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Autore: Manto    08/06/2015    4 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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VI – Il Mare Sussurra




Il Mare, il luogo dell'inganno e del mistero.
Il Mare, l'Incerto Regno.
Il Mare, il Divoratore di Navi.
Avevo sentito tante storie su di Te, Mare. Ma mai avevo udito che abbandonassi la tua infinita dimora, per amore di una donna.

Imparai a piangere, in quegli istanti.
Nella notte rischiarata dai fuochi degli incendi, mentre tutta la Frigia ardeva come una pira e i soldati portavano via le ricchezze di mio padre, piansi.
Piansi fino a non sapere più perché lo facessi.
Mentre ci avvicinavamo alla Troade e la mia prigionia diventava sempre più realtà, cominciarono a rimbombarmi nella mente le astiose parole di Diomede, e questo fermò le mie lacrime. Prigioniera, schiava. Ma non priva di dignità e di fierezza. Non priva della memoria di chi era stata.
Il mio rapitore mi accarezzò il volto. “Temevo che gli occhi ti si sarebbero sciolti, con tutte quelle lacrime.”
Non risposi.
Il mio cuore era in tumulto. Lo odiavo, sì, lo odiavo, lui che aveva spezzato la vita di mio padre e tutti i miei sogni. Ma c'era anche qualcosa d'altro; come se lui fosse l'uomo che nelle mie notti solitarie avevo sempre agognato, la speranza di felicità che aiuta il nostro cuore a sopportare.
Non riuscivo a capire il perché.

Il luccichio del mare ci sorprese, e le nere mura di Troia comparvero all'orizzonte. Mi appoggiai al bordo del carro, e lo strinsi con forza.
Chiusi gli occhi e non li riaprii fino a quando non ci fermammo, e una sferzata di vento caldo ci accolse. I violenti colori del campo acheo ferirono i miei occhi; la lingua ostile declinata dalle voci di mille, mille soldati, si prese la mia mente. E un solo nome riempiva la piana: quello del gigantesco guerriero, Aiace. Questi, sorridendo, mi prese per una mano, mi aiutò a scendere dal carro, e allora udii battute di ogni genere, sulla mia bellezza così singolare, sul fatto che sembrassi un'agnella tra le zampe di un leone.
Infine il silenzio calò su di noi, e i grandi re degli Achei avanzarono. Conoscevo i loro nomi, perché mio padre me ne aveva parlato a lungo. Ora li vedevo davanti a me, come in un incubo.
Il primo fu il Re dei re, il miceneo Agamennone dalla chioma argento e dal portamento pieno di nobiltà. “Figlio di Telamone, gloria e vanto degli Achei, perfino gli Dèi ammirano il tuo valore”, disse, quindi spostò lo sguardo su di me e sugli innumerevoli carri che portavano il tesoro di mio padre.
Fu poi la volta del bel Menelao dalla pelle di bronzo, re di Sparta, il marito della divina Elena, e del vecchio re di Pilo, Nestore il Saggio, che per l'aspetto mi ricordò il mio povero padre e dovetti girarmi, per non versare nuove lacrime.
A loro seguirono il re di Creta, Idomeneo simile ad un dio, e quello dei Locresi, Aiace d'Oileo, dall'inquietante sguardo semi nascosto dai capelli color rame, che si diceva fosse imbattibile con la lancia.
Ultimi, un sorriso pieno di scherno dipinto sul volto, il bellissimo Diomede, davanti al quale non abbassai gli occhi, ed Odisseo, nel quale volto, per un istante, lessi un moto di dispiacere.
Quindi due soldati mi presero, uno per braccio, e mi condussero via, mentre i sovrani si allontanavano.
Fui portata ad un'enorme tenda dal colore purpureo, con due grandi bracieri davanti all'entrata, e spinta avanti. Entrai, e mi trovai in un ambiente spoglio, come doveva essere una tenda di guerra, ma la sensazione che provai fu quella di immenso calore e protezione.
Confusa, con la testa che mi girava, mi sedetti al suolo, cercando di calmarmi.
Sapevo cosa sarebbe successo. I capi si sarebbero riuniti in assemblea e avrebbero deciso la spartizione del bottino del palazzo e delle città conquistate.
Io sarei stata assegnata ad Aiace con parte del tesoro. Sarei stata suo possesso.
E quella notte stessa sarei entrata nel suo letto.
Un senso di freddo mi prese; ma al pensiero di essere assegnata a lui, piuttosto che ad un essere odioso come Diomede, il freddo iniziò lentamente a sfaldarsi.
“Aiace!”
Quella voce squillante e piena di allegria mi tolse dai miei pensieri, e nella tenda irruppe un giovane guerriero dai lunghi capelli nerissimi e dai verdi occhi vivaci, che appena mi vide si bloccò.
Io abbassai gli occhi – e questo avrei dovuto farlo davanti ad ogni uomo, da quel momento –, e in quel momento Aiace entrò nella tenda, seguito da re Nestore. Appena vide il giovane, il volto del gigante si aprì in un grande sorriso, e i due si strinsero in un abbraccio.
“Teucro, fratello mio, quanto mi sei mancato! Pensavo di vederti insieme agli altri capi.”
“Perdonami, ma fino a qualche istante fa ero impegnato con i Salamini nella revisione delle navi, e sono corso alla tenda appena ho potuto... tutti parlano di te!
Hai portato un bottino ancora più ricco di quello che ha recato con sé Achille. Nessuno sospettava che il vecchio re avesse un tesoro di così grande valore.”
Aiace sorrise, e si girò a guardarmi. “Il suo più grande tesoro non è in oro, fratello mio.”
Quindi lo condusse fuori dalla tenda, mentre re Nestore rimase. Mi fissò a lungo, poi si avvicinò, facendomi segno di alzarmi. “Odisseo e Diomede ci avevano riferito quanto la tua bellezza fosse grande, ma le loro parole non ti rendono giustizia. Gioisci, fanciulla: condividerai la vita con un guerriero di indole saggia e nobile, che potrebbe anche amarti; non a tutte è data questa opportunità.”
Non risposi niente. Mi mostrai il più possibile docile e remissiva.
Il re di Pilo annuì, e lasciò la tenda. Io mi risedetti, la mente svuotata di ogni pensiero, e attesi fino a quando Aiace non rientrò, e si avvicinò fino a torreggiare su di me. “Il tuo posto non è seduta a terra, come una comune schiava. Alzati”, disse gravemente.
Obbedii. Lui stette immobile per qualche istante; quindi iniziò a togliersi l'armatura, e alla fine rimase completamente nudo.
Chiusi gli occhi, il mio cuore accelerò. Mi desiderava in quello stesso istante.
Aiace mi prese il volto tra le mani, me lo alzò. “Guardami.”
Riaprii gli occhi, lo fissai; lui mi baciò con foga, tenendomi ferma, quindi iniziò a spogliarmi. Per primi sfilò gli orecchini, che caddero al suolo tintinnando; il bracciale di Otreo li seguì.
Mi morsi le labbra, quando sciolse la cintura, ma non abbassai lo sguardo. Con un fruscio la veste scivolò ai miei piedi; su di essa, infine, finì lo spillone che teneva ravviati i capelli.
Aiace mi fissò negli occhi per un'ultima volta, quindi fece correre lo sguardo sul mio corpo. Allungò una mano, lentamente, e l'appoggiò sul mio cuore. “Se non lo sentissi battere, penserei che tu fossi fatta di bronzo”, disse, rapito.
Mi strinse a sé, accostò la sua bocca al mio collo, iniziò a baciarmi. Il contatto con la sua pelle bollente mi ricordò Otreo, ed istintivamente mi allontanai. Aiace si staccò da me, indietreggiò.
Un velo di tristezza calò sul suo volto. Si rivestì, uscì dalla tenda.
Anche io mi rivestii, con estrema lentezza, quindi raggiunsi un angolo della tenda, quello più lontano dall'entrata. Piansi fino alla sfinimento, finché il pietoso sonno calò su di me.
Non passò molto tempo che mi svegliai, e vidi il mio rapitore seduto sul suo scranno, a poca distanza da me. Notò che ero sveglia, e mi fece segno di raggiungerlo.
Obbedii, tremante, le lacrime che riprendevano a sgorgare dagli occhi. Lui mi afferrò per la vita, mi mise sulle sue gambe.
Io lo guardai, e presa da un moto di disperazione affondai il viso nel suo petto. “Prendete il mio corpo... mio signore, ma lasciatemi le mie lacrime. Lasciate che continui a sognare la mia vecchia vita”, mormorai.
Lo sentii accarezzarmi i capelli, quindi un dito scivolò sotto il mio mento, mi alzò il volto fino a che le nostre fronti non si sfiorarono. “No. Dimenticherai la tua vecchia vita, perché io te ne darò una migliore”, rispose, quindi mi prese fra le braccia, mi sollevò e mi stese sul suo giaciglio.
“Non proverai dolore. Non ho alcuna intenzione di farti soffrire”, mormorò, prima di sdraiarsi accanto a me e perdersi nei miei occhi, quegli occhi pieni di desiderio.

Nella notte odorosa di fumo e canto sentii il bacio del mare sulla pelle, per la prima volta. Sotto lo sguardo di Aiace entrai nell'acqua.
Il sapore del sale e la sensazione di morte si impadronirono di me.
Davanti ai miei occhi la Luna si sollevò dalle acque, e salì, lento disco argentato, donandoci la sua luce.
Io chinai il capo, e vidi il mio riflesso. Immaginai che potesse lasciarmi, che si sarebbe staccato da me da un momento all'altro per correre lontano, a vivere quella vita che io non potevo neanche più sperare.
Aiace mi si avvicinò, e accarezzandomi i capelli mi sorrise. “Il primo ricordo che ho di esso è la sensazione di libertà che provai, quando mio padre mi lanciò per la prima volta nelle sue azzurre acque. L'avevi mai visto prima?”
Mi girai verso di lui. “No. Ma l'ho sempre temuto, e sempre lo farò.”
“Perché?”
Perché ha favorito il vostro viaggio, invece di inghiottirvi, custodirvi per sempre nei suoi abissi, pensai.
Aiace comprese i miei pensieri, e chinò il capo. “Ne vedo già troppo, di odio. Non voglio che anche il tuo sguardo ne sia pieno.”
Uscii dall'acqua, mi sedetti sulla spiaggia. Lui si mise accanto a me. “La verità, wanax Aiace, è che ti odio, per quello che hai fatto a mio padre e al mio regno... ma non quanto dovrei e vorrei: la tua gentilezza mi stupisce. Perché usi questa premura nei miei confronti?
Io non sono più nessuno. Potresti uccidermi, possedermi con la forza, torturarmi, e nessuno arriverebbe a difendermi.
Eppure i tuoi occhi mi dicono che non farai niente di tutto questo, e i tuoi gesti me lo hanno confermato: prima... prima non mi hai preso, non mi hai usato violenza. Nonostante desiderassi il contrario, soffrire per odiarti ancora di più, ciò non è successo.”
Aiace continuò a fissare il mare, e per qualche istante rimase in silenzio. “Appena ti ho visto non ho pensato a te come schiava: non sei da meno delle grandi regine che stanno al fianco di noi sovrani di Acaia, o delle Dee che siedono con Zeus, il re dei nostri Dèi.
Tecmessa, io sono confuso. Non riesco a spiegarti quello che ho provato quando ti ho visto, ma so che se ti dovessi fare del male, lo farei anche a me.
Nello sguardo, nel portamento, hai la tempra di un guerriero, ma la dolcezza delle donne. E se tu volessi uccidermi, per vendicare il tuo amato padre, io non opporrei resistenza.
Ormai Amore mi ha vinto, e non posso niente contro di te.
Il vero schiavo, tra noi due, sono io.”
Restai in silenzio per lunghi istanti; poi, con lentezza, mi appoggiai a lui.
Neanche nella notte Aiace non mi possedette, nonostante bruciasse di desiderio. Posò la testa sul mio grembo, e io gli passai le dita tra i riccioli, prima con timore, come se accarezzassi una fiera, poi con dolcezza.
La mattina seguente, dopo alcuni giorni di tregua per seppellire i caduti, la guerra tra Achei e Troiani riprese, e all'alba vidi il principe rivestire l'armatura e lasciare la tenda, non prima avermi dato un bacio sulle labbra.
Mentre mi avvolgevo nel suo mantello, nel mio cuore mi ritrovai a desiderare che ritornasse, e pregai quegli Dèi che lui stesso onorava perché lo vegliassero.
   
 
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