Flynn si era
risvegliato sulla bellissima e calda spiaggia bianca che già in passato aveva
visitato durante una visione; questa volta, però, non c’era Judson
a far volare un aquilone, non c’era nessuno.
L’uomo
si guardò attorno, chiedendosi che cosa avrebbe dovuto fare, tuttavia non
vedeva altro che sabbia e mare. Si sentì parecchio tentato di rimanere sdraiato
sulla spiaggia e non far nulla. Effettivamente, perché muoversi sempre? Quando
già si sa che cosa fare, è giusto non perdere tempo ed agire, ma quando la
situazione è tranquilla, perché complicarla? Perché agitarsi ed affannarsi di
continuo? Perché rincorrere anche il nulla?
Flynn aveva sempre
qualcosa da fare: combattere, studiare, recuperare artefatti, studiare ancora e
poi sempre così in una ruota continua di azioni. Non riposava mai, non aveva
mai un attimo per sé stesso. Beh, no, non era proprio così; del tempo libero
lui lo aveva, solo che lo investiva tutto in studio. In fondo, che altro
avrebbe potuto fare? Gli piaceva imparare e aveva così tanti argomenti nella
sua lista delle cose da apprendere, che ogni volta che ne aveva l’occasione ne
approfittava per spuntare qualcosa da quel lunghissimo elenco. Studiare, però,
era un prendersi cura di sé? Apparentemente sì, ma in vero non era forse un
estraniarsi dalla realtà e da sé?
Lo
studio, per quanto gli piacesse, non era un buon modo per rilassarsi e
riposarsi. Quali svaghi aveva? Non gliene venivano in mente. Era il
Bibliotecario a tempo pieno.
Cos’altro
poteva fare, però? Non ne aveva idea. Non aveva interessi oltre la Biblioteca:
per i primi trent’anni della sua vita aveva solo studiato; poi tutto era
cambiato: aveva imparato a combattere, aveva viaggiato, aveva applicato le sue
conoscenze, ma sempre e solo in nome della Biblioteca. Che cosa aveva mai fatto
per sé stesso?
Le
Miniere di Salomone? Quella era stata una missione che lo riguardava
personalmente, ma poi era diventato un compito della Biblioteca e, alla fine,
aveva rinunciato a ciò che desiderava di più al mondo.
Era
stato poi in vacanza a New Orleans … e il lavoro era venuto da lui da solo;
anzi era stata proprio la missione a chiamarlo, a convincerlo ad andare là.
Che
cosa aveva di suo? Nulla! Nemmeno l’amore: le due donne più importanti della
sua vita (esclusa sua madre, ovviamente) erano Guardiane, quindi coinvolte
anche loro nell’attività della Biblioteca!
Accidenti!
Non ci aveva mai pensato prima, eppure era così: tutta la sua vita, più o meno
coscientemente, era stata consacrata alla Biblioteca: lo studio forsennato e
disperatissimo prima e poi il suo lavoro … la sua vita. Aveva la Biblioteca e
basta.
Non
sapeva come sentirsi davanti a quella consapevolezza. Lui era davvero Il
Bibliotecario. Era il Bibliotecario e null’altro … e lui aveva abbandonato la
Biblioteca.
Beh,
non aveva avuto ragione? Gli avevano mentito, gli avevano nascosto la verità …
Ecco! Questo lo faceva arrabbiare ancor di più: lui era il Bibliotecario, ma
non sapeva che cosa significasse davvero.
Che
cosa doveva fare, allora? Forse, prima di decidere di cambiare vita, avrebbe
dovuto cercare di capire quella che aveva già.
Lui
era sempre stato convinto che il compito della Biblioteca era quello di
proteggere il mondo e gli uomini dalla magia. Poteva però esserne certo? Della
protezione sì, però … Era davvero quello lo scopo? C’era davvero da proteggersi
dalla magia? Lui ne faceva moderatamente uso e Judson
… beh, Judson decisamente praticava magia.
Gli
tornò in mente ciò che gli aveva mostrato Dulaque,
ciò che gli aveva detto.
Dunque
Judson aveva davvero duemila anni? E pur di
tenerglielo nascosto aveva inscenato la propria morte? Perché? Perché recargli
quel dolore pur di mantenere una bugia? Era assurdo! Benché Judson
gli fosse rimasto vicino in forma di spirito, lui aveva sofferto lo stesso.
Calma,
calma, doveva fare il punto della situazione nella maniera più razionale ed
oggettiva possibile.
Che
cosa sapeva con esattezza? Judson aveva fondato la
Biblioteca oltre duemila anni prima, con lo scopo di raccogliere e custodire oggetti
magici e scritti arcani. La prima sede era stata ad Alessandria, gli era stato
detto, però non era stata di certo quella storica, costruita in epoca
tolemaica. Probabilmente Judson aveva creato la sua
Biblioteca come una sezione segreta di quella famosa, da cui poteva attingere
testi e i più grandi ingegni. Inoltre la biblioteca d’Alessandria era
incorporata nel Museo, da questo forse era nata l’idea di raccogliere i
manufatti potenti.
Un
momento, queste riflessioni servivano davvero? Beh, sì, il contestualizzare
l’origine della Biblioteca poteva servire per comprenderla meglio. Comunque,
per farla breve, Judson aveva scelto di stare vicino
a quello che, anticamente, era il maggior centro culturale, che già custodiva
molti segreti, erede della tradizione egizia e connesso con le maggiori città e
civiltà dei suoi tempi.
Questa
scelta indicava la volontà di essere presente al mondo, attivo e consapevole,
nonostante lo stare nell’ombra; era conforme, anche, con la scelta della
biblioteca di New York come collegamento col mondo al giorno d’oggi.
Cos’altro
poteva considerare? Forse il fatto che l’antichità fosse piena di mostri e
oggetti magici che, grazie all’impegno dei Bibliotecari, erano diminuiti sempre
più o presi in custodia. Ciò provava che effettivamente il mondo era un posto
più sicuro da quando si era deciso di nascondere la magia.
Perché,
allora, in così tanti ne volevano il ritorno? Questo proprio non lo capiva.
Le
creature connesse alla magia avevano comunque i loro spazi … Non capiva.
Accidenti!
Judson aveva proprio ragione. Da dieci anni era un
Bibliotecario e ancora era minima la parte di magia e realtà che conosceva. Forse
davvero c’erano cose che non potevano essere apprese, ma scoperte gradualmente,
con l’esperienza diretta. Effettivamente, se ancora non gli avevano rivelato la
verità su Judson un motivo c’era e lui non era
realmente pronto per scoprirlo.
Flynn sospirò, non
sapeva che cosa fare; l’unica cosa che aveva chiara era quella di tornare nel
mondo, o nella sua dimensione o quel che accidenti era e poter rientrare in
Biblioteca. Poi avrebbe dovuto far fronte a una crisi (non sapeva che cosa
fosse successo, ma era certo che le cose non andassero affatto bene). A quel punto
come si sarebbe comportato? A chi avrebbe dato ragione? Chi avrebbe sostenuto? Come
avrebbe cercato di conciliare i contendenti? Mah! Questo ancora gli era ignoto;
non aveva idea di cosa fosse giusto e cosa sbagliato, né di come avrebbe fatto
a capirlo.
Decise
di non rimanere fermo sulla spiaggia, come aveva inizialmente pensato, ma di
mettersi in cammino come le altre volte.
Dopo
un’ora di cammino, Flynn scorse qualcosa in
lontananza: una macchia verde. Andò in quella direzione e, man mano che si
avvicinava, iniziò a distinguere un immenso parco e un edificio. Il palazzolo era in mattoni a vista, col tetto piano e gli
ricordava il tempio di Luxor; il giardino attorno, invece, non si vedeva poiché
circondato da siepi alte una ventina di metri che mettevano non poco in
soggezione l’uomo, che si sentiva minuscolo al loro confronto.
Flynn giunse davanti
all’ingresso, che non aveva porte e lasciava aperto il passaggio; entrò e
scoprì che l’edificio era fatto a chiostro, con un cortile interno
completamente vuoto, circondato da un porticato. L’uomo notò che alle pareti,
sotto il portico, c’erano numerose iscrizioni; provò a leggerle ma, appena vi posava gli occhi sopra, gli pareva che le
lettere iniziassero a sciogliersi, oppure a vorticare o aggrovigliarsi tra di
loro. Rinunciò e proseguì. Arrivato dall’altra parte del chiostro, trovò un
altro passaggio che si apriva sul giardino che, a quel punto, si rivelò essere
un labirinto. Flynn non si intimorì, anzi, molto
curioso si mise in cammino, desiderando arrivare al centro del labirinto. Si perse
o, per lo meno, impiegò tre giorni prima di raggiungere il centro. Tre giorni
passati da solo, su sentieri sempre uguali a sé stessi, nessun suono attorno,
nemmeno i suoi passi facevano rumore e quel silenzio lo aveva parecchio
inquietato. Era certo che avrebbe dovuto apprendere qualcosa da tutto ciò, ma
gli sembrava di non aver imparato nulla.
Arrivò
infine al centro del labirinto: era molto simile al chiostro iniziale, col
porticato con colonne, tuttavia, dal lato opposto a quello da cui era entrato,
si trovava un edificio cubico, sormontato da una piramide; due scalinate, una
di fronte all’altra, entrambe di sette gradini, conducevano all’ingresso unico
della piramide.
Flynn salì
immediatamente ed entrò: si stupì immediatamente nel trovarsi in una stanza
circolare, molto più vasta sia del cubo che della piramide.
Vide
quadri, sculture, oggetti quotidiani, vasi e una miriade di altre cose, esposte
ordinatamente nella sala. Come allestimento gli ricordava la Biblioteca, ma lì
non c’erano manufatti importanti, nulla di leggendario; quel che vedeva gli
sembrava comune, poteva avere valore artistico o storico, ma nulla di più,
nulla di arcano.
Ad
ogni modo, non riusciva a vedere bene l’estremità opposta della stanza, per cui
si mise ad attraversarla, guardandosi attorno per cercare di cogliere qualche
informazione. Mentre voltava il capo da una parte e dall’altra, si spaventò nel
vedere apparire all’improvviso un uomo e un tavolino esattamente dove prima non
si trovava nulla, proprio nel mezzo della stanza.
L’uomo
aveva il viso giovane, tonico e senza rughe, ma i suoi capelli erano bianchi. Gli
occhi erano vivaci e avevano le iridi scarlatte. Era molto pallido, il corpo
alto e il fisico allenato; indossava una cravatta rossa, una camicia bianca, un
completo color crema molto chiaro, con bottoni d’oro. Sedeva accanto al
tavolino, su cui era posta una tovaglia di seta di fattura orientale, che
toccava terra.
“Chi
sei?” chiese Flynn “Dove sono?”
“Dove
non è importante, visto che non sai nemmeno quando.”
“Non
è il 2015?”
L’uomo
si limitò a sorridere e a prendere il bicchiere di vino che era apparso sul
tavolo. Dopo aver bevuto un sorso, disse: “Flynn, ti
preoccupi molto di quel che ti circonda, di quel che accade attorno a te, ma
mai di te stesso.”
“Mi
hanno insegnato che non ha importanza, che io vengo dopo il mondo. Devo sacrificare
i miei interessi per u bene superiore.”
“Non
essere egoisti e consacrarsi a qualcosa di più alto è un bene, ma che cosa hai
consacrato? La tua intelligenza, ma niente di più. Devi prima finire di trovare
te stesso e la tua identità, solo allora potrai agire al meglio.”
“E
cosa dovrei fare? Andare in India, per trovare me stesso? Il periodo new age è passato da anni.”
“No,
devi vivere un’avventura per te stesso; credo che servirà e basterà a trovarti.”
“Quella
che sto passando adesso non conta?”
“Forse
questa è una parte del tuo percorso per conoscerti e dovrai fare altro per
capirti davvero. In questi giorni hai avuto modo di meditare, di esplorare i
tuoi pensieri e, soprattutto, i tuoi sentimenti, hai elaborato molto, hai
tantissime idee che però devi ancora sintetizzare. Hai vissuto la parte passiva
della tua riscoperta, ora devi vivere quella attiva.”
“E
come? E come posso fidarmi di te, non so nemmeno chi sei!”
“Torna
in Biblioteca e cercami nel tuo tempo. Assieme capiremo quale sia la tua grande
cerca.”
“Di
cerche ne ho già fatte parecchie.”
“Anche
i cavalieri della Tavola Rotonda hanno vissuto moltissime avventure, ma ognuno
di loro ne ha vissuta una che li ha segnati più di ogni altra. Su, torna in
Biblioteca.”
“E
come?! Non so nemmeno dove sono e come ci sono arrivato!”
L’uomo
si alzò in piedi, fece cenno a Flynn di avvicinarsi,
poi sollevò un poco la tovaglia e indicò sotto al tavolo. Il Bibliotecario si
accostò, si chinò e vide che, sotto al tavolo, c’era una scalinata che saliva
verso l’alto. Non era scientificamente possibile, ma Flynn
decise di non interrogarsi. Domandò solo: “Da qui tornerò in Biblioteca?”
“Esattamente.”
“Come
faccio a trovarti? E poi perché devo andare in Biblioteca e poi cercarti, se
siamo già qua, assieme.”
“Lo capirai a tempo debito.”
“Questa
frase inizia a scocciarmi, ma va bene. Posso almeno sapere il suo nome?”
“Ovviamente,
no. Se no il divertimento dov’è?”
Flynn sospirò, scosse
il capo, salutò e si chinò sotto il tavolo; appena superò la tovaglia si trovò sulla
scalinata, come all’interno di una torre, senza la possibilità di tornare
indietro.
Cominciò
a salire le scale, domandandosi che cosa fosse accaduto.