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Autore: Horse_    07/06/2015    15 recensioni
Sono passati quasi sette anni dall'ultima stagione di The Vampire Diaries, precisamente la settima. Ogni attore ha intrapreso la propria via da percorrere, cercando di vivere al meglio la propria vita, così come hanno fatto Ian e Nina.
Ian si è sposato con Nikki Reed, storica attrice di Twilight, mentre di Nina si sono perse le tracce. Nina, in realtà, ha proprio voluto sparire dal mondo che l'aveva aiutata a diventare famosa e ben amata da tutti perchè si porta dietro un segreto troppo importante da proteggere. Due bambini con gli occhi azzurri come il mare da tenere al sicuro da chi non li vuole e non si è mai interessato a loro.
Le cose tra Ian e Nikki, intanto, vanno sempre peggio e sono più i giorni in cui litigano che quelli in cui sono felici.
La ripresa dell'ottava stagione porterà tanti guai e a galla cose non dette, ma forse aiuterà due persone che si amano ancora alla follia a ritrovarsi dopo tanto -troppo- tempo.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice Accola, Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Paul Wesley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                 Anger.


Eighteenth Chapter.



Pov Nina.

Ian mi guarda e se possibile spalanca ancora di più la bocca di quanto non l’avesse prima. Non parla, rimane fermo, immobile. Sto iniziando a preoccuparmi, ma capisco che ha ancora l’uso delle gambe quando queste cedono e sarebbe caduto a terra se non fosse stato per l’albero dietro di lui che ora lo sorregge.
E’ diventato bianco in volto e boccheggia, senza dire una parola, e io rimango così, immobile e zitta. Che altro dovrei dire?
Quello che dovevo dire l’ho detto e anche se dovrei prendere in mano la situazione non ci riesco perché lui rende tutto più difficile. Gliel’ho detto perché effettivamente meritava di sapere, ma non mi aspetto niente da lui, volevo solo che lo sapesse e a quanto pare non è pronto nemmeno a prendersi le proprie responsabilità.
Sa benissimo che un figlio si fa in due, ma in questo caso sembra proprio non arrivarci.
Questa situazione mi sta innervosendo più del dovuto e decido di parlare per prima, per farlo riprendere.
 

Ian.”- lo chiamo pregando che mi risponda, che mi dica qualcosa.

 
Ho bisogno di sentire qualcosa fuoriuscire dalla sua bocca, qualsiasi cosa.
Alza la testa di scatto, rendendosi conto di quello che gli ho detto e si riprende momentaneamente dallo stato di trance in cui era caduto e mi fissa. I suoi occhi diventano di ghiaccio ed impenetrabili. Oserei dire colpiti anche da una furia omicida, per questo mi allontano da qualche passo.

 
“Dimmi che è uno scherzo Nina, dimmi che non è vero…”- biascica.

 
Capisco perfettamente come si sente –o almeno in parte– ma non può pretendere che questo sia uno scherzo, perché non mi azzarderei mai a dire una cosa del genere, non adesso. Ho mentito per lungo tempo, sono stufa di farlo, ma mi aspettavo che reagisse… Meglio.
Abbasso lo sguardo, non riuscendo più a sostenere quegli occhi freddi che mi fanno male –ma in questo momento non sono preoccupata per me, sono preoccupata per i miei figli.

 
“Non è uno scherzo, io… Tu sei il loro padre.”- gli dico piano, facendogli assimilare le parole.

 
Ian mi fissa gelato, non urla, non si muove, mi fissa solo, mentre lo vedo stringere i pugni e il respiro farsi più accelerato. Non urla ora, ma lo farà tra poco, perché è così. Si tiene tutto dentro fino a scoppiare, e queste volta non andrà a finire bene. Quasi fa male l’impatto che ho contro il tronco e il suo corpo che mi spinge contro l’albero non facendomi nemmeno muovere –mi trovo in gabbia, peggio di prima. Le sue mani sono ai lati della mia testa e io tremo perché non l’ho mai visto più arrabbiato di così, sembra quasi un’altra persona e se prima ero sicura che non mi avrebbe mai picchiato ogni mia certezza cade sentendo –percependo– la forza con cui si sta controllando, ma potrebbe cedere da un momento all’altro e per me sarebbe la fine.
Ora non gli importa nemmeno che io sono la madre dei suoi figli.

 
“Come… Come hai potuto dirmelo solo ora?”- urla e ringrazio il cielo di essere da soli, altrimenti sarebbe stata la fine.

 
E io non so cosa dirgli, non so nemmeno da che parte cominciare e come scusarmi –so che è praticamente impossibile scusare il mio comportamento, ma io l’ho cercato per tutti questi sette anni, ma non l’ho mai trovato.
E vorrei dirglielo, vorrei urlarglielo in faccia, ma non ci riesco.

 
“Io… Non lo so…”- mormoro con la voce rotta.
“Non lo sai?”- urla più forte di prima e lo sento quasi stritolare il mio polso. Fa male, ma potrebbe fare anche di peggio. –“Mi hai nascosto i miei figli per sei anni della loro vita! Sei!”
“Ti ho cercato, io l’ho fatto e tu… Tu non c’eri…”- mormoro sperando che in qualche modo capisca, che comprenda.

 
Ma lui evidentemente è troppo ferito per comprendere anche le mie ragioni e non vuole ascoltarne nessuna. Ma come faccio a fargli capire che questa è la verità? Non so minimamente dove sia stato in questi sette anni, nessuno l’ha mai saputo, nemmeno Paul.
Come… Come potevo rintracciarlo se non avevo nessun collegamento nemmeno con la sua famiglia?

 
“Che razza di madre sei, Nina?”- mi domanda rabbioso, con tono tagliente. –“Che razza di madre nasconderebbe i propri figli al loro padre?”

 
E questa è peggio di una pugnalata al cuore. Ho cercato di essere una buona madre per loro, ho cercato con tutte le mie forze di essere migliore e di dargli tutto quello di cui avevano bisogno, non facendogli mai mancare nulla, ma questo… Questo è troppo.
Non sarò una brava madre io, ma nemmeno lui è l’esempio perfetto! Mi ha lasciata da sola, incinta al secondo mese, sparendo nel nulla e ricompare dopo sette anni con la sola voglia di giudicarmi. Capisco che è arrabbiato –anzi, lo è molto di più– ma non può criticare il fatto di non essere una brava madre, perché io ci sono sempre stata per loro, a differenza sua. Certo, lui non sapeva della loro esistenza, ma perché se n’è andato –sparito (o meglio evaporato) è il termine corretto– senza lasciare nessuna traccia e senza darmi la possibilità di spiegarli, di telefonargli. Non avrei mai preteso che si rimettesse insieme a me, perché sarei stata la prima a dirgli di no, ma avrei voluto che ci fosse stato per i suoi figli, alla loro nascita, al loro primo bagnetto, al loro primo dentino, alla loro prima parola e al loro primo passo.
Si è perso tutto di loro e so che è colpa mia, ma in parte è anche sua, perché è scappato per paura che la sua tanto adorata moglie venisse a sapere di noi e codardo com’è ha preferito la fuga.

 
“E tu… Tu che razza di padre sei?”- sputo fuori con rabbia divincolandomi dalla sua presa ferrea.

 
Il polso mi fa male, ma ora non devo pensarci, perché ho altre questioni irrisolte di cui parlare.
Ian, colpito dalle mie parole –e vedendo che sono arrabbiata quasi, se non di più, quanto lui– indietreggia leggermente e finalmente posso guardarlo negli occhi e urlargli in faccia tutta la mia frustrazione.

 
“Pensi che non te l’abbia detto perché volevo tenerli per me e per farti un dispetto?”- domando quasi ironica mentre chiudo le mani a pugno stringendo le dita fino a farmi male.

 
Preferirei che le mie mani si schiantassero contro la sua faccia, ma tento di tenere un comportamento maturo e quasi civile –anche se non si può essere mai civili con lui.

 
“Cosa credi che fossi venuta a fare quella sera*?”- gli domando e vedo la sua rabbia sbollire un po’ lasciando posto al dubbio. –“Certamente non volevo ritornare con te. Ero venuta a dirtelo, sai? Ma non mi hai lasciato nemmeno il tempo di spiegare.”

 
Rimane colpito dalle mie parole e forse anche ferito, ma non mi importa. Non sto pretendendo di avere ragione, perché non ce l’ho, sto solo cercando di far valere anche la mia parola. Alza gli occhi di nuovo su di me e questa volta sono meno arrabbiati, sono più in colpa, anche se so perfettamente che tutta la rabbia che ha non l’ha ancora sbollita del tutto.
Fa per aprire la bocca, per dire qualcosa, ma lo blocco alzando un braccio.

 
“Non dire che avrei potuto dirtelo, perché non ne ho avuto l’occasione.”- gli dico. La mia voce trema e i miei occhi si riempiono di lacrime, ma non posso dargli la soddisfazione di piangere e di mostrarmi debole ai suoi occhi. –“Mi fidavo di te, Ian, e se avevi fatto la tua scelta potevi dirmelo senza rovinare tutto quello che avevamo avuto. Io ti amavo, Ian, e ti avrei lasciato andare. Non ti avrei mai tolto la possibilità di rimanere con i tuoi figli, perché loro non hanno nessuna colpa di quello che è successo tra di noi. Li avresti visti crescere se solo tu non fossi sparito nel nulla e ora potrai pure urlarmi contro, ma sai che è così.”

 
Ian abbassa il capo, abbattuto dalle mie parole e analizzando finalmente quello che è accaduto davvero e per la prima volta, penso, che non si abbia pensato perno e vittima della situazione. Perché abbiamo sbagliato in due, non solo io, e di questo non farò che pentirmene per il resto della mia vita.

 
“Ho sbagliato, e mi dispiace.”- mormora alzando lo sguardo e incontrando i miei occhi. Posso vedere anche io i suoi occhi lucidi e distrutti, così proprio come i miei. –“Mi dispiace di essermene andato senza averti prima lasciato la possibilità di spiegare, di dirmi cos’era successo e non me lo perdonerò mai. Ma non posso perdonarti per quello che hai fatto, non potrò mai.”
Non potrò perdonarti neanche io.”- gli rispondo abbassando lo sguardo e mordendomi le labbra fino a farmi male.

 
Se ne va così, lasciandomi sola in mezzo agli alberi del sentiero di Villa Salvatore, mentre anche un altro pezzo del mio cuore va a pezzi.
Do sfogo alle lacrime e mi lascio andare a terra nascondendo il volto tra le ginocchia.
Che disastro.
 
















 

                                                          * * *
 


















Sono due giorni che non esco di casa –o meglio, dal letto. Non ho la forza nemmeno per camminare ed andare in cucina, neanche per alzarmi e mangiare. Sono due giorni che ricevo telefonate da centinaia di persone, ma l’unica con cui voglia ancora parlare è solo Candice che è anche l’unica che sa di questa cosa.
Fa male, male da morire e non riesco a pensare a niente. Se n’è andato e non ritornerà mai più; me l’ha detto ieri Candice, è sparito da Atlanta con la sua futura moglie e non vi farà più ritorno, almeno per ora. Io sono qui, a letto, con in grembo il figlio di un uomo che si è preso gioco di me e che per codardia se n’è andato.
Che futuro potrò dare a mio figlio? Come potrà crescere senza un padre? Che cosa ne sarà della piccola creatura che porto in grembo?
Sono costretta a scacciare via questi pensieri perché un crampo mi colpisce alla pancia così forte che non riesco nemmeno a reprimere un urlo. Sento qualcosa tra le gambe e il mio cuore inizia a galoppare veloce mentre inizio a tremare… Che cosa sta succedendo? Scosto appena in tempo le coperte per scontrarmi con una macchia di sangue sotto le mie gambe che si sta ampliando a dismisura. Il respiro diventa affannoso e per un attimo non so nemmeno cosa fare, chi chiamare. Sono da sola. Mi porto le mani al ventre e il dolore sembra non voler sparire, mentre tutto inizia a farsi più scuro, non posso svenire, devo salvare il mio bambino. Con l’ultimo barlume di lucidità che mi rimane riesco a comporre il numero di Candice e a far partire la chiamata e fortunatamente quest’ultima non ci mette molto a rispondermi.
 

-Candice…- la mia voce trema e non riesco quasi a parlare.
 

La mia amica bionda capisce subito che c’è qualcosa che non va e me lo domanda e posso percepire la sua ansia.
 

-Il bambino Candice… Io… C’è del sangue…- balbetto ed inizio a singhiozzare con la poca forza che mi rimane.
-Sto arrivando Nina, andrà tutto bene. Non addormentarti, promettimelo.-
 

Vorrei risponderle, ma le palpebre si fanno ancora più pesanti mentre il dolore alla pancia continua imperterrito. Sento Candice urlare qualcosa, poi il buio.
 

Apro piano le palpebre e, ancora dolorante, mi scontro contro la luce che proviene dalla finestra. Ci sono delle tende bianche e… Le tende di camera mia non sono bianche. Faccio per alzarmi, quando una fitta alla testa me lo impedisce, così come una voce femminile al mio fianco.
 

“Non alzarti, devi riposare.”
 

Riconosco essere la voce di Candice e mi volto di lato, accorgendomi solo in un secondo momento di essere in ospedale e di avere tre aghi che mi bucano la pelle e altrettante macchine collegate al mio corpo. Se io sono qui questo vuol dire… Il mio bambino. Mi porto subito le mani al ventre e inizio a tremare.
Candice mi prende una mano e mi sorride, rassicurante.
Perché sorride?
 

“Sta bene, state entrambi bene.”- mi spiega cercando di rassicurarmi.
 

Scuoto la testa e la guardo negli occhi. E’ impossibile… C’era tanto sangue e io… La pancia… Il mio bambino…
 

“C’era del sangue e”
 

Candice mi blocca prima che io possa continuare.
 

“Hai avuto un principio di aborto spontaneo, ma sono arrivata in tempo e i medici hanno fatto il resto.”- mi spiega e tiro un sospiro di sollievo sapendo che non potrebbe mai mentirmi su questo. I miei nervi si rilassano e mi sento più libera. –“Avete rischiato grosso, entrambi, ma a quanto pare questo bambino vuole sopravvivere. Mi hai fatto spaventare a morte, Nina.”
 

Abbasso la testa colpevole e mi accarezzo piano la pancia. Questo bambino deve venire ancora al mondo eppure ha già imparato a lottare.
Sorrido, inconsciamente.
 

“Mi dispiace, Candice, io non volevo.”- le rispondo pacata. –“Non volevo, davvero…”
 

Candice si alza e mi abbraccia, tenendomi stretta a se.
 

“Lo so che non volevi, ma non farlo mai più, va bene?”- mi domanda con la voce che trema.
“Promesso.”- sorrido tra i suoi capelli.
“Tra poco arriverà una dottoressa e ti spiegherà meglio lei, mi ha anche detto che potrai fare un’ecografia per stare più sicura. Dovresti dirlo anche ai tuoi genitori.”- mi fa notare.
“Lo farò.”- le sorrido. –“Puoi rimanere qui con me? Sai, non credo di potercela fare da sola…”
“E me lo domandi?”- mi risponde ridendo. –“Certo che rimango, non posso perdermi mio nipote!”
 

Non so cosa farei senza Candice.
 
 





 
 
Non so dopo quanto tempo mi alzo dalla terra umida del vialetto e mi avvio verso lo studio, fatto sta che sicuramente è passata più di un’ora e non mi sento più le guance per il freddo. Molte macchine sono andate via, così come la sua. Perfetto… Oltre ad avercela con me non vuole conoscere i suoi figli, ma dovevo aspettarmelo.
Entro dentro lo studio e non appena Candice mi vede chiude la telefonata e mi viene incontro.
 

“Credevo che fossi morta!”- sbraita.
 

Sono stufa di sentire gente urlarmi contro oggi e Candice sembra capirlo perché addolcisce lo sguardo e mi abbraccia. Anche Paul, apparso dal nulla, ci viene incontro e posso leggere la stessa preoccupazione che aveva Candice nel suo volto.
 

“Ti abbiamo cercato ovunque, Nina.”- mi riprende con fare bonario.
“Mi dispiace, io…”- mi guardo attorno. –“Dove sono i gemelli?”
“Sono con Kat e Julie e hanno appena finito di bere il the con i biscotti.”- mi sorride Paul comprensivo.
 

Candice intanto non si stacca da me e so che è in attesa di una spiegazione.
 

“Com’è andata?”- mi domanda piano, come per paura di offendermi.
“Preferirei… Non parlarne…”- mormoro abbassando lo sguardo.
 

Paul e Candice non fanno domande e mi lasciano passare così che io possa andare a prendere i gemelli e portarli a casa.
Non appena entro nella sala relax mi vengono subito incontro e mi abbracciano ed iniziano a parlare raccontandomi di tutto quello che hanno fatto e di quanto si siano divertiti. Sono contenta che almeno loro, oggi, siano felici e mi basta questo.
 

“Forza, andiamo a casa.”- dico loro stampandomi un sorriso in faccia.
 



















                                                      * * *
 

















Finisco di asciugare i capelli anche di Joseph e noto che sono già le 10.47 pm, decisamente troppo tardi rispetto all’orario in cui di solito vanno a letto. Aiuto Stefan ad infilarsi la maglietta che per il troppo sonno era convinto di potersela mettere storta e li accompagno a letto. Rimbocco ad entrambi le coperte e gli schiocco un bacio sulla fronte augurandogli la buonanotte –così io potrò andare a farmi una doccia.
Faccio per andarmene, ma mi obbligano a fermarmi.
 

“Mamma”- sento una vocina chiamarmi e mi volto, trovando entrambi seduti sui loro letti. –“Perché sei triste?”
“La mamma non è triste piccoli, è solo stanca.”- spiego loro avvicinandomi e sedendomi sul letto di Stefan che comunque è vicino anche a quello di Joseph.
“E perché prima piangevi?”- mi domanda Stefan.
“La mamma non stava piangendo.”- gli dico cercando di sorridere.
“Però sei triste.”- continua Joseph. –“Non ci hai sgridato per aver allagato il bagno.”
“Hai litigato con Ian?”- mi domanda Stefan e mi volto a guardarlo spalancando gli occhi. –“Zia Candice ha detto che se n’è andato via arrabbiato.”
 

Accarezzo loro piano la testa e li coccolo un po’.
 

“Tra adulti capita di litigare, ma dopo passa.”- spiego loro. –“Ci vorrà un po’ di tempo e un po’ vi invidio, sapete? Voi bambini riuscite a perdonarvi molto più in fretta.”
“Mamma farete pace anche voi!”- mi dice Stefan. –“Ma perché avete litigato?”
“Sciocchezze.”- rispondo. –“Forza, ora andate a letto.”
 

Li saluto ancora una volta e dopo avermi detto entrambi “Ti voglio bene” si tranquillizzano un po’.
Passo mezz’ora sotto la doccia e dopo essermi accertata che entrambi abbiano preso sonno mi dirigo in cucina per mangiare qualcosa, anche se effettivamente ho lo stomaco chiuso.
Do da mangiare a Spike e mi verso in bicchiere di aranciata quando sento qualcuno suonare alla porta.
Chi può essere a quest’ora di notte?
Mi avvio cauta verso l’ingresso e guardo prima dallo spioncino in modo da non far entrare sconosciuti, ma quello che vedo mi spiazza.
Ian.
Che cosa ci fa qui?
Mi trovo costretta ad aprirgli visto che è palese che io sia qui e gli chiederò solo in un secondo momento come abbia fatto a trovarmi e a sapere che questa sia casa mia.
Apro piano la porta e lo vedo grattarsi imbarazzato i capelli. Sembra quasi un’altra persona.
 

Possiamo parlare?”
 
 
 
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*intendo quella del flashback che potete trovare nel capitolo otto, Pain, nella parte finale.
 
Sono tornata relativamente presto perché mi sentivo vogliosa –posso dire così? xD- di farvi sapere come andava a finire e perché sono troppo contenta delle tante visite e recensioni che l’altro capitolo, così come quello prima, ha ricevuto.
Prometto, e queste volta lo faccio davvero, di rispondere, ma oggi non ho avuto tempo visto che sono andata in spiaggia con delle amiche –mi sono beccata anche una solana, ma vabbeh u.u
E’ stato un capitolo un po’ particolare da scrivere, non ero mai soddisfatta di nulla, spero che a voi sia piaciuto e che possa andare bene così, visto che praticamente è il capitolo più importante.
Si potrebbe suddividere sostanzialmente in tre parti:
-La reazione di Ian non è stata delle migliori e prima di preoccuparsi dei bambini attacca Nina e… Non è un comportamento corretto, ma capiremo nel prossimo capitolo perché si è comportato così, certo che comunque non perdonerà Nina tanto facilmente, così come lei non perdonerà Ian per un bel po’.
Voglio chiarire alcune cose che mi sono state chieste proprio in questo proposito: Paul non sapeva niente dei bambini e, come avrete capito, Ian per sette anni è stato praticamente introvabile e fidatevi… Se uno non vuole essere trovato non viene trovato :’)
Nessuno del cast lo sapeva, nemmeno Paul.
-Il flashback. Potrebbe sembrare che io lo abbia aggiunto a caso, in realtà volevo farvi capire come Nina ha affrontato il dopo, cioè dopo quella notte dell’abbandono e beh… Non è andata nel migliore dei modi visto che ha rischiato di perdere il bambino (non sapeva ancora che fossero due visto che al secondo mese è ancora relativamente presto!).
-Ian, per qualche oscura ragione, si è presentato a casa di Nina e chiarirò nel prossimo capitolo chi ha spifferato l’indirizzo e altre informazioni (no, non è Paul u.u).
 
Alla prossima <3
  
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