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Autore: Astrid von Hardenberg    05/06/2015    1 recensioni
❝ Una notte, Ginevra decide di scappare dal Palazzo in cui abita, per ritrovare i suoi genitori e perché lo considera più un incubo e non solo una prigione.
Durante la fuga, in un momento di disperato bisogno, incontrerà il suo angelo con un'accompagnatrice e la porteranno al sicuro in una Villa che, per un po', diventerà il suo rifugio: lì, durante un ballo, avrà inizio tutto. ❞
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Juliet/Giulietta, Nuovo personaggio, Romeo Montague
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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~ Il Teatrino ~


Le tinte violacee del cielo serale portavano con loro un venticello fresco, si vedevano le giovani nobildonne avvolte nei loro scialli dai tessuti pregiati e dalle fantasie floreali, sembravano uscite da un quadro, gli eleganti gentiluomini passeggiavano impettiti nelle loro giacche a un petto, tutti quanti diretti verso le loro lussuose case, dove si sarebbero cambiati d'abito per la cena e in seguito avrebbero indossato altri capi più adatti per l'opera, o magari per i salotti di qualche nobile solo e annoiato.
Il venticello che soffiava sembrava una carezza delicata, setosi petali rosa volteggiavano per alcune vie, come una leggera pioggia, i bambini si divertivano a raccoglierli e le loro risate cristalline riecheggiavano come canti celestiali.
Anche lei, nel parco di quel lussuoso Palazzo, si divertiva a raccogliere i petali rosa pallido perché voleva portarli a casa e custodirli nel suo cofanetto di mogano, glielo aveva intagliato il giardiniere, un signore sulla cinquantina che dimostrava una decina di anni in più, la pelle olivastra per via delle ore passate sotto il sole, le rughe a segnargli il volto e le mani callose; le voleva bene lui, anche se non era istruito come un qualsiasi nobiluomo, sapeva tutto sui fiori, sulle piante e sugli alberi, le raccontava anche tante storie legate ad essi.
La fanciulla riaprì gli occhi e le gocce di pioggia di quel temporale l'avevano bagnata, il viso ancora rivolto verso il cielo, l'acconciatura quasi sfatta, le braccia nude sui fianchi, stare lì ferma (nello stesso parco di tantissimi anni fa) la faceva sentire libera e imprigionata al contempo.
Una voce lontana la chiamava.
I piedi nudi sull'erba fresca, le scarpe poggiate accuratamente sotto un albero, un lampo squarciò il cielo e la giovane si destò, guardandosi intorno.
Era quasi l'ora del tè anche se il cielo grigio rendeva tutto cupo, come se fosse l'ora della cena. A lei piaceva quell'atmosfera.
La voce si fece più vicina e aveva le sembianze di una delle tante domestiche del Palazzo, in mano teneva un grazioso ombrellino, che aprì per ripararla dall'incessante pioggia.
L'ultima arrivata disse alla fanciulla che doveva cambiarsi, gli invitati per l'ora del tè stavano arrivando.
Nella stanza della giovane, le portafinestre erano spalancate, le tende erano tirate e tenute ferme da un nastro in seta; la fanciulla andò dietro al séparé per svestirsi, l'abito e la sottoveste caddero a terra, quasi fradice, e, siccome non c'era tempo per un bagno caldo, la domestica le fece subito indossare l'abito adatto per quella occasione, poi le asciugò i lunghi capelli castano ramati con un asciugamano dai ricami floreali sui bordi (si notavano appena), strofinò per bene le ciocche finché le gocce che scivolavano dalle punte cessarono e i capelli restarono umidi.
La domestica pettinò la giovane accuratamente e le mise sul capo una fascetta con dei fiorellini, sembrava il dipinto di una principessa delle fate.
La fanciulla si guardò allo specchio, aria svanita, lo sguardo perso, l'espressione assente, era davvero lei la figura riflessa? Sì, si sarebbe riconosciuta tra mille altre: un corpo senz'anima.
Le mani bianche come la neve lisciarono il lungo abito color panna, il pizzo a mala pena visibile, poi si diresse verso la porta, aspettando che la domestica l'aprisse, e uscì, diretta nel salone dove avrebbe recitato la sua solita parte.
Stesso rituale tutti i giorni: cambiarsi, acconciarsi i capelli, attraversare il lungo corridoio, scendere le scale e camminare fino al salone, che pareva sempre più un circo composto da nobili, anzi era un teatro dove tutti erano marionette di qualcuno.
Ad attenderla c'erano le solite maschere spacciate per volti amichevoli.
Soliti convenevoli, qualche parola di circostanza e la falsità si poteva toccare.
La giovane prese posto, anche quello il solito, e lo spettacolo ebbe inizio. Osservava come quei burattini, o attori da quattro soldi, recitavano la loro piccola parte, erano bravi, doveva ammetterlo, d'altra parte avevano alle spalle anni di esperienza, ma solo un occhio attento notava la finzione; lei aveva passato molto tempo tra loro, ci era nata, li aveva studiati e sapeva come comportarsi in loro presenza.
Le signore sorseggiavano il tè e per quanto potessero apparire fini ed eleganti, l'unica dotata di grazia era la giovane dall'aspetto fatato, sollevava la tazza con delicatezza e la portava alle labbra, morbide come seta e piene come un frutto succoso. Com'era possibile che una fanciulla potesse essere così aggraziata? I più dicevano che sua madre era una strega e l'aveva concepita grazie a un patto col Maligno, però era risaputo che molti aprivano bocca solo per darle fiato, l'invidia era un veleno che consumava lentamente e l'ignoranza una gabbia per la mente.
La giovane sapeva di essere osservata e questo la compiaceva, la gelosia e l'invidia degli altri la solleticavano e la spingevano a farsi notare ulteriormente.
Il chiacchiericcio faceva da sottofondo, le parole si disperdevano nell'aria, lei non le ascoltava con il dovuto interesse, le arrivavano dei frammenti, l'unica cosa a cui pensava era a quando sarebbe finita quella farsa, fosse stato per lei non vi avrebbe nemmeno preso parte.
Poggiò la tazzina sul piattino, prese il tovagliolo e lo premette delicatamente sulle labbra.
L'uomo elegante seduto a capotavola guardava la fanciulla, come se con lo sguardo potesse controllarla, invece l'interessata lo ignorava di proposito, per tutta la durata di quell'incontro non gli rivolse nemmeno un'occhiata fugace, proprio niente, lui (per lei) non esisteva.
A invito concluso si salutarono tutti quanti e lei tornò nelle sue stanze, per quanto tempo ancora doveva essere schiava di quell'apparenza?
E così un altro giorno, come tanti altri, terminò.
Stesa nel suo letto, con tende traslucide a ornarlo e celarlo, chiuse gli occhi e immaginò come sarebbe stata la sua vita lontana da quel Palazzo, le si presentarono diversi scenari e lei li guardò uno a uno, ma nessuno sembrava piacerle: era prigioniera di una realtà spietata che non lasciava scampo.
A differenza di tante altre persone, a lei bastava chiedere per avere, molto semplice, nessuno sforzo, chiunque avrebbe voluto essere al suo posto, però non sapevano che il prezzo da pagare era alto, troppo alto, ogni capriccio esaudito in cambio di una parte di se stessi, della propria vita; le era stata strappata la voglia di vivere, dentro di lei sembrava annidarsi l'apatia.
Anche quella notte i pensieri le avevano rubato il sonno e, come tante altre volte, la porta si aprì: l'uomo che pretendeva controllarla si coricò di fianco a lei, convinto che la giovane stesse dormendo, e iniziò ad accarezzarle dapprima i capelli e poi, lentamente, il profilo di tutta la figura.



NdA
Finalmente, dopo secoli di assenza, riesco a mettere questo primo capitolo fresco di revisione (si fa per dire, perché ce l'ho pronto da mesi).
Fa un certo effetto ritornare qui, dove tutto ha avuto inizio; questa storia è cresciuta insieme a me, ci tengo così tanto che mi è dispiaciuto metterla in pausa per tutti questi anni.
Grazie per aver letto il capitolo 🙏🏻 e spero di ritrovarti nel prossimo 💫
   
 
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