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Autore: stereohearts    08/06/2015    3 recensioni
Carter Harvey è un concentrato di rabbia, acidità e dolore. Dopo un passato – che non sembra essere poi così ‘passato’ - particolarmente tormentato, un incendio misterioso alle spalle ed un fratello in carcere sta cercando di spostare la sua vita su una strada più rettilinea e con meno dossi possibili, concentrando l’attenzione su scuola, amici ed un secondo fratello, Elia, spesso assente per lavoro.
Justin Bieber - che ha il suo bel da fare con una famiglia, residente a Stratford, decisamente assente ed una zia, vedova, caduta nel baratro di alcool e fumo - è un ventenne dalla bellezza disarmante, incline al perdere molto facilmente il controllo della situazione ed un caratterino pungente, corroso dai segreti che porta con sé ed una, poco salutare, dipendenza dalle sigarette.
 
San Diego.
Un incendio misterioso.
Due vite che si scontrano irreversibilmente.
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera di questa persona, né offenderla in alcun modo'
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In revisione.
Genere: Mistero, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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24.
 




 
 
 
 
 
 
Carter.
 
 



 









 
 
 
 
 
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto, spaventata, quando un rumore stridulo mi s’insinuò nelle orecchie.
Disorientata, mi passai una mano sulla faccia, cercando di levare via dagli occhi i residui del sonno.
Dalla finestra che dava sul balcone filtrava ancora la luce argentea della luna, regalmente alta in cielo; la radiosveglia sul comodino segnava ancora le tre e dieci del mattino - ero quasi certa fosse Domenica.
Strizzando gli occhi mi schiaffeggiai le guance, scalciando le lenzuola verso il bordo del letto; con la fine della scuola alle porte, alzarsi dal letto era diventata un’impresa quasi ogni mattina, soprattutto viste le poche ore di sonno che mi erano concesse durante l’arco della notte.
Come se non bastasse Leanne era anche riuscita – come, ancora non l’avevo capito – ad infilarmi nel gruppo del comitato organizzativo del ballo di fine anno; così, ai turni intensificati al Sanyo, si aggiungevano anche i pomeriggi bloccata a scuola.
E, come ciliegina sulla torta, c’era Justin.
Dopo la nostra ‘rottura’ – se così la si poteva davvero chiamare – non avevamo smesso un secondo di litigare: puntuale come un orologio Svizzero alle dieci e mezza si presentava al locale, s’appostava su uno sgabello a bere birra e aspettava che terminassi il turno.
Al momento di andare a casa si alzava, pagava e mi scortava fino alla macchina come uno stupido bodyguard; dal canto mio facevo di tutto per ignorarlo, o perlomeno scacciarlo, ma lui non demordeva. E alla fine ci ritrovavamo a litigare come una coppia di sposini già stufi del matrimonio.
Ce ne urlavamo dietro di tutti i colori, ma il problema era solo uno, in effetti: Justin, il giorno dopo, era di nuovo al locale, come se niente fosse successo.
Così per tutta la maledetta settimana.
Afferrai la maglietta scolorita dei San Diego Chargers che usavo come pigiama, infilandola sulla testa mentre mi sollevavo dal materasso; rabbrividì, a contatto con il linoleum freddo del pavimento.
Dal piano di sotto, il rumore di qualcosa che sbatteva a terra, mi fece sobbalzare sul posto; solitamente Elia non era così imbranato, quando tornava dal lavoro.
In effetti era anche troppo presto, per i suoi standard; solitamente staccava verso le quattro, e alle quattro e mezza arrivava a casa.
Mi sistemai l’orlo dei boxer sulla coscia, correndo silenziosamente alla finestra; il vialetto di casa era deserto, e di macchine non c’era traccia.
Controllai anche tutto il perimetro del marciapiede – fin quando mi fu possibile – ma non riconobbi tra le auto né la Nissan 4x4 scura di Elia né la Lexus Hybrid bianca di Jackson.
Il pavimento, di sotto, cigolò sinistramente sotto i passi pesanti di qualcuno – che ovviamente non era di casa; il frigorifero si spalancò, ronzando.
“Fantastico, un ladro e per giunta affamato …” bofonchiai a bassa voce, allontanandomi dalla finestra.
Qualcosa si frantumò sul pavimento, e mi sembrò quasi di sentire l’intruso smettere di respirare per accertarsi che non ci fosse nessuno in casa.
Automaticamente trattenni il respiro, immobilizzandomi al centro della stanza con il cuore che mi galoppava impazzito nella cassa toracica; inconsapevolmente mi portai una mano al petto, spaventata che magari, in quel silenzio spettrale, potesse sentire il rumore dei miei battiti velocizzati.
Con la coda dell’occhio tenni sotto controllo la radiosveglia, contando due minuti di assoluto silenzio prima che l’intruso ricominciasse a muoversi per la cucina; appoggiò qualcosa sul tavolo, e stappò rumorosamente una bottiglia.
Maledizione, lo sapevo che quella sera sarei dovuta rimanere a dormire da Keaton.
Scrollai la testa e respirai profondamente, aprendo e chiudendo i pugni lungo i fianchi; sangue freddo e controllo su me stessa – magari lasciarmi convincere da Leanne a guardare i Mercenari non era stata poi una così cattiva idea.
In punta di piedi mi avvicinai alla porta aperta; tenendomi allo stipite in legno allungai il collo sul corridoio, per assicurarmi che fosse privo di altre presenze indesiderate.
Appurato di non avere compagnia, sgattaiolai furtivamente verso la camera di Elia, in fondo al corridoio; fortunatamente non aveva problemi a lasciarla aperta, anche quando in casa c’ero solo io, perché alcune porte della casa scricchiolavano in una maniera assurda quando le si voleva aprire piano.
A tentoni, nel buio, trovai il comodino vicino al letto; il più delicatamente e lentamente possibile aprii il secondo cassetto, abbastanza da poterci infilare la mano.
Con una smorfia contrariata e ad occhi chiusi infilai la mano tra i boxer di mio fratello, cercando di sfiorarli il meno possibile con le dita; tastando la superficie fredda del legno, arrivata sul fondo, riuscì facilmente ad individuare la Calibro 9 di Elia.
Non c’era mai stato bisogno d’utilizzarla, o anche solo tirarla fuori da quel cassetto, ma Elia – e anche io, in realtà – si sentiva più sicuro nel sapermi sola in casa, di notte, con un’arma a mia disposizione che avrei potuto liberamente usare per difendermi.
Rick era un gran bastardo, e i suoi amici erano – se possibile – ancora più viscidi, vendicativi e pericolosi di lui; dopo essere uscito dal carcere se l’era data a gambe levate chissà dove, lasciandosi alle spalle un sacco di debiti con persone decisamente poco raccomandabili.
Non avevamo la minima idea di chi fossero, a quanto ammontassero i soldi che gli doveva e non ci avevamo mai avuto a che fare, ma Elia aveva preferito prendere delle precauzioni in caso di … problemi.
E, in quel caso, c’era un gran problema affamato che mia spettava al piano terra.
Ero perfettamente in grado di utilizzare un’arma. Bene anche – Elia mi aveva fatto prendere due o tre lezioni da un amico poliziotto del padre di Ian, due anni prima. La prima era stata un completo disastro, ma alla terza sapevo  prendere il centro esatto di un bersaglio da una trentina di metri di distanza.
E ciò mi permetteva di mantenere intatto quel briciolo di lucidità necessario per muovermi alla svelta e silenziosamente, e pensare con razionalità.
Agguantai fermamente la pistola e la tenni stretta al fianco, affacciandomi di nuovo sul corridoio; dal piano inferiore i passi non avevano cessato di muoversi. Qualcos’altro cadde a terra con un tonfo sordo, ed ero abbastanza certa che il punto fosse molto vicino alle scale.
Il che non era esattamente un buon segno: l’intruso sarebbe potuto salire da un momento all’altro e beccarmi.
Certo, con la pistola carica e funzionante e l’effetto sorpresa avevo delle sicurezze in più, ma dello stronzo che s’era infilato dentro casa mia non sapevo niente: se era solo, armato, e cosa aveva intenzione di fare dopo avermi svaligiato il frigorifero.
Quando sentì i passi ritornare verso la cucina, scattai silenziosamente verso la mia camera; superai le scale e mi ci fiondai dentro, appiattendomi contro il muro.
Con l’orecchio ben aperto aspettai qualche altro passo che mi dicesse che l’intruso era ancora in cucina; quando lo sentì continuare a girovagare vicino al frigorifero aggirai il letto e, dopo aver afferrato il cellulare dal comodino, mi affrettai sul balcone, acquattandomi dietro la tenda scura che copriva buona parte della visuale.
Riuscii ad impostare il telefono sulla modalità Silenziosa pochi attimi prima che questo s’illuminasse; sullo schermo spiccava a caratteri cubitali bianchi il nome di Justin.
Girai la testa di tre quarti, tenendo d’occhio la porta della camera ancora aperta; da lì fuori non potevo più avere il controllo sui movimento dell’intruso, quindi necessitavo in qualche maniera di avere comunque sott’occhio la situazione, in un modo o nell’altro
Portai il cellulare all’orecchio, coprendomi la bocca con la mano per attutire il suono della mia voce. “ Stai zitto e lasciami parlare. C’è un probabile ladro in casa, al piano di sotto, e sono sola in casa. So che in quest’ultimo periodo di sto detestando più di quanto abbia mai fatto ma puoi per fav …”
“Sono nei dintorni. Dieci minuti e sono da te” m’interruppe prontamente, apparentemente non toccato dalla situazione in cui mi trovavo, riattaccando un secondo dopo.
Non un ‘stai attenta’ o ‘non fare niente di stupido’; maledizione, quel ragazzo era un continuo punto interrogativo.
Un movimento sospetto nel corridoio mi gelò il sangue nelle vene; bloccai lo schermo del telefono, mettendolo a faccia in giù sul pavimento per evitare d’attirare l’attenzione con tutta quella luce.
Una figura massiccia, incappucciata e avvolta nel buio della casa, passò davanti alla porta della mia camera; senza nemmeno darvi un’occhiata tirò dritto lungo verso il fondo del corridoio, come se sapesse già che lì c’era la camera da letto di mio fratello.
Subito pensieri più o meno allarmanti mi annebbiarono il cervello; non volevo saltare a conclusioni troppo fervide da telefilm poliziesco, ma vedere l’intruso orientarsi così bene in casa nostra non era certo un buon segno.
Poteva significare solo che, chiunque lui fosse, ci aveva spiati; aveva osservato bene le nostre abitudini e aveva anche avuto modo di studiare gli interni della casa.
Il che portava ad un’unica e spaventosa conclusione: il ladro sapeva bene cosa voleva e dove trovarlo.
La pistola di Elia? La piccola cassaforte che teneva nascosta in un doppiofondo creato sul fondo dell’armadio? O, addirittura, Elia stesso?
‘Dio, che Rick fosse tornato per una piccola vendetta?
Alla sola idea mi trovai a tremolare come mai in vita mia; levai la sicura alla pistola, aumentando la forza con cui la stringevo tra le dita.
Udendo una porta sbattere schizzai fuori dal mio nascondiglio; in punta di piedi, il meno rumorosamente che mi riusciva, imboccai il corridoio, puntando le scale con la pistola tenuta ben salda lungo il fianco.
Scesi le scale due a due, cercando di orientarmi attraverso la poca luce lunare che filtrava dalle finestre che davano su soggiorno e cucina.
La poca argenteria sparsa sulle mensole era ancora al proprio posto; niente di danneggiato o sparito.
Apparentemente tutto sembrava essere rimasto dove doveva essere.
L’unica nota storta era un enorme borsone nero, smunto e con qualche buco, ai miei piedi.
Non avvertendo alcun rumore sospetto dal piano di sopra mi accovaccia sul pavimento e, con la mano libera, iniziai a frugarci all’interno: jeans sgualciti, due magliette nere, una felpa enorme con un altrettanto grande buco sul gomito; cellulare vecchio modello, penna, e un paio di banconote da dieci stropicciate e tenute insieme da dello scotch trasparente.
Per niente rassicurante, in effetti; tutti i presupposti per un ladro disperato c’erano.
“Non ti hanno insegnato a non frugare tra la roba degli altri?”
Mollai la presa sul borsone, schizzando su; con un movimento fulmineo girai su me stessa, sollevando il braccio con cui impugnavo la pistola, puntandola direttamente sulla fronte dell’intruso. “Non osare fare un altro passo, o dire un'altra parola, se non vuoi ritrovarti con il cervello in pappa!” lo minaccia, riuscendo a tirar fuori una voce ferma, decisa e sicura.
In realtà, sentivo di star per svenire; avevo le dita leggermente intorpidite, le ginocchia molli e il cuore che mi si era fermato tutto d’un colpo nello stomaco.
Sentivo qualcosa sulla bocca dello stomaco, come un grosso masso ingombrante, che impediva all’aria di circolarmi regolarmente nei polmoni.
“Diamine, Elia non scherzava quando diceva di averti mandata da quel poliziotto” continuò lo sconosciuto, sollevando sarcastico le mani all’aria.
Mi superava di una buona e piena ventina di centimetri, e le sue spalle erano probabilmente il doppio delle mie; con tutta quella poca luminosità a mia disposizione riuscivo a malapena a distinguere i contorni sfocati di una canottiera bianca e dei corti capelli scuri che gli si arricciavano sulla testa.
Ma quella voce.
Alle mie spalle la porta scattò con un sonoro click, avvisando entrambi dell’arrivo di Justin; la sua voce mi arrivava attutita alle orecchie, come se ostacolata da dei batuffoli di cotone.
Perché non mi serviva la luce accecante della lampadina in soggiorno per riconoscere il paio di occhioni azzurri che mi scrutavano intensamente dall’alto - in attesa di chissà cosa, poi.
Le dita, ormai completamente insensibili, persero il controllo sulla pistola, lasciandola cadere a terra; riuscì ad udire solo il colpo secco e acuto del colpo partito, prima che la mia vista venisse occupata interamente da un velo nero di pura paura.
Dante era a casa.
 















My corner:
Olè, aggiornamento record!
Sono super puntualissima questa volta.
Con un capitolo che non è troppo lungo, ma che ... basta, probabilmente. Più che altro è ... di passaggio, dai.
Non credo ci sia nemmeno bisogno di chiarire qualcosa, parla da solo.
Carter è stressata, Justin non molla, e si ritrova a casa con un probabile ladro affamato.
E SBAM!
Dante è tornato.
Cavoli, mi sembra così strano che Dante sia finalmente entrato in scena.
Non pensavo nemmeno io di farlo tornare a casa così presto, ma mentre scrivevo è uscito tutto da solo, e adesso ho anche perfettamente bene in mente cosa succederà.
Inoltre mi sembrava inutile dilungare oltre la sua attesa, perchè non sarebbe servito a niente.
Ma, comunque, sono i prossimi capitoli quelli davvero bomba. Quindi, dan-dan, tenetivi pronte a scoprire tutta la verità sulla famiglia Harvey e Justin.
Ma, vi chiedo, non vi è sembrato strano che Justin fosse nei dintorni? ouo 
'Dio, è così strano essere arrivata a questo punto con la storia.
E non so come ringraziare tutte quelle care personicine che seguono questa storia, senza mai annoiarsi o lamentarsi di questa lunga attesa.
Davvero, grazie, grazie mille a tutte voi.
Spero vi sia piaciuto, anche se non è un granché; come ho detto, il meglio sarà nel prossimo capitolo - che spero di pubblicare entro Domenica/Lunedì.
E, come sempre, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate.
Alla prossima.
Baci ♥







 
   
 
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