avrà niente contro di te. Ti faccio vedere
un po’ l’isola, poi tu mi conduci qui alla nave e io vi preparo il legname che
serve. Che ne dici?
-
Giusto!
Facciamo così. – esclamò entusiasta Usopp – Ascolta, Sanji, ti spieghiamo tutto poi, ma
serve davvero il tuo aiuto. Sei disposto a fare come ha appena detto Flea, incontrarla da
solo domattina, visitare l’isola in
sua compagnia e poi tornare con lei
alla nave?
Dicesi “domanda retorica” una domanda che non necessiterebbe di alcuna risposta, in quanto tale risposta è
comunque tanto banale e scontata che persino un pollo con gravi disturbi
dell’apprendimento saprebbe prevederla con facilità.
-
Ma certo! – disse Sanji.
Per l’appunto.
-
Allora
è deciso. Segui la costa in quella direzione, e poco prima del muro che
delimita il Giardino vedrai una grande torre di legno
a picco sul mare. Non puoi sbagliarti, il cantiere è
lì. Ci vediamo domani mattina. Adesso vado a prendere mio padre e lo porto via
prima che riesca a vederti.
-
A
domani.
Pochi minuti dopo, grazie all’intervento di Flea, la battaglia in corso ebbe finalmente termine. Nami tornò dai suoi amici piuttosto
malconcia, zoppicante e con un chiodo che le spuntava da una gamba, ma
continuava a ripetere che andava tutto bene, di non preoccuparsi per lei. E finalmente, un po’ più sereni grazie alla speranza di
poter riparare la nave, i pirati tornarono sulla Going
Merry, mentre ormai il sole si abbassava sul mare e
scendeva la sera.
Nella sua cucina, il regno in cui nessun altro doveva
mettere piede, Sanji era abituato ad una confortevole
solitudine, che lo aiutava a immergersi nella giusta
condizione mentale per le sue creazioni. Oggi non era così. C’era, nella
stanza, intorno, aleggiante, qualcos’altro, una presenza di cui non riusciva a
sbarazzarsi. Era ovunque. Prese un coltello dal ciocco
apposito, un coltello di ottimo acciaio, dalla lama lucida e scintillante –
scintillante come i suoi occhi – e
dopo averlo soppesato si mise al tagliere, a sfoltire e pulire un cespo di
insalata – foglie verdi, rigogliose, come quelle che crescevano sui suoi rami – appena lavato, tanto che su
una foglia, proprio in punta, tremolava una gocciolina d’acqua – come quella
che era rimasta sulle sue labbra,
dopo che aveva preso un sorso da una borraccia. Lei era ovunque. Non è mica colpa mia, pensò Sanji,
è questa dannata cucina che non fa altro che parlarmi di lei. I sacchi di juta uguali alla sua camicetta, o l’orzo dello stesso
colore dei suoi capelli. Tutto
quanto, tutto non faceva altro che gridare un solo nome.
Flea.
Sanji si sedette, fermandosi, e si
premette la testa tra le mani. Era un’ossessione. Sinceramente, lo trovava
preoccupante. In una vita intera passata a pensare sempre alle donne, non gli
era mai capitato di pensarci così
sempre: e a una donna sola, poi. Provò a restare
perfettamente immobile, senza fare nulla, senza causare rumori. Immerso in un
silenzio perfetto.
Ma il silenzio gli ricordava così tanto
lei, quando taceva dopo aver detto
qualcosa di meraviglioso e prima di dire qualcos’altro di altrettanto
splendido!
Basta, non si poteva andare avanti così. Se
voleva cucinare, Sanji decise che aveva bisogno di
levarsi Flea dalla testa, almeno per il momento.
Aveva bisogno di qualcosa che fosse assolutamente
impossibile ricollegare a lei, qualcosa che deviasse i suoi pensieri. Aprì la
porta della cucina e si affacciò nel corridoio.
Zoro sonnecchiava in un angolo vicino.
-
Spadaccino!
– gridò – Dimmi qualcosa!
-
Che cosa? – mugugnò quello, socchiudendo un occhio.
-
Una
cosa qualunque!
-
Se
venissero srotolate, le tue sopracciglia coprirebbero
l’intera lunghezza del Grande Blu.
-
Grazie!
Finalmente libero dalla sua ossessione, Sanji
rientrò in cucina. Si rimise a tagliuzzare l’insalata, fischiettando
allegramente. Ora nel cespo di lattuga non vedeva più le foglie della bella
ragazza-albero: solo i capelli di un idiota.
-
Chi
mi lecca?
Il sonno di una persona con i poteri di un Frutto del
Diavolo che abbia avuto la disgrazia di cadere in mare
è profondo, senza sogni e simile alla morte. Svegliarsi da questo tipo di sonno
è un’esperienza molto spiacevole, fatta di nausea e lunghi momenti di
semi-incoscienza, e finché non si torna perfettamente in sé è difficile capire
cosa stia succedendo tutto intorno.
-
Chi
mi lecca? – borbottò di nuovo Luffy, rigirandosi.
Ricevette uno schiaffo in volto, che gli fece finalmente
aprire gli occhi. Vide la mano che lo aveva colpito svanire nel nulla.
-
Scusami,
capitano. – disse sorridendo Nico Robin – Ma ho creduto giusto svegliarti.
-
Ah,
sì, Robin. Ma chi mi lecca?
– chiese, tornando al dunque.
Abbassò gli occhi. Nel frattempo anche Chopper
si riprendeva, grazie alle energiche attenzioni di Robin.
Luffy
scosse le gambe, scacciando gli animali che gli stavano placidamente lappando
le piante dei piedi. Quelli scapparono via e si radunarono con i loro
simili. Ce n’erano una cinquantina, in tutto, in quella stanzetta piccola e
senza finestre in cui erano chiusi.
-
Sono
cani. – bisbigliò Chopper, ancora mezzo addormentato.
In effetti, si trattava di cani di piccola taglia
dall’aspetto truce, minuscoli bulldog ringhiosi e con le guance cascanti. Ma non era tutto.
-
Sono
cani col cappello! – esclamò Luffy, entusiasta.
Ogni bulldog portava, calcato in testa e tenuto da un
piccolo elastico, un cappello bianco. Un cappello bianco cilindrico, con la
tesa sul davanti, dalla forma ben nota, che faceva capire fin troppo
chiaramente di chi fosse la nave su cui si trovavano e che preoccupò molto Nico
Robin.
-
Sono
cani col cappello della Marina. – disse la donna.
Gli animali li circondarono e cominciarono a spingerli, lentamente ma con decisione, verso la porta della stanza che
si stava aprendo.
Secondo capitolo della fanfic – ancora manca un po’ d’azione, ma presto spero di
compensare XD. Un paio di notizie. Primo, il concorso “il Frutto del Destino”
si è concluso, ma è finito un po’ in una bolla di
sapone. Purtroppo, anche con proroghe e tutto il resto, a consegnare in tempo siamo stati solo io e un’altra concorrente, quindi non si è
fatta nemmeno una classifica. Pazienza. Poi una curiosità: tempo fa, dopo aver
già creato e definito per bene il personaggio di Flea,
ho provato a fare una ricerca su Google per il
termine “ragazza-albero”, tanto per sondare quanti e quali personaggi simili esistessero. Ed ho scoperto che non solo ce n’è un’infinità
(anche di immagini, alcune delle quali sono identiche
a come io mi immagino la mia eroina), ma esiste addirittura un sito in inglese
(basta cercare “tree girl” e si trova subito)
dedicato alle ragazze/ragazzi-albero, cioè a chi sente di amare la natura e gli
alberi tanto da sentirsi come uno di loro. La realtà non fa che superare la
fantasia, sembra XD.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e
commentato, a lale16, Smemo92, meg89, Bastet17 e un grazie
e un saluto particolari a Senboo (felice che ti sia
piaciuto Madera. Aspetta il prossimo capitolo per un nuovo personaggio
adattissimo alla tua galleria XD) e ad ayachan
(bentornata! E felicissimo che tu sia diventata una nakama… non
ci posso far nulla, ormai in me la passione per One Piece ha superato quella
per ogni altro manga. Non so se stai leggendo i capitoli spoiler,
ma con tutto quello che sta succedendo al momento, li attendo con trepidazione
sempre maggiore). Ciao a tutti, al prossimo capitolo!