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Autore: Tota22    07/06/2015    2 recensioni
Una panchina verde e scrostata in un parco giochi di periferia testimonia l'incontro tra due sconosciuti. Nonostante abbiano in comune ben poco, i due ragazzi si ritrovano a intraprendere un viaggio che ha come complice la notte. Il sorgere del sole è il traguardo della gara, la sfida è vivere come se fosse l'ultima notte sotto il tetto del mondo. Sarà l'alba a decidere se sciogliere o saldare per sempre un legame inaspettato.
[Momentaneamente sospesa]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1

Malintesi e sigarette

Al

 
- Ehi amico, ce l'hai una sigaretta anche per me? -

Al  ebbe un sussulto e si mosse dalla sua posizione, i sensi all'erta. Quella voce estranea aveva avuto il potere di spezzare l'incantesimo del suo rito serale. Come unghie sulla lavagna, l'intrusione a tradimento nella sua tregua personale non predisponeva l'animo ad assecondare la richiesta dello sconosciuto. Per un attimo, chiudendo gli occhi, valutò se ignorarlo rudemente.

Alla fine decise di piegarsi alle buone leggi di civiltà, arrendendosi al fatto che ormai quell'intimo e breve istante era stato strappato via, e mosse appena il collo per scrutare il disturbatore della sua quiete.

Dopo un po' di difficoltà dovuta alla sua posizione orizzontale e al buio, scorse la figura di un ragazzo, più o meno della sua età che la guardava nervoso, corrucciato. Il suo viso era stropicciato in una smorfia di attesa, come pervaso da una certa urgenza.

A quanto pare aveva proprio bisogno di quella sigaretta.

Al si tirò a sedere dritta, circospetta, lasciando un po' di spazio alla sua destra affinché lo sconosciuto potesse sedersi se avesse voluto. Estrasse da una tasca dei jeans il proprio pacchetto di morte tascabile, come le piaceva chiamarlo e lo offrì a chi lo chiedeva, allungando con l'altra mano l'accendino, senza toccare quella del suo interlocutore.

Non le piaceva il contatto fisico, in genere anche quello verbale, a meno che non fosse strettamente necessario.

 Anzi si stupiva di non aver sentito il ragazzo avvicinarsi, di solito era particolarmente attenta ad evitare interazioni gratuite. La sua misantropia era tale che sempre, appena si fermava in un posto, tendeva a localizzare la via d'uscita più prossima alla sua posizione per sfuggire a eventuali incontri indesiderati. Tuttavia a pelle, il suo "ospite " non sembrava malintenzionato e sarebbe stato scortese rifiutargli una cosa così piccola.

- Serviti pure - lo apostrofò con voce atona.

Ottenne come risposta un "Grazie amico" zuppo di sollievo.

Al notò che era la seconda volta che lo sconosciuto la chiamava "Amico", constatò dunque di essere stata scambiata per un ragazzo. Di nuovo.

Non era estranea a questo tipo di malintesi.

Tuttavia riteneva che fosse più seccante correggere il suo interlocutore di turno e testimoniare l'ennesima espressione stupita e derisoria sulla sua  faccia, piuttosto che lasciarlo nella sua convinzione. Era da anni ormai che Al aveva abbandonato qualsiasi traccia di femminilità, che già la natura si era premunita di fornirle in minima parte.

Troppo alta, sgraziata, capelli crespi sempre tagliati corti, appena un accenno di seno e fianchi dritti, Al non faceva fatica a nascondere le proprie poche forme con magliette maschili e jeans.
Debolezza e disagio erano associate perennemente al suo modo di rapportarsi con il proprio corpo, nasconderlo era la soluzione per gestire il rifiuto verso di esso.

Era più facile così per lei aggirare il problema, occultarlo, dimenticarlo sotto strati di vestiti slargati.
Fondamentalmente le piaceva poter girare con tranquillità sotto le vesti di ragazzo, non riceveva apprezzamenti o attenzioni indesiderate, se necessario era più facile per lei rapportarsi con i clienti o i fornitori a lavoro. Tutto sommato quel malinteso le procurava più vantaggi che fastidi, fomentando il lato del suo carattere più schivo e riservato. Inoltre non le andava tanto di puntualizzare a quale sesso appartenesse con perfetti sconosciuti che non avrebbe probabilmente più rivisto in vita sua. Né diventare aneddoto di conversazione e risate del suddetto sconosciuto con i suoi amici, conoscenti o chicchessia.

Intanto il ragazzo, dopo un po' di titubanza, si era seduto a fianco ad Al. Anch'egli, dopo aver fatto lavorare l'accendino, si dedicò una boccata generosa.

Le sue sopracciglia castane si distesero istantaneamente, mentre passava la mano libera dalla sigaretta sulle cosce, come a volerle massaggiare su e giù attraverso la stoffa dei suoi pantaloni, che la ragazza al suo fianco giudicò dalla foggia e dal materiale piuttosto costosi.

Scoccandogli un'occhiata veloce, Al si rese conto che era un soggetto alquanto fuori luogo in quel parchetto sgangherato di periferia. La camicia, una volta stirata alla perfezione e ora aperta leggermente sul collo e tirata fuori dai pantaloni,  l'orologio sportivo e le sneakers ultimo modello urlavano ai quattro venti "figlio di papà".

Al si obbligò a non farsi domande, dopotutto non erano fatti suoi se quell'esemplare di ragazzo di città era lì, e riprese ad aspirare fumo cattivo chiudendo gli occhi.

Tuttavia, nonostante la posizione più rilassata, nei due minuti di sigaretta il vicino di panchina di Al continuò a muovere ossessivamente una gamba, picchiando il tallone sulla terra polverosa. Per quanto tentasse di ignorarlo, questo gesto spasmodico suscitava nella ragazza un senso di ansia riflessa.

Non accennava a smettere.

Stomp stomp stomp, la perfetta scarpa bianca affondava nella terra secca e rossastra alzando deboli volute di polvere. Stomp stomp stomp, le luci dei palazzi erano quasi tutte spente, l'unico suono nell'aria fresca era il battere cadenzato della suola nel fango inaridito. Stomp stomp stomp.

Quando la frequenza di battito del piede sembrò aumentare ad un passo insostenibile, Al non riuscì più a tollerarlo. Presa dalla stizza si lasciò sfuggire un commento esasperato:

- Per caso hai la sindrome della gamba senza riposo? -

Il ragazzo si pietrificò. Girò lentamente la testa per rivolgerle uno sguardo interrogativo, solo dopo essersi fissato la gamba... ormai arrestata.

- Come scusa? -

- Non so... soffri di spasmi muscolari? - continuò imperterrita Al con voce piatta, inesorabile, senza guardare il compagno di panchina.

Lui invece si era irrigidito e aveva trattenuto un suono strozzato che era nato sul fondo della gola. Forse non si aspettava che gli fosse stata rivolta la parola in quel modo così brusco o sentirsi porre domande senza senso apparente.

- No sto benissimo, solo un po' nervoso! -

Non sembrava molto convinto. La voce comunicava disagio e irrequietezza, istigati dall'interrogatorio indesiderato.

Al invece, dal momento che nel suo animo il fastidio stava lasciando il posto a un'insolita curiosità, si girò a guardarlo incontrando un paio di occhi castani, smarriti, incastonati in un viso regolare ed estremamente piacevole alla vista ( cosa che la ragazza non mancò di notare con una punta di invidia).
Al si accorse anche del suo sguardo stanco e dello spreco della bellezza di quei lineamenti, sporcata da un'inspiegabile espressione di puro terrore... stagnante nelle iridi nocciola, nella piega della bocca, nelle grinze innaturali che in quel momento gli adornavano la fronte.

Al si addolcì leggermente a quella vista, ma  la sua lingua tagliente e il suo spirito scorbutico la indussero a continuare imperterrita:

- Allora dato che non è nulla di patologico o incontrollabile, potresti smettere di tremare? -

- Oh, certo, scusami.. - lui abbassò la testa, tornando a fissarsi la gamba ora immota, curvando le spalle. Sconfitto.

- Grazie. -

Soddisfatta del risultato, Al allungò la schiena sulla panchina e tornò a fissare il cielo.

Un minuto di silenzio si dilatò tra loro come un oceano di vapore. Al accese la seconda sigaretta contro i suoi principi, un po' perché ne sentiva il bisogno dato che il piacere della sua prima era stato interrotto dall'arrivo del passante nevrotico; un po' perché la presenza di "piede tremante" al suo fianco non le dispiaceva del tutto.

Era come se ormai, per due minuti, il ragazzo avesse invaso la sua bolla di spazio e a quel punto avrebbero dovuto condividerla almeno per un'altra sigaretta.
Per quanto fosse stata scorbutica, Al aveva intuito che forse anche a lui facesse piacere prolungare quel gesto stranamente simbiotico, quasi volesse aggrapparsi a quel contatto fumoso.
L'aveva letto nei suoi occhi accesi dalla paura... forse dopo il suo rimbrotto anche da risentimento, rabbia dei quali avrebbe voluto conoscere le radici più profonde e oscure. Voleva viaggiare come un archeologo, persa nei recessi della piramide di dolore di quello sconosciuto, per svelarne l'arché, la causa prima della sofferenza.

Di solito Al non si interessava alla gente, ma quella sera forse il suo umore  o il misterioso coinquilino di panchina le istigavano un senso di curiosità del tutto nuovo. Un'inspiegabile voglia di contatto. Non dovette attendere molto.

- In realtà ti ho detto una bugia - bisbigliò lui all'improvviso.



 
N/a
Dietro prezioso consiglio, ho sistemato alcuni punti di questo capitolo e corretto, credo, tutti gli errori di battitura. Spero che le modifiche rendano la lettura più piacevole. Se vedete qualche errore qua e là non esitate a farmelo notare. Grazie di cuore a tutti i lettori e a coloro che hanno recensito! A presto!
  
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